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Autore: Naco    16/05/2010    4 recensioni
Qualche tempo fa, Giangi, il mio gatto, scomparve.
No, non intendo dire che finì sotto una macchina e passò a miglior vita; semplicemente, sparì, si volatilizzò, non si fece più vedere. Così, di punto in bianco.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GIANGI

Qualche tempo fa, Giangi, il mio gatto, scomparve.
No, non intendo dire che finì sotto una macchina e passò a miglior vita; semplicemente, sparì, si volatilizzò, non si fece più vedere. Così, di punto in bianco.
Per un po’ pensai fosse andato a farsi un giro nelle campagne poco distanti da casa mia: erano sempre state piene di topi e io gli avevo sempre permesso di andare dove volesse, per quanto tempo desiderasse: non sono mai stato un padrone opprimente, io, e per questo avevo fatto costruire per lui una porticina, in cucina, dalla quale poteva entrare ed uscire a proprio piacimento.
Quando però notai che per l’ora in cui lui era solito cenare non si faceva ancora vedere, iniziai a pensare che potesse essergli accaduto qualcosa: in una zona come quella, era più che normale sentire notizie di animali investiti da automobilisti incoscienti, che se ne fregavano bellamente di rallentare, nonostante più di un cartello indicasse la presenza di animali domestici.
Che idioti.
Comunque sia, Giangi non si fece vedere né quel giorno, né nelle giornate successive e io mi convinsi che forse si trovava davvero morto stecchito da qualche parte là fuori o, più semplicemente, qualcuno l’avesse visto, avesse avuto pietà di lui, o l’avesse considerato un micio randagio, dato che non gli avevo mai messo un collare che lo identificasse, e l’avesse portato via con sé.
Non che io sia stato un padrone così incosciente da non aver mai tentato di mettergliene uno, magari un campanellino o qualsiasi cosa che lo distinguesse dai randagi della zona, eh; ma Giangi era sempre scappato a zampe levate ogni volta che gli avevo presentato qualcosa di simile, quindi avevo compreso che, se non gli andava, non l’avrei di certo costretto: come ho già detto, non ero mai stato un padrone troppo oppressivo; del resto, io ho sempre considerato la mia libertà come un diritto sacro e inviolabile – infatti era anche il motivo per cui non mi ero mai sposato e avevo lasciato la mia ultima fidanzata quando aveva iniziato a domandarmi perché continuassi a lavorare in quell’ufficio, circondato da donne molto più giovani e carine di lei – quindi non vedo il motivo per cui per il mio gatto dovessi fare un’eccezione. Inoltre, nella zona in cui vivo io, tutti sapevano che Giangi era il mio gatto, quindi, se gli fosse accaduto qualcosa nelle immediate vicinanze, l’avrei saputo subito. Ecco un altro motivo che mi spingeva a credere più a una fuga volontaria o al cambiamento di padrone, che alla morte per colpa di qualche automobilista.
Nonostante tutto, Giangi era anche un gatto particolarmente tranquillo: non aveva mai litigato con gli altri felini del quartiere, accettava regali dagli sconosciuti, ricordandosi di degnarli di un’occhiata solo dopo aver ricevuto il dono bramato; per la serie: puoi anche svaligiare questa casa, per quanto me ne freghi, basta che mi lasci qualcosina.
Il che, detto tra noi, è un po’ stressante, ma avrei preferito diecimila volta rimanere da solo in questo Mondo con lui, piuttosto che con qualsiasi altro essere umano, e ‘fanculo la prosecuzione della specie.
Fu forse proprio questo il motivo per cui, all’inizio, non mi ero neanche accorto della sua scomparsa.
Vi potrà sembrare strano, ma, per quanto curassi e avessi in una certa considerazione il mio gatto, il fatto che mi avesse lasciato solo non mi scompose più di tanto, ma presi il suo allontanamento come un qualcosa che, semplicemente, succede. Avete presente quando un oggetto che usate sempre, a cui pensate di tenere tanto, si rompe o lo perdete e vi rendete conto che, dai, in fondo non era così importante come credevate e che potete farne benissimo a meno?
Ecco, è un po’ quello che successe a me quei giorni.
Probabilmente – anzi, sicuramente: lo farei anche io al posto vostro, se non fossi fatto così – starete pensando che sono una persona meschina, stronza e senza cuore, che paragona un essere vivente a un oggetto inanimato come tanti altri. Beh, non preoccupatevi: me lo fece notare anche la mia ex-ragazza di cui sopra – presente? Quella dell’ufficio pieno di donne – quando le spiegai che non provavo più gli stessi sentimenti per lei, proprio pochi giorni prima della scomparsa del mio gatto.
“Ho capito, Alberto.” Mi bloccò lei “Non c’è bisogno che continui. Per la verità, sapevo che tra noi non sarebbe mai durata. Mi chiedo se almeno il giorno in cui morirà il tuo gatto piangerai. Anzi, mi chiedo se almeno di lui, che vive con te, ti importi davvero qualcosa.”
Oh beh: visto che Giangi era scomparso da vari giorni e io non avevo ancora versato alcuna lacrima, né ero corso disperato a chiedere informazioni su che fine potesse aver fatto o se qualcuno l’avesse visto, forse non aveva proprio tutti i torti.
Comunque, per quanto la scomparsa di Giangi non mi avesse sconvolto più di tanto, le abitudini nate durante la nostra convivenza erano dure a morire, così quella sera, distratto com’ero dal lavoro che mi stava assorbendo completamente anche a casa, mi trovai inconsciamente a cercare la scodella nella quale solevo preparare il suo pasto.
