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Autore: Schwarzfreiheit    22/05/2010    1 recensioni
Come ci sente quando non senti di appartenere a nessun luogo? Quando la voglia di fuggire e quella di restare imperversano dentro senza sosta? Quando i Sogni e la Realtà non coincidono e non riesci a scegliere da che parte stare? Male. Ed allora qualsiasi alternativa è migliore... Anche gettarsi in una avventura a capofitto, senza sapere dove ti porterà ... Come ha deciso Andrea... Lei, che si sentiva zingara nella sua stessa città, che non sentiva le sue radici ancorarla al suolo, ma solo le “Sue Ali” trasportarla in alto ... " ...Le aveva nel cuore e nello spirito, quelle ali … Adesso le mancava solo di trovarle, di averle un po’ più concretamente al suo fianco ad aiutarla a volare... "
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap 15 - Mancanze e Decisioni Incerte

Nulla.
Non sentiva più nulla.
Non sentiva la pioggia che ancora furiosa batteva alle sue finestre, non sentiva il battito del suo cuore, non sentiva quel sapore salato sulle labbra.
Freddo.
Vuoto e freddo erano le uniche cose che sentiva.
Era di nuovo sola, adesso sapeva che lo era sempre stata e quel calore che per pochi minuti era stato suo, glielo aveva rivelato.
Caldo, un fuoco che bruciava all' istante tutto ciò che sfiorava, il suo corpo esanime ed il suo respiro che ancora faticava a tornare regolare ne erano la prova, il suo cuore, che giaceva da qualche parte dentro di lei, lo confermava.

Ormai non poteva più tornare indietro.
Sarebbe tornata alla sua vita di prima, avrebbe sorriso e vissuto ma non sarebbe più potuta tornare indietro.
Aveva solo osato sfiorare quel fiore che sapeva non avrebbe dovuto toccare e, esattamente come aveva saputo fin dall' inizio di quella assurda avventura, si era punta con le sue spine ed il suo veleno era penetrato in quella ferita, entrando in circolo dentro di lei e adesso credeva non ci fosse più una sola parte di sé che se ne fosse salvata.
Ma era un veleno così dolce ed effimero, così deliziosamente insopportabile che lei credeva ne sarebbe potuta morire.
-  ... Sarà esattamente così ... Non esiste cura per qual veleno Andrea, tu lo sapevi bene e lo stesso non hai fatto attenzione ... Avresti dovuto lasciarlo fuori da questa maledetta porta ...  -.
-  ... Avrei dovuto lasciarlo fuori dal mio maledetto cuore ...  -.
Ma questo non era possibile.
Era successo ormai troppo tempo prima, quasi senza che nemmeno lei se ne accorgesse.
Non ricordava il momento preciso in cui i due semplici occhi di uno sconosciuto erano diventati i Suoi occhi, quelli che sognava ogni notte, che cercava sui volti della gente attorno a lei.
Aveva dimenticato quando e come una voce anonima era diventata la Sua voce, quella che lei avrebbe riconosciuto tra mille altre voci.
Non avrebbe saputo dire quando il fastidioso rumore di un elicottero era diventato motivo di corse affannose davanti al televisore o lunghi minuti imbambolata in una corsia del supermercato, sotto la cassa della radio.
Ma era successo, lei lo sapeva e avrebbe dovuto cercare di mantenere le distanze, cosa che aveva effettivamente provato a fare, all' inizio.
Ma poi quei ragazzi avevano trovato uno spiraglio per entrare in lei, a tradimento, lentamente, dolcemente, senza darle modo di accorgersene, quasi.
Quasi.

Perché ricordava esattamente il suo primo giorno di lavoro, quando Gustav e Georg si erano immediatamente votati a lei, dandole il loro sostegno e la loro amicizia in maniera così naturale da farla quasi vacillare.
Nemmeno la conoscevano, com' era possibile?
Ma lo avevano fatto e avevano occupato il loro posto nel suo cuore, offrendole affetto e un hamburger.

E da lì non se ne erano più andati.
Né lei era più riuscita a mandarli via.

Tom.
Con lui le cose erano andate un po' diversamente, con lui era stata convinta di essersi salvata.
Lui sembrava detestarla e sebbene lei lo adorasse, come tutti gli altri, aveva creduto che questo sarebbe bastato a conservare un minimo del suo cuore.
Ma non era stato così ...
Ricordava perfettamente il male che gli aveva fatto ignorandola o maltrattandola; e poi ...
Poi si era ridimensionato, poi c' era stato quel viaggio in Sudafrica e una frase, una frase che poteva apparire sciocca e senza senso agli occhi di chiunque altro, era arrivata a lasciarla senza fiato e senza speranze di salvarsi da lui ...
<<  ... E nel tuo? >>. Aveva chiesto con il fiato appena pesante per la breve corsa.
<<  ... Il mio livello di punti si è alzato in questi giorni nel TUO segnapunti personale?  >>.
Aveva un' espressione così ...
Di trepidante aspettativa che lo rendeva tremendamente tenero.
No, nessuna speranza.
Se mai ne avesse avute erano svanite tutte davanti a quell' espressione ansiosa.
Aveva sentito l' affetto avvolgerla in una stretta dolce che non l' avrebbe lasciata più, lo sapeva.

