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Autore: Persychan    14/05/2010    1 recensioni
Un tempo la sua pelle profumava di salsedine, ora sapeva di sangue, fumo e carte da gioco.
Ma anche tutto ciò era solo un miraggio.
1. Luci - Nel mio sangue io cambierò: "[...]il suo cuore smise di battere, mentre l’ultima cosa che provava era il dolore."
2. Lei - Io: "Chiunque nella stanza avrebbe scommesso o su un colpo di lupara o su lancio di tazzina, non di certo su un persona come lui, famosa per la sua pazienza e accondiscendenza."
3. Le rose - Lui è illusione: "Nessun sogno per lui quella notte, nessuna voce dolce e nessun profumo di rose ne quella notte ne la prossima."
4. Tra occhi di cristallo e piume di cappelli : "Francia ama le belle dame e figli della nobiltà che circolano a corte, ma il perché debba sopportare anche i rispettivi genitori e parenti acquisiti gli è ancora sconosciuto." [Chibi!Monaco]
[Principato di Monaco]
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Tra occhi di cristallo e piume di cappelli.
Personaggi/Pairings:Francis Bonnefoy (Francia), Monaco (Oc del Principato di Monaco) + nominato Arthur Kirkland (UK)
Rating: verde
Avvertimenti: shonen-ai leggerissimo (solo nei pensieri maniaci di Francia).
Note: -non betata.
- note storiche sul fondo.
Ed ecco a voi Chibi!Monaco detto anche una-volta-ero-tanto-carino-e-timido!Monaco. Ebbene sì, avrete l'onore di vedere com'era Monaco prima del suo cambiamento radicale. Puuuu, puccio **
E sì, i titoli li do' a caso.



Tra occhi di cristallo e piume di cappelli.


Quando la luce balugina da dietro le tende di pesante velluto, la prima cosa che Francia si chiede è come faccia il sole ad avere la straordinaria capacità di sorgere nei momenti meno adatti: il suo sonno è durato giusto un paio di ore - per di più dal carattere piuttosto travagliato complice una cena un po’ troppo pesante, anche per il suo stomaco abituato ai ricchi pranzi reali, e una compagnia decisamente piacevole da necessitare di una replica e poi di un’altra e di un’altra ancora. Riposare un altro po’ non gli avrebbero fatto male, ma ormai il danno è fatto: è sveglio e non può farci niente.
Fortunatamente la donna con cui ha diviso la notte pare essere della rara razza delle discrete visto che al suo risveglio, nella sua stanza e soprattutto nel suo letto, non c’è più nessun’altro.
Francis si alza facendo cadere a terra le lenzuola di cotone ricamato incurante che la loro vendita sfamerebbe per mesi una delle tante famiglie parigine, ma a lui cosa importa? Ci sarà un servitore che le raccoglierà, uno che le laverà e le stenderà e un altro che gli rifarà il letto, e se non saranno più utilizzabili basterà farne fare di nuove. Magari di ancora più belle.
Non si è ancora completamente stabile sulle gambe che un lieve bussare interrompe il silenzio della camera preannunciato l’entrata di uno dei tanti servi al suo comando. È un ragazzo, forse poco più di sedicenne, che indossa la livrea del palazzo con un malcelato orgoglio che lo fa sorridere e che gli fa desiderare di strappargliela di dosso.

“Qual è il tuo nome, ragazzo?”
“Pierre, signore.”

Non è bello, o meglio non appartiene a quel tipo di bellezza che Francis ama - c’è qualcosa di profondamente rozzo e popolano nei suoi tratti e ormai Francia non riesce a vedere avvenenza se non dietro a polveri di cipria e stretti corsetti - ma lo terrà presente se mai la serata, con suo gran orrore, osasse chiudersi in solitudine. E in fondo quegli occhi verde rame assomigliano abbastanza a quelli di Angleterre da renderglielo piacevole.

