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Autore: Ernil    12/05/2010    39 recensioni
Quando Harry cade in coma, i Guaritori le provano tutte per risvegliarlo. Niente sembra funzionare, e allora ricorrono all’artiglieria pesante.
Per questo motivo ora Snape è davanti al suo letto.
Genere: Introspettivo, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sommario: Quando Harry cade in coma, i Guaritori le provano tutte per risvegliarlo. Niente sembra funzionare, e allora ricorrono all’artiglieria pesante. Per questo motivo ora Snape è davanti al suo letto. 

Pairing: Severus/Harry

Rating: Verde.

Disclaimer: per una volta, non possiedo neanche la storia: è per Geilie. *spreads love*

Beta: shinu. Che è stata una Beta magnifica, checché ne dica, e che abbraccio e coccolo e stendo su un letto di rose e ricopro di petali di giglio, sperando che non sia allergica. Grazie.

Note dell’Autrice/1: lo so, è un titolo lungo, ma ha un suo perché! (Spero.) C’è un gruppo su FB che si chiama “I want Alan Rickman to read me bedtime stories!”, e come mio solito ho impunemente sgraffignato il titolo. La mia scarsa fantasia se ne scusa.

Note dell’Autrice/2-la-vendetta: questa storia è per una persona che si sobbarca di un lavoro della cui mole voi non avete idea (tranne shinu, che è stata passata al crogiolo!) e farete meglio a restare nella beata ignoranza. Orribilmente consapevole di essere in raccapricciante ritardo per qualsiasi compleanno *ride nervosamente*, questa storia è per Geilie. Non si dica che non ricompenso i miei schiav... ehm. Grazie mille, tesoro. Magari un giorno smetterò di lasciare note/riferimenti/parentesi inconsulte/faccine-a-random nel bel mezzo delle mie storie, ma fino ad allora credo di non poter far altro per te che dedicarti questa storia.
  

 

 

[« Di elfi domestici e storie per bambini, di amore, fedeltà e innocenza Voldemort non sa e non capisce niente. Niente. Che tutti hanno un potere che va oltre il suo, oltre la portata di qualunque magia, è una verità che non ha mai afferrato ».   

 

Harry Potter e i Doni della Morte]

               

 

« Comincio a sospettare che lei soffra di seri disturbi uditivi e visivi. Aggiungerei mentali, ma ho come l’impressione che questa diagnosi non le giungerebbe nuova ».

La Guaritrice assunse di nuovo quell’espressione contratta che, stando al non troppo umile parere di Severus Snape, colmava ogni lacuna nella catena evolutiva scimmia-uomo.

« Severus » intervenne Minerva. Nella sua voce c’era un chiaro tono di disapprovazione. Snape si voltò verso di lei, accigliato.

« Non dirlo ».

« Cosa? »

« Severus » disse Snape, irritato. « In quel modo. Non dirlo. Che cosa dovrei farci se ha evidenti problemi a livello psichico? Non posso risolvere tutti i grattacapi della terra. Per quello ci sono le associazioni umanitarie. Io ho già dato ».

La Guaritrice guardava la cartella clinica che teneva in mano come se stesse soppesando le sue potenzialità come oggetto contundente, e Minerva McGonagall assunse un’aria severa che Snape si prese la libertà di ignorare.

Arcuando un sopracciglio, distolse si gettò attorno un’occhiata seccata. Si trovavano al quinto piano dell’Ospedale San Mungo per Ferite e Malattie Magiche, quarto corridoio, sulla soglia della stanza A. Mazzi di fiori variopinti si accumulavano in un angolo, tutti corredati da biglietti di auguri e, nel caso di quelli inviati da Hagrid, da una torta che nessuno era riuscito a intaccare e che veniva usata come fermaporte.

Ma naturalmente – le labbra di Snape si strinsero – Harry Potter non poteva che avere una stanza privata. Tutti gli altri pazienti si sbavavano addosso in una stanza comune, ma bastava che Potter avesse la brillante idea di cadere in coma subito dopo aver schiacciato Voldemort sotto il tacco che, ecco, a lui veniva data una stanza singola. 

« Professor Snape... »

Di nuovo quella Guaritrice molesta. I denti di Snape si serrarono con un rumore di noci sbriciolate.

« Salazar, ha bisogno di un grafico? Di un disegno a colori? Vuole che glielo imprima a fuoco sul braccio, così forse prima o poi si ricorderà che non ho più il piacere di essere professore da diverso tempo? »

La donna sembrò sul punto di scoppiare in lacrime. Snape la guardò disgustato e Minerva ripeté « Severus » in-quel-tono.

Snape roteò gli occhi e incrociò le braccia.

« Potresti farlo tu, Minerva » disse. « La Weasley. È la sua ragazza, no? Perché non può sedersi lei al suo capezzale? » 

Le mani curate della Guaritrice – Snape aveva letto il nome sul cartellino e se l’era dimenticato un nanosecondo dopo – si strinsero sulla cartelletta clinica.

Minerva parve intuire l’imminente crollo della donna, e intervenne.

« Ginny e Harry... non stanno più insieme ».

« Sono felice di apprendere che la Weasley non nutra inclinazioni per la necrofilia ».

« Severus ».

« Cosa ho appena detto riguardo al mio nome? »

« Ginny si sta rifacendo una vita » disse la McGonagall.

« A lei avete lasciato questa speranza, allora? »

Minerva aprì bocca come un mastino idrofobo, e Snape aggiunse:

« E in ogni caso, Potter dovrebbe avere uno straccio di amico sopravvissuto alla guerra, suppongo. Possono farlo loro ».

« Te l’abbiamo detto, Severus. È la tua voce l’ultima che ha sentito prima di entrare in coma, e i Medimaghi sono convinti... »

« Ti supplico, non dirmi che sono gli stessi che hanno permesso a Bode di tenere un Tranello del Diavolo sul comodino ».

« ...sono convinti che sentire la tua voce possa aiutarlo a risvegliarsi ».

« Risvegliarsi? Potter? » disse Snape. Il sopracciglio si inarcò praticamente di sua sponte « Minerva, temo che tu non possa pretendere troppo da quel ragazzo ».

« Ma, signor Snape, solo lei può... »

Snape si voltò verso la Guaritrice.

« Lo ripeta ».

Lei sbatté le palpebre.

« Ho detto che solo lei... »

« Oh, no, lei ha detto “signor Snape”. Questo è un grande, enorme progresso, ragazza mia. Scommetto che se si impegnasse potrebbe persino arrivare a svolgere il suo lavoro, cioè cercare di risvegliare Potter, se ci tenete tanto. Per il momento, invece, state solo riuscendo a importunare un privato cittadino » concluse, irritato.

« Severus... »

« Credevo di averti detto di non chiamarmi così » disse Snape, secco, mentre la Guaritrice si allontanava in direzione della macchinetta del caffè con una strana luce negli occhi.

Minerva lo ignorò. Gli mise una mano sul braccio e ripeté, significativamente:

« Severus » e, prima che Snape potesse aprir bocca: « Ti prego ».

Fu come se una coperta di silenzio si fosse stesa su di loro, mentre Severus la guardava e Minerva guardava lui, senza togliergli la mano dal braccio.

« Questo è uno di quei colpi bassi che dai Grifondoro non ti aspetteresti mai » disse infine Snape. L’irritazione nella sua voce era sparita; ora era gelida. « Ma tu non sei Dumbledore, e io ho chiuso con il ragazzo ».

Minerva gli lisciò una piega della veste, e Snape fece un passo indietro, perché conosceva quella tecnica. Dumbledore ne era stato un maestro.

« Pensavo avessi giurato sulla tomba di Lily di... »

« Sembra che improvvisamente siate diventati tutti dei grandi esperti della mia vita, non è vero? » disse piano Snape. 

Minerva sorrise tristemente.

« Sì, beh, non mi va di ripetere gli stessi errori due volte » disse. Poi si schiarì la gola e si sistemò la crocchia di capelli, e quando tornò a parlare lo fece col solito tono pratico. Le sue metamorfosi da donna materna a virago avevano smesso di impressionare Snape molto tempo prima. « Allora, lo farai? »

« Cosa otterrò in cambio? »

« La soddisfazione data da una buona azione » replicò Minerva senza esitare. Snape fece un verso sarcastico, e quando Minerva alzò le sopracciglia interrogativamente, Snape si girò verso la porta della camera di Potter per non doverla guardare in faccia.

« Tutta questa soddisfazione finirà con l’uccidermi ».

 

*

 

« L’apoteosi del patetismo ».

Le tende erano spalancate, e il sole che entrava a fiotti nella stanza infastidiva Severus, tagliando via ogni ombra e ogni ambiguità, così che nessuno avrebbe mai avuto dubbi che lì dormisse un Grifondoro.

Harry Potter giaceva sul letto, illuminato in pieno dalla luce pomeridiana, e le lenzuola che lo circondavano erano candide e prive di increspature come se qualcuno le avesse lisciate via con pazienza certosina. Era evidente che quel qualcuno avesse cercato anche di domare i capelli di Potter. Erano sparpagliati sul cuscino e contro la fronte bianca di Potter il contrasto era quasi doloroso.

Doveva aver avuto quell’aspetto anche James Potter, pensò Severus, quando lo avevano estratto dalle macerie.

Forse solo un po’ meno indifeso. Sembrava così strano, il ragazzino, senza gli occhiali.

Snape si sedette sulla poltrona rossa dallo schienale alto e dritto, di fianco al letto, e guardò con desiderio il giornale che nessuno aveva aperto sul comodino.

