And they call it a
miracle [
Fango.
Sangue. I fischi continui
degli spari.
Non c’era nemmeno più una
formazione ordinata. Ormai lo sapevano tutti, che l’unica salvezza
stava nella
ritirata, e che non ci sarebbe stato scampo per nessuno se non fossero
riusciti
ad imbarcarsi su un qualunque mezzo capace di tenere il mare. Qualcuno
restava
a tentare di fermare l’avanzata dei tedeschi, ma il resto delle truppe
rifluiva
disordinato verso la spiaggia, cercando di salvare la pelle, correndo
alla
rinfusa tra i proiettili e le bombe che a momenti alterni cadevano al
suolo.
Arthur tossì forte, cercando di
liberare le vie respiratorie dalla polvere, appoggiandosi pesantemente
al carro
armato abbandonato che costituiva il suo momentaneo riparo. Doveva
pensare, pensare, sgombrare la
mente dal caos
della battaglia e cominciare a far funzionare i neuroni, se voleva
tirarsi
fuori da quel disastro. Dannazione, avevano sottovalutato quei mangiapatate
maledetti, non avevano calcolato che avrebbero potuto essere così forti
da
costringerli a dover abbandonare il suolo francese fino a ripiegare
sulla linea
del confine. E ora era bloccato in quella striscia di terra con
frammenti di
due eserciti in preda al panico, con Germania che lo incalzava senza
tregua, poche
navi a disposizione e un fucile inceppato in mano. In più, quella
maledetta
rana francese era sparita dalla sua vista, dopo il primo assalto, e non
sapeva
dove diamine fosse finita.
Doveva pensare, e anche in
fretta.
Una raffica di proiettili
sventagliò a pochi metri di distanza, falcidiando un paio di soldati
che
correvano a cercare una protezione dietro cui nascondersi: i due
caddero a
terra con un grido strozzato, quasi soffocato dal fragore dei
bombardamenti, ed
Arthur non poté esimersi di fissare, quasi affascinato, la vita che li
abbandonava, rovesciando gli occhi vuoti all’indietro, nelle orbite
infossate
sotto l’elmetto. Pareva quasi magnetico, quello spettacolo di
distruzione. Era
incredibile quanto poco bastasse ad uccidere un uomo, spezzando per
sempre la
sua vita… dopo quasi due millenni di battaglie, ancora gli risultava
impossibile credere che fosse così facile trasformarsi in un assassino
e non
provare assolutamente nulla
nell’esserlo.
Una nuova esplosione, nuova terra
proiettata in aria, e Inghilterra si riscosse, ricordandosi che aveva
ancora la
responsabilità di un’armata sulle spalle, nonché la ricerca di un
dannato
francese da effettuare. Prese un bel respiro, poi corse verso i due
corpi senza
vita, tuffandosi a terra al primo accenno di fuoco nemico. Cadde a poca
distanza dal corpo insanguinato di uno dei due soldati, un ragazzino
che
dimostrava poco più di vent’anni e che pareva troppo piccolo per stare
in
quella divisa militare sdrucita e sporca. Un ragazzetto dagli occhi
verdi privi
di luce e vita, dai capelli biondi luridi di sangue e fanghiglia, la
bocca
spalancata in una muta protesta.
Dio, gli somigliava.
Cerco di non pensarci. Afferrò il
fucile che il poveretto stringeva ancora tra le mani, glielo strappò
via con
decisione e lo strinse al petto, rotolando nella terra secca per
nascondersi
dietro un arbusto di sterpaglie poco lontano. Respirò a fondo.
Doveva andarsene.
Non poteva morire lì, non dopo
essere scampato a una vita lunga secoli e a centinaia di altre
battaglie –Bannockburn,
Azincourt, Poitiers, Bosworth Field, Saratoga, Trafalgar, Waterloo,
Verdun,
Perdipiù aveva anche un francese
da ritrovare, per San Giorgio!