Mi resi conto di quello che stavo facendo soltanto quando il suono insistente del campanello mi riscosse e mi trovai a fissare incerto la scatola dei croccantini che avevo ancora in mano, chiedendomi che diavolo stessi facendo e soprattutto perché; poi, notando che il suono del citofono si era fatto più insistente, corsi a vedere chi diavolo fosse a quell’ora.
Si trattava di Gustavo, il mio collega con il quale ero d’accordo di vederci a casa mia, proprio per cercare di far quadrare quei conti che proprio non tornavano e che mi stavano dando tanto da pensare.
“Ehi, che diavolo stavi facendo? Stavo per andarmene!” mi apostrofò quando finalmente aprii la porta; avessi saputo che sarebbe stato così scontroso, avrei fatto davvero finta di non esserci.
“Stavo preparando la cena per il mio gatto” stavo per replicare, ma per fortuna mi trattenni appena in tempo: sapeva perfettamente che Giangi era scomparso da qualche giorno, quindi, o mi avrebbe preso per uno stupido sentimentale, oppure mi avrebbe bombardato di domande sul suo ritrovamento, portandomi a mentire; e siccome ero stremato e nervoso, dubito che sarei riuscito a non farmi scoprire, finendo per fare una figura anche peggiore. Così ”Ero al cesso.” fu invece la mia laconica – e, devo ammetterlo, volutamente acida – risposta; mi compiacqui nel vederlo arrossire e toccarsi la testa imbarazzato.
Nonostante queste pessime premesse, lavorammo senza sosta fino a mezzanotte, troppo presi dalla nostra attività per renderci conto dell’orario. E infatti ci accorgemmo di quanto fosse tardi solo quando sentimmo le campane della chiesa vicina battere i dodici rintocchi.
“Accidenti com’è tardi!” Gustavo balzò in piedi e per poco non fece cadere a terra tutti i fogli che erano sul tavolino.
“La mogliettina si preoccupa? O pensa che vai a donne, se non torni presto?” lo punzecchiai. Ecco i vantaggi della vita da single: nessuno a cui rendere conto delle tue azioni e dei tuoi orari.
“Macché, sa benissimo che sarei venuto qui da te. Le avevo promesso di tornare quanto prima per badare alla piccola, in modo da farla riposare un po’, poveretta.”
Ridacchiai al pensiero che io non dovevo neanche preoccuparmi di un poppante piagnucolone.
“Sì, si, prendimi in giro tu, ma ricordati che tra qualche anno sarò io a ridere di te!”
“Ne dubito, guarda!”
“Povero Giangi! Sfido che se ne è andato, con un padrone come te! Secondo me è qui nelle vicinanze per vedere se almeno un po’ gli manchi! Povera bestia, che delusione sarà per lui!” continuò a lamentarsi scuotendo la testa rassegnato.
Evitai di rispondergli che forse dimenticava che Giangi era un gatto e non una fidanzata gelosa e che la piantasse con queste scenette da tragedia greca, che non avrebbero convinto neanche il suo pargoletto; tuttavia, quando accompagnai Gustavo alla porta potrei giurare di aver visto un guizzo scuro tra i cespugli del giardino. Quando mi voltai per controllare, però, non vidi niente di strano.
Da quello strano evento passarono altri due giorni durante i quali continuai ad intravedere più di una volta un’ombra aggirarsi furtiva nel mio giardino; tuttavia, tutte le volte che provavo a verificare, risultava che tutto era a posto.
Non ero mai stato una persona facilmente impressionabile – figuriamoci poi se a causa dalle parole di uno come Gustavo - , quindi immediatamente pensai che dovesse trattarsi per forza di qualcos’altro molto più serio, magari di qualche ladro che studiava i miei movimenti e la disposizione della mia casa per poter colpire più facilmente quando meno me lo sarei aspettato; non che nella mia abitazione ci fosse qualcosa di vagamente appetibile per un ladro, tali da giustificare tutte queste ricerche, poi. A pensarci bene, comunque, non poteva trattarsi di un malvivente o di una bravata di qualche ragazzino, perché non era minimamente possibile che un essere umano normale fosse in grado di scomparire con una tale velocità. Per un attimo pensai persino che potesse trattarsi di qualche scherzo cretino dello stesso Gustavo, magari per dimostrarmi che aveva ragione; tuttavia, mi resi conto che quell’idea era semplicemente folle per lo stesso motivo per cui avevo già escluso il ladro e i bricconcelli del quartiere.
Doveva trattarsi sicuramente di qualche topo di campagna, decisi alla fine, meditando già su quale tipo di trappola avrei dovuto comprare per liberarmi al più presto di quella fastidiosa presenza – e soprattutto per dimostrare a me stesso che avevo ragione, e che non c’era nessun gatto fantasma a spiare le mie mosse.
Quando finalmente mi convinsi che, sì, quella era sicuramente la soluzione giusta per tutto quel mistero, mi accorsi che, senza rendermene conto, ero finito in cucina e avevo una mano protesa verso lo scaffale che conteneva la confezione di cibo per gatti ancora aperta di Giangi.
Ancora una volta.
Scossi la testa con violenza e, nell’attimo in cui il mio sguardo incrociò il davanzale della finestra, notai nuovamente quell’ombra che attraversava il giardino.
Lanciai un’altra occhiata alla mia mano protesa, per poi risposarla sulla finestra; un secondo dopo, guardai nuovamente lo scaffale e poi, ancora, il buio fuori.
E, alla fine, mi decisi.
Aprii lo sportello, presi la confezione e la ciotola di Giangi e gli preparai la cena.
“Eccotela qui. Contento?!” esclamai stizzito al silenzio della stanza e, incazzato con me stesso per aver ceduto in quel modo a una cosa così palesemente cretina, di cui la mattina dopo sicuramente mi sarei vergognato da morire, e maledicendo Gustavo e le sue scemenze, me ne andai dritto nel mio letto.