Un tocco di sofisticata crudeltà, da parte di Minerva, mettergli qualcosa da leggere così vicino sapendo che avrebbe dovuto parlare con Potter.

Parlare a Potter. Punizione nuova di zecca per l’ultimo arrivato nell’ottava bolgia (1).

Beh, non era certo la prima volta che veniva pagato per fare qualcosa del genere. Dumbledore lo aveva stipendiato per anni per istruire classi ricolme di imbecilli. 

Solo che non erano a scuola e Potter era lì, in coma, nel letto, con uno schermo magico che segnava il battito regolare del suo cuore e tubicini rossi e blu che si intrecciavano sul suo avambraccio sinistro.

Il grande eroe del mondo magico. Un angolo della bocca di Snape sembrò per un attimo doversi inclinare verso il basso. Il Ragazzo Che Era Quasi Riuscito A Sopravvivere Un’Altra Volta.

Per qualche istante dopo la morte di Voldemort aveva dato l’impressione di aver salvato capra e cavoli – e Severus ricordava molto bene di aver pensato la gramigna non muore mai, mentre sulla sua spalla la fenice di Dumbledore gorgheggiava soddisfatta.

C’era stato un attimo di silenzio stupefatto, e in quel momento la voce di Dumbledore si era zittita e Snape guardando il cadavere di Voldemort aveva udito i battiti calmi del proprio cuore, mentre qualcosa, dalle parti del suo petto, sembrava improvvisamente prendere fuoco.

Se era gioia, Severus se la ricordava meno dolorosa.

E poi, mentre tutti guardavano il corpo del Signore Oscuro, Severus si era sentito osservato e aveva sollevato lo sguardo su  Potter, che stava fissando lui con l’espressione più incredula di questo mondo.

E poi l’urlo della folla era esploso, ma il moccioso era corso verso di lui, scivolando non si sa come sotto le braccia della gente. Severus adesso pensò che avrebbe dovuto dirgli di non correre, non era una cosa saggia da fare dopo un uso massiccio di magia.

Non che Potter gli avrebbe dato ascolto. Non lo faceva mai.

Era corso verso di lui con un sorriso assurdo. E quando erano stati uno davanti all’altro, Severus ricoperto di sangue e Potter ricoperto di terra e foglie, Harry aveva fatto per parlare.

E poi... le labbra di Severus si strinsero al ricordo. Il moccioso era crollato al suolo. Una cosa piuttosto indelicata da fare davanti a qualcuno che è appena scampato alla morte per dissanguamento, ma Potter lo aveva fatto.

E per qualche stupido istinto che in seguito aveva provveduto a sopprimere, Severus lo aveva afferrato al volo. Probabilmente era stata solo la sua abitudine di cercare di evitare che il ragazzino si rompesse l’osso del collo.

Aveva soltanto mormorato « Potter » al suo orecchio, e per quella singola parola adesso era, nove mesi dopo, circondato da gente talmente disperata da pensare che la sua voce avrebbe potuto risvegliarlo.

La sua voce, quando tutto quello che aveva tentato di dire era: Potter, non osare morirmi addosso.

Potter, non osare.

Non osare morire adesso.  

« Ma no, naturalmente » mormorò fra sé alla stanza vuota, « naturalmente no. Dato che per puro caso la mia voce è stata l’ultima cosa che ha sentito, allora naturalmente salterà su appena la sentirà ».

Quando finì di parlare, il silenzio calò di nuovo nella stanza e Potter non saltò su affatto. Snape non se l’era aspettato, quindi non rimase minimamente deluso.

Beh, forse un pochino. Se Potter si fosse svegliato, lui avrebbe potuto smettere all’istante di respirare la sua stessa aria.

Non avrebbe dovuto aspettare ancora ad andarsene. Ora, invece, era decisamente incastrato lì. 

Guardò Potter.

« Beh » disse, sentendosi quanto meno stupido al solo pensiero di parlare a Potter, figurarsi a un Potter privo delle sue già scarse facoltà, « eccoci qui ».

Non seppe cosa aggiungere. Non era mai stato molto loquace, e chiacchierare con Potter tra tutti non lo aiutava per niente.

Fece per aprire bocca, la richiuse. Poi fece una smorfia.

« Sembra che tu stia riuscendo a irritarmi persino dal tuo stato vegetativo. Un punto a tuo favore, Potter ». Si guardò attorno, per accertarsi per l’ennesima volta che la stanza fosse vuota. Lo era.

Bene. Perché se qualcuno lo avesse sentito, avrebbe dovuto ucciderlo.

Severus prese a tamburellare le dita sul bracciolo della poltrona. Ne aveva fatte di cose umilianti in vita sua, ma questa era più che umiliante, era deprimente.

Che cosa si supponeva dovesse dire?

« Probabilmente pensano che io abbia molte cose da confessarti » disse, con un sorriso dal taglio amaro. « Scommetto, Potter, che sono tutti lì fuori con l’orecchio incollato alla porta, aspettandosi che io scoppi in pianto davanti al tuo corpo esanime e ti chieda perdono per tutto quello che ho fatto ».

Pausa. Se stavano origliando, dovevano star trattenendo il fiato.

« Beh, non lo farò » disse Severus, e istintivamente si voltò verso la porta, come se davvero ci fosse qualcuno ad ascoltare di nascosto. Tornò a guardare il ragazzo, che naturalmente non si era mosso di un millimetro.

Come volevasi dimostrare.

« Credo che perfino tu, Potter, abbia abbastanza cervello da capire che non mi pento di niente di quello che ti ho fatto. L’ ho fatto per aumentare le tue speranze di vittoria, e forse mi illudo nel chiederti di capire che ogni volta che ti insultavo, facevo crescere in modo direttamente proporzionale le tue possibilità ». Sogghignò. « E poi, diciamocelo, mi sono sempre divertito ».

Potter non si mosse. Severus arcuò le sopracciglia, per nulla sorpreso.

« È tuttavia avvilente dover ammettere che, dopo tutti i miei sforzi per salvarti, tu ti sia ridotto a un vegetale. Albus ne sarebbe sommamente deluso ».

Ma naturalmente Albus era morto. Severus si sistemò meglio nella poltrona. Posò il mento sul palmo della mano e guardò il ragazzo.

« Non mi manchi, Potter. Questa era una cosa su cui Dumbledore si era davvero sbagliato ». Guardò l’orologio. Erano passati solo cinque minuti.

Ancora altri cinque. Dannazione.

« Mi dispiace dover dire che, dopo tutti gli sforzi che ho fatto per salvarti, sia andata a finire così. Che spreco di energie. E di adrenalina. Ma a ogni modo » aggiunse, « era quello che Albus aveva programmato. E si sa che Albus odiava che qualcuno gli scombinasse i piani ».

Sorrise appena. Potter rimase immobile. Severus, dalla poltrona, poteva vedere benissimo quel volto pallido.

Le guance di Potter erano lisce e senza barba, e Snape si chiese chi lo radesse. Le sue mani erano curate, le unghie tagliate, e sul suo viso non c’era neanche una ruga.

Sembrava non essersi mai mosso da lì. Snape lasciò scivolare lo sguardo sulla curva delle labbra di Potter, sulle ciglia e le sopracciglia scure. Non era cambiato affatto da quando Severus lo aveva visto cosciente per l’ultima volta, e perciò quell’accenno di bellezza che aveva cominciato a sviluppare non si intravedeva che a tratti, nascosto nelle pieghe della giovinezza come un disegno interrotto a metà.

« Un vero peccato che tu trascorrerai dormendo il momento migliore della tua vita, Potter » mormorò Severus, quieto. « Ora che finalmente i tuoi lineamenti non sono poi così orribili. Ma forse è meglio così: se non puoi parlare, non puoi neanche dire sciocchezze. Come si dice, meglio tacere e passare per stupidi... » Lasciò sfumare la frase, osservando i capelli arruffati sul cuscino in un caotico intrico come se Potter ci avesse appena passato una mano in mezzo, in quel gesto così irritante.

« Bene. Minerva ha detto dieci minuti, e i dieci minuti sono passati. Ci vediamo domani, Potter, sempre che io non decida di fuggire alle Bahamas nottetempo ». Prese il mantello e raggiunse la porta. Poi si fermò, con la mano sulla maniglia, e sogghignò, voltandosi verso il ragazzo immobile. « Stammi bene, eh? »

 

*

 

« ...ma abbiamo tutte le intenzioni di aspettare che tu ti svegli, Harry, e solo dopo ci sposeremo ».

« Intento ammirevole, signorina Granger, ma così rimarrà zitella a vita ».

Hermione sussultò violentemente e si voltò, con ancora in mano il giornale nuovo che stava per sistemare sul comodino.

« Professore » sussurrò. Snape roteò gli occhi.

« È una specie di nomea, vero? Un marchio oscuro. Verrò per sempre additato come professore, anche se mi metterò a fare l’idraulico? »

Hermione lo fissò dalla poltrona, come indecisa se chiedere scusa, ridere o stare zitta. Infine disse:

« Cosa ci fa qui? »

Snape si tolse il mantello e sgranò gli occhi.

« Come, non gliel’ hanno detto? Minerva non è venuta ad annunciarle la lieta novella? A innalzare peana? No? »

Hermione lo guardò di sottecchi.

« Ha accettato di venire a parlare a Harry ».

« Parlare, come no. Mi sorprende che non colga la sottile differenza fra un insulto e una conversazione. Ma, d’altronde, si è mai saputo di qualcuno in grado di sostenere un colloquio umano con Potter? A giudicare dai suoi grugniti, Potter era l’anello mancante fra uomo e scimmia ».