Per tanto, riempiendosi la mente
esclusivamente del solo imperativo di correre, scattò barcollando in
piedi e
scese di gran carriera la collinetta, ignorando le salve di piombo che
cadevano
al suolo, cercando di dirigersi verso la spiaggia, guidato dalle grida
di un
battaglione di soldati, finché non trovò malauguratamente una buca nel
suolo
che lo mandò lungo e disteso per terra.
Perse l’elmetto.
Perfetto, anche la sfortuna ci si
metteva. Come se dover ripiegare in fretta e furia, con scarsa
osservanza delle
prassi e con la coda tra le gambe non fosse sufficiente. Ma quando
sarebbe
arrivato a casa l’avrebbero sentito, quei pomposi generali, loro e la
loro
fantastica strategia! Non prima di aver redarguito più francesi
possibili per
la loro stupidità sovraumana, lasciare un confine intero sguarnito, ma
quando…
-Angleterre?-
Come punto da una vespa, Arthur
scattò immediatamente in piedi, rischiando d’inciampare di nuovo, e
abbrancò
con forza l’interlocutore per le spalle, agitandolo sul posto, a tal
punto che
quello parve quasi spaventato dalla reazione inaspettata.
-Damned frog!- strillò, mentre il
sollievo per averlo finalmente
sottomano rischiava seriamente di farlo soffocare –Si può sapere dove
ti eri
cacciato? Dobbiamo andarcene di qui, subito!-
Francis sobbalzò, cercando
all’istante di sottrarsi alla presa per tornare a combattere al fianco
dei suoi
uomini: -Non posso, devo restare! Se ce ne andiamo, ci trucideranno,
non posso
permetterlo!-
Quasi in risposta, colto dal
panico, Arthur lo strinse più forte, costringendolo a fermarsi e
urlando per
sovrastare il tuonare dei cannoni in avvicinamento.
-Cosa vuoi fare, idiota? Moriremo
tutti sul serio, se restiamo! Dobbiamo andarcene!-
Ma invece di starlo a sentire,
Francis si svincolò, gettandosi il fucile ad armacollo e allontanandosi
di un
passo, fissandolo come turbato. Inghilterra, in quel momento, desiderò
come non
mai potergli leggere nella mente, pur di sapere cosa stava passando in
quella
maledetta capoccia. Ma non capiva che non c’erano soluzioni? Non capiva
che non
potevano fare altro? Non capiva che…
Una bomba esplose a pochi metri
di distanza, proiettando una nube di terra e detriti nell’aria, come un
enorme
fiore che si apriva sbocciando gigantesco dal terreno; l’onda d’urto li
fece
barcollare uno addosso all’altro, tanto che ad Arthur cedette una
gamba, e
interruppe bruscamente la conversazione, assordando entrambi per degli
istanti
lunghi secoli.
Dio, era un delirio.
Inghilterra tentò di muoversi,
saggiando la resistenza dei propri arti, e scosse con una gomitata il
francese,
rimasto immobile e ammutolito a fissare lo scempio da poco formato. A
valle,
verso la linea del mare, qualcuno urlò.
-Colonel! Colonel Kirkland!-
Arthur non riuscì nemmeno a
pensare, a quello che stava facendo. Anche in seguito, quando la sua
mente
tornò a rivivere straziata quei momenti, si era reso conto che non
c’era stato
un impulso razionale in tutto quello: aveva solamente agito d’istinto,
come
rispondendo a quel richiamo.
Prima ancora che riuscisse a dire
qualcosa, le sue gambe si erano mosse da sole. Prima ancora di fare un
passo
completo, le dita della mano sinistra afferrarono quel che trovarono a
portata
di mano di Francia –un braccio, un lembo di divisa, una mano, che
importava- e
quelle della destra si serrarono con forza attorno al fucile. Prima che
Francis
potesse dire qualcosa, Inghilterra iniziò a correre.