“Bene, Pierre. Vammi a prendere la giacca rossa in passamaneria dorata, il gilet lungo dello stesso colore, la camicia con i gigli, i rhingraves1 nocciola, quelli semplici, e anche il tricorno. Pensi di ricordarti tutto?”
“Certamente, signore. Ma la parrucca?”
Se c’è qualcosa che non ama nella moda lanciata dal nuovo re, questa è di certo la parrucca. Perché mai dovrebbe nascondere i suoi bei riccioli d’oro sotto una montagna di volute bianche e marmoree?

“Non serve. Limitati a portare quello che ho chiesto.”

E se c’è un’altra cosa che non ama è l’insolenza nei servi.
Il ragazzo si zittisce abbassando il capo e ritirandosi con una sequela di inchini e cerimonie che ha il potere di cancellare, come una di quelle magie tanto amate da Angleterre, tutti gli oltraggi e gli affronti subiti. Non è uno sciocco, quell’impertinente servitore, ed è anche veloce, almeno quel che basta per non far passare il tempo necessario per farlo annoiare. Francis spera, però, che questa sua caratteristica non sia condivisa da altri aspetti del suo carattere: gli amanti frettolosi non gli sono mai piaciuti.
Per sua fortuna, quel giorno vestirsi - anzi, nascondere il suo corpo sotto strati di inutili abiti - gli risulta più piacevole del solito: turbare il povero servetto mormorandogli frasi ambigue ad ogni casuale sfioramento o soffiandogli parole intrise nel dolce peccato della lussuria mentre è intento a chiudergli i bottoni della giacca come fosse un amante confuso che invece si bearsi della beltà del proprio compagno lo copre, è un soddisfacente diversivo per la sua mente, almeno prima di essere costretto ad sprofondare nuovamente tra le chiacchiere inutili dei nobili della corte: se il suo re lo chiama è suo compito obbedire, anche se questo significa sopportare i cortigiani e i loro intrighi.

•••

I tacchi rossi2 delle sue scarpe dalla fibbia lucida ticchettano sul pavimento di marmo preannunciando alla corte il suo arrivo che viene accolto da un frusciare di abiti e di piume, mentre le donne si inchinano e gli uomini lo salutano con il capello ricoperto di merletti e decori.

“Buona giornata a lei, Monsieur Bonnefoy. È fatto così raro vederla passeggiare per la corte ad un orario precoce come questo”
“Felice di vederla, Monsieur Bonnefoy”
“Oh, ma che magnifica sorpresa vederla, Monsieur.”

E altre centinai di saluti simili gli vengono rivolti, riuscendo solo a fargli venire dei mostruosi mal di testa.
Francia ama le belle dame e figli della nobiltà che circolano a corte, ma il perché debba sopportare anche i rispettivi genitori e parenti acquisiti gli è ancora sconosciuto.

“Anche per me si è trasformata in una magnifica mattinata, ora che vi ho visto madame, ma sono spiacente di doversi salutare nuovamente. Il re mi aspetta e non posso tardare.”

Risponde salutando una qualunque delle nobildonne che lo circondano, senza neppure badare se questa sia effettivamente una dama e non uno dei tanti lacchè dai tratti femminei e le labbra dipinte, nel tentativo di liberarsi di quella massa ossequiosa il prima possibile. In realtà manca ancora qualche minuto al suo appuntamento e il re è così abituato ai suoi ritardi da non confidare mai nella sua puntualità, ma per una volta non intende farlo attendere: quella è un’ottima scusa per sfuggire a quelle grinfie guantate. Inoltre il lato migliore del riceve gli ordini direttamente da sua maestà è che non si potrà mai sapere se le sue scuse o motivazioni siano vero o no: nessuno oserà mai porre una domande del genere al sovrano di Francia.
La voce di un servitore annuncia il suo arrivo, poi le porte si aprono e, finalmente, il silenzio.
Solitamente tutto ciò che il re compie avviene alla presenza della corte, dalla più piccola questione quotidiana alle dichiarazioni di guerra, ma quando lui, Francis Bonnefoy, ha appuntamento con sua maestà la stanza è sempre vuota: quello che accade tra la nazione e il suo sovrano resterà segreto.

