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Autore: JackoSaint    20/05/2010    4 recensioni
"Lui stava insegnando a Camus qualcos'altro. Aveva già pensato di dirglielo in latino, in greco l'aveva detto già troppe volte. E il suo francese era pessimo.
Ego te amo. Non era neanche così difficile".
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ego te amo
In questi giorni sono molto occupata! Dato che non ho tempo di scrivere e non voglio lasciarvi a stomaco vuoto, sono riuscita a ritrovare una vecchia fic che ho scritto qualche mese fa. One-shot, MiloxCamus. L'ho strutturata un po' stranamente, però spero vi piaccia comunque! Un saluto!, e scusate se tardo ad aggiornare i capitoli dei miei lavori! Fede.

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IRA E PASSIONE

Milo adorava i capelli di Camus; adorava così tanto accarezzarli da farlo oramai involontariamente. In quegli istanti che precedono il sonno, sdraiato al suo fianco, la testa affondata nel cuscino ma gli occhi alla ricerca di quelli del compagno; era in quegli attimi che le sue dita afferravano qualche ciocca ed iniziavano ad accarezzarla con raffinatezza.

Con calma.

Ogni tanto sorrideva di nascosto, coperto un poco dalle lenzuola bianchissime. Le sue pupille però scivolavano sul volto davanti al suo saggiandone i lineamenti con un'attenzione quasi maniacale.

Gli piaceva anche il suo silenzio. Era quello che lo faceva impazzire, la freddezza che gli scaldava il cuore; e il suo profumo delicato, vivo, che neutralizzava il buonsenso.

Camus faceva sempre e solo una domanda durante la serata. Le sue erano questioni difficili, il più delle volte ellittiche di una risposta. Solo se Milo avesse trovato una soluzione si sarebbero fatti compagnia fino al sonno. A modo loro.

E quella sera la risposta c'era.

Sdraiato sulla schiena, con le mani conserte sul torace nudo e gli occhi fissi al soffitto rischiarato dalla luce soffusa, Camus chiese:

- Milo, perché dai così tanta importanza all'amore? Perché ritieni l'affettività un elemento fondamentale nella vita dell'uomo? - .

- Certo è lodevole dominare l'ira e la passione - gli rispose Milo portando una mano sulla sua spalla, - ma se domini questi due sentimenti tenendoli per te, allora non sei un uomo - .

Camus sorrise. Decise di rimanere sveglio ancora per un po'.

PROFUMO

La luce era chiara.

Abbagliante.

Gli trapassava le palpebre abbassate.

Milo aprì gli occhi. Dalla finestra ad arco entrava la piacevole e luminosa aria estiva. Profumo di Mediterraneo.

Camus non c'era. Le lenzuola erano già state riordinate, il cuscino bianco privato di qualsiasi piega.

Rimase per un momento a guardare le coperte fresche, poi allungò il braccio e si spinse in avanti poggiando il viso sull'altro guanciale. Prese un profondo respiro socchiudendo le labbra.

Il profumo intenso gli solleticò le narici. Quel profumo. Avrebbe potuto cibarsene in eterno.

Rimase così, sdraiato sul torace, le lenzuola poco al di sopra della vita, le braccia a stringere il cuscino.

Il risveglio non sarebbe potuto essere migliore.

LE ANCELLE

Milo uscì dalla stanza da letto già con indosso l'armatura.

Le stanze personali di Camus erano le più ordinate che avesse mai visto. Le pareti chiare, alte; i soffitti decorati con raffinatezza; le tendine chiare che celavano finestre ad arcate. Ed i pavimenti, lucidi di pulito, caratterizzati da un senso di infinito interrotto ogni tanto da qualche maestosa colonna.

Le ancelle lo notarono e misero da parte la loro discussione per avvicinarglisi con l'intento di chiedergli se desiderasse qualcosa; ma Milo alzò la mano con un gesto galante e passò loro accanto dicendo:

- Buongiorno signore. No grazie, non voglio nulla - .

E le due ragazze non poterono far altro che salutarlo chinando leggermente il capo. Lo sbirciarono mentre s'allontanava senza voltarsi.

Affascinante.

La presenza del custode dell'Ottava Casa era divenuta più che usuale, tanto che se ne erano oramai abituate. Lo adocchiavano mentre passeggiava indisturbato per le stanze di Camus dell'Acquario: volgeva gli occhi blu qua e di là, verso i quadri, o si affacciava alle finestre, o restava chiuso nella camera da letto dell'amico per ore intere senza mai uscirne. Si erano accorte di una certa amicizia tra lui ed il loro signore.

E la sua raffinatezza era magnifica. Lui era magnifico. Si erano accorte anche di questo.

EGO TE AMO

Appoggiò la schiena al fusto di una colonna del portico.