E poi c' era Bill.
Il solo pensiero di quel nome la scosse a fondo.
Bill che gli sorrideva, Bill che la aspettava un po' ansioso, Bill che le afferrava i fianchi, leggero, Bill che non le rivolgeva più la parola, Bill che si arrabbiava vedendola fradicia dalla testa ai piedi, Bill che le parlava vicino e distante su un battello, Bill che la invitava a fare quattro chiacchiere con lui in una fredda notte d' Africa, Bill che la portava assieme a Tom alla sua festa di compleanno, Bill che la accoglieva in casa dei suoi genitori con addosso un paio di pantofole a orsacchiotto, Bill che la abbracciava la notte di Capodanno, Bill che le chiedeva di abbracciarlo in cima alla Tour Eiffel, Bill che portava a casa un micetto abbandonato, Bill ...
Bill che l' aveva quasi baciata e che le aveva regalato il vestito e la giacca di Nana, Bill ...
Bill che aveva quasi fatto l' amore con lei.
Eccolo.
Eccolo quel dolore lancinante che non riusciva a scacciare.
Non sentiva nulla.
Quell' attimo era fuggito via e l' aveva lasciata sola, su quel divano, in preda a dei brividi incontrollabili.
E la mattina era sempre più vicina.


Un suono al suo citofono la fece sobbalzare.
Rispose svelta ed ancora più veloce raccolse la maglietta di Tom, che giaceva a terra dove Bill l' aveva un po' goffamente lanciata, e si infilò un paio di anonimi jeans coprendoli con un enorme maglione che le stava malissimo.
Si lavò il viso stanco con dell' acqua fredda, mentre un uomo sulla cinquantina stava bussando alla porta finestra.
<<  Posso aiutarla a caricare i suoi bagagli signorina?  >>.
<<  Sì, la ringrazio ... Arrivo subito  >>.
Si volse verso quella che era stata la sua casa per mesi ed alla quale stava dicendo addio.
Arrivò fino alla camera da letto, si guardò attorno come alla ricerca di qualcosa che avesse potuto dimenticare, ma non c' era più nulla; così come nulla c' era nel bagno o nella cucina.
Poi posò gli occhi sul divano e l' immagine di due ragazzi abbracciati, frenetici eppure timidi, si dipinse davanti a lei.
Quello che aveva lasciato su quel divano non poteva riprenderselo, non le apparteneva più da molto tempo ormai, prigioniero e consapevole schiavo di un cucciolo che con la sua dolcezza l' aveva ferita, salvata e condannata.
<<  Signorina ... Vogliamo andare?  >>.
<<  Sì, certo ...  >>.
Un ultimo sguardo, un ultimo addio, poi si richiuse la porta alle spalle lasciando le chiavi della depandance e del cancello sotto lo zerbino, come le aveva detto David.
Percorse quel tratto di prato ancora bagnato di pioggia in silenzio, senza voltarsi, senza volgere lo sguardo a quella casa che conteneva qualcosa di troppo importante e prezioso per poter essere dimenticato.
-  ... Gustav, Georg ... Tom ... Bill ... Addio ragazzi e ... Grazie ...  -.
L' aria era ancora fredda e lei lasciò che colpisse il suo viso stanco, lo sguardo fiero dritto davanti a sè.
Avrebbe desiderato piangere ma non ce la faceva.
Era vuota e spenta.
Il suo personale fuoco d' artificio si era consumato e la cenere aveva un odore ed un sapore acre che le feriva la gola spingendole allo stomaco dei conati che soffocava a stento.


