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Autore: kenjina    14/05/2010    2 recensioni
La situazione peggiorò quando trovarono un tavolo da biliardo libero e pronto solo per loro e, ovviamente, finì invischiato in un due contro due in coppia con la sua manager - almeno quella era una piccola fortuna in mezzo a tanta sfiga, si disse per farsi forza. Non avrebbe saputo di che morte morire, se avesse dovuto scegliere tra il Porcospino e la Scimmia; per non parlare della nuotatrice che, grazie a Buddha, non aveva mai giocato a biliardo e non sapeva neanche da che parte iniziare.
«Ehi, guarda che hai le palle piene tu, intesi?», gli fece Hanamichi, puntandogli la stecca contro.
Rukawa sollevò gli occhi al cielo. «Scimmia, non c'era bisogno di dirmelo. Che ho le palle piene di te lo sapevo da tempo».
(Tratto dal capitolo 17)
I ragazzi selvaggi son tornati, più selvaggi di prima... Ne vedremo delle belle!
Storia revisionata nell'Agosto 2016
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nobunaga Kiyota, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wild Boys'
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Ni-hao a tutti

Capitolo 2

Come il vero Far West.

 

 

«Ehilà, ragazzi!».

Eichiro e Kimi si voltarono e salutarono allegri gli altri due gemelli, accompagnati da quello che, se non ricordavano male, si chiamava Yoehi Mito.

«Come va?», chiese Hime, affiancandosi ai due.

«Siamo ancora distrutti dalla partitella di ieri, Hime-san», confessò Kimi, arrossendo lievemente. «Non eravamo abituati a certi ritmi… e voi siete instancabili!», continuò verso Hanamichi, che scoppiò a ridere.

«Bello mio», iniziò, battendogli amichevolmente delle pacche sulla schiena che per poco non capottarono il povero disgraziato, «noi siamo dei campioni e i campioni devono dare il massimo. Se no come credi che ci sia arrivato io?».

«Sakuragi, è vero che giochi solo da Marzo?», chiese Eichiro, pendendo dalle sue labbra.

«Sì, sì, vedete: la stoffa di un genio come me è stata tenuta nascosta fino a quest’anno come arma segreta. Non potevo certo rivelare le mie capacità se non avessi trovato un club che fosse alla mia altezza».

Hime e Yoehi si scambiarono un’occhiata eloquente e sospirarono, guardandosi bene dal non fiatare per non avere ripercussioni di alcun genere.

«Fantastico!», esclamarono i gemelli, entusiasti, mentre il deficiente di turno si gasava come non mai.

«Oggi niente allenamenti?», fece Yoehi, sistemandosi la cartella sulla spalla.

Hime scosse la testa. «No, niente. Stai pensando quello che sto pensando io?».

«Credo proprio di sì».

«Perfetto, dopo lo chiediamo anche agli altri. Oh, posso dirlo anche a Nobu!», esclamò la rossa, illuminandosi d’immenso al solo pensiero della sua adorata scimmietta.

Yoehi sorrise, ma dovette bloccarsi per iniziare a ridere quando, arrivati al cancello del liceo, Hanamichi fu travolto da una bicicletta. Peccato che questa volta non fu il solito Rukawa a centrarlo in pieno, ma quella che sembrava una ragazzina di tutta fretta che portava in spalla la custodia di una chitarra. Il ragazzo, steso a terra, balzò in piedi, ma quando si guardò intorno per cercare la volpe assassina rimase stupito nel rendersi conto che Kaede non fosse ancora arrivato.

«Ma allora è vizio!», sbraitò Hanamichi, guardando la schiena della ragazzina sparire dietro un angolo.

«No, mezza sega, sei tu che sei sempre in mezzo alle palle.», fece sardonico Mitsui, che subito dopo sbadigliò assonnato. «Cacchio, quanto ho dormito male».

«Come mai?», chiese Hime avvicinandosi all’amico e dandogli il bacetto del buongiorno, mentre Hanamichi stava ancora blaterando e inveendo contro la ragazza ignota che non aveva neanche chiesto scusa.

«Ah, le solite cose. Troppi pensieri per la testa».

Hime non fece in tempo a chiedergli altro perché Hanamichi venne investito ancora, questa volta dal ben noto Kaede, che ancora non si era visto e il rossino stava persino iniziando a darlo per disperso.

«Dannata volpaccia, vieni qui che ti spello per bene!».

«Quanto si adorano», disse sognante Hime.

«Ma son sempre così?», le domandò Kimi preoccupato.

«Oh, no, no…» I gemelli sospirarono di sollievo, ma gli prese un colpo quando la loro seconda manager aggiunse: «A volte sono anche peggio».

«Beh, dai, son divertenti!», azzardò Eichiro, guadagnandosi le occhiate perplesse degli altri.

«Sì, divertentissimi. Soprattutto quando iniziano a pestarsi in mezzo a una partita ufficiale». Hisashi salutò con un cenno del capo. «Io vado a dormire un po’ prima delle lezioni, ci vediamo ragazzi».

