Il gioco della fine
Se siete qui, pronti ad ascoltare la mia
storia, vuol dire che nella vostra mente c’è qualcosa che si avvicina molto
alla follia.
Probabilmente da bambini vi siete
scaraventati (o siete stati scaraventati, a voi la scelta) contro una parete e
da lì qualche rotella ha preso la strada del non ritorno.
Beh, poco importa.
Non mi interessa l’identità del mio
ascoltatore, l’importante è che qualche anima pia senta il desiderio di lasciar
parlare un povero sfigato che ormai da anni non si può muovere.
Perché, chiedete?
Semplice: sono una finestra.
Oh, dannazione, è vero! Non sono così
squilibrato da credermi un oggetto inanimato e non esserlo realmente.
La storia è più complicata di quello che
credete e, con un po’ di pazienza, potrei anche raccontarvela.
C’era
una volta, tanto tanto tempo fa, un regno incantato
dove viveva un bellissimo principe in cerca dell’amore.
Beh, questa è una sciocchezza. Non ero
esattamente alla ricerca dell’amore. Era solo che sposandomi avrei potuto
ereditare il regno prima della morte di mio padre, trovando moglie ho solo
deciso di accelerare i tempi della mia incoronazione. La faccenda non ha nulla
a che vedere con l’amore.
Così,
come in tutte le storie romantiche che si rispettino, il principe indisse un
ballo, al quale vennero invitate tutte le dame facoltose del paese.
Inutile
dire che le fanciulle furono entusiaste di accettare la proposta del futuro
regnante e si precipitarono al suo mastodontico castello vestite sontuosamente.
A questo punto, per evitarvi la noia di
vedermi scartare tutte le racchie che mi si sono presentate di fronte, credendo
di essere anche solo minimamente accettabili, ho deciso di passare alla parte
in cui “trovo l’amore della mia vita e gli chiedo di sposarmi”.
Le
dame avevano annoiato il principe a morte. Nessuna era riuscita a catturare il
suo interesse, inutili il trucco e gli abiti sfarzosi.
In
quelle giovani non v’era nulla d’attraente.
Il
principe stava per desistere ed accettare l’idea che il vero amore non era alla
sua portata, quando lo vide.
Era
seduto all’angolo più remoto della sala da ballo. Se ne stava con le braccia
incrociate al petto e l’espressione più annoiata che il principe avesse mai
visto. I biondi capelli lunghi e lisci, erano trattenuti da un nastro azzurro
in una coda bassa e la divisa indossata spiccava fra i vestiti delle dame per
il colore perlato della stoffa, talmente brillante da emanare luce propria.
Il
giovane forse si sentì osservato, perché trascorsero pochi istanti prima che
sollevasse lo sguardo ed incontrasse gli occhi del principe ereditario.
In
un solo attimo fu amore.
Scusate ancora l’interruzione, so che
siete smaniosi di ascoltare il racconto. Probabilmente qualcuno di voi starà
anche sospirando aspettando la scena del bacio o qualcosa in più, ma vi
assicuro che è meglio sapere le cose come stanno e, se continuate a seguire
questa alquanto melensa narrazione, avrete la percezione degli eventi
largamente occultata.
E’ vero che notai Gerard in fondo alla
sala, è vero che pensai fosse bellissimo, è anche vero che lui incontrò il mio
sguardo, ma potete anche scordarvi il fatto che l’occhiataccia che mi rifilò mi
fece innamorare di lui.
Diciamo pure che mi fece odiare la
tracotanza che traspariva da quelle dannate iridi verdi.
Per un fatto di puro desiderio di sfida
(e magari anche perché il party si stava rivelando più palloso di quanto avessi
previsto) decisi di avvicinarmi a lui, credendo che una bella litigata,
arricchita di insulti e calci, il tutto dietro le quinte, non avrebbe potuto
che giovarmi.
Superando una sessantina di grassone
appiccicose e adoranti, raggiunsi l’altra estremità della sala, dove il mio
pseudo avversario se ne stava ad attendermi.
Fu immediatamente chiaro che entrambi
cercavamo qualche divertente diversivo a quella noiosa serata.
-Allora- gli chiesi, una volta che fui
abbastanza vicino da poterlo fronteggiare –come mai qui? Non sembri esattamente
voglioso di fare la mia conoscenza e candidarti come futura regina-.
Gerard ghignò e con un piccolo inchino
si prese gioco di me.
Stronzo.
Non c’era altro modo per definirlo.
-Piacere di conoscerla sua futura
maestà, io sono Gerard Blake. Mi trovate qui in veste di accompagnatore, mia
sorella era talmente bramosa di conoscerla che non mi sono potuto sottrarre
dall’accompagnarla-.