Eccola.
Era appena uscita dalla depandance, si stava chinando a sistemare le chiavi sotto lo zerbino, si incamminava verso il cancello.
-  ... Voltati ... Voltati maledizione, sono qui ... Voltati e decidi di restare ... Mi vuoi? Mi vuoi davvero? ... Io ci sono, ci sono sempre stato ... Voltati ...  -.
Ma la puerile preghiera di quel ragazzo fermo davanti alla finestra rimase intrappolata tra le sue labbra serrate strette, gli occhi che non avevano perso un solo gesto di lei, sgranati, immobili, nel timore di perdere anche un solo istante.
-  ... Dimmi che non è stato un sogno, che non è stata una follia, che non abbiamo sbagliato … Ti prego ... Andrea ...  -.
Era salita sull' auto bianca che l' avrebbe portata in aeroporto, peggio, che l' avrebbe riportata in albergo, tra le braccia del suo ragazzo ...
-  ... Sarà sua ... Forse lo sarà questa mattina stessa, mentre ancora il suo respiro è il mio ... E lo sarà per sempre ed io ... Io l' ho perduta ...  -.
I pensieri di Bill erano confusi, sentiva dentro un peso che lo stava lentamente piegando su sé stesso, fino a quando non si lasciò cadere sul tappeto davanti alla finestra, la testa appoggiata al vetro freddo, gli occhi chiusi.
Non c' era più nulla da vedere.
Lei non c' era più.
Il suo sorriso, la sua dolcezza, la sua timidezza, i suoi imbarazzi, la sua forza, la sua voce, la sua risata, le sue mani che accarezzavano Macky, i suoi occhi sorridenti che si posavano su Georg e Gustav, le sue litigate giocose con Tom, le sue cure, le sua attenzioni ...
La sua bocca ardente che si posava sulla sua, le sue mani fredde che si scaldavano sul suo corpo, le sue unghie leggere che lo graffiavano, che si insinuavano tra i suoi capelli, che lo stringevano a lei, il suo corpo morbido che si muoveva in perfetta armonia con il suo in quella danza che era il preludio di qualcosa che nella sua vita mancava da troppo tempo ...
All' Amore.
No, non sarebbe stato solo sesso con lei.
Sarebbe stato molto di più.
Lo era già da molto tempo, se solo non avesse avuto quel maledetto orgoglio e quella maledettissima paura a bloccarlo, ad impedirgli di vedere ...
Lei era più grande di lui, era fidanzata ed era una loro dipendente ... No.
Lei era la ragazza più bella che avesse mai visto, nelle sue tenere imperfezioni, lei era quella che lo aveva ascoltato per tutta una notte, che si era confidata con lui, che lo aveva respinto e poi abbracciato, lei era ... Lei.
E non sarebbe stata mai più.
Almeno per lui.


Tom era fermo davanti alla porta d' entrata, l' aveva appena dischiusa, ancora indeciso se correrle dietro per salutarla o meno.

Questa volta non aveva alcuna domanda da porle.
Sapeva che lei gli voleva bene, sapeva che voleva bene a tutti loro.
-  ... Però ha deciso lo stesso di lasciarci ... Merda! ...  -.
Avrebbe voluto andare da lei, se fosse rimasto fermo sulla porta, sarebbe stato l' unico a non averla salutata come si deve.
Il pensiero volò a Bill.
Certo, lui era quello che l' aveva salutata in maniera molto più intensa ma sapeva perfettamente che non era stato un bene per lui.
Lo sapeva dolorosamente bene.
In oltre era certo che se si fosse mosso di lì, se davvero l' avesse raggiunta su quel prato, la avrebbe colpita.
Avrebbe colpito il suo bel viso esattamente come lo aveva desiderato quella mattina parlando con Georg.
Le parole del suo amico erano state chiare e semplici e lui credeva di averle capite, del resto non era mica stupido, ma lo stesso non riusciva a sopportare che lei avesse deciso di tornarsene in Italia da un ragazzo che non la rispettava, che non la amava, che non la meritava.
Ne era così convinto da non riuscire ad evitarsi di pensarlo.
Era Bill ...
Era Bill il ragazzo giusto per lei ...
E lei era quella giusta per lui.
E se ne stava andando.
-  ... Maledizione ... E' tutto ... Tutto sbagliato! ...  -.
<<  Và e dalle il suo regalo … Per male che vada non cambierà nulla ma … Te ne pentiresti se non lo facessi …  >>.
Di nuovo la voce di Georg.

Tom distolse lo sguardo da quella macchina che ormai non era più davanti ai suoi occhi, per posarlo sull’ amico.
In quell’ istante un fiotto di gratitudine gli salì al petto.
Poteva ancora sentire le braccia forti del bassista che lo cingevano, tenendolo stretto, consolandolo.
Era stato un attimo di debolezza, ma ne aveva avuto maledettamente bisogno, era così gonfio di rabbia e rancore da sentirsi soffocare e Georg …
Georg gli aveva permesso di lasciarsi andare, fosse solo per pochi istanti.
Non aveva mai dubitato di poter contare su di lui, ma il tempo era passato, lui aveva sviluppato il suo carattere, quella maschera di sicurezza e sfacciataggine, così diversa da quello che sentiva a volte dentro …
Aveva imparato presto che quello era l’ atteggiamento giusto, per difendere suo fratello prima, e sé stesso, poi.
Doveva ammettere che nel corso di quegli anni le cose forse gli erano un po’ sfuggite di mano.
Quella che doveva essere una difesa era diventato il suo modo di vivere portandolo ad essere sgradevole, molte volte.
Il Tom che lo aveva per infinite volte fissato dallo specchio, non era lo stesso ragazzino che dipingeva sogni di gloria, la notte in camera con i suoi amici, con i colori lievi eppure marcati della sua sfrenata fantasia.
Non era quello che aveva desiderato.
Allora non sapeva che ci sarebbe stato un prezzo da pagare e che quel prezzo sarebbe stato lui.
E adesso …
Adesso, tra le braccia di un amico, davanti alla partenza di quella che sarebbe dovuta essere semplicemente una loro dipendente, davanti al dolore di suo fratello, adesso aveva capito che forse quel Tom così desideroso di mordere la vita, così capace di emozionarsi, forse non era del tutto perduto.
Sorrise a Georg.
<<  Grazie, e …  >>.
<<  Non ti preoccupare … Darò un’ occhiata io al sonno del nostro cucciolo …  >>.
Gli sorrise mesto in risposta il castano.
Credeva di aver intuito cosa avesse Bill che non andava, ma sentirselo sbattere sul muso da Tom era stata una doccia abbastanza fredda.
Sì, sarebbe andato a controllare che dormisse tranquillo.


