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Autore: Rose_Victoria    20/05/2010    0 recensioni
Ricordo il giorno in cui mio padre entrò in casa con una faccia da funerale:
- Vanessa? -
- Si, papà? -
Stavo mettendo a posto il mio armadio.
- Vanessa, siamo in bancarotta, quel vile di Michael ci ha derubati, dobbiamo lasciare la casa. Ci trasferiremo. -
Mi crollò il mondo addosso, avrei dovuto rinunciare alla mia splendida vita pe… pe… per cos’altro?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


Tutto incominciò quando mio padre fece l’affare sbagliato. Allora vivevamo a New York, in una bella casa. Mio padre era un ricco imprenditore, sbagliò, per la prima volta in vita sua, e ne pagò le conseguenze. Si fece socio di un altro imprenditore, che gli rubò i soldi e ci fece andare in bancarotta. Volevo vedere morire quel viscido verme che ci aveva ridotto al lastrico. 

La casa di New York era bellissima: grande, spaziosa, avevamo anche le cameriere, le cuoche e i maggiordomi, era tutto perfetto. 
Prima però di iniziare il racconto voglio presentarmi: mi chiamo Vanessa Kristen Trejo, figlia di Embry Trejo, che era uno dei maggiori imprenditori di informatica. Fummo costretti a lasciare casa. Mia madre, quando lo seppe, non si degnò nemmeno di una telefonata. Si era sposata a trent’anni, innamorata, non so se di più di mio padre o dei suoi soldi. Dopo un anno venni alla luce io e mia madre pretese il divorzio. Ora vive in Argentina, con i soldi che mio padre le diede per il divorzio, perché lei volle tutti i soldi in un solo momento, non un mantenimento mensile. Da un lato, fu meglio così. I miei genitori divorziarono quando io avevo solo cinque mesi, e fui affidata a mio padre. Non ho mai avuto una  vera madre. La vedevo a Natale, quando andava bene… ma si fermava per un solo giorno e poi andava via. Mi crebbe Embry, da solo. Quando eravamo a New York, frequentavo una scuola privata, ed ero come tutte le adolescenti dell’alta società. Sono di origine Quileute, una popolazione nativo-americana che vive nella penisola olimpica, nello stato di Washington, ma non ho i tipici tratti somatici indiani o la pelle ramata perché mia madre è di origine irlandese.
Ricordo il giorno in cui mio padre entrò in casa con una faccia da funerale:
- Vanessa? -
- Si, papà? - 
Stavo mettendo a posto il mio armadio.
- Vanessa, siamo in bancarotta, quel vile di Michael ci ha derubati, dobbiamo lasciare la casa. Ci trasferiremo. -
Mi crollò il mondo addosso, avrei dovuto rinunciare alla mia splendida vita pe… pe… per cos’altro?
- C-C-Come? - balbettai.
- Fai le valige. Dobbiamo andarcene il prima possibile, prima che vengano a confiscarla, almeno quella umiliazione vorrei risparmiarmela. -
- O-O-Okay. -
Feci le valige, senza rivolgere alcuna domande. 
Infilai i vestiti a casaccio nella valigia, senza curarmi di essere ordinata, poi buttai tutte le scarpe in un borsone. La preparazione delle valige mi portò via molto tempo. Quando ebbi finito, i bagagli furono caricati sulla macchina e assieme ad Embry raggiunsi il mio mini aereoporto, sfruttando l’ultimo viaggio che io e lui avevamo a disposizione col nostro aereo. Saremmo andati a vivere a LaPush, la riserva indiana dei Quileute. Mio padre possedeva lì una casa, ricevuta in eredità ed appartenuta ai miei avi. 
Embry era dolce, elegante e gentile, un uomo perfetto, ma chissà perché non aveva ancora trovato la donna per lui. 
Il viaggio fu lungo e stressante, ma almeno ebbi l’opportunità di riprendermi dallo shock.

  
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