Hermione gli lanciò un’occhiata di rimprovero.

« Oh, me lo risparmi, signorina Granger. Ci ha già pensato Minerva a istruirmi ».

« Se lei non gli parla, non avrà nessuna possibilità. Questo lo sa, vero? » La voce di Hermione era un mormorio triste. « Dipende da lei ».

« Ora so che ho un cuore, perché mi si è appena spezzato ».

« Lei è un... » Hermione parve sul punto di finire la frase, ma poi respirò a fondo. Snape la osservò inclinando leggermente la testa.

« Ha fatto yoga? »

« Non gliene importa proprio nulla, vero? » mormorò Hermione.

« Con questa fenomenale considerazione, che rivela uno spirito d’osservazione non comune, la signorina Granger vince un orsacchiotto » disse Snape, poggiando il mantello sullo schienale della poltrona. « Ora, abbiamo intenzione di chiacchierare piacevolmente tutto il pomeriggio, o posso darmi al mio passatempo preferito? Dopo far scoppiare le bollicine del cellophane, ben inteso ».

Hermione strinse le labbra.

« Può andarsene, sa? »

« No che non posso. Minerva insisterebbe per portare a termine il lavoro di Nagini, sporcherebbe dappertutto. Alle infermiere verrebbe un ictus ».

« Non mi dica che lo fa per questo. Sa bene che la professoressa McGonagall non alzerebbe un dito su di lei. Le vuole troppo bene ».

« Sembra che sia la mia giornata fortunata » mormorò Snape. « Tutti mi amano ».

« E anche Harry le vuole bene, lo sa? » continuò Hermione, e Severus pensò che se gli avessero fatto alzare gli occhi al cielo così spesso, le cose si sarebbero messe davvero molto male per i suoi bulbi oculari.

« Sul serio? E questo quando gliel’ ha detto, mentre gli cambiava i vestiti o mentre gli tagliava le unghie? E ora mi perdoni, Granger » continuò, senza aspettare risposta, « ho intenzione di stare qui dieci minuti a leggere il giornale a Potter, e poi me ne andrò. Rimane o esce? »

Hermione serrò le labbra.

« Esco. Sarò qui fuori, nel caso... »

« ...io abbia bisogno di fazzoletti mentre confesso a Potter la mia vita. Certo » concluse Snape, e andò a sedersi sulla poltrona mentre Hermione usciva.

Quel giorno lesse ad alta voce a Potter un articolo sulla politica e poi, quando i dieci minuti finirono, si interruppe a metà frase, si alzò e uscì. Hermione non lo salutò e lui andò a mangiare in un ristorante cinese.

Non si era mai interessato molto alla politica. 

 

*

 

« E questo cosa sarebbe? »

Hermione si fermò sulla soglia quando Snape la apostrofò, e si girò verso di lui con un sorriso dolce.

« Non lo vede? »

« Sto cercando intensamente di non vederlo, sì ».

La Granger assunse un cipiglio severo, il che fece quasi innalzare in risposta entrambe le sopracciglia di Snape.

« È un libro di fiabe ».

« Allora lo riporti al suo ragazzo, o Weasley non saprà come addormentarsi la sera ».

« Non sono per Ron. Sono per Harry. E per lei » aggiunse. Snape inarcò un sopracciglio.

« È un pensiero gentile, e vedo che la pensiamo allo stesso modo sul riscaldamento di questo ospedale, ma davvero le assicuro che non fa così freddo da dover bruciare i libri ».

Hermione fece un altro di quei sorrisi tipicamente femminili che ricordavano a Snape perché aveva deciso di allontanarsi dal gentil sesso.  

« Non deve bruciarlo. Deve leggerlo » spiegò Hermione.

« Ma non mi dica. La domanda, Granger, è perché dovrei farlo, quando i titoli della Gringott non aspettano altro che essere declamati ad alta voce ».

« Non vuole parlargli? D’accordo, non parli » disse Hermione. « Ma legga a Harry qualcosa che lo stimoli ».

Il sopracciglio di Snape si inarcò un altro po’ e Hermione arrossì.

« Non in quel senso! Lei è un vecchio lascivo! »

« Credo che rientri nei miei diritti » replicò Snape, raggiungendo la poltrona.

« Dio » mormorò Hermione. « Glielo legga. Per favore ».

Le sopracciglia di Snape si inarcarono mentre sfogliava il libro, trovando confermati i suoi peggiori dubbi. Era illustrato.

Tony Wolf, possa tu bruciare all’inferno.

« Sono fiabe Babbane » disse piatto. Hermione si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 

« Harry è cresciuto fra i Babbani. Sono fiabe che gli suoneranno più familiari di Baba Raba e il Ceppo Ghignante, per esempio ».

« Oh, mio dio. Familiare? Con me? Sta cercando di farmi arrossire? »

Hermione fece un sorriso debole.

« No » disse. « Sto dicendo che suo padre era Babbano, quindi sicuramente lei... »

Hermione si interruppe di botto e si morse il labbro. Snape tenne lo sguardo fisso su di lei. Far sentire in colpa gli altri era una delle sue specialità.

« Mi scusi ».

« Esca di qui, signorina Granger, così avrò modo di iniziare i miei dieci minuti e farla finita quanto prima ».

« Sì. Certo. Io... glielo leggerà? »

« Mi sta provocando? »

Hermione sorrise nervosa. Uscì dopo aver dato un bacio sulla guancia a Harry, e Snape si ritrovò in piedi nella stanza, con un libro di fiabe Babbane in mano.

« Dannazione ». Come era caduto così in basso?

Si voltò verso Potter. Era pallido e immobile sul letto.

« Molto divertente, Potter » ringhiò, cupo. « Davvero molto divertente. Ti diverte, non è vero? »

Fece una pausa, e naturalmente Potter non rispose. Con un sospiro di rassegnazione, Severus si sedette e stese le gambe davanti a sé, accigliato, soppesando il libro in una mano.  

Aveva una spessa copertina blu su cui, a lettere dorate, stava scritto “Fiabe”.

Con la punta del mignolo, Snape sfogliò qualche pagina cartonata. Era davvero un libro per bambini.

« I tre porcellini » lesse, strascicando ogni parola. Il titolo suonò ridicolo nella stanza. Potter non mosse un muscolo. Snape inarcò un sopracciglio e guardò il grande orologio appeso alla parete. Sembrava non doversi muovere mai. Mancavano ancora nove minuti e trenta secondi. 

Possibile che la Granger l’avesse stregato? (2)

Snape alzò lo sguardo su Harry.

« Vuoi davvero che te lo legga? »

Silenzio. Snape storse il naso.

« Probabilmente questa cosa ti sta umiliando a morte, ma dato che umilia anche me, ti stai divertendo ».

Il suo sguardo indugiò ancora sul viso di Potter. Le sopracciglia si contrassero mentre gli tornava la sensazione di essersi perso qualcosa di Potter, durante il tempo che non si erano visti. Non sapere che cosa lo irritava. Lo faceva pensare che le sue abilità da spia, che per anni erano state pronte a cogliere qualsiasi particolare, forse erano andate logorandosi nella silenziosa immobilità di Spinner’s End. 

Seccato, accavallò le gambe e guardò l’orologio. Ancora cinque minuti. Davvero lo aveva fissato per così tanto tempo?

Aprì il libro. Le pagine cartonate scricchiolarono come scricchiolano i libri nuovi. Erano spiacevolmente lucide e lisce sotto le sue dita,

« “C’erano una volta tre porcellini” » cominciò. Aprì bocca per fare un commento dai chiari risvolti sessuali, ma poi continuò. « “C’erano una volta tre porcellini, che avevano lasciato il papà e la mamma per girare il mondo” ». Il sopracciglio si innalzò di scatto. « Interessante analogia, non credi, Potter. Il Magico Trio » mormorò, sarcastico. Guardò il ragazzo addormentato nel letto. « Che porcellino sei tu, Potter? »

Potter taceva.

« “Per tutta l’estate vagabondarono per boschi e pianure giocando e divertendosi”». Sollevò lo sguardo. « Tutta questa serie di corrispondenze potrebbe iniziare a inquietarmi, Potter ».

Quattro minuti.

« “Quando arrivò l’autunno i tre porcellini sentirono il bisogno di una casa. Ognuno di loro trovò una soluzione diversa. Il più pigro dei tre decise di costruirsi una capanna di paglia. “In un giorno sarà pronta, così passerò l’inverno al calduccio” (3) ». Snape arricciò le labbra, felice di sentire che il suo tono sarcastico non si era affatto logorato. « Questo è Weasley » annunciò a Potter, e l’orologio scoccò le sei del pomeriggio sulla sua ultima parola. Senza pensarci due volte Severus si alzò, poggiò il libro sul comodino, prese il mantello e uscì senza salutare.

 

*

 

« Ancora qui, signorina Granger? »

Le labbra di Severus si incurvarono al vedere Hermione Granger sobbalzare e voltarsi di scatto.

« Non c’è bisogno che faccia quella faccia sorpresa, sa. Dovrebbe sapere che vengo ogni giorno a quest’ora ».

Hermione si alzò precipitosamente. Snape la osservò incolore raccogliere le sue cose.

« Ho perso il conto del tempo » si scusò, gettando nella borsetta più cose di quante fosse lecito pensare quella potesse contenere.

« Vedo. Dev’essere così eccitante, declamare ogni giorno un soliloquio ».