Tom prese le chiavi della sua macchina e uscì sgommando dal cancello che si stava aprendo fin troppo lentamente.
Osservava quella cornice che aveva gettato sul sedile del passeggero, sperando che le piacesse, ma qualcosa dentro di lui gli ripeteva che la avrebbe ferita.
Ricordava le parole di Georg ma anche l’ espressione di quella che gli era apparsa come nulla più che una bambina, con loro.
Non voleva andarsene …
Allora perché lo stava facendo?

**********
**********

<<  Ben arrivata … Spero davvero che tu sia rinsavita Andrea. Voglio dimenticare quello che è successo ieri, voglio dimenticare questa tua folle idea di lavorare per questa gente, voglio dimenticare questi ultimi mesi … Torneremo a casa e ci dimenticheremo di tutto quanto, torneremo alla nostra vita di sempre …  >>.
Andrea, pallida e stanca, osservava il viso del suo fidanzato, vedeva le sue labbra muoversi e sentiva ciò che diceva e dentro non avvertiva nulla.
Si stava chiedendo quanto tempo fosse passato dalla prima volta che aveva desiderato quella bocca, da quando amava la sua voce, qualsiasi cosa dicesse.
E quanto ne fosse passato da quando non desiderava più nulla di tutto questo.
Lui era sempre lo stesso.
Cosa era cambiato?
Lei.
Lei era cambiata.
Irrimediabilmente.
La vita di sempre sarebbe stata il suo oblio.
-… Forse tu tornerai alla vita di prima … La mia è cambiata ormai … O meglio … La mia visione della vita è cambiata, le mie priorità … E le sto lasciando … Per te …  -.
Ma non era vero.
Non lo stava facendo per lui, ma per sé stessa.
Le faceva male pensare che aveva buttato via così tanto tempo della sua vita, per qualcosa in cui aveva creduto e che adesso le sembrava totalmente stupida, inutile, priva di senso ed emozione.
L’ avrebbe uccisa.
Lei lo sapeva.
<<  Sì … Adesso però vorrei mangiare … Possiamo ordinare qualcosa?  >>.
L’ espressione del ragazzo non mutò di una virgola.
<<  Ho già fatto colazione … Sei in ritardo, lo sai … Mangerai qualcosa in aeroporto … Vieni, dobbiamo andare … Partiremo tra un’ ora e dobbiamo far passare tutta quella roba al chek in  >>.
La ragazza faticò a reprimere un risata di scherno e frustrazione.
-… I ragazzi avrebbero smosso chiunque a qualsiasi ora della notte se avessi detto loro di aver fame …  -.
Ma lui non era loro, lui era l’ uomo che la voleva legare a terra, che voleva strapparle quelle ali che erano spuntate silenziose alle sue spalle.
-… Non mentire … Le hai tarpate tu non riuscendo a spiegarle, non riuscendo a liberarti di te stessa e di tutto quello che ti eri lasciata alle spalle … Non sei mai riuscita a lasciare davvero dietro di te il mondo che conoscevi ed a gettarti in quello che desideravi e che stava ad un solo passo dalle tue dita protese … Non sei riuscita ad afferrarlo … E ti sei condannata … Ma lo hai assaporato quel mondo e lo rimpiangerai per tutta la vita …  -.
<<  D’accordo … Andiamo, allora, devo saccheggiare una di quelle macchinette al più presto  >>.
Fabrizio prese le sue valige e la precedette, assolutamente certo del fatto che lei lo avrebbe seguito.
-… Glielo hai permesso tu …  -.

Tom stava fermo davanti all’ hotel dell’ aeroporto, sperando ardentemente che fosse quello in cui alloggiava il ragazzo di Andrea, sperando di vederla uscire da quella porta.
Il viso celato dalla sciarpa enorme, un cappello che nascondeva i suoi capelli ed i suoi occhi, stringeva convulsamente tra le mani quella cornice, rischiando quasi di danneggiarla, senza sapere se desiderasse che la ferisse o che la consolasse nelle notti che l’ avrebbero vista vagare insonne per il suo appartamento.
Perché sarebbero venute, quelle notti, sarebbero arrivate, così come sarebbero arrivate per loro.
Per tutti loro.
Ed improvvisamente, quando quasi non stava più aspettandola, ma solo fissando quella maledetta porta girevole quasi ipnotizzato, lei apparve nascosta dalle spalle larghe del giovane uomo italiano.

