Maledizione...
Maledizione,
maledizione!
«Perché
tutte queste immagini mi affollano la mente?»
«Sei
sicuro di non essere un fantoccio, creato dal tuo presunto
fratello?»
Continuavo
a sentire le parole di numero 66...Perché mi tormentavano la
mente?
Dovrei fidarmi sempre del fratellone. In un modo o nell'altro,
comunque, avevo un corpo.
«Ma
chi ti dice che non ti stiano usando?»
«SMETTILA!
Non mi interessa se sono un'armatura, se sono ancora vivo è
grazie
al fratellone che si è sacrificato, di questo ne sono
certo.»
«Potrebbero
essere ricordi artefatti...»
«...»
«Che
ti prende, armatura-fantoccio? Ti rendi conto che ho ragione?»
«NON
SONO UN FANTOCCIO!»
Mi
lasciai cadere sulla sedia. Ero distrutto, e continuavo a sentire
quelle maledette parole in testa. Rimbombavano, da sembrare fuse con
l'armatura ormai.
«Uh...Al?»
Una
voce mi riportò alla realtà. Il fratellone.
«Oh...Fratellone...»
«Perché
non sei nella stanza, Al?»
«Stavo...facendo
un giro...Voi andate avanti...Vi raggiungo dopo.»
Strinsi
istintivamente il pugno -non che faccia differenza, considerato che
non posso sentire dolore- e abbassai la testa.
«Uhm...Va
bene, Al.»
Bzz...bzz...bzz...bzz...Ma
che?
Abbassai
lo sguardo e vedi un robottino. Un bambino si avvicinò e lo
prese,
mi guardò e sorrise. Mi salutò e
scappò via col suo giocattolo.
«Un
giocattolo, non sei nient’altro»
Dovevo
assolutamente andare a parlarne con il fratellone. Dovevo parlargli.
Decisi dunque di alzarmi e andare verso la stanza di Edward. C'erano
delle voci...Winry?
Mi
sporsi dalla porta per vedere cosa stesse succedendo. Ed e Winry
stavano litigando, come sempre.
«RESTERAI
PER SEMPRE UN SOLDO DI CACIO SE CONTINUI COSI'!»
«STA
ZITTA! LO ODIO, LO ODIO!»
Fratellone...
«SEI
IRRAGIONEVOLE, EDWARD ELRIC!»
Maggiore
Armstrong...
«Tutti
i bambini lo bevono.»
Tenente
Ross...
«Se
non lo bevi, non potrai mai farti un nome.»
Tenente
Brosh...
«No,
non è proprio il momento per parlare con il
fratellone.»
Mi
dissi, e mi allontanai
«Uh...Al?»
MI
chiamava, ma io non risposi. Aspettai il momento migliore. Tornai
dunque nel posto dove ero prima, quel lavatoio per i pazienti, e
poggiai una mano sullo specchio. Mi apparve di nuovo lui. Numero 66,
Barry The Chopper.
«Sei
sicuro di non essere solo un fantoccio-armatura, creato dal tuo
cosiddetto fratello? Avanti, ammettilo, ti farà sentire
meglio...»
Ne
avevo piene le tasche...Cioè, se avessi avuto le tasche, le
avrei
avute piene. Premetti un po' il pollice contro la superficie vitrea
che rifletteva non me, ma quell'altra armatura, che mi aveva
attaccato al laboratorio cinque, e lo specchio si ruppe. Osservai in
quel momento il mio riflesso, attraversato dalla spaccatura del
vetro. Ero...Ero un falso? Ero davvero stato creato da Edward? Se la
risposta ai miei quesiti fosse stata positiva, perché?
Perché si
era dato tanto da fare? Avevo bisogno di una risposta, di una
speranza che mi desse l'opportunità di andare avanti, di
poter
accompagnare colui che chiamavo “fratellone” nel
viaggio verso la
ricerca di un corpo che forse io non avrei mai trovato. Dovevo
assolutamente parlargli.
Il
giorno dopo mi trovai nella sua stanza, mentre lui faceva colazione.
Mentre ero ancora immerso nei miei pensieri, un suo sbuffo annoiato
mi ridestò.
«Sei
tornato anche oggi, vedo, brutto bastardo.»
Stava
litigando con il latte. Ero preoccupato per lui, nonostante tutto.