Hime lo seguì con lo sguardo, preoccupata. Che gli stava prendendo? Forse all’ospedale gli avevano dato cattive notizie sul ginocchio?

«Si accettano scommesse! Dieci a zero per Rukawa, chi scommette?».

La ragazza si mise le mani sui fianchi e guardò con aria da maestrina l’Armata Sakuragi che, come sempre, aveva sollevato il consueto teatrino di scommesse ai danni del povero fratellino, tirando fuori da chissà dove occhialini da sole e cappelli calati sul viso per non farsi riconoscere.

«Ehi, Hime! Vuoi scommettere anche tu?», le domandò Noma, ammiccando per convincerla.

«Ragazzi, siete degli strozzini», fece l’altra, fingendosi arrabbiata. «Altro che dieci a zero per Ede, io punto su Hana!».

I gemelli Shimura la guardarono allibiti, non aspettandosi certo una cosa del genere da una tenera e indifesa ragazza come lei. Non sapevano che potesse essere anche peggio del fratello.

«Che succede qui?», sbraitò il Gori, arrivando in quel momento seguito da un Kogure intento a pulirsi le lenti degli occhiali.

«Oh, Hanamichi è stato investito da Rukawa, come sempre, e prima ancora da una ragazza», rispose Yoehi, gustandosi la scena. «Si sta sfogando per bene».

«Mai che lo ammazzino davvero, eh?», grugnì Akagi, sedando calci, morsi e insulti vari con i sui micidiali pugni in testa.

«Ma… Gori! È lui che mi ha tranciato in bici!», si lagnò Sakuragi, con le mani in testa.

Akagi ghignò maligno. «Infatti ho punito anche lui per non aver finito il lavoro, demente».

«Ma come? Non mi vuoi più bene, Gori?».

«Kami, e questa come ti è uscita?».

«Insensibile!».

«Do’aho».

«Che hai detto tu?!».

«Sei anche sordo?».

La discussione andò avanti per altri dieci minuti, intorno a una folla di curiosi che aumentava a vista d’occhio, oltre le solite galline fan di Rukawa che si dimenavano e gridavano per incitare il loro idolo.

«Tutto ciò è ridicolo», commentò attonita Matsui, l’amica di Haruko. Le venne un colpo quando si accorse che anche la sorella del Gorilla si era messa in mezzo a quel gruppo di squinternate per tifare Rukawa. Non c’era proprio più ritegno!

 

*

 

Quella era decisamente una giornata di merda. Oh si, lo era. Ormai aveva acquistato una sorta di sesto senso per quel tipo di cose, era innegabile. Akira gli aveva sempre detto di smetterla di tirarsela come un uccellaccio del malaugurio, perché prima o poi quello che pensava si sarebbe avverato davvero. Ma lui che poteva farci? Se aveva il sentore di qualcosa nell’aria non poteva farci una beneamata mazza, che ne dicesse il Porcospino.

Guardò annoiato il quadro nell’ufficio del preside, che ancora non era arrivato, intento a telefonare chissà chi. Che palle, ora non poteva nemmeno dormire in santa pace che addirittura lo sbattevano in presidenza! Ma avevano idea di quanto avesse dormito da cani quella notte?

Hisashi sbuffò, incrociando le braccia intorno alla testa e chiudendo gli occhi. Che gliene andasse bene una nella vita, accidenti.

I passi strisciati di qualcuno lo risvegliarono dai suoi pensieri e, credendo che fosse il preside, aprì un occhio. Ma non era il signor Chiba, per lo meno non lo ricordava così magro, con due gambe da levargli il fiato, i capelli lunghi e chiari e un seno niente male. Ok, doveva ragionare un attimo a mente lucida: perché diavolo una così non l’aveva mai vista prima di allora? Le cose erano due: o era arrivata da poco o lui stava seriamente perdendo colpi.

Kiyo sollevò un sopracciglio nel vedere il ragazzo da solo nell’ufficio del preside, ma non disse niente. Si poggiò infastidita alla parete della stanza e aspettò, cosa che le faceva perdere quel poco di pazienza che aveva. Sentendosi osservata si voltò verso l’unica persona presente e lo fulminò con lo sguardo. «Che c’è, mai vista una ragazza?».

Se Hisashi non fosse stato di quell’umore nero sarebbe scoppiato a ridere come un deficiente. «Più che altro non ho mai visto te».

«Beh, ora che mi hai vista puoi anche continuare a guardare il nulla». Odiava, odiava con tutta se stessa essere fissata con insistenza.

«Chi sei?».

Kiyo sospirò, scocciata. «Una che non vuole rotture, piacere di conoscerti».

Hisashi si morse un labbro, divertito. Quella ragazzina era un peperino! «Gran bel nome, complimenti». Non riuscì a trattenersi quando la ragazza lo fulminò con lo sguardo. «Ok, ok, scherzavo. Non c’è bisogno di incenerirmi così».