Andrea non guardava nulla in particolare, anzi, si era fissata sul colletto della camicia, perfettamente stirato, del suo ragazzo, immaginando che, fissato com’ era, doveva averla portata in lavanderia …
Era strano come certe cose la infastidissero, cose che su uno qualunque dei suoi ragazzi non le faceva né caldo né freddo.
Tutti e quattro erano negati con la lavatrice e solo Gustav era in grado di mantenere in un certo decoro la sua stanza; Georg stirava ma i risultati erano quelli che erano sebbene non catastrofici, e nessuno di loro aveva voglia di mettersi all’ opera nei lavori di casa …
Sorrise inconsapevolmente al ricordo del grembiule che aveva fatto indossare a Gustav e dello straccio in testa a Tom e poi alzò gli occhi.

Era lì, appoggiato allo sportello della macchina e tutta la roba che aveva addosso non avrebbe potuto mascherare quegli occhi che adesso sembravano faticare per metterla a fuoco.
-… Cosa sei venuto a fare? Vai via! Tu e l’ ombra delle mie ali che ti porti dietro! … Tom …  -.
Non voleva che se ne andasse, aveva bisogno di quel pezzetto di loro che la stava torturando …

<<  Scusami un attimo, Fa … Devo parlare con una persona …  >>.
Fabrizio alzò gli occhi sull’ alta figura dinoccolata che stava appoggiato al cofano di un enorme suv, e strinse gli occhi in due fessure infuocate.
<<  No  >>.
<<  Come sarebbe a dire, no?  >>.
Andrea era interdetta.
<<  Mi hai detto che lavoravi per loro fino a questa mattina … Adesso non lavori più per loro, non hai niente a che spartire con nessuno di quei ragazzini viziati! Andiamo dentro, muoviti!  >>.
Le aveva afferrato un braccio con la mano forte e le stringeva il polso fino a farlo scricchiolare.
<<  Lasciami andare immediatamente! Non mi interessa nulla se non sto più lavorando per loro … E’ venuto fino qui per salutarmi ed io non me ne andrò facendo finta di non averlo visto!  >>.
Strattonò il braccio e si allontanò da lui, sentendone gli occhi puntati alle spalle che la trafiggevano furiosi.
Ma nulla aveva più importanza se non le iridi nocciola che le sorridevano tristi e la torturavano con la loro maledetta somiglianza ad altre iridi, iridi che l’ avevano sfiorata bruciandole la pelle ed il cuore …
<<  Ciao … Credevo non ti andasse di vedermi …  >>. La ragazza abbassò gli occhi.
-… Se è per questo credevo anche di detestarti, ragazzina … E fino a un’ ora fa credevo che tutto quello che desiderassi era prenderti a sberle e adesso … Adesso tieni quei maledetti occhi trasparenti, di quel grigio sconosciuto e limpido, bassi e l’ unica cosa che voglio è vederli …  -.
Il pensiero corse a Bill.
Se per lui il desiderio era così spasmodico non voleva nemmeno immaginare cosa sentisse suo fratello.
Le posò due dita sotto il mento e le alzò il viso, sorridendo di quanto dovesse alzarlo per osservarlo negli occhi.
Era alta, ma non abbastanza.
<<  E lasciarti andare via portandoti solo un paio di manette pelose come mio ricordo?  >>.
Chiese sorridendole ed inarcando un sopracciglio scettico, del tutto simile a Bill.
<<  Bhè … Sono quantomeno … Evocative, direi …  >>.
Gli sorrise di rimando.
-… Ma stai tranquillo … C’ è anche questo maledetto sorriso che centellini a dedichi a pochi, fortunatissimi eletti, che mi porterò via …  -.
Tom si lasciò sfuggire una risata aperta, per poi osservarsi intorno sospettoso nel timore che qualcuno potesse averlo sentito e riconosciuto.
<<  Sì, hai ragione ma … Volevo darti questa … Spero ti piaccia …  >>.
Le mise tra le mani la cornice.
<<  Ci sono memorizzate un po’ di foto … Ma le puoi cambiare se vuoi …  >>.
Andrea ripose il regalo di Tom nella sua borsa, poi tornò a fissare il ragazzo, attenta.
<<  Hai altro da dirmi Tom? Credo … Credo di dover andare …  >>.
Il chitarrista guardò alle spalle della ragazza, poi fece un cenno di saluto accompagnato da un sorrisetto ironico che fece sbuffare una risata ad Andrea.
<<  Non serve che lo provochi … Vi detesta già abbastanza …  …  …  E’ un idiota … Spero possiate perdonarlo …  >>.
<<  Possiamo anche perdonare il fatto che sia un idiota, ma non che ti stia portando via da noi … Andrea … Perché stai andando con lui se pensi che sia un idiota? Perché … Non resti con noi? …  >>.
<<  Non posso, Tom … Io non credo di riuscire a spiegartelo nel modo giusto … Ho investito molto in questa relazione, non posso mandare tutto a puttane, sarebbe come … Arrendersi, ammettere di aver fallito …  >>.
<<  E con noi? Con noi non hai investito nulla? O quello che hai investito valeva talmente poco da poterlo gettare? Con noi puoi dire di aver perso del tempo, di aver … Fallito? … Puoi arrenderti senza rimpianti?  >>.
Come poteva Tom dirle una cosa del genere?
Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, colpirlo forte fino a quando non si fosse rimangiato quell’ eresia.
Ma in quegli occhi vide solo consapevolezza e dolore.
Sapeva che non era così.
Era solo … Arrabbiato.
Non condivideva la sua scelta.
Dopotutto non lo faceva nemmeno lei.
<<  Non chiedermi di rispondere, Tom … La risposta la sai ... Sapevate che questo contratto sarebbe finito e che sarebbe stato l’ ultimo, non poteva essere diversamente … Sai che non credo di aver gettato il mio tempo ed il mio impegno con voi … E che mi mancherete tanto …  >>.
Tom sospirò.
Sapeva che non le avrebbe estrapolato dalle labbra una sola parola in più.
Così l’ abbracciò.
<<  … Rimani … Per favore …  >>.