-Non sembra si stia divertendo,
marchese? Conte? Duca?...-
-Il primo-.
Sorrisi beffardo: -Marchese Gerard Blake-.
-Effettivamente è un po’ una palla. Che
ne dice di fare qualcosa di alternativo?-.
E nel suo sguardo non sembrava esserci
scritto nulla relativo al prendersi a calci.
Era più uno scintillio di eccitazione,
che mi costrinse a leccare le labbra improvvisamente secche.
Mi fermai ad osservare il suo corpo
snello, la sua pelle candida e dall’aria delicata, il suo sguardo voglioso e di
sfida.
-Sarò felice di accompagnarla a visitare
il castello, se vuole seguirmi-.
Lui annuì, senza perdere l’aria canzonatrice,
ed io compresi che quella serata si sarebbe tramutata in qualcosa di veramente
interessante.
Successivamente
a quella notte, i due si incontrarono innumerevoli volte, impossibilitati ad
allontanarsi l’uno dall’altro per più di qualche ora; bramosi di passare il
loro tempo beandosi l’uno dello sguardo dell’altro.
Diciamo pure che il sesso era fantastico.
Si
incontravano lontano da occhi indiscreti: nei campi antistanti il castello,
negli squallidi ostelli dei villaggi, nelle stanze del principe quando il re
indiceva un banchetto.
Ed
il loro amore crebbe.
Si
alimentò fin quando il principe, impossibilitato a lasciar andare il suo
amante, gli propose di passare insieme il resto della loro vita.
Ancora una volta è giusto che seguiate
il discorso che mi ha portato a fargli la fatidica proposta di matrimonio,
giusto per essere sicuri che non pensiate mi sia inginocchiato ai suoi piedi e
abbia tirato fuori una scatoletta in velluto blu contenente un anello in
diamanti.
Ci ritirammo a metà banchetto quel
giorno, desiderosi di trascorrere il nostro tempo in un modo un po’ più
divertente.
E così fu.
Dopo il sesso mi stesi al suo fianco e
cercai una posizione comoda per
riposarmi, come avveniva ogni volta.
Mentre Gerard si raggomitolò sotto le
coperte.
-Non ho voglia di alzarmi- disse,
rompendo l’usuale silenzio che seguiva le nostre scopate.
Io mi trattenni dal rispondere
immediatamente, conscio che una certa idea poco consueta mi balenava in mente
da qualche tempo.
Feci un bel respiro, cercando di
ossigenare il cervello, prima di parlare.
-Allora non alzarti. Puoi restare se
vuoi-.
-Prima o poi verranno a cercarci e, se
scoprono quello che abbiamo fatto, passerai un quarto d’ora non del tutto
piacevole-.
-Ma se lo scoprono potrò anche rifilare
loro la scusa dell’amore e annunciare a mio padre che ho trovato moglie-.
-Hai trovato moglie?- mi chiese
scandalizzato Gerard, mentre si districava dalle coperte e si sollevava sui
gomiti.
In tutta risposta risi. Lo feci di
gusto, mentre mi voltavo verso di lui e allungavo una mano sopra la sua testa, con l’intento di
schiacciarlo contro il cuscino.
-Cretino, chi pensi sia la moglie?-.
Lui bofonchiò qualcosa contro la fodera,
prima di voltare appena la testa e lanciarmi un’occhiata di ammonimento.
-Non accetto un simile appellativo! Se
vuoi che acconsenta dovrai presentarmi come tuo marito. Non sia mai che
sappiano che sono io quello passivo-.
Risi nuovamente, allontanando la mano
che ancora lo tratteneva contro il cuscino e rigirandomi su un lato.
Ed è questa la tanto romantica proposta
di matrimonio.
Nonostante
le proteste che la loro unione sollevò nel regno, i due si sposarono pochi
giorni dopo.
Il
marchese Gerard, ora divenuto regina, si trasferì nel castello del principe,
ora re, e lì per lui cominciò una nuova vita.
Vissero
insieme per un lungo e prosperoso anno, durante il quale entrambi ebbero modo
di assaporare la gioia derivata dalla loro unione.
Ma,
come in ogni favola che si rispetti, nel giorno più freddo e piovoso
dell’inverno, in cui il cielo sembrava riversare sulla terra tutta la sua ira,
il fratello minore del re, che già da tempo covava rancore nei confronti del
nuovo sovrano, decise di mettere in atto il suo piano di conquista e, chiamando
il suo mago personale, gli ordinò di tendere una trappola al re: doveva
trascinarlo in un luogo isolato, con una qualche scusa burocratica, e lì
tramutarlo in un oggetto o un animale innocuo, insomma, in qualcosa che gli
avrebbe permesso di assumere la carica di nuovo re e prendere il posto del
tanto detestato fratello.