«Quale parte di “non voglio rotture” non ti è chiara?».

«Come mai anche tu qua?», le chiese, ignorando la domanda.

«Oh, perfetto!», esclamò lei, allargando le braccia. «Oltre che pedante sei anche tonto».

Hisashi se la prese parecchio per quell’insulto gratuito. Ma aveva scelto la giornata sbagliata per farlo arrabbiare. «Ehi, ragazzina, non mi pare di averti offesa in nessuno modo».

Kiyo abbassò lo sguardo, per non guardarlo, e sbuffò. «Ai professori non va bene la mia nuova divisa».

Lui la guardò con attenzione, dimenticandosi per un attimo che non gli avesse chiesto neanche scusa. Beh, non c’era che dire: quella ragazzina era l’emblema dell’anarchia totale. Cravatta sciolta, calze piegate sulle scarpe, gonna più corta del previsto, giacca completamente assente. Per non parlare dei suoi capelli, palesemente tinti.

«Tu perché sei qui?».

«Oh, allora anche tu sai fare domande, a quanto pare», ghignò Hisashi, guadagnandosi un “Idiota” meritato. «Mi hanno beccato che dormivo in classe».

«Ore piccole?».

«No, problemi miei», le confessò, distendendosi in un sorriso infelice. Le si avvicinò, tendendole una mano. «Comunque io sono Hisashi Mitsui».

«So benissimo chi sei». Ricambiò riluttante la stretta di mano. «Kiyo Kobayashi».

Kiyo Kobayashi. Interessante.

Il signor Chiba arrivò qualche istante dopo, trafelato. «Scusatemi, ragazzi, ma certe questioni burocratiche sono veramente infernali!». Hiroshi Chiba era un omone robusto e apparentemente burbero, ma chi lo conosceva veramente sapeva benissimo che aveva un cuore d’oro. Andare da lui in punizione equivaleva a farsi una bella chiacchierata accompagnata da una buona tazza di thè.

I due presero posto davanti alla scrivania grondante di fogli, senza dire una parola.

«Oh, Mitsui! Come va il ginocchi0? Non avevi una visita, qualche giorno fa?», s’informò, mettendo a riscaldare la teiera.

Hisashi sprofondò sulla comoda poltroncina. «Sì, tutto al suo posto. Per lo meno, è ancora lì per ora».

«Lo sapevo io, sei un giovanotto forte tu!», gli disse in un sorriso, che contagiò anche il ragazzo. «E lei, signorina Kobayashi? Ancora per quella divisa?».

Lei annuì, incrociando le braccia. «Non mi pare di aver ammazzato nessuno, professore».

«Sì, ma le regole sono pur sempre regole. E lei, in quanto studentessa di questo liceo, deve seguirle».

Kiyo sospirò. «A me non piace questa divisa. Dovrebbe seriamente prendere in considerazione l’idea di farla cambiare».

Il signor Chiba si mise a ridere, sinceramente divertito. «Ci penserò su, d’accordo».

«Bene, posso andare ora?».

«Non vuole un po’ di thè?».

Hisashi la guardò, cercando di non ridere. Era comicissima così, tra due fuochi: la porta che l’attendeva e il dispiacere del professore che li lasciasse subito. Purtroppo per lei si ritrovò costretta a optare per la tazza di thè, anche perché il preside non aveva intenzione di punire né l’uno né l’altro, quindi era un modo come un altro per ringraziarlo.

Quando la piacevole chiacchierata si concluse, Hisashi le lanciò un’occhiata. «Un giorno mi spiegherai perché sei così arrabbiata con il mondo».

«Contaci. Da che pulpito, poi».

Lui sogghignò. «Ci si vede, Kobayashi».

Kiyo se ne andò velocemente, salutandolo con un “Ciao” svogliato e una mano agitata.

Dio, che ragazza quella!

 

*

 

Hime si bloccò il cordless tra l’orecchio e la spalla, cercando di infilarsi i pantaloncini. «Nobu-chan, ma hai capito dov’è questo campetto?»

»E certo, sono una mappa con le gambe, io!«, rispose il pallone gonfiato dall’altra parte del telefono.

«Ah già, quasi lo scordavo!», ridacchiò lei, trionfante per essere riuscita nell’impresa di vestirsi parlando al telefono. «Oh no, ho messo la maglietta al contrario!».

»Ferma lì! Vengo io a togliertela e a rimettertela per bene!«

«Nobunaga!».

»Che c'è? Va bene, ho capito... Te la tolgo e basta«

«Hentai!».

»Ahaha! Scusa, Hicchan, ma sai che adoro metterti in imbarazzo!«

«Me ne sono accorta», borbottò lei, in un sorriso. In quelle settimane Hime stava scoprendo un lato perverso e maniaco nel suo ragazzo che non pensava neanche avesse. Insomma, era sempre così scemo, pieno di sé e tenero che non pensava che potesse competere con le porcate di Akira e Hisashi!