« Monologo » lo corresse distrattamente la ragazza. Snape inarcò un sopracciglio ed Hermione gli sorrise. « Il monologo si ha quando l’attore parla da solo, alla presenza di altri attori sulla scena, mentre il soliloquio non comprende la presenza di... »

« So perfettamente quale differenza corra tra un monologo e un soliloquio » disse Snape. Vide il viso di Hermione impallidire, e le dita della ragazza sulla borsetta si strinsero di più.

« Harry è vivo » disse. Snape roteò gli occhi.

« Nel modo in cui sono vivi i vegetali. Mi chiedo se il letto non debba essere spostato in una posizione più assolata. Gli date da bere regolarmente? »

Hermione strinse le labbra.

« Lei sa che non è così ».

« Io non so niente » replicò Snape. « Se non che dieci minuti al giorno vengo a trovare qualcuno che giace in coma da nove mesi e che voi credete si risveglierà se io gli leggo un libro di fiabe, perché siete un branco di illusi ». Non alzò la voce solo perché la ferita provocatagli da Nagini non era mai guarita del tutto, e l’idea di mettersi a tossire e vedersi offrire un bicchiere d’acqua lo uccideva, ma era soddisfacente vedere che era ancora capace di ringhiare. E lanciare sguardi gelidi.

« Allora, resta o se ne va? » chiese, a denti stretti.

Hermione esitò, poi fece un cenno e uscì. Snape rimase solo nella stanza. La sensazione di essere in una camera ardente si amplificava ogni giorno.

Quando la porta si fu chiusa, si voltò verso il ragazzino addormentato e lentamente si avvicinò al letto, più che determinato a risolvere la questione una volta per tutte.

Severus detestava essere irritato, e detestava non capire cosa lo irritasse. Fu per questo che si fermò accanto al letto dove il mago più famoso del mondo giaceva incosciente.

Potter era pallido. Le sue guance sembravano dipinte di bianco, e la cicatrice spiccava sulla sua fronte.

Severus si chiese se gli facesse ancora male. Le sue dita scivolarono sul Marchio Nero.

Non aveva più bruciato, ma non aveva smesso di essere , un livido sottopelle, un grumo di colore, sangue e fuoco che sbiadiva lentamente, così lentamente...

E certe volte, la notte, nel silenzio di tomba della sua casa a Spinner’s End... certe volte si ribaltava nel suo letto stringendo l’avambraccio fino a bloccarsi la circolazione, e quando toglieva la mano gli pareva di sentire tracce di inchiostro appiccicoso sulle dita. 

E forse Potter, chiuso nella sua testa da solo al buio, sentiva la cicatrice gocciolare sangue.

Le sue palpebre erano immobili, segno che non stava sognando. Tutto era immobile. Con una smorfia sulle labbra, guardò i contorni del viso di Potter, privi di qualsiasi singolarità, guardò il suo naso del tutto ordinario e la piega banale delle labbra.

Il mento era comune. Il suo collo, così pallido e immacolato, non sembrava avere particolari attrattive, se non che Severus aveva desiderato a lungo poterci chiudere le mani attorno.

Non c’era nulla di particolarmente bello in Potter, come non c’era stato nulla di particolarmente bello in suo padre.

Lily era stata tutta un’altra storia, ma Severus aveva deciso di non pensare a Lily.

Potter era banale. La cicatrice sarebbe sbiadita.

« Oggi continueremo la nostra seduta, Potter » disse, tornando a passi decisi verso la poltrona. « Eravamo arrivati ai tre porcellini che vogliono farsi una casa, hmm?

« Ma gli altri scossero la testa: “È troppo fragile” gli dissero, ma lui non li ascoltò....” »

Lesse velocemente, e quando la storia finì, erano le diciotto e un minuto. Dieci minuti esatti. Aveva sempre amato le cose precise. Si alzò e posò il libro sul comodino.

« Detesto le storie a lieto fine » disse, indossando il mantello. « Sono così irreali. Pensi davvero, Potter, che un porcellino possa correre abbastanza velocemente da arrivare alla casetta dell’altro porcellino prima che il lupo lo prenda? » La risposta di Potter non arrivò. Non che Snape se la fosse aspettata.

« Io no. Io credo che le ossa dei primi due porcellini si stiano sbiancando al sole ». Si allacciò il mantello e guardò un’ultima volta il ragazzo addormentato nel letto. « Beh, forse non quelle del secondo porcellino. Era abbastanza vicino alla casa del porcellino saggio, giusto? Ma il primo di quegli sciocchi animaletti... dovrebbe aver lasciato questa valle di lacrime ».

Raggiunse la porta e pose la mano sulla maniglia. Per un attimo esitò. Ma tanto erano soli in stanza, loro due. Così glielo chiese.

« Hai deciso che porcellino sei, Potter? »

 

*

 

« Qualcuno potrebbe dire che sei il porcellino saggio, Potter. Potrebbero dire che hai costruito una casa sicura e che hai aperto la porta a tutti quelli che ne avevano bisogno ». Le labbra sottili si piegarono in una smorfia verso il basso. « Non è vero. Albus ha fatto questo, non tu. Tu sei solo il porcellino nella casa di legno, il secondo ».

Ci fu una piccola pausa.

« Eri abbastanza vicino da salvarti. Sei inciampato sulla soglia, il che è stupido ».

Snape chiuse bruscamente il libro, e guardò Potter a denti stretti.

Perché era così stupido. Così frustrante.

In un qualche modo, sapeva che c’era qualche affare lasciato in sospeso dal vecchio. Qualcosa che Dumbledore voleva ancora da lui, nonostante glielo avesse detto, il ragazzo deve morire.

Ma non era morto. Ecco perché era frustrante. 

« Io sono il primo » disse infine. « Le mie ossa si sbiancano al sole ».

Quel giorno, Severus Snape non lesse nessuna storia, e quando uscì dalla stanza aveva quasi rinunciato a trovare alcunché nel volto di Potter.

 

*

 

« Personalmente, ho sempre detestato questa storia ». Snape alzò le sopracciglia guardando di traverso la scritta che recitava “Il brutto anatroccolo”. « La trovo senza senso e così superficiale che probabilmente, mettendo il libro a bagno, galleggerebbe ». Alzò lo sguardo su Potter e sorrise: « Scommetto che è una delle tue preferite, hmm? Il piccolo, brutto anatroccolo rifiutato che diventa uno splendido cigno ».

Sogghignò.

« Conosco una leggenda sui cigni. Stanno zitti tutta la vita, e l’unica occasione in cui cantano è in punto di morte. Perché pregustano le delizie dell’aldilà ».

Il profilo di Potter era delineato dalla luce chiara dell’ultimo sole. Un minuto trascorse nel silenzio. Severus poggiò il mento sulla punta delle sue lunghe dita.

« Era il tuo canto del cigno, quello, Potter? » chiese con voce morbida. « Una fine piuttosto indegna, per il grande e coraggioso Harry Potter, ridotto a vegetare dopo aver fatto il bravo cagnolino ed essersi bevuto ogni frase di quello che gli dicevano ». Un angolo della sua bocca sottile si arricciò, facendo increspare la pelle. « Io sono vecchio, Potter, su questo la Granger aveva ragione. E forse sono anche un vecchio lascivo a cui piace guardare i ragazzini addormentati ». Sogghignò, ma senza metterci il cuore. Guardava il polso esile di Potter, da cui partiva una flebo. In trasparenza poteva vedere una vena dello stesso azzurro del cielo fuori dalla finestra. « Ma se questo è tutto quello che sai fare, credo che ne sarei quasi deluso. Anche il vecchio aveva puntato su di te. E pensare che non sbagliava mai alle corse dei cavalli ».

Quel giorno, lesse “Riccioli d’oro e i tre orsi” e, a parte qualche commento sulle straordinarie somiglianze fra Potter e Riccioli d’oro e qualche insinuazione sul perché mai Papà Orso e Mamma Orsa dormissero in letti separati, non ci fu altro.

 

*

 

Quando Severus tornò a casa, quel giorno, fu con grande riluttanza che scese in cantina e aprì il vecchio baule di sua madre.

 

*

 

« C’è una sola fiaba che valga la pena di essere letta, Potter » esordì sistemandosi nella poltrona. Posò il libro sul tavolino accanto al giovane che dormiva immobile.

Sembrava una statua.

Probabilmente quando sarebbe morto nel suo letto, in una notte senza luna, sarebbe stato sufficiente ricoprirlo con una colata di cemento per poi posizionarlo nel centro di una delle numerose piazze che gli erano state dedicate.

« Non è stata una mossa furba dedicarti tante strade in una sola città, Potter, quindi tieni a bada il tuo ego o avrai un’embolia » disse piano. Potter non rispose alla provocazione.

Rimase immobile e fermo, le mani sul copriletto, come una bambola di porcellana. Le sopracciglia di Severus si corrugarono.

Scacciò il pensiero.

« Il soldatino di stagno » disse, dopo qualche attimo di silenzio. Non prese in mano il libro, ma lo guardò. Era un volume alto e sottile; un tempo la copertina era stata di un blu profondo, ma ora era ricoperta di polvere, e gli angoli erano stati arrotondati e affumicati dal tempo e dall’umidità.

Era rimasto in quel baule per trent’anni, forse anche di più. Dopo la morte di Eileen, Severus non l’aveva più toccato. Lo aveva semplicemente lasciato a marcire nell’oscurità, consapevole della sua presenza come il fantasma di un corpo non sepolto.

« È una fiaba piuttosto breve. E, quel che più conta, Potter, è che non trasuda sdolcinatezza ». Guardò il ragazzo addormentato nel letto. La luce del sole batteva contro le guance. Sembravano di marmo, e dovevano essere altrettanto fredde. 