In
cambio il potente mago avrebbe ricevuto il posto di personale consigliere della
corona e la sua parola sarebbe valsa poco meno di quella del re stesso.
Lo
stregone, allettato dall’idea di tanto potere, decise di accontentare il
Fratello Malvagio ed eseguì accuratamente gli ordini impartitigli.
Anche se non vorrei, poiché la versione
favoleggiata è molto più decorosa della realtà, mi sento in dovere, giunti a
questo punto, di mettervi al corrente del subdolo modo in cui lo stregone alle
dipendenze di quel fottuto approfittatore di mio fratello, mi ha convinto a
seguirlo.
La mia non è una di quelle fiabe in cui
il mago malvagio è un vecchio in decomposizione, con i bulbi oculari che cercano
di uscire dalle orbite e la gobba. Il mago malvagio della mia storia è un
giovane aitante, dai lunghi capelli ramati e dal corpo snello che, in
quell’occasione, non ha evitato di mettere in mostra.
Mi ha raggiunto quella piovosa mattina e
mi ha chiesto di andare con lui per risolvere una questione burocratica ai
confini del regno.
La prospettiva di restare a casa non mi
allettava e data la lontananza dei confini del regno ho ben pensato che,
magari, durante il tragitto in carrozza avremmo potuto passare il tempo
“giocando”, non so se mi spiego.
Così ho accettato e mi sono fatto
fregare come un idiota.
Il bastardo mi ha trasformato in una
finestra e mi ha assicurato che “Solo il bacio della donna amata potrà
annullare il maleficio”.
Beh, io sono qui da tre anni e della
donna amata neanche l’ombra.
Con il tempo le mie sbarre si sono
arrugginite, il muro attorno a me a cominciato a creparsi e di tanto in tanto
qualche pezzo cade a terra.
Quel mago da strapazzo mi ha incastonato
in un palazzo talmente vecchio che nella mattinata di domani verrà demolito e
così addio vita crudele.
Dannato me e il momento in cui mi son
lasciato trascinare da quello che sta sotto la cintura, invece che dal
cervello.
Ma non potevo farmi bastare Gerard?
A proposito di Gerard, chissà che fine a
fatto?
Devo ammettere che all’inizio un po’
l’ho aspettato. Ho sperato che mi trovasse e mi riconoscesse. Magari che gli
venisse anche in mente di baciarmi.
Poi, con il passare dei mesi, mi sono
reso conto che nessuno sano di mente verrebbe in questa zona. Figurarsi poi
riconoscere il principe in una finestra dalle sbarre arrugginite e baciarlo.
Non credo questa sarà una favola a lieto
fine.
La principessa non verrà, non mi
spezzerà l’incantesimo e il re del paese verrà demolito insieme ad un palazzo e
morirà sottoforma di scadente finestra sotterrato fra le macerie.
Cazzo, proprio una bella fine!
-Ehi! Allora eri davvero qui!-.
Mi desto di scatto. So che può sembrare
strano sentir dire da una finestra che stava dormendo, ma anche noi, di tanto
in tanto, abbiamo bisogno di qualche ora di riposo.
Il mio sguardo si punta su una figura
che sorride beffarda e mi osserva. E’ vestito di tutto punto, ma le scarpe
infangate tradiscono una camminata abbastanza lunga per zone erbose.
Che cavolo ci fa qui Gerard?
-Tuo fratello mi aveva detto che eri qui
tramutato in una finestra arrugginita, ma non ci avevo voluto credere. Invece,
a quanto pare, è vero?-.
Adesso mi chiedo come faccia a sapere
che sta parlando con me e non con una comune finestra inanimata. Che abbia dei
poteri sovrannaturali…o una micidiale intuizione,
magari.
-Mi ci sono voluti tre odiosissimi anni
par farlo innamorare e fidare di me, per mettere a tacere quel mago un po’
troppo sexy e costringere tuo fratello ad ubriacarsi. Mi ha detto quello che
era successo e sono venuto a riprenderti, ma non pensavo di trovarti veramente
e in uno stato tanto pietoso-.
Dannato Gerard che sfotte!
Se solo avessi una gamba gli assesterei
un calcio dove non batte mai il sole.
-Però sono indeciso- aggiunge, dopo
qualche minuto di silenzio, in cui si è perso nella contemplazione
dell’edificio decadente che mi sovrasta –dopotutto sei finito in questa
situazione perché l’idea di tradirmi ti ha mandato a puttane il cervello. Non
meriti di essere salvato, pezzente!-.
Il suo calcio arriva forte e stordente.
Le sbarre tremano e producono un rumore metallico.