»Ah, Hicchan, va bene se porto anche Arimi? I miei son fuori qualche giorno e non voglio lasciarla sola in casa

Ecco, quello era uno dei tanti motivi per cui Hime si era innamorata di Nobunaga: il suo infinito amore per la sorellina minore. Non aveva mai avuto l’occasione di conoscerla di persona, ma durante il periodo in cui era con Hanamichi per la riabilitazione ci aveva scambiato due chiacchiere al telefono. La trovava semplicemente adorabile.

«Ma certo che puoi! Così finalmente potrò conoscerla!».

Immaginò, come se l’avesse avuto davanti, il ragazzo che sorrideva trionfante e, prima di chiudere la telefonata, gli ricordò l’ora e il luogo d’incontro.

«Allora? Quella scimmia viene?», s’informò Hanamichi, facendo capolino nella camera della sorella. Due secondi più tardi si beccò una ciabatta in mezzo alla faccia.

«Sarò anche tua sorella, ma bussare no, eh?», fece Hime, con le mani sui fianchi. «E comunque sì, Nobunaga viene, e porta anche Arimi».

«Chi? La sorella? Un’altra scimmia?! E che palle!».

«Ma se neanche la conosci!», esclamò lei, tirandogli l’altra ciabatta in testa.

Hanamichi la guardò imbronciato. «Hicchan, hai finito di tirarmi infradito o adesso inizi anche con le scarpe da tennis?».

«E ringrazia che non uso scarpe con i tacchi!». Hime gli sorrise, andando ad abbracciarlo e a schioccargli un sonoro bacio sulla guancia. «Ti detesto quando fai così,  Hana! Sento che se mi chiedessi qualsiasi cosa la farei solo per questi occhioni!».

«Ahaha! Scoperto il modo per avere quello che voglio! Sono proprio un genio!».

«Sì, sì, però ora vai a prepararti, tra dieci minuti usciamo», lo spintonò via la ragazza verso la camera affianco.

Yoehi e l’armata suonarono il campanello qualche minuto dopo, pronti per andare al campetto anch’essi. Di solito, quando i ragazzi non avevano allenamenti, se ne andavano al giocare sul lungo mare a fare qualche tiro e a divertirsi in spiaggia; poi, quando si stancavano, se ne andavano belli che pimpanti in un bel localino all’angolo, il Bar America, per concludere la serata in bellezza.

Arrivati a destinazione trovarono il solito volpino che faceva il solito allenamento pomeridiano in solitario e la cosa non prometteva niente di buono.

«Oh, Kit, vai a colonizzare qualche altro campetto, dai!», si lagnò Hanamichi, saltando proprio nel momento in cui Kaede si stava preparando al tiro. Questo se ne accorse in tempo per chinarsi e sgusciare via da quell’improvvisa difesa, e segnò con un dunk di tutto rispetto. Hanamichi, d’altro canto, finì spalmato in terra perché, per la sorpresa, si sbilanciò in avanti e perse l’equilibrio.

«Do’aho. Ci sono da mezzora, vattene tu».

«Perché invece non ce ne stiamo qui tutti insieme?», cinguettò Hime. «Tra poco arriva anche Nobu-chan!».

Kaede sollevò un sopracciglio, come dire: “Oh beh, allora rimango” in modo molto, troppo sarcastico.

«Sì, Rukawa, rimani!», fece Takamiya. «Così ne vediamo delle belle!».

«Eh no! Io insieme alla Nobu-Scimmia e il Volpino non ci sto! C'è un limite a tutto!», sbraitò Hanamichi, beccandosi poi una pallonata in testa dal suo miglior nemico.

«Ehi, guarda che puoi anche andartene, Rosso-Scimmia!».

«Dementi al completo», sbuffò Kaede, riprendendo il suo allenamento come se non ci fosse nessuno a menargli le palle.

Gli altri rimasero un po’ interdetti nel vedere chi accompagnava Kiyota: una ragazza in sedia a rotelle, che aveva tutta l'aria di essere solo su una gamba.

«Chi è quella?», sussurrò Hanamichi a Hime, che però non gli rispose, saltellando contenta verso i due.

«Ciao Nobu-chan! Tu devi essere Arimi, giusto?», chiese la rossa, dopo aver dato un bacino al ragazzo.

La giovane era molto simile al fratello: capelli neri e lunghi lasciati al vento, la stessa espressione furbetta e il sorriso più solare che avesse mai visto. Arimi Kiyota annuì allegra, stringendole la mano. «È un piacere poterti conoscere, Hime! Nobunaga non fa che parlarmi di te».

«E cosa dice? Cosa dice?», fece interessata l’altra, con occhioni luccicanti.

«Che ti interessa?! Pettegola!», si difese Nobu, rosso per l’imbarazzo e il timore che la sorella potesse rivelare le sue lunghe chiacchierate a parlare di lei.

