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Autore: IreKey    16/05/2010    3 recensioni
E alla fine sarò da te e ti porterò con me. Tu ed io scapperemo dal mondo. E' una promessa...Splenderemo, lontano da qui, attraverso spazio e tempo. Sulla via che mi porta da te le stelle cadono all'orizzonte.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Era un tumore.
Così le avevano detto, a tavola, mentre tutti sorridenti mangiavano. Quelle parole entrarono nella sua mente come un treno, rumorose sui binari, per poi andare contro le pareti del suo cervello, spiattelandoglielo in tutto il cranio. Era rimasta shoccata. Gli occhi spalancati che si riempivano di lacrime, la bocca serrata e i denti che scrichiolavano dalla tensione, bloccati in una morsa d'acciaio.
Tutto aveva preso a girare, mentre sua madre cercava di rassicurarla, dicendole che non era nulla di grave, che la gente guariva spesso da quei tumori; ma non si rassicurò. Si sentiva impotente, inutile. Lui, che amava così tanto, probabilmente aveva i giorni contati dalla clessidra del destino. Il tempo passava senza che lei nemmeno se ne accorgesse e con il tempo, anche gli ultimi momenti che loro avrebbero potuto passare insieme.
Come era solita fare nei momenti in cui desiderava solamente stare da sola, andò nella sua camera, si stese sul letto e affondò la testa nel cuscino che iniziò a bagnarsi dell'acqua salata delle sue lacrime, che cominciarono a sciovolare leggere dai suoi occhi. Non voleva pensarci, ma era inevitabile.
Lui. Il suo viso iniziò a popolarle la mente.
Lui che sempre l'aveva sostenuta, amata e coccolata. I ricordi di tutta la sua vita con lui passarono in rassegna nella sua testa: quando la faceva addormentare tra sue braccia, in quella grossa sala, che risuonava della voce di un giovane Freddie Mercury, o quando al mare la faceva giocare con l'acqua, per poi lasciarla sul bagnasciuga a giocare con le conchiglie che poi avrebbe portato a sua madre.
Nulla, pensava, avrebbe mai potuto separarli, fino a quel momento.
I loro rapporti peggiorarono di molto, nei mesi successivi a quella scoperta. Non voleva più guardarlo negli occhi: la distruggeva. Era troppo doloroso pensare che forse non lo avrebbe mai più visto quello sguardo. Il suo stesso sguardo. Si distaccò da lui, forse perchè così sarebbe riuscita a lasciarlo andare, quando se ne sarebbe andato. Il dolore della sconfitta non diminuiva. L'unica cosa che voleva in quel momento era andarsene da lì. Andare in un altro paese, in un altro universo. Forse lì sarebbe riuscita a trovare qualcosa che la rendeva felice, che la faceva vivere. Forse lì sarebbe riuscita a trovare qualcuno che non l'avrebbe delusa. Mai.
Quella malattia la stava uccidendo, l'aveva uccisa, uccisa dentro. Le aveva fatto passare le pene dell'inferno, le aveva fatto pensare alla morte e non poche volte. Tutto era diventato come petrolio nel mare, come una grande macchia oleosa che impediva ai suoi occhi di guardare oltre e tutte gli organismi che vivevano sotto quella cupola oleosa stavano morendo. Quando lui la guardava negli occhi, con quello sguardo ormai stanco di andare avanti a stenti, tutto il suo piccolo mondo, le crollava pesante sulle spalle, a poco a poco, schiacciandola sotto tutti i macigni. Tutte le lacrime che aveva versato, nel vederlo soffrire così tanto, ma pur sempre portando avanti tutti, come aveva sempre fatto. Come non si sarebbe mai stancato di fare. E quando ne parlava, quando parlava della sua distruzione, lui aveva quella dolce speranza che gli trapelava dagli occhi, come quando ti perdi nei ricordi del passato, gli occhi brillano di quella strana luce, che non capisci se si tratta di speranza o rassegnazione.
Era il giorno del suo compleanno, ma la ragazza aveva deciso di festeggiarlo comunque, sapeva che lui avrebbe voluto così. Quella sera fu ricoverato per l'operazione che il giorno seguente avrebbe dovuto vederlo protagonista. Se prima non ne era certa ora sapeva che quella luce strana era di certo rassegnazione e solo in quell'istante capì che, forse, lo aveva salutato per l'ultima volta. Lo vedeva anche negli occhi della madre che non brillavano nemmeno più. Era a letto, distesa, come lo sono i morti nell'obitorio. Guardava davanti a sè, senza vedere nulla. Non avrebbe più visto nulla...?
Ma contro tutto e tutti, lui tornò a casa vincitore, ma quel dolore non si era placato, al contrario, bruciava ancora di più, come veleno nelle ferite della ragazza, che non facevano altro che ingrandirsi, infettando ogni giorno un organo nuovo. E quell'alone di dolore era rimasto come la macchia di petrolio, sui suoi occhi. Non vedeva più nulla oltre. Tutto ormai si era oscurato.
"Se n'è andato in cielo" così l'avevano svegliata quella mattina soleggiata di Giugno. Sì. Sì, lui era corso in cielo, forse perchè da lì sarebbe riuscito ad aiutarli meglio. Lui che aveva portato avanti tutta la famiglia. Se n'era andato, lasciando tutti in balia di sè stessi. Ancora una volta vide nello sguardo di suo padre quel dolore che la trafiggeva nel profondo dell'anima, lasciandola lì, immobile, sanguinante, come una carcassa nel deserto. Prima o poi gli avvoltoi sarebbero arrivati...
Non capiva che cosa stava succedendo alla sua famiglia, cosa stava succedendo a lei. Non aveva più nulla su cui contare, nemmeno Dio.
Un altro angioletto l'aveva seguito in cielo, successivamente. E tutti, tutti avevano la sensazione di essere più soli, come se mancasse qualcuno, ne sentivano davvero la mancanza.
Quella macchia scura, che il destino stava disegnando su di lei, passo passo, si ingrandiva fino a ricoprirle l'occhio intero, invece della singola pupilla e sentirsi l'acqua alla gola non le lasciava via d'uscita. Era come dentro una camicia di forza, ma aveva smesso di ribellarsi, perchè sapeva che non sarebbe più servito a nulla.