Venne in mente a Severus che Potter stava morendo.

« A due bambini, fratello e sorella, vengono regalati dei giochi per Natale. Al bambino, una serie di soldatini. Alla bambina, una serie di ballerine di carta ».

Le punta delle lunghe dita di Severus si unirono, ma Snape le scrollò in fretta quando si rese conto del gesto. Per un attimo tacque, irritato.

Dumbledore era morto, e si rifiutava di averne assorbito le manie.  

« Non sono mai stato bravo a raccontare storie. Ma qualcosa mi dice che non hai mai sentito questa particolare storia, e Merlino sa se io non sono un martire votato al ricolmare l’infinito baratro della tua ignoranza ».

Potter non rispose.

Rimaneva con gli occhi chiusi, steso sul letto, senza che ci fosse il minimo segno che fosse in ascolto. Naturalmente, non c’erano mai state prove che Potter sapesse ascoltare, quindi non si poteva dire che fosse un peggioramento nelle sue condizioni di salute. Nella mente sarcastica di Snape, fu solo un pensiero marginale. 

« Il trentesimo soldatino, però, aveva una gamba in meno ». Severus sentì la sua bocca muoversi senza che ci avesse pensato. La sua voce era asciutta e indifferente. « Era stato fatto con gli scarti di stagno degli altri soldatini. Un po’ come te, Potter ».

Un po’ come te, Severus.

Mentalmente, Snape fucilò la voce di Albus Dumbledore per alto tradimento.

« Proprio questo soldatino monco era però il più coraggioso dei soldatini. E per questo la più bella delle ballerine di carta si innamorò di lui ». Una piccola pausa, il tempo di produrre il sogghigno. « Corrisposta, ovviamente. Nelle fiabe per bambini non c’è posto per la realtà dei fatti. Dovremo accontentarci, Potter ». Accavallò le gambe e, in un gesto inconscio, le punte delle dita tornarono a unirsi, come magneti.

« Si amavano e si sentiva già puzza di fiori d’arancio quando la loro piccola, lieta, rosea storia incontrò un ostacolo. Un ostacolo più grande del fatto che lui era di stagno e lei di carta, il che certamente avrebbe prima o poi causato attriti sul piano sessuale. Un altro tipo di ostacolo, comunque. Uno gnomo si era invaghito della ballerina di carta ». Severus si sfiorò il mento aguzzo con un dito. « Visto l’amore fra il soldatino zoppo e la ballerina, pensò che ci fosse un solo modo per farsi avanti. Così, un bel giorno, buttò il soldatino di piombo giù dalla finestra, e tolse di mezzo il suo rivale. La bella ballerina poteva essere sua ».

Il sole stava tramontando. Gli ultimi raggi obliqui di quella giornata estiva si riflettevano sulle lenti degli occhiali di Potter, sul comodino.

Severus intrecciò le dita, strette, per impedirsi di unirne le punte.

« Per farla breve. Il soldatino di piombo ebbe la sfortuna di non morire subito. Cadde in strada, fu messo sopra una barchetta di carta da due bambini che si presero gioco di lui, e la barchetta finì per trascinarlo nelle fogne ». Un gesto della lunga mano di Snape accompagnò quelle parole.

« Fu trasportato fino al mare e ingoiato da un pesce. Il pesce fu catturato e venduto al mercato. La madre dei due bambini comprò il pesce, e mentre lo stava preparando, trovò nella pancia il soldatino di stagno, ancora sull’attenti, stanco, infreddolito, abbruttito e convinto che non avrebbe mai più rivisto non solo la luce del sole, ma anche il viso della sua amata ballerina di carta ».

Tacque.

Poteva sentire i passi delle infermiere che ciabattavano nel corridoio, appena oltre la porta chiusa, e i lamenti dei pazienti, e perfino la risatina di Lockhart, ricoverato solo qualche stanza più in là.

E, se si sforzava, sentiva anche il respiro di Potter, lieve e felpato. Alzò lo sguardo. I suoi occhi neri si fermarono sulla bocca di Potter, come se avesse potuto vedere l’aria che ne usciva.

Sapeva che tipo di respiro era. Ne aveva sentiti parecchi nella sua carriera di Mangiamorte. Era il respiro cauto di chi non vuole morire, e risparmia forze, raggranella fiato.

Lui non aveva respirato così, rantolante sul pavimento sporco della Stamberga Strillante.

Un vero peccato essersi salvato, quella notte. Lo scenario era perfetto e affogare nel proprio sangue era una fine che sicuramente sarebbe stata tramandata, fino a sfumare in leggenda, e infine forse le sue ossa sarebbero state ricordate un giorno solo come un mito risalente ad un tempo troppo antico perchè qualcuno se ne curasse.

Gli sarebbe piaciuto.

« La madre dei bambini prese il soldatino zoppo, lo pulì, dipinse con un pennino le parti scolorite, lo mise al sole ad asciugare, e quando fu di nuovo in forze e come appena uscito dalla scatola lo mise nella camera del bambino. Fu così che il soldatino storpio e la ballerina di carta si incontrarono di nuovo ». Fece un attimo di pausa ascoltando il respiro silenzioso e tenace di Potter. « Questo sarebbe un finale abbastanza lieto, non è vero, Potter? Immagino il tuo grande cuore Grifondoro compiacersi della giustizia di questo destino. Sicuramente, pensi, lo gnomo sarà ostracizzato dalla società dei giocattoli e quei due idioti vivranno per sempre felici e contenti ».

Le ombre della sera stavano calando, e nel buio soffuso che andava avvolgendo la stanza la voce sarcastica di Snape sembrava il sibilo del vento. Di lì a poco le infermiere sarebbero venute a dirgli che l’orario di visita era terminato. Si era trattenuto lì ben oltre i suoi dieci minuti, lo sapeva.

Ma avrebbe concluso la storia, dato che mancava poco. Poi avrebbe calcolato il surplus e lo avrebbe detratto dal suo tempo quotidiano con Potter. Avrebbe rimesso in riga i conti.

L’equilibrio era una cosa fondamentale e grazie a dio la matematica non era un’opinione.

Per ora Severus voleva rimanere sulla poltrona, quasi totalmente immersa nell’ombra, con un libro di fiabe sulle ginocchia e un sapore vagamente amaro in fondo alla gola. Poteva vedere il viso di Potter grazie ai lampioni che si stavano accendendo all’esterno, nella strada Babbana di una Londra Babbana felicemente ignara di tutto.

Poteva vedere il suo viso, e sapeva che non era particolarmente bello. Era stata solo l’impressione che ci fosse vita a fargli cercare qualcosa nei lineamenti comuni di Potter.

Era solo Potter, e quei pochi neuroni che aveva avuto si erano ridotti in pappa da mesi e mesi. Per il Bene Superiore.  

« Allo gnomo non piacque che il soldatino fosse tornato. Così, escogitò un altro piano per sbarazzarsi del rivale. La sera, quando tutti stavano addormentandosi, si avvicinò al soldatino e lo spinse nelle fiamme del caminetto. Questa fu la fine del soldatino di stagno zoppo ». Severus socchiuse gli occhi. La gola gli faceva male. Non avrebbe dovuto parlare così tanto. Non c’era più abituato. « Quando lo seppe, la ballerina di carta capì immediatamente che era opera dello gnomo. Non desiderando vivere senza il suo amato, si gettò nel camino. Quando la mattina il fuoco si spense, di loro non rimase altro che cenere ».

Severus volse il suo sguardo indifferente sul viso immobile di Potter.

«  È una bella storia romantica di quelle che piacevano tanto a Albus » disse piano. « Il vecchio aveva una vera e propria passione per la letteratura infantile Babbana. La trovava affascinante. Io la trovo tutt’al più crudele. Ma questa fiaba è interessante. Non contiene alcun lieto fine che attenti al buongusto di un gentiluomo che si rispetti ». Si alzò e prese il mantello. Allacciandoselo, guardò gli occhiali di Potter.

Senza i raggi del sole a far brillare le lenti rotonde, erano vuoti e scuri sul comodino come le orbite di un teschio.

« Sai qual è la cosa più buffa di tutta questa struggente storia, Potter? » disse, andando alla porta. Si voltò a dedicare un sogghigno al corpo immobile. « Nessuno si chiede mai che fine abbia fatto lo gnomo ».

 

*

 

Si era trattenuto nella stanza di Potter per quaranta minuti a raccontargli una storia insulsa, sentimentale e romantica, con l’unico pregio di non avere un lieto fine. Stava davvero invecchiando. 

Quaranta minuti, quindi trenta più del previsto. Poteva evitarsi la faccia di Potter per tre giorni.

Con la perizia dell’ubriacatura programmata, Severus inclinò la bottiglia e riempì il bicchiere.

Solo una volta uscito dal San Mungo si era accorto di aver dimenticato nella camera di Potter il libro di fiabe. Una volta non avrebbe mai commesso un errore simile, ma, in ogni caso, non aveva alcuna intenzione di tornare a prenderlo.

Troppo fastidio.

Quando il bicchiere fu pieno di brandy per tre quarti esatti, Severus cominciò a sorseggiare con calma. Aveva tempo.

Aveva tre giorni di tempo.

Che il suo sguardo venisse attratto dal baule aperto in un angolo della stanza fu inevitabile. Sembrava una bocca spalancata che avesse all’improvviso vomitato fuori anni e anni di ricordi che avrebbe fatto meglio a restare sepolti. Al loro posto.  In attesa che lui morisse e loro fossero venduti al mercatino delle pulci. Severus bevve un altro sorso.