Hime scoppiò a ridere e presentò alla ragazza tutti gli altri. «Allora, questo è il mio personale branco di animali», iniziò, suscitando il disappunto dei suoi amici. «Loro sono Yoehi Mito, Yuji Okusu, Chuichiro Noma e Nozomi Takamiya, più conosciuti come l’Armata Sakuragi.»

I ragazzi, con un sorrisone, la salutarono gentilmente senza fare gli idioti, cosa più incredibile che rara.

«Armata Sakuragi?», domandò Arimi, curiosa. «Non è un nome rassicurante».

«Beh, certo», fece Takamiya, indicando con un cenno del capo Hanamichi. «Non è rassicurante neanche il brutto faccione di quello lì!».

«Che hai detto, brutta scrofa?», gridò il numero dieci dello Shohoku, tirandogli una testata che avrebbe ricordato per molto, molto tempo.

«Hanamichi! Stai facendo la figura del deficiente!», bisbigliò Hime, tirandogli una gomitata.

«Non è una novità».

«Kaede, per favore!».

E mentre Hanamichi e Rukawa ingaggiavano una bella lotta di sumo, Hime si scusava mille volte con la ragazza. «Perdonali, non riescono a resistere senza queste dimostrazioni d’affetto».

Arimi agitò una mano, divertita. «Ma no, son simpatici!»

Appena quei due mentecatti ebbero finito di darsele di santa ragione, Hime presentò anche loro. «Arimi, ti presento Kaede Rukawa, il migliore giocatore del primo anno…», e qui partì un embolo sia ad Hanamichi che a Nobunaga. «…e il migliore amico che si possa desiderare».

Kaede le lanciò un’occhiata stupita per quella presentazione con i fiocchi e salutò anche lui la nuova arrivata.

«Ehi, Hicchan! Non mi piace questa storia!», disse offeso Hanamichi, imbronciandosi. «Quel coso non è la miglior matricola!».

«Ecco, appunto!», gli diede man forte l’altro esaltato, Nobunaga.

Hime neanche lo ascoltò, continuando con le presentazioni. «E non da ultimo, mio fratello Hanamichi Sakuragi. La persona più tenera e buona che esista al mondo.»

Il rossino per poco non si mise a piangere e, prima di stringere la mano ad Arimi, vide bene di stritolare la sorella con un abbraccio.

«Ciao Arimi!», fece pimpante, piegandosi per guardarla meglio. «Io sono il Genio, nonché Re dei Rimbalzi e del Basket in genere, altro che quella schiappa di tuo fratello! Piacere!».

Arimi scoppiò a ridere, cosa che ovviamente non andò giù a Nobunaga. «Schiappa, che hai detto? Guarda che non sono io quello che tirava il pallone in testa agli avversari anzi che centrare il canestro!».

Hanamichi si mise una mano dietro la nuca, ridendo imbarazzato. «Ahaha! Non ascoltarlo, Ari-chan! Racconta tante di quelle frottole!».

«Guarda che ha ragione, Hanamichi.», fece notare Noma, scappando poi dalla furia dell’amico.

«Beh, se per questo c’è anche da mettere in conto l’auto canestro che ha fatto in ritiro», aggiunse pensierosa Hime, mentre Nobunaga e il resto della comitiva sghignazzava.

Hanamichi le balzò addosso, scrollandola per le spalle. «Hicchan! Anche tu?! Nessuno mi vuole bene!».

«Abbattetelo» Kaede alzò gli occhi al cielo, ma si scostò velocemente appena si accorse della sagoma omicida del rossino, deciso ad ammazzarlo una volta per tutte.

«Allora, due contro due?», chiese Hime, attirando l’attenzione su di sé. Mai l’avesse fatto, povera ingenua! Tra Nobunaga e Hanamichi che bisticciavano per decidere su chi dei due avrebbe fatto coppia con la ragazza, e Kaede che bruciava tutti dicendo che avrebbe giocato solo con lei, fu un vero e proprio casino.

«Hicchan, io non ho mai giocato con te!», si lamentò Nobunaga con il labbro inferiore all’infuori per il disappunto.

«Certo, mica vuole perdere», fece Kaede, facendolo andare su tutte le furie.

«Infatti starà con me! I Sakuragi contro la Scimmia e la Volpe!», si gasò Hanamichi, con le mani sui fianchi e la testa piegata all’indietro per ridere meglio.

«Chissà se riusciranno a iniziare a giocare entro quest’anno?», si chiese Okusu, aprendo un pacchetto di pop-corn saltati fuori da chissà dove.

«Beh, almeno ci sarà da divertirsi!», ghignarono Noma e Takamiya, mentre quest’ultimo, con molta naturalezza fregò il cibo all’amico e lo finì in due secondi.

«Ma sei una fogna!», sbraitò quello, con gli occhi fuori dalle orbite.

«E che cavolo, non me ne hai fatto neanche toccare uno!» 

