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La bambina dai lunghi capelli ramati, un vestitino
color panna ornato
di pizzo e un peluche a forma di coniglietto stretto in una mano, era
ben consapevole
di essere in procinto di fare qualcosa di assolutamente proibito.
Suo padre le aveva ripetuto più volte di
non entrare in quello che era
il suo studio, per via di ragioni che la sua giovane mente non riusciva
ancora
a comprendere. Dopotutto non aveva nessun motivo di andare nelle stanze
dei
grandi – tutti i suoi balocchi erano in camera sua.
Ma a sei anni la curiosità è
troppo forte per poterle resistere…
Per l’ultima volta si guardò
intorno, controllando che il corridoio
fosse deserto. Perfetto, non c’era nessun’altra
anima viva oltre lei. Con un
sorrisetto furbo a dipingerle le labbra a forma di cuore, la bambina si
sollevò
sulle punte dei piedi e si aggrappò alla maniglia di bronzo
della porta,
tirandola verso il basso e osservandola emozionata mentre si apriva.
Strinse forte il peluche al petto e, senza
attendere oltre, corse
dentro lo studio.
La porta si richiuse alle sue spalle, ma ormai non
le importava.
Aveva l’impressione di trovarsi nel Paese
delle Meraviglie, malgrado
non conoscesse la maggior pare degli oggetti che si trovavano al suo
interno. Qualcuno
tuttavia lo riconobbe, e si avvicinò tutta compiaciuta per
osservarli meglio da
vicino.
Ecco, quello era un mappamondo – la mamma
le aveva spiegato che
serviva per trovare un luogo preciso sulla Terra, e tutto semplicemente
facendolo ruotare. In questo modo, anche se lei non era mai uscita da
casa sua,
aveva visitato quasi mezzo mondo semplicemente guardando su un globo di
legno!
Divertita lo toccò con la mano e gli
diede un leggero colpetto,
osservandolo mentre roteava velocemente davanti ai suoi occhi
luccicanti.
Si stancò ben presto di quel balocco e
si allontanò, andando alla
ricerca di altri gingilli simili.
Un’intera parete era occupata da libri,
montagne di libri –
addirittura più di quelli che aveva nella sua cameretta, che
ingiustizia! Ma le
rilegature, grosse e dai colori cupi e minacciosi, la fecero ben
guardare dall’avvicinarsi:
di certo non si trattava di nulla di interessante.
In un angolo vi era un camino acceso, immenso,
così alto che avrebbe
potuto contenere senza sforzo una persona adulta in piedi! Lo
osservò ammirata,
infastidita nell’averlo trovato acceso – se fosse
stato spento, le sarebbe
piaciuto entrarci. Pazienza.
Ma le cose davvero importanti si trovavano,
ovviamente, sopra la
scrivania del suo papà.
Salterellando la raggiunse, ma si accorse di essere
troppo bassa per
poter vedere quello che vi era sopra. Abbandonò allora, con
un vago senso di
colpa, il suo pupazzetto, lasciandolo per terra e cercando di
arrampicarsi sopra
la poltrona in pelle dello scrittoio. Ansimò – era
davvero molto alta! – ma alla
fine fu sopra. Sorridendo si inginocchiò e si appese sul
bordo della scrivania,
osservando i tesori che essa custodiva.
Oh, non aveva mai visto simili oggetti. Erano
lunghi pezzi di metallo
che brillavano alla luce del fuoco, producendo dei bellissimi
arcobaleni di
luce contro la parete. Sulla sommità c’era
dell’oro e, come ultimo ornamento,
delle pietre preziose incastonate. Sembravano coltelli – come
quelli che usava
per mangiare – ma erano molto più grandi e oh,
più pesanti!
Allungò una mano e, curiosa, ne prese
uno, cercando di trascinarlo –
visto che non lo poteva sollevare – verso di sé.
Le sue dita incoscienti sfiorarono
però il filo della lama e la piccola, con un gemito di
dolore, la lasciò subito
andare.
Sollevò la mano davanti agli occhi e
vide, tra il velo delle lacrime,
che sanguinava.