Ora è arrabbiato, lo vedo negli occhi
innaturalmente assottigliati e cattivi.
-Sei una schifosa puttana, signor
ex-re.- mi vomita addosso –Mi fai assolutamente schifo-.
Non posso fare a meno di ammettere che
mi merito queste coltellate. Dopotutto quello che dice è vero, ma che ci posso
fare se nei miei venticinque anni non riesco a pensare razionalmente davanti ad
un corpo eccitante?
-Sono qui solo per dirti quanto ti odio.
E se la casa non venisse demolita domani, ci penserei io a distruggerti a suon
di martellate! Stronzo!-.
Gerard continua a blaterare per quelle
che mi sembrano ore, mi insulta come mai nessuno si è permesso di fare prima
d’ora. Mi riversa contro tutta la sua irritazione, tutta la sfiducia che nutre nei
miei confronti.
-Vorrei vederti bruciare all’inferno!-
urla, chiudendo gli occhi.
Poi si sporge e con le labbra secche e
serrate, posa un leggero bacio sulla sbarra centrale.
Lo fa con delicatezza, per pochi
istanti, prima di allontanarsi e sputare a terra.
-Schifo! Ho ingoiato della ruggine!-.
E mentre Gerard continua a sputacchiare
a terra, il mio corpo, in un “puf” degno delle
migliori favole, torna ad acquistare le normali sembianze.
Solo ora mi rendo conto di quanto mi
siano mancate le mie mani e le mie gambe, e il mio fantasmagorico fisico.
Sollevo il volto e guardo il mio
salvatore, negli occhi un misto di gioia e gratitudine.
Lui sfida il mio sguardo pacatamente.
Non sembra provare emozioni.
-Alla fine mi hai fatto tornare normale!-
gli dico –Allora non eri venuto qui solo per darmi un calcio?-.
Lo sguardo di Gerard si indurisce ancora
una volta. Unisce le mani e fa scrocchiare le nocche, senza smettere di
squadrarmi sdegnato.
-Ti ho fatto tornare normale solo perché
non c’è gusto a riempire di bastonate una finestra inespressiva- urla.
Ancor prima che io possa comprendere il
significato delle parole che hanno lasciato le sue labbra, un pugno mi colpisce
alla bocca dello stomaco. E’ talmente forte che mi sento quasi risucchiare
dall’intestino.
Lui emette un grugnito soddisfatto,
mentre mi guarda barcollare all’indietro e cadere sull’erba dolorante.
-Ma sei scemo?-.
-No, è solo che dovevo prendermi la mia
personale e bramata vendetta-.
Poi mi tende una mano e io decido di non
rischiare. Mi sollevo con fatica contando solo sulle mie forze, lui mostra un
sorriso sghembo e alquanto ilare di fronte al mio comportamento timoroso,
esibendo tutto l’appagamento provato.
-Allora possiamo tornare a casa? Credo
che tutte le cose di cui ti dovrai occupare una volta al castello, basteranno
per farti desistere dal tentare ancora di tradirmi- mi dice, dandomi le spalle.
-Cosa è successo?-.
-Nulla di che! Tuo fratello si è
divertito a fare il despota-.
-Quel cretino, l’ho sempre detto che non
era adatto al governo-.
Gerard annuisce convinto: -Poi avresti
dovuto sentirlo mentre stavamo a letto insieme, non faceva altro che decantare
la sua bellezza, la sua maestria con la spada (e non la spada fatta di metallo),
il suo potere-.
Mi blocco.
La mia mente elabora una quantità di
pensieri incomprensibili persino a me stesso in pochi istanti, prima che dalle
mie labbra esca un urlo iracondo che fa immobilizzare anche Gerard.
-E adesso che ti prende?-.
-Sei stato a letto con mio fratello-.
-Può essere-.
-E tu accusi me di tradimento?-.
-Esatto-.
-Se ti prendo, giuro che ti faccio
tagliare la testa-.
Gerard ride, lo fa con gusto e una vena
di rinnovata tranquillità.
-Beh, allora muoviti, se resti impalato
la tua vendetta non potrà mai avere luogo-.
Mi getto verso di lui senza farmelo
ripetere due volte.
Gerard ridacchia ancora e comincia a
correre, incurante dei piedi che affondano nella terra melmosa.
Io lo seguo più per divertimento che per
ira.
Mi sento libero, leggero, tranquillo. E
mentre guardo Gerard davanti a me, che di tanto in tanto si volta per mostrarmi
quei suoi bellissimi occhi smeraldini, capisco che non c’è nulla che io abbia
desiderato di più nella vita dell’avere lui al mio fianco a capo di un piccolo
regno in una terra incantata.