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Autore: darkrin    21/05/2010    2 recensioni
(A Pò :3)
Ai morti non si parla – gli hanno insegnato sin dall’infanzia – e non perché sia una cosa turpe, immorale o troppo dolorosa, ma perché i morti non rispondono.
Per loro, che erano morti per colpa sua e di nessun altro.
[Sirius-centric (tipo/circa) con tre donne che ruotano un po']
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sirius Black
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Perhaps it's because it's not sad enough
   
   
   
Ai morti non si parla – gli hanno insegnato sin dall’infanzia – e non perché sia una cosa turpe, immorale o troppo dolorosa, ma perché i morti non rispondono. E parlare con chi non dà alcuna risposta è solo un inutile spreco di tempo e fiato e loro che sono così antichi, così oscuri, così Puri, non hanno tempo da sprecare a parlare al nulla, al vento di un passato inutile.
Ai morti non si parla, quindi.
Nonostante Sirius sia la vergogna della sua famiglia, un erede da cacciare, da dimenticare, da bruciare, quest’insegnamento l’ha sempre rispettato.
   
Ai morti non si parla.
(Non sa contare le volte che avrebbe voluto farlo, riempire notti oscure di parole e non di gemiti e di freddi sospiri sulla sua pelle e sentirli ancora .)
   
   
   
I. Con i morti (per tutto il tempo del mondo)
   
  
Osservò la casa violata, come una donna stuprata: la porta divelta giaceva sul suolo bruciato dell’ingresso, desiderava entrare e non vedere il sangue, ma gli mancò il fiato, gli mancò la forza di avvicinarsi a quell’ingresso buio. Si ricordò la luce, provenire da quelle finestre, si ricordò i sorrisi del suo migliore amico e le occhiatacce di Lily; rivide ogni cosa e non osò avanzare.
Pensò che sarebbe potuto morire lì, in silenzio e in solitudine.
Lo pensò davvero, ma Dio doveva avere altri piani per lui – una cella buia e la compagnia di fantasmi freddi che lo privavano della vita, insieme al rimpianto.
Ad avvertirlo fu una risata bassa e strisciante, alle sue spalle, ed una voce che lo sfiorò fredda come la lama di un coltello.
«Cugino,» tubò Bellatrix Lestrange, sopraggiunta insieme alle nubi temporalesche, con addosso un qualche profumo osceno e venefico.
La giovane donna ghignò, vedendo la casa.
«Cosa fai, piangi, cugino?» chiese, con un sorriso, avvicinandosi tanto da sfiorargli la nuca con le labbra rosse, da toccargli il collo con il fiato freddo.
Sirius rimase impassibile: anche il desiderio – di lei, semplicemente – di uccidere sua cugina era scomparso. Tutto finiva in quella casa, in quella notte d’omicidio.
Bellatrix strinse le labbra in una piega sottile, insoddisfatta da quel silenzio, così diverso dalle maledizioni gridate, dagli insulti ringhiati, dai gemiti trattenuti a cui era abituata, di cui era infatuata – della stessa infatuazione che provava per i volti agonizzanti dei Babbani e dei SangueSporco, per il rancore di suo marito e per gli occhi del suo Padrone.
«Parli con loro? Non meritavano il fiato di un PuroSangue da vivi, lo meritano ancor meno ora che sono morti,» sussurrò, all’orecchio di Sirius, che si irrigidì.
«Vattene,» sibilò, sentendosi trascinare da quella soglia nera e bruciata, dai fantasmi che vedeva vivervi, felici, dalle immagini di gioie passate.
Bellatrix, parve riflettere su quella proposta, ma poi scosse il capo.
«Non credo che lo farò, cugino, non credo. Non ho nulla di meglio da fare, nessun impegno, niente,» affermò, gesticolando elegantemente con una mano protetta da un guanto nero.
«Posso fare compagnia a te e ai tuoi sensi di colpa per tutto il tempo del mondo,» sussurrò.
E lei non poteva essere a conoscenza del fatto che era stata colpa sua, ma gli sembrò che lei sapesse, che dovesse saperlo e Sirius ebbe l’impulso di ucciderla lì, davanti a quella casa, di strangolarla, di farla a pezzi, di dilaniarne la carne bianca, di immolarla davanti a quella casa, che era ormai un cimitero. Per loro, che erano morti per colpa sua e di nessun altro.
Si voltò e le strinse una mano intorno al collo da cigno, che lei reclinò all’indietro, facendo scivolare i capelli lungo le spalle. Quando Sirius serrò con più veemenza la morsa intorno alla gola di lei, Bellatrix sorrise e fece saettare la lingua tra le labbra pittate di rosso.
«Così mi piaci, cugino,» sussurrò.
    
    
Poi furono: maledizioni gridate, insulti ringhiati, gemiti trattenuti e Bellatrix ne godette sulla terra dura, mentre altrove – in una strada con tredici morti e un dito mozzato – si decideva il destino del traditore dei Black.
A Bellatrix, mentre sentiva il suo piacere scioglierle le membra, parve di vederla, l’esplosione, dietro ai neri occhi chiusi.
    