E adesso come l’avrebbe detto a suo
padre? Aveva sporcato i suoi
tesori con il suo sangue!
Improvvisamente la porta si aprì e la
piccola, prima ancora di vedere
chi potesse essere, saltò giù dalla poltrona e si
nascose sotto la scrivania,
rimpiangendo di aver abbandonato il suo peluche chissà dove,
proprio ora che ne
aveva bisogno.
Sentì dei passi lenti, cadenzati, venire
verso di lei, attutiti dal
tappeto che ricopriva tutto il pavimento. Strinse forte gli occhi e si
morse le
labbra, cercando di non piagnucolare per evitare di essere scoperta, e
tutto ad
un tratto il rumore di passi cessò.
«Yuuki?» Una voce, ben nota, la
stava chiamando. «So che sei lì
dietro, Yuuki… Esci, da brava.»
Trattenendo a stento le lacrime che minacciavano di
scorrerle lungo le
guance, la piccola Yuuki uscì gattoni da sotto la scrivania,
stando ben attenta
a non poggiare la mano ferita per terra un po’ per evitare di
macchiare il prezioso
tappeto di sangue e un po’ per ridurre il dolore. Si mise in
piedi,
spolverandosi il vestitino con la mano sana, e attese con il capo chino
una
bella sgridata da parte del suo caro fratello maggiore.
Sapeva di aver disubbidito, e non aveva intenzione
di nascondersi
oltre. In fondo se lo meritava.
Tuttavia, le parole di onii-sama
furono molto differenti da quelle che Yuuki si aspettava.
«Ti sei fatta male, piccola
Yuuki…?» Domandò con estrema dolcezza,
avvicinandosi a lei.
La bambina sollevò il viso sul fratello,
sorpresa. «Onii-sama…»
Mormorò, con un singhiozzo.
Il ragazzo, un giovane sui tredici anni, molto alto
e maturo per la
sua età e con uno sguardo colmo di tenero affetto nei
confronti della sorellina
minore, si inginocchiò di fronte a lei, prendendole la mano
ferita tra le sue.
«È per questo motivo che
otou-sama non voleva che entrassi qui.»
Spiegò pacato, guardandola dritto negli occhi.
«Eppure tu hai disubbidito…»
«Mi dispiace, onii-sama.»
Sussurrò la piccola, distogliendo lo
sguardo.
Inaspettatamente, poi, il ragazzo
sollevò la sua mano ferita e se la
portò alle labbra, dischiudendole e leccandole gentilmente
il sangue che ancora
non aveva smesso di scorrere. Yuuki sgranò gli occhi,
stupita, senza osare dire
una sola parola, ma ciò che più di tutto la
lasciava basita era che il dolore
del taglio profondo iniziava a diminuire man mano che suo fratello ne
sorbiva
lentamente il sangue.
Dopo un tempo che le parve infinito il ragazzo
cessò di leccare,
osservando vagamente compiaciuto la ferita che si era ormai rimarginata.
«Ecco,» disse, mostrandole la
mano tornata sana. «Ti fa ancora male?»
Yuuki scosse piano la testa, nascondendo la mano
dietro la schiena. «No,
Kaname-sama. Grazie.»
Il ragazzo accennò un sorriso,
accarezzandole teneramente i capelli;
poi le porse il peluche e si alzò, porgendole la sua mano
dalle dita lunghe e
affusolate. «Andiamo ora, Yuuki.»
La bambina esitò prima di stringergli la
mano, ma poi osò domandargli:
«Lo dirai a otou-sama?»
Kaname fece un cenno di diniego con il capo,
sorridendole. «No, sarà
il nostro piccolo segreto. Ma tu devi promettermi che la prossima volta
farai
la brava e non gli disubbidirai più. Va bene?»
Infine sollevata, Yuuki annuì.
«Certo, onii-sama! Farò la brava.»
Il ragazzo annuì, dopodichè
condusse la sorellina trotterellante fuori
dallo studio proibito del padre.
Aveva ancora il sapore del suo sangue sulla
lingua…
Era la prima volta che lo assaggiava, eppure, si disse, non sarebbe mai riuscito a scordarlo.