Appena avesse riavuto il suo libro – il libro di Eileen – avrebbe chiuso nuovamente il baule e lo avrebbe ributtato nelle viscere della casa, dove era rimasto per anni. Non aveva avuto alcun diritto di tirarlo fuori.

Lo aveva fatto perché la voce di Albus, nella sua testa, lo stava uccidendo. Severus si versò altro brandy. Dumbledore non aveva rispettato i patti.

Quando avevano deciso la sua morte, Albus gli aveva assicurato che non sarebbe tornato a perseguitarlo. Lo aveva detto scherzando, ma Severus aveva guardato il lago fuori dalla finestra, gli occhi scuri che sembravano ancor più neri, intricate grotte senza fine. In quel momento, aveva sperato, non per la prima volta, che Dumbledore fosse stato un uomo di parola.

Non avrebbe dovuto aspettarsi che il vecchio rispettasse la promessa, naturalmente. Lo conosceva. Era stato un idiota a credere che non lo avrebbe perseguitato. 

Gli era rimasta la sua voce nella testa.

Per questo Severus aveva rotto il sigillo del baule e aveva portato il libro a Potter. Per questo non era ancora andato via, a mantenere l’ultima promessa fatta a Dumbledore – perché lui, Severus, lui era un uomo di parola, e lo avrebbe fatto. Gli aveva detto che lo avrebbe fatto.

Forse solo allora il vecchio si sarebbe zittito.

« Non si è alzato dalla tomba » annunciò Severus alla casa vuota. « Né si alzerà, neanche se dovessi imporgli le mani. Quindi, smettila, Albus ».

Prese un altro sorso di brandy.

Raccontargli quella storia non aveva funzionato. Aveva fatto tutto il possibile.

Per quanto Albus potesse tormentarlo, per quanto potesse rinfacciargli quel qualunque cosa, per quanto...

Ne sei proprio sicuro?

« Sì » disse a denti stretti. « Sì ».

 

*

 

« Non si ecciti, sono solo venuto a riprendere il mio libro » disse Severus freddamente, quando entrò nella stanza di Harry Potter e Hermione Granger aprì bocca.

« Non è venuto per tre giorni » disse Hermione, ignorandolo.

« Avevo fatto gli straordinari » replicò Snape. « Non si preoccupi, non mi trattengo » aggiunse. Hermione si era alzata per cedergli la poltrona, ma si bloccò con la borsetta a mezz’aria.

« N-no? » disse, fissandolo. « Come sarebbe a dire? »

« Sarebbe a dire » disse Severus ficcando il libro di fiabe in una profonda tasca interna, « che credo di aver fatto il possibile. Ho parlato a Potter e non si vedono risultati apprezzabili. Non che io ne sia sorpreso. Conoscevo i precedenti ».

« Ma... »

« Mi spiace, non ho tempo per rimanere a chiacchierare. Ho un treno da prendere. Se vuole protestare perché non mi scrive una lettera? La leggerò di sicuro al mio ritorno. Ammesso e non concesso che io ritorni » aggiunse, aprendo la porta.

« Se ne va? »

« Già » disse Snape. Si voltò e le fece un mezzo inchino. « Ho una promessa a cui tener fede. L’ultima, a Merlino piacendo. Le manderò una cartolina. Addio, signorina Granger. Signor Potter » aggiunse sarcastico, all’indirizzo di Harry.

Cercò di raggiungere la porta, ma la trovò bloccata da Hermione Granger.

« Le spiace? » chiese, alzando un sopracciglio.

« Lo saluti, almeno ».

« L’ ho salutato » replicò Severus, irritato. « Cosa vuole, che gli dia il bacio d’addio? Ora, se non le è di troppo disturbo, si tolga dalla porta. L’idea di dovermi Materializzare nello scomparto del treno per colpa sua non mi sorride. Non posso dire altrettanto del pensiero di Schiantarla ».

La Granger non diede segno di aver sentito. Ascoltare troppo spesso la propria voce doveva averle leso l’udito, Severus ne era certo.

« Lei non tornerà, vero? »

Snape, questa volta, inarcò entrambe le sopracciglia.

« È quello che ho appena detto. Non che siano affari suoi, ma, sì, me ne vado. No, non ho intenzione di tornare. No, non le dico dove vado. Sì, ora è meglio che lei si tolga di mezzo ».

Con suo sommo orrore, non lo fece.

« Allora » disse la Granger, « lo saluti ».

Severus capì di essere davvero invecchiato quando raggiunse la bacchetta un centesimo di secondo troppo tardi e la porta si era già chiusa, sigillandolo nella stanza con Harry Vegetale Potter.

Lentamente si voltò a guardarlo, desiderando che prendesse fuoco e lo liberasse di ogni problema.

Lui.

Il suo problema.

Il suo problema giaceva nel letto, il corpo nascosto da coperte candide. Le tende erano state tirate per metà e i raggi diagonali del tramonto creavano un gioco di ombre sul viso di Potter. Non era mai parso così magro, e l’assenza degli occhiali e i capelli spettinati lo facevano sembrare ancora più piccolo.

Severus lo guardò da vicino alla porta, dritto e magro e furibondo per essersi fatto mettere nel sacco dalla Granger.

Non dire stupidaggini, Severus. Hai voluto farti mettere nel sacco.

Rimanere da solo con lui, prima di partire.

Non tornerai.

« Chiudi quella mostruosamente prolifica bocca » mormorò Snape. Nella sua testa, Dumbledore sorrise e si chiuse un’immaginaria cerniera sulle labbra.

Oh, buon dio.

Fece due, poi tre riluttanti passi avanti finché non si trovò accanto a Vegetale Potter.

Lo guardò storto.

La Granger aveva ragione. Non sarebbe tornato. Non aveva ragione di tornare né a Londra né in qualsiasi altro posto aveva conosciuto.

Ma del resto era un Serpeverde. Era previdente, cauto, sarcastico e lungimirante. Si era preparato un rifugio per tempo.

Lontano, molto lontano.

Era anche un uomo di parola.

Prima di partire avrebbe mantenuto la promessa.

« La cosa che più mi irrita » disse, « è di non essere mai riuscito a farti espellere. Ma immagino che questo abbia perso importanza, ora come ora. Ti farei i miei migliori auguri di pronta guarigione, ma ho come l’impressione che la lista dei miei peccati sia già abbastanza ingombrante senza doverci aggiungere l’ipocrisia. Addio ».

Non lo guardò un’ultima volta, perché i lineamenti di James Potter gli erano fin troppo chiari in mente, e preferiva ricordarlo con gli occhiali, il volto infiammato per la rabbia nei suoi confronti e le dita strette a pugno. Preferiva ricordarlo vivo, se proprio doveva ricordarlo.

Voltò le spalle a Potter e si diresse verso la porta. Estrasse la bacchetta per aprirla con le buone o con le cattive, e fu in quel momento che, per la prima volta dopo più di un anno, Severus sentì la voce di Potter.

« Professore? »

 

*

 

Per un lungo attimo Severus non si mosse, né si voltò.

« Sembra che sia davvero un marchio d’infamia » disse infine. « Questa mania del professore ».

Non pensava veramente che ci sarebbe stata risposta. Di solito gli scherzi della mente non rispondono. Ma ci fu.

« Ah, giusto ». Dal letto in cui giaceva Vegetale Potter provenne anche una risatina. Severus non si voltò. « Non le piace che la chiamino professore, vero? Però a me piace... professore ».

Dannazione, pensò Snape. Potter.

Si voltò.

Harry Potter lo guardava dal letto. Snape non disse nulla.

« L’ ho scioccata, eh? » Potter sogghignò. « Lo ammetta che l’ ho spaventata ».

« Potter, sono venti centimetri più a destra di dove sta guardando adesso » disse Snape.

Potter ridacchiò. Severus serrò i pugni per trattenersi dall’ammazzarlo. Prima o poi qualcuno se ne sarebbe accorto.

« Scusi » disse Potter. « Gli occhiali. Non ci vedo niente, senza di quelli ».

Severus non si mosse. Rimase in piedi a guardare il viso impertinente del moccioso.

« Il gatto le ha mangiato la lingua, professore? »

« Zitto, Potter, se non vuoi che dia qualcos’altro in pasto al gatto ». Lo guardò, pensando a quale domanda fargli per prima. « Perché non sta vegetando? »

Harry sorrise con aria stanca ma spudorata.

« Mi sono svegliato ».

« Quando? » scattò Snape.

« Tre giorni fa ».

« Non c’era niente sui giornali ».

« Ci sarebbe stato, se lei fosse venuto ».

« Non vedo perché ».

Potter posò la testa sui cuscini col più soddisfatto dei sospiri.

« Mi è piaciuta la storia del soldatino » disse.

« Potter » disse Snape, i denti stretti. Fu con suo sommo orrore che Snape vide Harry chiudere gli occhi. Se si fosse riaddormentato, avrebbe di sicuro perso il treno.

« Aspettavo lei » disse Potter, sofficemente. « Non è abbastanza ovvio? Credevo che una mente veloce come la sua ci arrivasse in un attimo, alle conclusioni ».

« Non può chiedermi di saltare ogni nesso logico per seguire i suoi voli pindarici » replicò Snape. « Si spieghi, Potter, se ne è capace ».

Il viso di Potter si voltò verso di lui nella penombra.

« Speravo che lei tornasse. Mi sarei fatto scoprire subito se lei fosse tornato. È mancato per tre giorni » aggiunse, con un tono in qualche modo accusatorio.