“Altezza.”

Francia si inchina a quel re che ha visto salire sul trono quando era ancora un bambino - quasi un’infante alla morte del padre - ma che ora finalmente, cancellata l’ombra del primo ministro, governa.

“Francis ti ho chiamato qui per un motivo ben preciso.”
“Sì, maestà?”
“Come tu sai bene, il grande regno di Francia ha vari protettorato su alcuni piccoli territori che senza il nostro aiuto sprofonderebbero nell’oblio...”
“Parlate di Andorra sire?”
“Anche, Francis, anche. Ma in questo preciso istante intendevo qualcos’altro.”
“Non comprendo, a chi vi riferite?”
“Di certo conoscerai Luigi Grimaldi, pari di Francia, ed erede del Principato di Monaco…”
“Certamente, sire”

Francis non ricorda assolutamente chi sia il nobile di cui sua maestà sta parlando, ma in fondo un aristocratico vale l’altro.

“Bene, perché desidero che tu assista alla sua incoronazione - e il re sbuffa lievemente come se trovasse la cosa estremamente divertente - in mia vece. Il mio potere non è ancora abbastanza consolidato da permettermi un’assenza del genere a così poco dall’inizio del mio vero regno”3
“Come desiderate, Altezza.”

Obbedisce e, al cenno del sovrano, si ritira nuovamente nelle sue stanze dove ordina ai servi di preparare i bauli per la sua permanenza in territorio monegasco. Non è un incarico particolarmente spiacevole, anche se ne ha ricevuti di migliori come quelli che gli permettono di mettere le mani addosso ad Arthur, e l’unica cosa che gli dispiace è che abbandonerà la soffocante corte francese per un’altra simile, o se la sfortuna lo perseguita, anche peggiore - ha ancora gli incubi nel ricordare il rigido e privo di classe seguito della famiglia reale austriaca - perchè alla fine i nobili si assomigliano l’uno con l’altro e anche le nazioni - lui per primo e con solo rare eccezioni - sono sempre le stesse frivole, avide e piatte persone.
Ora, il suo unico dubbio è se portarsi con sé o meno il capello rosso con le piume.

•••

Si sbagliava, però, perchè è diverso, è completamente diverso dalla corte francese. Certo, i pizzi e i merletti ci sono ancora come i bisbigli e i pettegolezzi a mezza voce nascosti dietro ai ventagli di piume, ma tutto il resto è ben lontano dall’affettato garbo e finto decoro che mostrano i suoi aristocratici: l’aria profuma di sale e di frutta matura che crogiola al sole - le pelle delle nobildonne odora di mare e non di dolciastre essenze - e la quiete stessa che avvolge la corte monegasca è fatta di un silenzio differente, non passi lenti intralciati da vesti troppo ricche, ma un muoversi delicato di chi non ha la fretta nel proprio sangue.
E le fanciulle e i fanciulli figli di quella nobiltà! Dieu, così spontanei e limpidi come minuscole gocce d’acqua che lui non può fare a meno di chiedersi se lo sarebbero altrettanto tra lenzuola di raso, ma chiude in un angolo questi pensieri e si gode soltanto la vista - non intende scatenare uno scandalo durante una missione diplomatica, anche se presso un minuscolo pricipato. Tutti i giorni li vede scendere al mare di nascosto, quando le ore sono troppo calde per discutere e gli occhi vigili dei tutori si abbassano per riposarsi da quel sole torrido, per giocare come non hai mai visto fare alla sua corte: le ragazze dalle forme ancora acerbe sollevano le gonne, senza vergogna, quel tanto che serve loro per passeggiare sul bagnasciuga sfiorate appena dalle onde, mentre i maschi, indossati abiti semplici come quelli dei contadini, si rincorrono e si spingono nell’acqua tramutando l’aria in coloratissimi arcobaleni.
Francia vorrebbe sapere se anche la loro nazione è altrettanto bella e umile, ma può solo domandarselo perché, sebbene siano giorni che si trova lì, non ha mai incontrato Monaco.