«Fratellone,
tu hai un corpo vivente, per cui devi berlo.»
«Se
lo odio, lo odio e basta. Anche se non sembra, io sono cresciuto...un
po'.»
Mi
rispose seccato. E' inutile, nii-san non aveva mai gradito il latte.
«In
ogni caso, tutti continuano a chiamarmi piccoletto.»
Sbuffò
di nuovo, con un tono di voce che slittava fra l'annoiato e
l'arrabbiato.
«Vorrei
essere come te, Al. Con un corpo grande come il tuo.»
No,
questo non doveva dirlo. Scattai in piedi, senza neanche accorgermi
di chi stava entrando, e sbottai.
«Non
sono stato io a volere questo corpo!»
Rimasi
in piedi, senza badare a Winry che ci osservava sbigottita. Ero
furioso.
«Scusa.
Hai ragione. E colpa mia se sei diventato così, vero? Ed
è per
questo che voglio ridarti il tuo corpo originale.»
Non
gli lasciai neanche finire la frase, e sbottai di nuovo.
«Mi
assicuri che troverai il mio corpo?»
«Ce
la farò, devi credermi!»
Non
riuscivo più a trattenermi.
«CREDERTI?»
Mi
portai una mano sul petto, disperato.
«COSA
DOVREI CREDERE, IN UN CORPO VUOTO? Alla fine, se ci pensi, i ricordi
sono solo informazioni. Potrebbero anche essere creati
artificialmente!»
Sottolineai
l'ultima parola. Edward mi guardò sbigottito.
«Ma
che stai dicendo, Al?»
Anche
questa volta, non gli lasciai terminare, e risposi subito.
«Fratellone,
una volta mi hai detto che c'era una cosa che avevi paura di dirmi.
Per caso, questa cosa non è che io, che la mia anima, i miei
ricordi
siano tutti artefatti, inventati da te?»
Strinsi
i pugni, per reprimere la rabbia.
«E
che tu, Winry e la nonna...VI state prendendo gioco di me? CHE COSA
HAI DA DIRE, FRATELLONE?»
Sbatté
i pugni sul tavolo all'improvviso, facendomi sobbalzare.
«Hai
avuto questo tarlo in testa per tutto il tempo? Dovevi dire
questo?»
Il
fratellone tremava violentemente, facendo rumore con l'auto-mail
ancora bloccato sul tavolo.
«Va
bene...»
Si
alzò, spostando il tavolo e uscendo dalla stanza. Non ebbi
il
coraggio di guardarlo in faccia. Winry lo chiamò, ma lui non
rispose. Si diresse verso il terrazzo, ma io rimasi a guardare il suo
tavolino ancora pieno di cibo. Non capii. Era una conferma...O una
negazione? Edward aveva appena smentito la mia tesi...O l'aveva
rafforzata? D'un tratto Winry mi chiamò.
«Al,
sei...SEI UNO STUPIDO!»
Mi
tirò una chiave inglese in testa, facendomi cadere per lo
spavento.
Maledetto corpo, la testa mi dondolava per l'urto.
«Perché
l'hai fatto?»
Chiesi
io. Winry cambiò radicalmente. Da arrabbiata, si mise a
piangere.
«W-Winry!»
«Al,
sei uno stupido!»
Mi
tirò un'altra chiave inglese, e caddi di nuovo. Maledizione,
qui
rimbomba tutto! Sono vuoto dentro!
«Tu
non hai idea di come si senta Ed!»
MI
urlò contro, era disperata ed arrabbiata allo stesso tempo.
«Vuoi
proprio sapere cos'era che Ed aveva paura di dirti? Aveva paura di
chiederti se tu ce l'avessi con lui per quello che è
successo!»
Rimasi
seduto per terra, sbigottito ed anche depresso. Avevo fatto una
cavolata micidiale, evidentemente. Winry continuò a tirarmi
botte
con la chiave inglese sul petto, meno forti, ma continue, mentre
piangeva.
«E...E
invece...Tu dovevi...In quale mondo troveresti un idiota tale da
rischiare la vita per crearsi un finto fratello?»
Fui
un idiota totale, a quel tempo. Perché non avevo pensato a
questo?
Quale persona sacrificherebbe il proprio braccio per creare un
fantoccio?
«Voi
due non avete nessuno se non voi stessi.»