« Ho avuto di meglio da fare » tagliò corto Snape. « Mi sta dicendo che eri sveglio fin da prima? Perché diavolo... » 

« Aspettavo lei ». Potter gli lanciò un’occhiata e prese comunque un punto qualche centimetro più in là. « Mi sono svegliato e lei non c’era. Non mi sembrava giusto svegliarmi senza di lei ».

Snape lo guardò assolutamente inorridito.

« Immagino che potrebbe anche avere una sorta di logica malata all’interno del miserevole, infinitamente piccolo cervello di un Grifondoro » disse. « Anche se devo dire che non mi sarei mai aspettato un tale romanticismo da lei, signor Potter ».

« Mi ha salvato la vita » disse Potter. Snape continuò a parlare, pretendendo di non aver sentito.

« ...e nemmeno mi interessa... »

« Non ha mollato nemmeno quando siete rimasti soltanto lei, Hermione e Ron a sperarci, e Ron non viene quasi mai perché Hermione dice che è sensibile ». Potter sorrise con un’aria così dolorosamente pura che Severus per un attimo si stupì che non risplendesse di luce propria. « Sono passati nove mesi, giusto? Che giorno è, precisamente? »

« Il 21 Marzo, 1999 » disse Snape, piatto.

« Oh? » fece Potter, tornando a reclinare la testa sul cuscino. « È un giorno così brutto da meritare quel tono, professore? »

« Non ho creduto nemmeno un istante nella sua possibile ripresa » disse Snape, ignorando totalmente i vaneggiamenti di Potter. « E me ne sto andando. La signorina Granger è qui fuori dalla porta; sarà felice di sapere che si sei svegliato, stai ritardando la sua nascita alla conoscenza (4) ».

Si voltò e si diresse senza esitare alla porta. La frescura della maniglia sarebbe stato un sollievo indescrivibile dopo il caldo vivo di quella stanza.

Naturalmente, non fu così.

« Se ne va per davvero? »

« Le manderò una cartolina, se mi anticipa il costo del francobollo » disse Snape senza fermarsi, e mai la distanza fra la poltrona e la porta era mai sembrata tanto enorme: pareva quasi dilatarsi davanti ai suoi occhi, come se i suoi passi fossero ostacolati da una corrente, e Severus si ritrovò a fermarsi quando Potter gli chiese, con una voce esile come quella di un bambino:

« Dove va, professore? »

Snape si voltò, le labbra arricciate in un ghigno d’addio.

« Mi ha sentito, no? A mantenere una promessa. Sembra che la gente mi abbia sempre preso, per tutti questi anni, come un post-it umano, sempre a segnare su di me cose da fare. Addio, signor... »

Le parole non furono abbastanza svelte a uscire. Potter gliele tagliò in bocca.

« Ho sete » disse.

« Cos’è, una specie di rimembranza biblica? Perché ho finito l’aceto (5) ».

« Cosa? »

Snape roteò gli occhi.  

« Se lo faccia spiegare dalla signorina Granger. Sono sicuro che sarà più felice di... »

« Si tratta solo di passarmi il bicchiere » disse Potter con un sorriso molto debole e molto odioso. « Professore » aggiunse.

Snape colse la strana ironia del fatto che Potter lo chiamasse così proprio in quel momento, dopo anni in cui si era rifiutato di farlo, e lentamente, forzatamente, raggiunse la brocca sul comodino e versò dell’acqua. Per qualche istante il gorgoglio fu l’unico rumore a rompere il silenzio.

« Tenga » ringhiò, passandogli il bicchiere. Il braccio di Potter lo mancò di parecchio.  

« Gli occhiali » mormorò, con un sorriso di scuse che Snape non accettò.

Alzando gli occhi al cielo prese gli occhiali dal comodino, e mentre glieli tendeva le sue dita sfiorarono quelle di Potter. Erano fresche e asciutte, e ci misero un attimo a catturare il suo polso.

Gli occhiali caddero con un tonfo morbido in grembo a Potter.

Snape non reagì immediatamente alla stretta, e se non lo fece fu perché stava guardando Potter. Il viso di Potter.

Gli occhi di Potter, per la precisione, mentre con la mano libera Potter si sistemava gli occhiali sul naso.

« Perché mi fissa? » chiese, candido. Severus sentiva ancora le dita di Potter attorno al suo polso, come se stessero marchiando la sua carne, bruciandolo.

Pessimo momento per una catarsi, Severus. 

« Avevo dimenticato » disse Snape e per un attimo, un solo, insignificante, subito perduto attimo non continuò. Aveva dimenticato gli occhi di Potter. Di Lily. « ...l’ottusità che inibisce il suo sguardo » concluse infine, odiandosi per essere passato al tu.

Potter rise, un rumore simile a ingranaggi che si liberano dalla polvere dopo non essere stati usati per tempo. Severus non avrebbe saputo paragonarla ad alcuna altra risata di Potter, dato che non ricordava di averlo mai sentito ridere, ma supponeva che non fosse così male, per qualcuno appena uscito da nove mesi di coma.

Suppose anche che fosse strano fissare il suddetto troppo a lungo. Anche se era un miracolo della scienza medica, certamente questo era un lusso che Snape non poteva permettersi. 

« Lasciami il polso » sbottò, acido. « Ho appena perso il treno, per colpa tua ».

Ho appena perso la testa per colpa dei tuoi occhi, aggiunse cantilenando la voce di Dumbledore nella sua testa. Snape strinse i denti. 

« Il bicchiere » disse Potter. Snape meditò di tirarglielo in faccia.

« Non posso prenderlo se mi tieni il polso ».

« Non sia ridicolo ».

« Sembra che io sia rimasto catturato nella tua aura, Potter ».

Potter sorrise. I suoi occhi sembravano brillare di una propria, quieta scintilla.

« Mi lascerà morire di sete, professore? »

« Non mi tentare, Potter » disse Snape, e si liberò con uno strattone. La presa debole di Potter abbandonò quasi immediatamente il suo polso.

Severus prese il bicchiere e glielo passò, e osservò le dita di Potter cingere il vetro, così pallide che sembravano fatte di carta.

Come la ballerina.

Beh, mi scuserai se non rimango a osservare l’affascinante spettacolo di te che bevi, Potter, era questo che Severus aveva intenzione di dire, prima di infilare la porta, ma non lo disse.

Rimase fermo a osservare il pomo d’Adamo di Potter che si sollevava e si abbassava lentamente, ed era una strana sensazione vedere quel corpo muoversi, quando era stato convinto che sarebbe sceso nella tomba col suo vestito migliore senza aver più alzato neanche un mignolo.

Quando Potter finì di bere, non mise via il bicchiere. Se lo rigirò fra le mani, e qualche goccia d’acqua andò a bagnare la conca delle lenzuola che si era formata fra le sue gambe incrociate.

Snape si voltò e raggiunse la porta, assecondando il breve momento in cui la ragione aveva fatto sentire la sua voce nello strano tumulto di sentimenti schiacciati e accaldati nella sua testa.

« Dove va? »

Snape si voltò di scatto.

« Vuoi saperlo, Potter? Vado a compiere l’ultimo ordine di Dumbledore. Voleva che io portassi dei fiori sulla sua tomba. E poi me ne vado. Il vecchio mi diceva sempre di prendermi una vacanza ».

Potter tacque per un attimo, mentre Severus si chiedeva che cosa diavolo sulla terra lo avesse fatto scattare così. Non erano affari di Potter.

Non erano affari di nessuno. Solo una stupida promessa fra lui e Dumbledore – prenditi cura di Harry e poi, per favore, Severus, ho sempre avuto un debole per le prime margherite che spuntano a Marzo. Quelle che crescono sulle rive del Lago sono particolarmente belle, non trovi?

« E dopo, dove andrà? »

Dove non potrete venire a prendermi.

« Dove non potrai venire a seccarmi » rispose Snape, cercando un modo per aprire la porta senza farla esplodere.

« Non ha finito il libro » disse Potter, e ci fu qualcosa di fragile nella sua voce che portò Snape a voltarsi – e se avesse visto che Potter stava piangendo avrebbe mandato al diavolo la maniglia e si sarebbe buttato dalla finestra.

Ma Potter non stava piangendo. Si era sollevato dai cuscini e gli stava tendendo il libro di fiabe della Granger.

Solo che adesso, si rese conto Snape, è il mio libro. 

C’era quasi un sorriso sul viso pallido di Potter. 

« Puoi tenertelo » disse Snape, bloccandosi a metà del passo avanti che aveva fatto. « Non è mio. Te l’ha portato la signorina Granger ».

« Non vuole finirlo? »

« Perché dovrei? » scattò Snape. « Non c’è nemmeno una storia di quel libro di cui io non conosca già la fine. E ora, Potter... »

« Oh, non ci credo ». Potter esibiva un sogghigno niente male, per essere uno alle prime armi nell’arte del sogghignare, ma per migliorarsi avrebbe dovuto togliersi di dosso quell’aria dolce, pensò Severus.

« Ma davvero? » replicò Snape; Potter però non aveva finito di parlare.

« E comunque ho iniziato il libro con lei » disse, e alzò gli occhi dalla copertina e lo guardò dritto negli occhi.

Erano gli occhi, si disse Severus. Stupido da parte sua non averci pensato prima. Ma era stato convinto che non li avrebbe mai più rivisti, e ora lo stavano fissando colmi di qualche indescrivibile emozione – come un ibrido fra determinazione e desiderio e timidezza.

« Cosa c’entra che tu abbia iniziato il libro con me? » chiese Snape, sospettoso.