   
II. Si tengono gli occhi chiusi (davanti al santo sepolcro)
  
   
Stava in piedi davanti all’Arazzo-della-bruciatura, come lei l’aveva soprannominato un pomeriggio in cui l’aveva scorto senza permesso. Un pomeriggio mai dimenticato, come quell’arazzo, che aveva detestato.
Hermione attese sulla porta, senza sapere se avvicinarsi a lui o se fuggire via. Cos’era giusto fare?, si vergognò di non conoscere la risposta e tremò nel rendersi conto che lui non si era accorto di lei e che continuava a guardare un punto fisso di fronte ai suoi occhi, un nome che era come l’inferno.
Lei si chiese che cosa significasse e si vergognò doppiamente di fronte alla sua nuova ignoranza.
    
    
Sirius si voltò – era naturale che lo facesse – e si stupì di trovare Hermione sulla porta; la ragazza arrossì e balbettò:
«Stavo passando e… Oh, ma sono appena arrivata. Appena. Non ho visto nulla.»
Sirius sorrise.
«Mi sono incantato un attimo, sai, il passato, la famiglia,» spiegò con gesti e parole vaghi, che lasciarono più dubbi che certezze. Hermione, annuì, più per farlo felice e per abitudine.
«Ti mancano?» chiese, indicando la parete alle sue spalle ed i nomi ivi tessuti – ed intendendo altri morti.
Lui parve riflettere su quella domanda: abbassò lo sguardo e corrugò la fronte cosparsa da rughe.
«Mentirei se dicessi che non è così,» concluse, con una smorfia amara.
Hermione sgranò gli occhi anche se se l’aspettava – oh, eccome se se l’aspettava – ed ebbe il desiderio di abbracciarlo. Mosse un passo verso di lui che scosse il capo e le fece cenno di non avvicinare, di non sfiorarlo, non lì, quello non era un luogo per i vivi, non era un luogo per lei.
   
  
Grimmaudl Place, aveva deciso un mattino Sirius Black, non era veramente un prigione, era di più: era una maestosa tomba, come una Piramide londinese, un mausoleo colmo di vecchie reliquie, di cui lui non era che l’ultimo esemplare.
Ad ogni angolo c’era il sentore di quei morti, di quei fantasmi di cui quella casa era gravida, di cui la sua vita era piena. Ogni cosa gli riportava alla mente vecchie istantanee: negli occhi di Hermione vedeva altre iridi, di una donna altrettanto brillante con risate ticchettanti; nei capelli dei Weasley vedeva quelli di un fantasma altezzoso; in Harry vedeva tutto e non poteva fare a meno di cercarlo. Si rassicurava dicendo che sarebbe passato: la vita sarebbe tornata, era solo troppo vicino ad Azkaban.
Col tempo la sua mente avrebbe smesso di inchinarsi sempre a qualche sepolcro di una memoria santificata.
Non c’era stato abbastanza tempo per andare avanti, per lui e Sirius non l’aveva messo in conto; non aveva pensato che la guerra l’avrebbe ripreso, prima che la vita tornasse a scorrergli nelle vene insieme all’ossigeno e al plasma.
   
  
III. Si tace ed ascolta (mentre la luce ti abbraccia come stoffa)
   
   
Spesso dopo che aveva lasciato Azkaban, Sirius Black si era chiesto se era abbastanza morto per rivolgere le sue parole ai defunti. Di sicuro, vivo non lo era più, non del tutto almeno.
Si era chiesto se poteva ingannare i vecchi insegnamenti facendosi scudo della giovinezza di cui l’avevano privato i Dissenatori, se così poteva ingannare la sua coscienza. Lui, che in vita aveva sempre osato tutto, non aveva avuto il coraggio di compiere quel passo che l’avrebbe avvicinato a chi non c’era più.
Aveva taciuto, sempre.
   
   
Quando sentì il Velo accarezzarli il capo e vide sua cugina ridere, Harry tremare e gridare, pensò che ora poteva farlo, ora poteva parlarli, poteva salutarli, finalmente, e chiedere loro perdono per tutti gli errori commessi, per non essere riuscito a proteggerli e salvarli; poteva tornare a ridere con loro, nella luce.
Quando quell’impalpabile stoffa di morte gli sfiorò gli occhi, chiudendogli le palpebre sulle orbite, vide Lily sorridergli, come non aveva mai fatto quand’era viva – quand’erano vivi, si corresse – e tendergli una mano infinita; dietro di lei, James rideva e scuoteva il capo, con gli occhi socchiusi.
Sirius, finalmente, aprì le labbra e parlò, mentre il Velo gli riempiva anche la gola e le interiora perdevano calore. Quando il cuore smise di battere, lui mormorò: «Mi siete mancati».
   
   
   
    
   
   
  
Con i morti si tengono gli occhi chiusi, si tace ed ascolta (e nel silenzio, nel buio, si cerca di andare avanti).
   
   
        
   
  
        
       
Fine
      
  
      
Senza betatura né pre-lettura. E con, probabile, OOC grosso come una casa villa.
A te, Pò. Doveva essere meglio di così, giuro, e anche più allegra (no, questa è una balla). Oh. Perdona l’angst, gli errori, le cavolate e le coppie (che non sono vere coppie) che non ti gustano, ti va? (:
Ah. E il titolo non c'azzecca un'acca manco per niente, ma chi l'ha detto che i titoli devono azzeccarci qualcosa con la storia? Non possono essere scelti in base alla bellezza/emozione evocata? E comunque è preso dalla 31days community, che è tanto bella ed evocativa. <3
                
    
     
   
 
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