«Sei un pozzo senza fondo», commentò Yoehi, che si voltò a guardare la piccola Arimi accanto a lui che, tra quei quattro che battibeccavano allegramente per la formazione delle coppie e gli altri tre che erano partiti per la tangente con insulti di ogni genere verso quel cassonetto di Takamiya, se la rideva alla grande in barba ai casini altrui. Quei ragazzi erano pazzi, aveva ragione Nobunaga a ripeterlo in continuazione!

Tutto quel bel teatrino si concluse con la vittoria di Hanamichi che, come sempre, se non fregava la ragazza alla scimmietta del Kainan non era contento. Questo, d’altro canto, dovette mordersi la lingua per non ululare dal disappunto nel ritrovarsi in squadra con quel volpino congelato di Rukawa che, alla faccia di tutto e tutti, continuava placidamente i suoi tiri in solitario.

«Ma accidenti, Takamiya, proprio ora dovevi finirteli i pop-corn? Adesso inizia il vero spettacolo!», si lamentò Noma, incrociando le braccia e poggiandosi mollemente alla rete metallica alle sue spalle.

«Vai e comprali, no?».

«Morto di fame, così magari me li freghi di nuovo?».

Yoehi sbuffò, cercando di apparire serio, ma con scarsi risultati. «Uffa, quanto fate casino».

In campo, intanto, stava succedendo di tutto. Hanamichi aveva la palla e aveva apertamente dichiarato guerra a Kaede, dato che voleva mostrargli a tutti i costi quanto fosse ancora bravo nonostante i mesi di fermo; e dato che non passava palla alla sorella neanche a pagarlo oro, tutto intento in un one-on-one con il volpino, questa se ne stava in mezzo al campo con le braccia incrociate, sbuffando come un vulcano. Rukawa, d’altra parte, che già di per sé non aiutava il gioco di squadra, si dimenticò completamente del suo momentaneo compagno che, anzi che limitarsi a sbuffi come la ragazza, sbraitava peggio di uno scaricatore di porto.

Quando Kiyota decise di agire arrivò dietro al rossino, troppo intento a decantare le sue lodi ai quattro venti per accorgersi di lui alle sue spalle. Gli fregò il pallone con una semplicità imbarazzante e corse verso il canestro, per un dunk. Ma non aveva messo in conto un’agguerrita Hime che, degna del cognome che portava, saltò abbastanza in alto da tirare una manata al pallone e farlo volare via.

«Hicchan! Mi hai fregato il momento di gloria!».

«Te lo do io il momento… ma di dolore, te lo do!», gridò Hanamichi, avvolto dalle fiamme dell’inferno e gettandosi contro il ragazzo.

«Ora si ammazzano».

Arimi si voltò preoccupata verso Mito che, a discapito della drammaticità di quelle parole, stava rotolando a terra dalle risate insieme agli altri tre dementi del gruppo.

E mentre i due si legnavano come indemoniati, Hime e Rukawa avevano ripreso a giocare, completamente persi nel loro one-on-one. Del resto, due fuori classe come loro non potevano perdersi in baggianate del genere!

Inutile dire che il coro da stadio fu tutto per loro, che come sempre diedero spettacolo, tra finte, scarti, canestri e rimbalzi. Hime, però, dovette arrendersi a una schiacciante vittoria del migliore amico che, dopo il ritiro con lo Shohoku e soprattutto quello con la Nazionale Juniores, era migliorato, se possibile, ancora di più.

«Ede, sei diventato mostruoso, davvero», fece la ragazza, col fiato corto.

«Lo prendo come un complimento».

«No, Kit, mostruoso nel senso di orripilante, vero Hic---?! E basta con questi stupidi di palloni in testa, maledetto!».

«Ma non si farà male?», domandò Arimi, guardando preoccupata i bernoccoli del rossino che crescevano a vista d’occhio.

«No, Hanamichi ha la testa dura, tranquilla», le disse divertito Yoehi, gustandosi la scena.

«E poi è anche vuota, quindi non ci perde niente», continuò Takamiya, che venne sfortunatamente sentito dalla Scimmia in questione e pagò col sangue, come sempre.

E mentre i due si scambiavano le consuete pacche amichevoli che di amichevole, in realtà, non avevano niente, Hime alzò un braccio per attirare l’attenzione degli altri. «Che ne dite se andiamo da Sana?»

A quelle parole Hanamichi e Takamiya scattarono in piedi, dimenticando per un istante la loro rissa. «Sììì! Ho proprio voglia di una cioccolata con gli smarties!», gridarono in coro con la bava alla bocca.

Nobunaga si grattò la testa, poco convinto. «È una vostra amica?».

«Sì, ed è adorabile! Lavora in un bar qui vicino, venite?», chiese sorridente ai fratelli Kiyota, che accettarono volentieri.

«Kit, tu ci degni della tua compagnia o è chiedere troppo?».

Il mondo sarebbe cascato in quel preciso istante, pensarono un po’ tutti. Hanamichi che invitava il Volpino a stare con loro?!

«Hn, no. Devo andare a casa».

«Ah, al diavolo. E io che volevo essere gentile».