Quando la mattina dopo mi alzai e mi recai in cucina, Giangi era lì, davanti alla ciotola che avevo preparato per lui la sera prima, in quel momento di pura follia.
Nell’istante in cui varcai la soglia della stanza, alzò il muso dal suo pasto e i suoi occhi felini mi fissarono severi.
“Beh, che vuoi?” mi trovai a domandargli.
“Hai visto che alla fine ho vinto io e ti sono mancato?” sembrava volesse dirmi il suo sguardo verde e strafottente. E, a riprova, sollevò le spalle feline e ritornò alla sua colazione come se non fossi più degno della sua attenzione.
Alzai le spalle anche io e me ne andai. Non gli avrei mai dato la soddisfazione di dirgli che, sì, mi aveva sconfitto su tutta la linea.
Mi era mancato ed ero contento che fosse finalmente tornato a casa.


FINE


Note dell’autrice
Questa storia fu pensata per la Criticombola di Criticoni, prompt numero 36, gen; tuttavia, non sono riuscita a finirla in tempo per varie ragioni.
Nel caso me lo chiediate: no, non ho, e non ho mai avuto un gatto. Veramente neanche un cane o simili. Quindi non chiedetemi da dove mi sia venuta in mente questa storia, perché non lo so, davvero. XD Forse tutto dipende dal fatto che sono circondata da persone che hanno gatti o cani in giro per casa, che, in un certo senso, mi hanno messo questa strana idea in testa. Anche il fatto che non ho identificato Giangi con una razza precisa dipende da questo: chiunque ami i gatti, può pensare a quello che preferisce. Nel caso vi interessi, nella mia testa c’è un bel gatto nero come questo, perché nel giardino di casa mia ogni tanto ne spunta uno e perché una mia amica ne ha uno molto simile, che è troppo puccioso! *_*
Ah, per il nome del gatto si ringrazia Maki, anche se lei in realtà non c’entra niente. XD E’ solo che mi pareva carino dargli quel nome piuttosto che qualche altro. XD
   
 
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