Perché doveva fare così?
Perché aveva dovuto scoprire il suo viso ed il suo cuore proprio adesso?
No.
Lo aveva fatto molto tempo prima …
Ma la cosa non cambiava.
Lei non poteva restare.
Aveva una vita da riprendere in mano, un passato da ricordare ed un futuro da costruire.
Non poteva gettare tutto così, per un SexGot redento, per un sorriso timido, per due braccia forti, per un paio di occhi ambrati …
Non poteva permetterselo.
<<  Devo andare Tom … Salutami gli altri … E fai una coccola speciale a Macky, anche lui mi mancherà …  >>.
Si alzò sulla punta dei piedi e posò un breve bacio sulla guancia solo lievemente ruvida del chitarrista, poi gli volse le spalle e tornò dal suo ragazzo che la accolse con un’ aria truce ed un gesto poco carino.
<<  Abbiamo finito di fare la svenevole con quei quattro? Andiamo che è tardi  >>.
La spinse bruscamente verso la porta a vetri seguendola con il carrello delle valige.
E sgradevole era lo sguardo che lui le teneva puntato addosso mentre divorava un pacchetto di M&M’s dietro l’ altro.
Era triste e non gli importava nulla di quello che lui stesse pensando.

Finalmente seduta sulla scomoda poltroncina dell’ aereo, attendeva in quel pesante silenzio, che questo prendesse il volo, doveva andare alla toilette al più presto, non avrebbe retto un minuto di più, ed accolse come una benedizione persino il fastidioso dolore alle tempie e ad i timpani che la avvisarono che erano in volo.
A breve avrebbe potuto alzarsi ed allontanarsi dal ragazzo serio e silenzioso che gli stava accanto.
<<  Scusami, devo andare in bagno …  >>.
<<  Certo … Dopo esserti ingoiata tutta quella spazzatura … Fai pure con calma  >>.
Ma non era una gentilezza, sembrava che anche lui non avesse molta voglia di stare con lei più del minimo necessario.

Non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle Andrea fece scattare la serratura ed ebbe a malapena il tempo di sporgersi sulla tazza linda, macchiandola con quel poco che il suo stomaco conteneva.
Non era colpa del cioccolato, il cioccolato non le aveva mai fatto quell’ effetto disastroso, era qualcos’ altro.
Era la consapevolezza della scelta che aveva fatto a non voler restare dentro di lei.
Era il dolore della perdita che sembrava non riuscire a trovare altra via di sfogo.
Rimase per diversi minuti in quella scomoda posizione, tenendo i capelli lontani dal volto e sé stessa in equilibrio, faticando in entrambe le cose, poi si alzò posando le mani sul lavandino per non vacillare.
Fisicamente non aveva altro in corpo da gettare fuori, per il resto …
Non sarebbe stato così semplice liberarsi del resto.
Osservò il viso pallido e stravolto nel piccolo specchio.
Aveva gli occhi gonfi di stanchezza e rossi dallo sforzo, le labbra le tremavano, un sottilissimo velo di sudore freddo le ricopriva le tempie che battevano impietose ed  il respiro era irregolare come dopo una lunga corsa.
Una corsa per fuggire da sé stessa.
Non sarebbe andata lontana.
Era una gara persa in partenza, quella, e lei lo sapeva bene.
Si sciacquò la bocca, tamponò il viso con una salviettina fresca cercando di riassumere un’ espressione almeno accettabile, si ravvivò i capelli con le dita, poi li afferrò tra esse, tirandoli appena.
Un dolore fastidioso, un ricordo che faceva male, altre dita che tiravano i suoi capelli, intrecciandovisi.
Bill …
Ancora nulla, solo l’ ennesimo conato di vomito che lei soffocò in fretta, per uscire da quel piccolo spazio che la stava facendo impazzire.
Le sembrava che le pareti si stessero chiudendo su di lei, impedendole di respirare.
Non aveva mai avuto degli attacchi di panico, ma credette di sapere che se fosse rimasta rinchiusa lì dentro un solo istante di più il primo della sua vita si sarebbe palesato.
Sorrise all’ hostess che la osservava vagamente preoccupata e si diresse silenziosa al suo posto, accanto al finestrino, pregando, prima di posarvi gli occhi, che il paesaggio fosse mutato, che non si vedesse più la Germania allontanarsi lentamente.
Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare un tappeto di nuvole scure, maledettamente simili a quelle che coprivano il cielo di Milano.
Un piccolo anticipo di quella che sarebbe stata la sua visione.
Un regalo non gradito, una magra consolazione che lei non desiderava affatto.
Non poteva dimenticare i colori.
Il fondente castano scuro degli occhi buoni di Gustav ed il biondo miele dei suoi capelli, lo scintillante verde delle iridi di Georg, il castano ramato dei suoi lunghi capelli liscissimi, il nocciola intenso degli occhi maliziosi di Tom, il nero corvino dei suoi capelli, del pelo del loro micetto, e lo sguardo d’ ambra di Bill …
Bill.
Bill …
Avrebbe desiderato piangere ed invece avvertiva solo quel fastidio in fondo allo stomaco.
-… Per dio Andrea! Riesci a piangere davanti a qualsiasi cosa! Un bambino che dorme, un cucciolo che gioca, un film romantico … Quante volte hai avuto le lacrime agli occhi davanti a certe foto dei ragazzi da bambini? E adesso? Adesso che potresti avere un motivo per piangere l’ unica cosa che desideri fare è liberarti lo stomaco dal nulla che vi risiede? … Complimenti per la sensibilità, davvero!  … -.
Era assurdo ed era piuttosto triste, ma era esattamente così.
Si alzò una seconda volta e per la seconda volta si diresse verso il bagno.
E non fu l’ ultima volta che lo fece.