Non capiva nemmeno cosa stava
facendo. Caracollava malamente, diretto alla battigia, trascinandosi
dietro l’altro
ben più recalcitrante, e continuava a correre, a correre, a correre, la
bandoliera che sbatteva contro i polpacci, la divisa che gli stringeva
il
collo, la giacca lurida di fango che schizzava dagli scarponi. A un
certo punto
doveva anche essersi messo a urlare, perché la sentiva, la sua voce
rimbombargli nelle orecchie, come se fosse appartenuta ad un'altro.
Un grido di rabbia e dolore, un
grido di guerra, un grido disperato.
-Arthur!- Francis lo chiamava,
sì, lo sentiva, ma dove fosse finita la tempra per rispondere non lo
sapeva,
bastava che corressero e arrivassero a quelle dannate barche, evitando
la
morte. Il cielo ormai grigio di fumo, squarciato dal bagliore dei
bombardamenti, la sabbia sotto le suole spesse, il vento tagliente sul
viso, il
sangue –si era ferito, sì? Si era ferito, dannazione- appiccicaticcio
sul
volto.
Riuscì a rallentare solo quando
focalizzò, mettendo a fuoco nonostante il sudore che colava dalla
fronte, un’unità
di artiglieri e un nutrito gruppo di soldati che si stavano imbarcando
alla
bell’e meglio su un paio di barche di fortuna. Una già si stava
allontanando dalla
riva, l’altra era quasi in partenza, quando uno dei militari lo
riconobbe,
agitando con foga un braccio.
-Colonel Kirkland! Here!-
Francis aveva smesso
di fare resistenza pareva
quasi essere più leggero. Arthur lo strinse con più vigore – qualunque
cosa
stesse tenendo tra le mani, gli bastava che ci fosse, se era calda era
meglio,
sì, calda andava benone- e percorse gli ultimi metri, scivolando quasi
lungo l’ultimo
pendio ed evitando per un soffio una selva di proiettili. Gli uomini a
bordo –per
la stragrande maggioranza inglesi, salvo qualche belga- balzarono in
piedi,
tendendo le braccia verso di loro.
Riuscì ad afferrarle, quelle
mani. Riuscì a stringerle, sentirle addosso, mentre tentavano di
issarlo a
bordo. Ma la sua mente non pareva nemmeno interessata, concentrata
invece sul
legame, fisico, che lo teneva unito a Francis.
Francis.
E mentre veniva malamente issato
a bordo, le dita la persero, quella presa, scivolando per via
dell’acqua
salmastra. Urlò, agitandole per tentare di trattenerlo, si voltò di
traverso
arrivando a rischiare di cadere in mare per tornare ad afferrarlo.
Francia avanzava pesantemente
nell’acqua via via più fonda, ancora spinto dalla sua corsa. Un braccio teso, i capelli
appiccicati
al viso, l’espressione stravolta, cercava di raggiungerli. I militari
strillavano qualcosa, ma Arthur non riusciva nemmeno a sentirli, teso,
con
tutto sé stesso, a cercare di afferrarlo, di prenderlo, di raggiungerlo.
Si guardarono negli occhi,
proprio mentre una granata si abbatteva al suolo lì, a neanche un metro.
Arthur avrebbe ricordato per
sempre quell’espressione. Per anni, per decenni, l’immagine devastante
di
quegli occhi azzurri stralunati sarebbe venuta a svegliarlo nel sonno,
tormentando le sue notti e divorandogli l’anima. Anche quando quei
momenti
sarebbero parsi lontani e quasi dimentichi, quando la normalità sarebbe
stata
restaurata, Inghilterra non sarebbe mai riuscito a eludere quel ricordo.
Francis lo guardava. Lo chiamava.
E quegli occhi, quegli occhi di cielo e mare, quegli occhi che amava, quegli occhi lo
stavano scongiurando di aiutarlo.