«Ma vai a cagare».

Hime saltellò verso l’amico, gironzolandogli intorno come una pulce. «Hai da fare veramente o non vuoi venire perché non ti va?».

Kaede sospirò, guardandola negli occhi mentre faceva ruotare il pallone su un dito. «Il vecchio torna questa notte. Devo sistemare un po’ di cose».

«Oh, capito. Hai la casa che galleggia nel caos».

«Hn».

«Ehi, Hicchan! Vieni o no?», la richiamò Hanamichi, mentre Nobunaga fumava gelosia da tutti i pori e la sorella tentava invano di calmarlo.

«Sì arrivo, arrivo!», esclamò lei, prendendo le sue cose e salutando Kaede. «Non sai cosa ti perdi, Ede!».

«Non dormirò, stanotte», fece sarcastico lui.

«Seh, se non dormi tu io sono tinto!», lo rimbeccò Hanamichi, mettendosi il borsone su una spalla e dirigendosi al bar. “Do’aho” fu l’unico saluto che suo acerrimo amico gli riservò come risposta.

Il Bar America era un delizioso locale all’angolo, che dava direttamente sul lungomare di Kanagawa. Aveva un non so che di texano, con tutti gli interni in legno, finemente lavorati e un’ampia sala con parecchi tavoli da biliardo, oltre un piccolo palchetto per il piano bar. L’Armata, insieme a Hime, andava spesso a prendere qualcosa da bere o sgranocchiare, nel loro personalissimo angolino che ormai era diventato esclusivamente di loro proprietà, e lì avevano conosciuto una ragazza della loro età che lavorava come barista, tale Sanako Tsukiyama (per i pochi amici che aveva bastava anche solo Sana), gentile e simpatica, che ormai li conosceva così bene da sapere anche le loro ordinazioni a menadito.

Appena la mandria entrò nel locale, vennero accolti dai saluti generali del proprietario, il signor Watanabe, che subito chiamò la piccola Sana. Questa arrivò di gran carriera, distrutta, e salutò tutti con un filo di voce.

«Sei stravolta, che succede?», chiese Hime, alzandosi per darle un bacino veloce.

«Oh, è stata una giornataccia», sospirò, spostandosi la frangetta dagli occhi e togliendo fuori penna e blocchetto. «Ho dovuto girare mezza Kanagawa perché il ragazzo delle pizze a domicilio è a casa con la febbre».

«Per la serie: che non ne manchino mai», commentò Hime, sorridendo. «Oh, comunque loro sono Nobunaga e Arimi Kiyota. Ragazzi, lei è Sanako Tsukiyama».

I tre si strinsero la mano cordiali, poi la ragazza disse: «Per voi so già che portare. Voi due?»

Hanamichi si mise in mezzo, esuberante come sempre. «Per la Scimmia porta la mia stessa cosa».

«Ehi, vorrei decidere io, se non ti dispiace!».

«Tranquillo amico! Fidati del grande Sakuragi, una buona volta! Ahaha!».

Arimi guardò il rosso con un’espressione di puro divertimento. Quel ragazzo era una forza della natura!

«E per te?», chiese Sana, guardandola.

«Oh, per me va bene un succo d’ananas, grazie».

Quando Sana se ne andò a portare le ordinazioni, Nobunaga lanciò un’occhiataccia all’altra Scimmia presente. «Secondo cosa hai ordinato, ti spello vivo. Non mi fido delle porcherie che mangi».

«Nobu-chan, tranquillo», fece Hime, prendendogli la mano. «Qui dentro c’è tutto tranne che porcherie».

«È carino qui», commentò Arimi, guardandosi intorno.

«Già, fa molto Far West», annuì il fratello.

«Guarda, Nobu-Scimmia, ho giusto portato una pistola per farti vedere cosa succedeva in questi bar».

«Ma se hai la precisione di un cecchino a cui hanno strappato gli occhi!», ribatté l’altro. «Non riusciresti a colpirmi neanche se fossi a due passi da te».

«Scommetti?».

«Ahaha! Due scimmie da Far West!», si sbellicarono quei quattro dementi dell’Armata, mentre le due Scimmie in questione si vendicavano a suon di insulti e testate.

«Ecco a voi tre fette di torte con panna e cioccolato, due mousse di fragole, un succo all’ananas e due cioccolate con caffé e smarties.», fece Sana, da brava equilibrista che teneva tutto il vassoio in una mano.

«Ma tu lavori anche al circo?», le chiese Noma, che già si stava ingozzando come un maiale.

Lei ridacchiò, facendo spallucce. «No, ma se voglio lavorare mi tocca!».

«Che cara ragazza che sei!», cinguettò Hime, stritolandola per bene, mentre quella arrossiva, imbarazzata.

Appena Sana corse a prendere nuove ordinazioni, Nobunaga guardò con la bava alla bocca il ben di dio che aveva sotto gli occhi. «Sakuragi, credo che ti darò un bacio».