[“Ben arrivato, Monsieur Francia. Spero che abbiate fatto un buon viaggio.”
“Uno dei migliori, le strade francesi sono ottime.”
“Ne sono felice. Immagino che vogliate ugualmente riposarvi, qualcuno vi mostrerà le vostre stanz...”
“Prima di andare desidererei conoscere Monaco.”
“Credo che sia impossibile.”
“E come mai?”
“Perché non abbiamo idea di dove si trovi al momento.”]


Ha ripetuto la sua richiesta ad ogni incontro con il futuro regnate, ma la risposta è sempre stata la stessa e se la situazione inizialmente lo aveva divertito e l’idea di una nazione fuggiasca che si nasconde nel suo stesso paese lo aveva fatto ridacchiare, ora questa mancanza gli appare quasi un’offesa nei suoi confronti.
Poi un bussare leggero lo richiama alla realtà.
Francis si volta verso la porta e la vede: una ragazzina - una bambina quasi - lo guarda dall’uscio con i capelli castani spettinati dal vento e con il fondo della veste ancora macchiato d’acqua e di sale.
Francia è, però, ben certo di non averla mai notata tra i partecipati ai quei giochi che si svolgono sotto le sue finestre, anche perchè non potrebbe mai dimenticare una come lei: non la si può dire bella, non ora almeno, ma Francis potrebbe scommettere che da grande sarà da mozzare il fiato.

“Piccola hai bisogno di qualcosa?”

Lei lo fissa stranito con i suoi limpide iridi cioccolata, gonfiando le guance in una buffa smorfia concentrata.

“Io..ho sapere che...lai, no volevo dire, lei voleva sapere dove ..era - e qui si interrompe picchiettandosi la tempia alla ricerca di una parola che le sfugge - ...è Monsieur Monaco?”

Trascina le vocali aprendole in larghi suoni per poi spezzare le parole con lunghe pause che appaiono innaturali e aliene in quella - come il francese - che è un lingua vorticosa e cantilenante, ma a Francis bastano le ultime due parole - le uniche pronunciate correttamente, ma con quella durezza di chi le ha imparate a memoria - per capire che cosa gli sta dicendo.

“Se me lo poteste dire, mi sareste d’aiuto.”

Parla piano, sperando che la ragazzina lo comprenda meglio di quanto non lo parli. Di certo quella non è la sua lingua madre e Francis immagina che possa essere figlia di qualche nobile limitrofo - verso la parte italiana - giunto per partecipare, come lui del resto, ai festeggiamenti per la salita al potere del nuovo regnante. Deve essere per questo che non l’ha mai vista eppure di straniero, nei suoi modi e nei suoi gesti, non c’è nulla: profuma di mare e di dolce frutta.

“ È sul monte.”
“Quale monte?”
“...quello delle..spelonche...delle grotte.4

Francis la fissa: la sola cosa che gli interessa, cioè il nome di quella dannata collina, è l’unica che non riesce a capire
Lei gonfia nuovamente le guance, poi lo prende per un lembo della camicia e lo strascina alla finestra.

“Quello.”

E sollevandosi sulle punte, superando l’alto davanzale, glielo indica: è poco più di una collina che affonda sul mare, ma il modo in cui gliela mostra - come se per lei fosse la cosa più importante - per un attimo la apparire come la più imponente delle montagne.

“Non ha...certo - di nuovo fa quella smorfia buffa - non ha un vero nome.”

Conclude soddisfatta, Francis le sorride per un attimo e poi tornare a fissare il monte, ma l’incanto è ormai finito e quella è tornata ad essere una comune altura.