**********

**********


Se ne stava seduta a quella maledetta scrivania in quel piccolo ufficio soffocante.

In quel ridottissimo spazio di quattro metri per quattro, Andrea si sentiva soffocare.
Il caldo innaturale del riscaldamento, le pareti grigie che sembravano muoversi lentamente verso di lei, sembravano soffocarla.
I sottili divisori lasciavano passare qualunque seppur minimo rumore, poteva sentire ogni volta che il portone si apriva o chiudeva, il colpo di tosse dell' impiegato dell' ufficio accanto, le bestemmie del principale del suddetto impiegato, il sottofondo del piccolo stereo si mescolava con le conversazioni telefoniche del suo principale che aveva la propria scrivania a solo un metro e mezzo dalla sua.
Teneva gli  occhi arrossati fissi sullo schermo del p.c, cercando di concentrarsi sui numeri e le lettere che apparivano quasi a caso davanti ad i suoi occhi.
Il pensiero volse la sua attenzione a quello che le aveva detto il suo ragazzo solo un mese prima.
<<  Vedrai ... Certo, potrebbe sembrarti noioso a sentirmene parlare, ma ti assicuro che non è così ... Lavorando in quell' ufficio capirai l' importanza di mantenere i piedi per terra, di darti delle scadenze, delle regole, dei limiti da non superare e degli obiettivi da raggiungere ...  >>.
A sentirlo parlare lo stomaco di Andrea aveva avuto l' ennesima spasmodica contrazione, mentre cercava di ingoiare uno yogurt bianco fin troppo acido.
Il tono del ragazzo non lasciava dubbio alcuno sulle parole che aveva taciuto ...
Quelle dette le svelavano perfettamente e svelavano ciò che pensava di quello che aveva fatto fino a quel momento ...
Lavorando per quei ragazzi che per lui valevano meno di nulla, non aveva avuto regole da seguire, non aveva avuto obiettivi, delle scadenze, delle regole ...
Insomma, pensava che fosse davvero ora che lei tornasse con i piedi per terra.
Quella era forse l' unica cosa su cui aveva avuto ragione, almeno in parte.
Quel lavoro per lei aveva significato staccare i piedi dal solito grigio pavimento.
Nulla di più vero.
Ma questo non significava affatto che tutte le stupidaggini che lui aveva pensato e in gran parte detto, in quei mesi, fossero reali.
-…  Cosa pretende di sapere lui? Crede davvero che io non abbia avuto degli orari, delle regole, dei doveri? Che non abbia faticato, per quei ragazzi? Mi ha vista con loro una sola volta e crede che quello sia stato il modo in cui ho passato tutte le mie giornate? …  -.
Distolse gli occhi dallo schermo per fissarli sulla grande finestra dell’ ufficio.
Era sola, aveva spento quell’ orrida luce al neon che le feriva gli occhi ed aveva continuato quel suo noiosissimo lavoro senza concentrarsi troppo su quello che stava facendo, sapendo che questo le avrebbe provocato dei graziosi rimorsi che le avrebbero acuito l’ ulcera, al pensiero di aver combinato qualche cavolata, ma adesso non voleva pensarci né ci sarebbe riuscita nemmeno volendo.
Si alzò e si diresse alla finestra, tutto quello che si presentava ai suoi occhi era grigio ed incolore.
Il cielo, l’ asfalto, il casermone che vi era di fronte.
In effetti non avrebbe potuto negare che  durante il periodo passato come interprete dei Tokio Hotel non si fosse divertita.
Aveva visitato posti nuovi, aveva potuto far vagare lo sguardo su paesaggi ben differenti da quello che adesso la soffocava, ma non aveva mai creduto di non esserselo guadagnata.
Era stata incredula il più delle volte quando, sdraiata sul suo letto, la notte, ripensava alla giornata appena conclusa, a come fosse andata l’ intervista del pomeriggio, e riviveva attimo per attimo le ore di quella giornata giunta al termine, si chiedeva cosa avesse mai fatto per meritarsi una fortuna simile, ma mai aveva pensato di non guadagnarsi tutto ciò che aveva.