Poi il mondo esplose in un nugolo
di terra, acqua e sangue, prima che tutto diventasse nero.
L’odore
asettico di medicinali fu
la prima cosa che avvertì, quando aprì gli occhi. C’era troppo sole e
troppa
luce, in quel posto, e contrastava malamente con gli ultimi ricordi che
aveva.
Poi, improvviso e lacerante, ogni
tassello tornò al suo posto, permettendogli di Ricordare.
-Francis!-
-Sta’ buono. C’era chi ti dava
per morto, non voglio dare questa soddisfazione al mondo-
Piano, Arthur mise a fuoco la
stanza in cui si trovava, ritrovandosi a fissare un uomo corpulento
seduto
accanto al letto; ricordava quella fisionomia, per quanto quando era
partito
per il fronte fosse diventato suo boss solo da pochissimo.
-Dove…?-
-In ospedale – rispose quello,
piegandosi leggermente di lato per accendere il sigaro che stringeva
tra i
denti – Sei a Londra, figliolo. Dobbiamo ringraziare il cielo per
averti
portato a casa integro. C’è mancato poco-
-Che è successo…?-
-I tedeschi ci hanno cacciato
fuori dall’Europa, che siano dannati. Adesso sarà difficile, senza quei
maledetti frogeaters a darci una
mano, combattere contro i nazi, ma non ho alcuna intenzione di
dargliela vinta.
Pertanto, hai il divieto assoluto di avvicinarti a meno di tre metri da
un
campo di combattimento. Non ho intenzione di mandare la mia Nazione al
macello-.
Arthur batté le palpebre,
sentendosi parecchio confuso, e fu lì lì per rispondere male –stava
scherzando,
restare in panciolle? Ma quando mai!-, quando un dettaglio catturò la
sua
attenzione, facendogli trovare la forza di porre la domanda che gli
premeva più
di tutte dal suo risveglio.
-Senza… Dov’è Bonnefoy?-
L’uomo si alzò senza fretta in
piedi, appoggiandosi a un bastone laccato poggiato accanto alla sedia.
Trasse
un paio di boccate, soffiando nuvole di fumo caldo, poi si voltò verso
la
porta, incamminandosi.
-
Winston Churchill uscì dalla
stanza, chiudendo con lentezza la porta alle sue spalle prima di
incamminarsi
verso l’uscita. Tuttavia, non poté evitare di udire il grido di
lacerante
dolore emesso dalla nazione rimasta oltre quel battente.
L’Inghilterra era rimasta sola.
Di nuovo.
Informazioni
per
Dunkirk, qui.
Non provate
mai a
cercare di riassumere secoli di storia inglese in una riga: vi
troverete a
dover scegliere tra migliaia di battaglie e a doverne sacrificare
qualcuna. Ho
citato alcune delle più importanti
(Bannockburn
–guerra anglo-scozzese; Azincourt e Poitiers –guerra dei Cent’Anni;
Bosworth
Field –Guerra delle Due Rose; Saratoga –guerra d’Indipendenza
Americana; Trafalgar
e Waterloo -guerre napoleoniche; Verdun e
Ho voluto
provare a
descrivere l’aspetto più tragico della guerra. Spero di essere riuscita
a
raggiungere un risultato accettabile.
Note per il finale: c’è un motivo, se ho messo Arthur in un ospedale, pressoché ferito. Con la ritirata di Dunkirk – o “miracolo”, come spesso viene definito”- gli inglesi persero ingenti numeri di uomini, mezzi e armi. Il loro esercito venne praticamente dimezzato.
C'è Winston, sì. Non sono riuscita a non farlo. Perdonatemi.
-Note
tecniche: Churchill divenne Primo Ministro il 10 maggio 1940,
l'evcuazione terminò il 4 giugno, la Francia firmò l'armistizio il 22
giugno. Sì, Arthur è rimasto al tappeto parecchio <_<
Per Prof, perché la aspettava da una vita.
Besitoswolvie