Smise
di piangere. Mi stava rimproverando, ed io con la testa bassa
ascoltavo. Poi allungò il braccio, indicando la porta.
«Ed
ora corri da lui.»
Mi
alzai subito.
«Va
bene...»
«CORRI!»
«Sì!»
Arrivai
sul terrazzo. Come pensavo, il fratellone era lì, appoggiato
alla
ringhiera. Non sapevo che dire, che fare...
«Nii-s..»
Non
mi lasciò parlare.
«Sai,
stavo pensando che è tanto che non lottiamo...E sto
prendendo peso.»
Non
capivo. E non sapevo come rispondere. Mentre lui si toglieva le
pantofole, io risposi con un imbarazzato e confuso
“Eh?”. Dunque
si girò verso di me, e mi corse incontro.
«Ehi!»
Mi
tirò un calcio, che evitai prontamente. Devo ammettere che
fu un
colpo di fortuna, non ero per niente pronto.
«Aspetta
un attimo, fratellone! Aspetta! Finirai per riaprire la
ferita!»
Paravo
i suoi colpi con difficoltà. Maledizione, mi stava odiando
per
quello che avevo detto prima? Non ebbi neanche il tempo di pensare.
Mi lanciò un lenzuolo addosso, e mi tirò un
calcio. Con un lieve
urlo -non ho ancora capito di cosa, però. Dopotutto non
provo
dolore.- caddi per terra.
«Ho
vinto! La prima volta che ti batto!»
«Però
così non vale, fratellone.»
Stava
giocando, come al solito. Balbettando, mi rispose.
«Z-Zitto!
Una vittoria è sempre una vittoria!»
Poi
si calmò, ed io sorrisi -nella mia anima, sorrisi-.
«Abbiamo
lottato parecchio, sin da quando eravamo piccoli, eh?»
Gli
risposi con un mugolio di consenso.
«Adesso,
se ci ripensi, abbiamo sempre lottato per delle sciocchezze.»
«Come
per chi dormiva sopra nel letto a castello.»
«Già.»
«Anche
per una caramella.»
«E
ci siamo praticamente scannati per quel giocattolo, ricordi?»
«E
come sempre, ho vinto io, fratellone.»
«Al
fiume Rain... Io ci finii dentro, sbaglio?»
«Ed
anche durante l'addestramento litigavamo parecchio.»
«La
sensei disse che facevamo troppo chiasso, e ci pestò. Quello
possiamo contarlo come pareggio.»
«Ci
battemmo anche per chi avrebbe sposato Winry...»
Dopo
questa, mio fratello sobbazò.
«C-c-cosa?
Non me ne ricordo!»
«Vinsi
io, ma lei mi rifiutò.»
«Ah,
davvero?»
Mi
piaceva ricordare gli anni passati con il fratellone. Sì,
perché
dopo quell'episodio, nessuno mi avrebbe messo in testa qualcosa di
diverso. Edward Elric era ed è tuttora mio fratello.
«E
tu vorresti dirmi...Che erano tutti falsi?»
«Mi
dispiace.»
«Il
fatto che io voglia che tu riabbia il tuo corpo, è tutto una
finta?»
«Ora
lo so. Non è una finta.»
«Infatti.
Perché insieme abbiamo deciso che niente, e dico NIENTE ci
impedirà
di avere indietro i nostri corpi.»
Stringemmo
i pugni insieme.
«Perché
continueremo ad andare avanti. Insieme. Rafforzandoci nel corpo e
nello spirito.»
«E
il latte?»
Edward
arrossì violentemente
«Cercherò
di berne il più possibile.»
Ridemmo
insieme. Di gusto. Dunque sbattemmo i nostri pugni illuminati dal
sole, in un gesto di intesa.
«Diamoci
da fare. Dobbiamo diventare molto più forti.»
Ci
alzammo e riaccompagnai il fratellone verso la stanza. Sì,
in quel
momento ero felice. Molto felice. Perché sapevo di non
essere solo.
«Spero
che le sia piaciuta questa storia....»
Posai
dunque i fiori sulla tomba. La stessa lapide che recitava
“Brigadiere
generale dell'esercito statale Maes Hughes” E mi allontanai
dal
cimitero, tornando alla mia solita vita. La mia avventura non era
ancora finita. Io e nii-san dovevamo trovare ancora i nostri corpi. E
ce l'avremmo fatta. Perché io mi fido di lui.