« Non posso finirlo senza di lei ».

« Capisco che lei non sappia leggere, Potter, ma credo che troverà qualcuno altro disposto a recitarle le storie ad alta voce. Magari a pagamento, ma lo troverà ».

Potter sbatté le palpebre, con aria delusa. Teneva ancora in mano il libro e le sue labbra si piegarono verso il basso per solo un attimo prima di tornare a distendersi in un sorriso. 

« Immagino che anche mia madre avesse cominciato a leggermi delle storie... ma non me ne ricordo nessuna ».

Snape strinse i denti, sentendosi in un qualche modo messo all’angolo e colpito a tradimento e senza argomenti con cui rispondere.

« Professore? »

Harry Potter. Talmente confuso da riuscire a confondere gli altri. Snape impugnò con saldezza le redini dei propri pensieri.

Stupido Potter. Era stato più facile umiliarlo quando non era stato così... limpido e in luminoso contrasto con qualsiasi cosa nella stanza – e quando il pensiero di Lily e delle storie per bambini erano lontani anni luce dal loro rapporto.

« Non posso finirlo senza di lei » ripeté Potter. « Se non vuole finirlo con me, tanto vale che se lo prenda. Può lasciarlo sulla tomba di Albus, se le va ». Glielo tese nuovamente. « L’ ha detto lei... che a lui piacevano le fiabe Babbane ».

Snape non si mosse.

« Tu mi sentivi? » disse, sentendosi improvvisamente molto, molto allo scoperto.

Tentò di ricordare cosa avesse detto a Potter in tutte le volte che era venuto lì. Tante cose.

Le mie ossa sbiancano al sole.

Troppe.

Potter annuì, semplicemente, e poi gli fece un altro sorriso disturbante.

Dannazione. Potter non era affatto confuso – conosceva tutti i suoi punti deboli.

Severus si voltò verso la porta, senza muoversi verso di essa, ma con uno sguardo di desiderio quale non aveva mai rivolto a essere umano. Sperò ardentemente che la Granger rientrasse in quel momento, preoccupata.

Potter parlò all’improvviso, come se avesse intuito il suo grido d’aiuto.

« Non credo che Hermione rientrerà, professore. Lei sa tutto, vede ». Snape si voltò in tempo per vederlo sorridere quietamente. « Insomma, sa che mi sono svegliato. È stata lei a tenerlo nascosto alle infermiere, e, beh, mi ha dato una mano. Adesso è andata a casa ». Altro sorriso.

Forse aveva sempre sottovalutato Potter, si disse Severus mentre tornava a fissarlo, il viso senza espressione.

Potter lo guardava con quel sorriso. 

« Non avrà pensato che l’avrei lasciata andare via senza ringraziarla? »

« Tutti i tuoi trascorsi puntavano in favore della tesi della maleducazione, Potter » rispose Snape, sentendosi in qualche modo automatico e stanco.

Avrebbe preferito non essersi mai fermato a prendere il libro; anzi, avrebbe preferito non aver mai estratto il libro di sua madre dalle profondità maleodoranti del baule. Era stato come aprire il vaso di Pandora.

Dio, quanto detestava Potter. E Dumbledore. Non bisognava dimenticare il vecchio nella spartizione delle colpe. 

« Beh » disse Potter, dopo un minuto di quieto silenzio. Gli tese di nuovo il libro. « È... ecco qua. In segno di ringraziamento. Non è un granché, ma pensavo che se lei si fosse fermato, insomma, avrei sicuramente trovato qualcosa di meglio, ma se proprio non vuole restare – non la fermerò. Deve mantenere la sua promessa ad Albus, e poi... insomma, ha già fatto tanto per me. Non... non la fermerò » ripeté. Snape non si mosse di un millimetro dal centro della stanza. Potter non accennava ad abbassare il braccio, ma dopo qualche secondo fece uno strano sorriso teso.

« Può prenderlo? Mi sento ancora abbastanza stanco, e non è facile tenere il braccio così ».

Snape esitò un altro attimo ancora, pensando che sicuramente il libro avrebbe preso fuoco non appena lo avesse toccato, ma poi incontrò di nuovo lo sguardo di Potter e fece qualche passo avanti.

Era una sua impressione o il ragazzino stava ritraendo il braccio verso di sé?

Dannazione, era così, e quando Snape fu finalmente vicino al libro, era anche estremamente vicino a Potter.

Era ancora molto pallido, pensò Severus, mentre Harry gli metteva il libro in mano. Era ancora molto pallido, ma sicuramente si sarebbe ripreso e per il resto aveva ancora l’aria di uno studente indisciplinato colto con le mani nella marmellata - anche se in quel momento le sue mani erano ancora sulla copertina del libro, proprio sopra quelle di Severus.

Dannazione, pensò Severus. Forzò il sopracciglio ad inarcarsi, ma quello si mosse come se fosse arrugginito.

« Se hai cambiato idea circa il libro, Potter, puoi anche dirmelo » disse. Potter sorrise.

« Non circa il libro, no » disse. « Solo circa il ringraziamento ».

Snape non poté dire in tutta sincerità di essere stato preso di sorpresa quando le labbra di Potter toccarono le sue, ma meglio così, non gli erano mai piaciute le sorprese.

La bocca di Potter era fresca e tenera e molto, molto cedevole, e Severus non poté fare a meno di chiedersi da quanto tempo fosse inviolata – sicuramente da meno tempo della sua. Severus non ricordava l’ultima volta che qualcuno gli aveva sfiorato il viso con le dita; quelle di Potter erano sottili, da Cercatore, e fredde sulle punte. Sembravano timorose e insieme molto curiose di toccarlo, come se stessero sfiorando un animale cauto e sconosciuto.

Severus fece all’improvviso un passo indietro, chiedendosi perché non fosse stato più veloce a tirarsi indietro e perché quel bacio – Potter – fosse stato così senza esitazioni e senza ritegno. 

Quando lui si era spostato bruscamente, Potter era crollato indietro sul letto, e ora lo guardava stringendosi un labbro fra i denti.

« Severus...? » disse dopo qualche istante.

« Preferivo “Professore” » replicò Snape, sedendosi nella poltrona, il che era come alzare bandiera bianca. Potter sorrise e fu in quel momento che Snape si accorse di avere ancora il libro di fiabe in mano.

Sulla poltrona, col libro in mano e il sapore un po’ troppo intenso di Potter sulle labbra.

Cazzo. Messo nel sacco per la seconda volta in venti minuti.

Hai voluto farti mettere nel sacco.

« Cos’era quello, Potter? » ringhiò.

Potter sorrise, nonostante avesse ancora un’aria molto colpevole e molto desiderosa.

« Un bacio? »

« Risposta notevole » mormorò Snape. « Perchè? »

Potter alzò una mano per passarsi le dita fra i capelli e poi farle scivolare sulla nuca, in un gesto imbarazzato che il suo sorriso smentiva.  

« Mai sentito parlare di Biancaneve? La Bella Addormentata? Cenerentola? »

« Cenerentola non ha nulla a che vedere coi baci » replicò Snape, acido.

« Ah, sì? » rispose Potter, con solo un accenno di sorriso. « Allora forse è meglio che lei mi rinfreschi la memoria. Professore » aggiunse.

Snape non si mosse. Non aprì il libro né se ne andò. Guardava Potter.

Come era potuto succedere che si fosse svegliato, si chiese. Che si fosse svegliato dopo mesi. Forse era andato in letargo. Forse era restato in silenzio, in sé stesso per nove mesi come in attesa di una nuova nascita, o forse era stata l’aria di primavera a svegliarlo. Come si svegliavano le margherite in riva al lago.

Severus sapeva che se non le avesse colte quel giorno avrebbe dovuto aspettare un altro anno. La sua fuga sarebbe stata rimandata.

Potter non lo avrebbe più lasciato in pace.

Ma dopotutto, si rese conto Severus, lui non era arrivato a quell’età vivendo in pace.

Guardò Potter. Sembrava indifeso anche con gli occhiali. Il peso del libro sulle ginocchia era molto leggero.

«  Allora » disse Potter, scivolando sotto le lenzuola e infilando una mano sotto il cuscino. « Me la racconta una storia, professore? Mi raccomando » aggiunse, e sorrise. « Amo i lieti fini ».

 

 

 

(1) Ottava bolgia, consiglieri fraudolenti, naturalmente.

(2) Riferimento alla frase “Sembrava che avanzasse a velocità dimezzata; forse Snape l’aveva stregato?”, pag. 484 di Harry Potter 6

(3) Tutte le frasi della favola sono tratte dal libro “Fiabe”, scritto e illustrato da Tony Wolf (grazie Tony! :D)

(4) Severus si riferisce a quella frase di Voltaire che dice che “È una delle superstizioni del genere umano l'aver immaginato che la verginità potesse essere una virtù e non la barriera che separa l'ignoranza dalla conoscenza”.

(5) Severus fa riferimento alle parole di Cristo sulla croce, che potete trovare nel Vangelo di Giovanni, 29, 19.

 

 

Note dell’Autrice:

Ancora un miliardo, novecento milioni e ottocentosettantasettemila e sei GRAZIE a shinu, che ha mi ha, molto semplicemente, salvato la vita quando non potevo farmela salvare da Geilie.

E GRAZIE a Geilie, che continuerà a salvarmi la vita betandomi, domenica sera, i capitoli per lunedì. È a tutti gli effetti la madrina delle mie storie.

Scusate la lunghezza, ma non ho avuto tempo di farla più corta. (cit.) 

   
 
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