Poi, quando la speranza era l'ultima cosa che le restava, ecco, che arrivò la svolta. Tutto cambiò, radicalmente.
Era un sabato pomeriggio e lo zapping alla TV la intratteneva nel suo solito pomeriggio sedentario; arrivata al suo canale di musica preferito, il suono di un elicottero attirò la sua attenzione, portando davvero gli occhi alla televisione, quegli occhi stanchi. Stanchi di tutto.
Una voce iniziò a cantare e tutto si cancellò dalla sua mente, era come se avesse trovato un senso a tutto quello che la circondava. Meraviglioso, perfino il suo dolore per un attimo aveva trovato un senso. Iniziò a suonare nella sua testa, quella melodia, mentre la voce leggiadra di un usignolo si posava su ogni cellula del suo essere entrando fino dentro le ossa, sbriciolandogliele.
Aveva la pelle d'oca.
Quella canzone, quella voce! La conosceva. La conosceva già..
Era simile a come si immaginava la voce di un angelo. Quello era il suo angelo, quello era l'angelo venuto per salvarla.
Ma quell'impatto fu troppo violento, troppo per lei. In un attimo svanì tutto quello che l'aveva fatta sobbalzare dallo stupore. Si chiuse a riccio, come le era avvezzo fare, e lo respinse. Ma non sapeva che ormai era bella che fregata: quella voce non se ne sarebbe più andata, non dal suo cuore, almeno. Ad incantarla erano i quattro sguardi elettrici che la lasciavano incollata alla televisione: uno ghiaccio, uno color della nocciola, uno colore del miele e l'ultimo, l'ultimo di quel "giada" ambrato, della stessa tonalità dolce del precedente. Era come una scossa nelle sue membra.
Troppo invasivo, era stato troppo invasivo come primo approccio.
Non aveva intenzione di farsi mettere i piedi in testa dal primo bel faccino che le passava davanti. Era inutile non affermare che per la prima volta lei sentì che c'era qualcosa di diverso, qualcosa che finalmente, non era arrivato per distruggerla. Aveva paura che fosse una trappola per trascinarla finalmente sotto il pelo dell'acqua e farla soffocare, una volta per tutte. Non si spiegava perchè e nemmeno in che modo ma la sua voce la fece rivivere: aveva iniziato a volare. Per qualche istante aveva capito come si faceva.
Cadde al primo battito d'ali, da sempre soffriva di vertigini. Non fece in tempo a sentir partire il secondo ritornello che l'impulso di scappare da quella situazione fece capolino in lei, prese il telecomando e con un gesto rapido spense la televisione. Tutto era troppo confuso, troppo contrastante.
Poi si decise, in qualche modo assurdo, a lasciar perdere quel pessimismo che la seguiva in ogni suo gesto e si lasciò andare, per la prima volta nella sua vita, nelle braccia di quello sconosciuto, le vertigini non erano un problema, bastava non guardare in basso!

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Per questo primo capitolo voglio ringraziare Avril Lavigne con la sua stupenda "Innocence" che è riuscita a farmi arrivare fino alla fine. E anche ai cracker Pavesi, sempre pronti al lato della mia tastiera nelle estenuanti notti passate a scrivere questo capitolo xD Baci.

Ire.

  
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