“Grazie per avermelo detto, mademoiselle. Vi dev...”

Ma ormai nella stanza non c’è più nessuno e lui non sa neppure chi deve ringraziare. A quanto pare anche quella ragazzina non ha nome.


Francis si prepara il più in fretta possibile - senza neppure chiamare un servitore - indossando una giacca sobria giacca di fustagno - che non indosserebbe a Versailles - per poi percorrere in tutta fretta le scale e i corridoi che lo dividono dall’uscire dal palazzo: non potrebbe mai perdonarsi di aver perso l’occasione di incontrare questo fantomatico Monaco soltanto per la sua lentezza nel vestirsi. E, in fondo, in quella strana corte non sembrano preoccuparsi più di tanto di queste cose.
Uscire finalmente all’aperto è come entrare in un altro mondo, un mondo dove le colline sono imponenti monti e giocare con le onde del mare è ancora permesso, un mondo con un sole brillante che lo costringe a schermarsi gli occhi con una mano e dove il mare scintilla sotto i suoi raggi come neppure le più belle parure hanno mai fatto.
Salire è fatico, fa caldo e il sudore gli cola sulla schiena, vorrebbe un po’ di ombra, ma fino alla cima della collina - dove un piccolo pino contorto si erge indomito - non c’è nulla se non erba alta e rocce spigolose.
Poi il terreno si fa più pianeggiante, ha raggiunto la sommità del monte, e un vento fresco, proveniente dal mare, gli dà finalmente un po’ di sollievo. Monaco, per quel minuscolo stato che non ha mai visto e di cui ha firmato le carte per il protettorato senza neanche saperlo, appartiene ad di certo ad un altro mondo, su questo non può sbagliare: fino a pochi giorni prima Francis si trovava a doversi stringere nei cappotti e nelle giacche per sfuggire ai gelidi soffi dell’oceano che infestavano la sua Parigi e ora combatte, invece, contro un caldo che gli fa bruciare la pelle come fuoco.
Francia raggiunge l’ombra di quel povero alberello incurvato con sollievo, appoggiandosi al tronco malmesso con un sospiro: il mare, un calmo Mediterraneo dalle acque cristalline, si apre davanti a lui seguendo il profilo netto della costa - le Alpi sono ancora vicine, non come nella sua piatta Camargue dove la terra sfuma nell’azzurro delle acque simile ai colori di un pittore.
Poi un scricchiolio lo distoglie dalla sua contemplazione, portandolo a spostare lo sguardo sul fagotto - o forse un sacco di canapa con un nido sopra - seminascosto dietro al pino solitario.
Fagotto che poi si scopre non essere un fagotto, ma un bambino - neanche un adolescente secondo la sua opinione, ma non è lui l’esperto in materia. Antonio d’altra parte è in grado di indovinare l’età con lo scarto di un mese - profondamente addormentato, vestito con una camicia di lino logora e un paio di pantaloni fin troppo somiglianti con l’ipotizzato sacco di canapa, mentre quello che aveva scambiato per un nido risulta essere la sua capigliatura.
Se quello è veramente Monaco - e lui spera che non sia così - Francia si chiede che razza di nazione abbia preso sotto la sua protezione. Ormai, però, il patto è siglato e lui non può farci più niente, lo ricorderà, per la prossima volta, come monito sul non firmare i documenti senza leggerli.

“Monaco?”