Per poco Hanamichi non sputò il suo dolce in faccia alla sorella, seduta davanti a lui. «Puoi anche risparmiartele certe cose, Scimmia!».

«Anche perché Hanamichi è ufficialmente impegnato con Ede», buttò seriamente Hime, che questa volta fece andare veramente di traverso il cibo non solo al fratello, ma a tutti, tranne la piccola Arimi che non sapeva a cosa si stesse riferendo.

«Hicchaaan! Ma sei impazzita?!», sbraitò come una vecchietta il rossino, facendola diventare bionda in sol un colpo.

«Hime, sei grande!», esclamarono in coro i quattro dell’Armata, con le lacrime agli occhi, mentre Nobunaga stava ancora tossendo per le troppe risate.

«Ma l’hai detto tu», fece innocentemente lei, sbattendo velocemente le palpebre per intenerire il gemello.

«Io non ho detto niente! Siete voi i depravati!».

«Ehi, Scimmia Rossa, cos’è questa storia?», chiese Kiyota, ridendo come non mai.

«Oh, avresti dovuto vedere la scena», fece Takamiya, mentre Hanamichi al suo fianco ribolliva come un calderone.

«È stato così romantico», disse sognante il biondino, coprendosi le guance con le mani e facendo ridere tutti.

«Se Kaede vi sentisse vi disintegrerebbe con uno sguardo», commentò divertita Hime, schioccando un sonoro bacio al fratello, livido di rabbia.

«No, ruffiana! È colpa tua se questi dementi ora mi stanno sfottendo!». Hanamichi si ritrasse, incrociando le braccia imbronciato. «E conoscendoli andranno avanti così per un mese».

Arimi, che faceva scivolare lo sguardo da una persona all’altra, chiese timidamente: «Ma scusate, che male c’è a essere innamorati?».

Il silenzio cadde improvviso, quasi surreale. I ragazzi, tutti, la guardarono intensamente negli occhi, cercando di non scoppiare a ridere, mentre lei rispondeva a quelle occhiate con decisione e fermezza.

«Voglio dire, se lui lo ama non vedo il perché dobbiate prenderlo in giro», continuò la ragazza, sorridendo a Hanamichi con fare confortante.

Fu in quel momento che nessuno riuscì a resistere più e le risate scoppiarono più forti di prima. Oh, beata innocenza!

«A-Arimi, tu non… non… Kami, non riesco!», cercò di dire Hime, piegata sul tavolo e presa dalle convulsioni. Gli altri erano, ovviamente, partiti peggio di lei.

Hanamichi, d’altro canto, continuava a guardarla come un ebete e ci mancò poco che si mettesse a piangere. Era proprio sorella della Scimmia, non aveva altro da dire!

«Arimi, ecco…» Hime cercò di riprendersi, anche se con scarsi risultati. «Hanamichi odia questo ragazzo».

«Ecco, lo odio, capito?!», ripeté con enfasi Sakuragi, mentre gli altri continuavano a singhiozzare.

«O almeno lui dice di odiarlo, in realtà credo che gli voglia un bene dell’anima».

«Non è assolutamente vero!».

«È tutto nato da un’incomprensione, Hanamichi non è innamorato di Rukawa», continuò Hime, sorridendo. «Per lo meno, non me ne ha mai fatto cenno, ma se anche fosse che problemi ci sono?».

«Hicchaaan!», tuonò il ragazzo. «Stai mettendo in discussione la mia virilità?!».

Oh, se solo Ryota e Hisashi fossero stati con loro!

 

 

 

 

Continua...

 

 

 

* * *

 

Ma salve, gente!

Compaiono altri nuovi personaggi, e non finiscono qui! Spero che non siano né troppi né "fuori tema" con l'ambiente... Piano piano scoprirete tutto su di loro. ;)

Ah, son così felice... Neanche una settimana e già un centinaio di letture! Grazie! *_*

Un grazie in particolare a:

lilli84: carissima! *_* Che piacere rileggerti! Però non morire dal primo capitolo, la strada per la fine è ancora mooolto lunga! :D Grazie mille per averla aggiunta tra le preferite!

oOo14_YukA_14oOo: oh, salve! Ma che tempismo perfetto, rileggi Wild Boys e io pubblico il seguito, ahaha! :D Come vedi la Nobu-Scimmia è ricomparsa proprio in questo capitolo, spero ti sia piaciuto! ;) Anche io adoro Mitsui! Anche se amo incondizionatamente Sendoh e Rukawa! <3 Grazie mille, anche per averla aggiunta ai preferiti! :)

kuro: carissimaaa! E' bello rileggere anche te! *o* Grazie mille, gentile come sempre! E grazie per il preferito! Ahaha quel branco di idioti... Quando ci si mettono d'impegno lo sono veramente! :P

E grazie anche a moirainesedai per averla aggiunta tra le storie seguite!

Ci si legge al prossimo capitolo! ;)

Marta.

 

 

 

 

 

   
 
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