Camus stava in cima ad uno spuntone di roccia e guardava in basso, avvolto nel turbinare del mantello. I suoi lunghi capelli rossi, quei capelli che tanto amava, si dibattevano come serpenti al vento, e la sua armatura riluceva di mille bagliori.

Milo lo contemplò ancora un po', poi si spinse in avanti e scese lentamente i gradini per raggiungerlo. Sapeva che non sarebbe riuscito a coglierlo di sorpresa. Era già stato notato.

- Buondì, amico mio - esordì lui in tono pacifico fermandosi al suo fianco. Non si voltò a guardarlo. - Da quanto tempo sei qui? - .

- Circa un'ora - .

- E perchè non mi hai svegliato? - .

- Perché mi avresti costretto a stare con te ancora un po' - .

A Milo la risposta piacque. Camus lo conosceva proprio bene e sapeva prevedere le sue mosse.

- No, non ti avrei trattenuto - rispose dopo una veloce riflessione. - Devo scendere alla mia casa. Tra poco passerà Mu a farmi visita - Stette un momento zitto, aspettandosi che l'amico dicesse qualcosa, ma così non fu. Così sorrise ed aggiunse: - Non sei geloso? - .

- No. Affatto - .

- Adoro la tua freddezza - ammise Milo, - e devo ancora capire se fai apposta per provocarmi - .

Camus non disse nulla a riguardo. Così il Cavaliere dello Scorpione gli passò una mano sulla guancia e gli sfiorò la fronte con le labbra sussurrando:

- Passerò ancora, oggi - .

Poi si allontanò, passò dietro di lui, prese a scendere lo scalone.

- Milo! - lo chiamò il compagno, - sai che oggi è lunedì e devi studiare latino con me - .

- Va bene - .

- Allora a dopo - .

Milo riprese a scendere. Sorrideva.

Lui stava insegnando a Camus qualcos'altro. Aveva già pensato di dirglielo in latino, in greco l'aveva detto già troppe volte. E il suo francese era pessimo.

Ego te amo. Non era neanche così difficile.

SUL CUSCINO

Avevano studiato. Avevano trascorso gran parte del pomeriggio assieme. Ma il mondo conosce il tramonto, ed il tramonto prepara la scena per la sera.

Si erano lasciati alle diciotto; si erano incrociati poco dopo; e Camus rientrò all'Undicesima Casa quando la meridiana segnava la ventiduesima ora del giorno. Si recò subito nelle sue stanze, dove ad attenderlo, nell'atrio, c'erano le sue due ancelle. Disse loro di voler fare un bagno. Fu accompagnato. Il Cavaliere donò alle servitrici il mantello, chiese in cambio un nastro per i capelli. Venne aiutato a svestirsi.

Quelli erano gesti che faceva ogni sera. La quotidinità si era fatta così monotona da riuscire a seccare pure il suo animo riservato e distaccato. Per fortuna c'era Milo.

Richiese di non essere disturbato per alcun motivo. Le ancelle annuirono docili, una di loro gli passò un asciugamano. Ma quando si ritrovò senza di loro nella stanza e si voltò, capì che la quotidinità quella sera aveva subito un cambiamento.

Non c'era Milo. Di solito era sempre lì ad aspettarlo, già nell'acqua calda, con le braccia appoggiate ai bordi della vasca incassata nel pavimento azzurro e con le labbra allungate in quel suo malizioso sorrisino di benvenuto. Ma quella volta non c'era.

Decise di non godersi appieno il bagno e si limitò a lavarsi senza distendersi un poco. Pochi minuti dopo era già fuori. Le ancelle nascosero la sorpresa nel vederlo, e nonostante quell'attimo di stupore si ripresero, lo aiutarono a vestirsi, gli augurarono la buonanotte.

Camus ricambiò sottovoce e si allontanò. Entrò in camera sua ed appoggiò la schiena alla porta. Fu allora che vide Milo: era già addormentato, le mani sotto al cuscino, il torace come sempre scoperto.

Il timido lume sullo scaffale faticava ad illuminare la stanza.

Si avvicinò, si fermò davanti al compagno, sorrise con dolcezza e lo coprì facendo attenzione a non svegliarlo. Poi raggiunse la propria sponda e fece per sdraiarsi; ma notò un foglietto appoggiato sul guanciale. Lo prese, per metà sdraiato e per metò seduto sul letto, se lo rigirò un poco fra le mani e lo aprì.

Alla luce soffusa lesse:

Ego te amo. Non è molto quello che ho imparato da te del latino, ma a me basta questo. Spero tu condivida questo mio pensiero. Mi ero stancato di dirtelo in greco.

Tuo amico Milo.

Si sentì soddisfatto. Bastava anche a lui. Ripose il biglietto nel cassetto, si mise sotto alle coperte, si strinse alla schiena di Milo e gli sussurrò alcune parole nell'orecchio.

Bastarono per farlo svegliare.

Come sarebbe andata a finire Camus lo sapeva già.






FEDERICA

   
 
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