Non sta veramente urlando, ma il suo tono è decisamente più alto del normale: vuole svegliarlo così da poter fare i soliti saluti di circostanza per poi ritirarsi nuovamente presso il palazzo - in dolce compagnia, preferibilmente con una di quelle dame dalla pelle profumata che lo popolano - fino all’incoronazione e infine tornare a casa, presso quelle reggia finta e superficiale ma dal familiare lusso, dimenticando ogni sciocco Principato e il suo essere fuori dal tempo e da ogni regola.
Il ragazzo-fagotto si agita e sussulta spaventato dal quel risveglio improvviso, perde l’equilibrio e rotola per alcuni metri in mezzo all’erba alba. Francis inarca un sopracciglio e si avvicina, restando però entro il limitare di quell’avvizzita ombra.
È a quel punto che Francia si dispiace - per la seconda volta, ma per un motivo diverso - di non aver guardato meglio quelle carte: Monaco - ora spera che sia Monaco - lo sta fissando come un piccolo animale spaventato, fermo tra le sterpaglie con il capo rivolto verso di lui e gli occhi immobili a guardarlo angosciati. E sono quegli occhi a rapirlo.
Francia ha incontrato, visto e avuto persone bellissime, così splendide da farti credere in Dio, in qualcosa di superiore, al solo scorgerle - perché non può essere umana una tale creazione - dai visi di una tale perfezione permetterti di vedere i volti degli angeli, da labbra che avrebbero condotto il più retto degli uomini al peccato e da occhi splendenti come soltanto le pietre che adornano il paradiso possono essere e, sebbene quel ragazzino non faccia parte di questa categoria, mai è stato incantato da uno sguardo simile.
Sono iridi chiare dal color indefinito, a metà tra un blu zaffiro e un pallido celeste, ma brillanti come il mare che si infrange contro le rocce di quel monte: sono occhi liquidi come acqua intrappolata tra specchi scuri e Francis è imprigionato con questa.

“E v-voi chi si-siete?”

Parla il francese in modo pulito - di chi lo ha imparato su i libri - su cui si sente appena un accento straniero, quelle vocali sonore, che Francis ha ormai imparato ad associare alla parlata di quel luogo, ma mischiato a quel balbettare tremante e spaventato lo trova quasi piacevole. Quasi però: insegnargli una perfetta cadenza parigina sarà, di certo, ancora meglio.
Monaco - perché quello è sicuramente Monaco, ci sono cose che si sentono a pelle tra di loro, tra Nazioni - gli appare sempre più interessante ad ogni secondo che passa: averlo come protettorato sarà avere finalmente un fratellino - certo, non è una delle due Italie, ma gli andrà bene anche lui.

“Sono Francis Bonnefoy, piacere di conoscerti finalmente Monaco...”
Mo-monsieur Fra-aa-ncia?”

Sì, un piccolo animaletto spaventato dai grandi occhi da bambola color del mare. Magnifico.

“M-mi d-dispia-ace io-io no-non v-vo-volevo mancarv-vi di-di ri-rispetto...é che m-mi ha-hanno-no de-detto che voi siete sempre al me-meglio, si-siete b-bello e e vi-vivete nel lusso e si-siete fo-f-for -rtissimo e i-io n-non v-vo-volevo, cio-cioè..insomma, io no-non sono degno, vo-volevo...cioè speravo che...io-io non vo-volevo fa-f-fare b-brutta f-fi-igura con v-voi, ma non s-s-sono ca-capace di essere bravo c-come voi, mon-monsieur Francia e..e allora ho pensato che-che fosse, me-meglio, che sì, al-alla fi-finne, che voi non mi vedeste.”

È adorabile, ma di una delizia insolita che non lo fa interrogare su come possa essere il suo viso stravolto dal piacere, ma su come potrebbe sorridere nel vederlo arrivare la volta successiva da Parigi, magari con un regalo. E per Francis tutto ciò è assai strano.

“Non devi essere spaventato da me, io non ti farò mai del male. Mi è stato dato il compito di proteggerti, lo sai?”
“S-si.”
“Allora ora ritorna qui all’ombra, fa troppo caldo per rimanere lì, sotto questo strano sole.”

E Monaco si alza con cautela, avvicinandosi giusto quel tanto per soddisfare la richiesta di Francis, senza osare fare un passo in più.
La situazione è in stallo: sono lì, immobili al confine, su quella linea che divide l’ombra dalla luce e fa caldo. Francis si rende conto che se non farà qualcosa non accadrà nulla, ma che basteranno pochi minuti a far postare abbastanza il sole da colpirlo e se c’è una cosa che lui non vuole è abbronzarsi come un contadino.
Osserva il terreno sotto di lui - la sterpaglia, gli aghi di pino e i sassi aguzzi -, si dice che, in fondo, durante le varie battaglie ha toccato di peggio e, finalmente, si siede.

“Perché non vieni qui anche tu, Monaco?”

E Monaco lo fa, accovacciandosi tra le radici nodose del pino, ad almeno tre passi di distanza da lui, Francia si sente un po’ preso in giro
È costretto ad avvicinarsi - e lui non ha mai amato essere costretto a fare nulla, ma per una volta farà un’eccezione - e gli si siede accanto vedendolo, però, ritrarsi impaurito a questo suo spostamento.

“Non devi avere paura di me. Io non ti farò mai del male.”

Almeno fino a quando Monaco sarà sotto la sua protezione, ma quello non è certamente un argomento adatto per calmarlo quindi sorvola su tale piccolo particolare.
Il principato lo scruta sottecchi, con le iridi chiare seminascoste da disordinate ciocche bionde, fuggendo ogni qualvolta il suo sguardo incontra quello dell'altro, ma Francis decide di averne abbastanza di quella situazione in precario equilibrio e lo stringe tra le braccia.
Monaco trema, con il cuore che batte come quello di un uccellino, ma poi si calma e appoggia la sua testolina bionda sulla sua spalle e Francia non può fare a meno di provare tenerezza - un’emozione che ha sempre creduto non gli sarebbe mai appartenuta - nel vedere quale fiducia sappia riporre negli altri quel piccolo Stato, nonostante la sua precaria situazione, perché basta una carezza tra quei capelli che profumano di sole e di salsedine per sentirlo rilassarsi meglio di quanto mille parole abbiano fatto.

“Tu..qui-quindi mi-mi proteggerai, frère?”
“Certo Monaco. Io ti proteggerò sempre, mon rossignol.”






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1 Calzoni ampi che terminano sotto il ginocchio con cascate di fiocchi e pizzi, tanto da sembrare quasi un gonnellino. I “rhingraves” sono cosi chiamati perché sfoggiati dal conte palatino (Rheingraf) von Salm, ambasciatore olandese a Parigi.
2 I tacchi rossi erano riservato ai gentiluomini a cui era concesso l’onore di stare vicino al re
3 Non so esattamente se allora si potesse parlare di incoronazione per la salita al potere di un principe di un paese piccolo come Monaco o se ci fosse qualcosa a cui partecipare, ma prendetela come una licenza poetica. Le date dovrebbero invece coincidere: il regno di Luigi XIV va dal 14 maggio 1643 al 1 settembre 1715, ma regna veramente dal 14 maggio 1661 (alla morte del reggente, il primo Ministro il Cardinale Mazzarino) . Il protettorato francese su Monaco è opera del padre, Luigi XIII nel 1641 e la salita al trono di Luigi Grimaldi (Pari di Francia e amico del re) avviene nel 1662.
4 In italiano.


Sì, ultima scena - quella dell’abbraccio - riprende un pezzo della fic “Lei - io”.
Sì, la cosa è voluta.
No, non vi spiegherò il perché della mia scelta, ma in fondo è semplice da capire.
E sì, ci sono altri rimandi.
Questa probabilmente sarà l'ultima fic su Monaco per un po' di tempo per questioni di tempo e di ispirazione, detto questo ora fate tanti commenti *^*



Edit: chiedo scusa ai lettori, ma quella pubblicata qualche giorno fa era la versione sbagliata del capitolo e nel tentativo di sostituirla l'ho erroneamente cancellata - stupido cellulare paterno con connessione a internet preistorica e assurda <_<. Chiedo di nuovo scusa.
   
 
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