Adesso chiuse gli occhi sul suo presente e soprattutto sul suo passato e tornò con un sospiro alla sua scrivania.
Mancava poco oramai all’ uscita da quel posto e quasi si stava chiedendo se avesse davvero voglia di uscire da quella piccola soffocante gabbia per rinchiudersi in quella che era la sua vita: non meno soffocante.

Non appena mise piede fuori dal portone dell’ anonimo palazzo vide Fabrizio seduto in macchina ad attenderla.
Sapeva che sarebbe dovuto patire il giorno dopo per Bologna, per l’ ennesimo impegno lavorativo e sapeva che sarebbe passato a prenderla per andare a cena da qualche parte, così si arrese all’ evidenza e si sedette al posto del passeggero, chiudendo con un delicato tonfo sordo la portiera.
<<  Allora, come è andata oggi?  >>.
La solita domanda, col solito tono assente e fondamentalmente disinteressato.
La solita risposta, col solito tono assente e …
<<  Tutto bene, grazie … E tu?  >> … fondamentalmente disinteressato.
<<  Tutto bene, domani devo andare via per un po', ricordi?  >>.
<<  Sì, me lo ricordo … Ti ho già stirato i vestiti e preparato la valigia … L’ ho messa accanto alla porta  >>.
<<  Grazie  >>.
Proseguirono in silenzio verso il ristorante dove erano diretti, dove avrebbero servito specialità di pesce.
Andrea con la consapevolezza che avrebbe ingoiato a malapena il primo, le solite penne al salmone.
Non le piaceva il pesce in maniera particolare e comunque in quell’ ultimo periodo non era molta la roba che il suo stomaco riusciva a sopportare.

Si sedettero al tavolo che il ragazzo aveva prenotato, sempre in silenzio e si immersero nella lettura del menù, più per abitudine che per altro.
Soliti piatti, solito vino, solito dolce.
Caffè a fine cena per lui, un amaro per lei.
Rientro silenzioso.
Andrea stava seriamente temendo di compiere qualche gesto inconsulto, come mettersi improvvisamente a strillare all’ interno dell’ abitacolo dell’ auto con tutta la voce che sentiva repressa nel suo petto.
Ma non lo fece.
Volse lo sguardo al finestrino e davanti ai suoi occhi apparvero stralci di Berlino che sfrecciavano via.
Li chiuse.
Non poteva sopportarlo.
Quella città le mancava incredibilmente.
I ragazzi le mancavano incredibilmente.
Il suono di un messaggio ricevuto del suo cellulare la fece sobbalzare ed infilò automaticamente la mano all’ interno della piccola insignificante borsetta che Fabrizio le aveva regalato il primo giorno di lavoro, per festeggiare.

**********
**********

Il tour stava andando bene, il sold out ad ogni data era diventata una piacevole abitudine per i ragazzi eppure i sorrisi che apparivano sulle loro labbra erano tutte dedicate alle interviste, abbastanza rare in quel periodo denso di live ed alle fan che li aspettavano per ore fuori dalle arene.
David era pensieroso.
Erano passati ormai quattro mesi da quando Andrea aveva smesso di lavorare per loro.
Non erano molti, ma all’ uomo parevano quasi un’ eternità.
Nemmeno la sorridente presenza di Nadia al suo fianco riusciva a sopperire del tutto alla mancanza della ragazza.
-… E comunque è abbastanza strana anche lei … ha sempre dei musi lunghi fino al pavimento … Andrea le manca e manca a tutti noi …    … Hai combinato proprio un bel casino, David … Volevi evitare di ritrovarti sulle spalle un’ interprete utile solo per sollazzare Tom e adesso ti ritrovi con quattro ragazzi immusoniti dalla mancanza di quella che, nella tua mente ottusa, sarebbe dovuta essere solo una scialba ragazzina di passaggio … Merda! …  -.
<<  Dave … Tutto bene?  >>.
La mano fresca di Nadia si stava posando leggera sulla sua guancia appena un po’ ispida, regalandogli una subitanea sensazione di benessere.
Volse il viso verso la ragazza che si era seduta sul bracciolo della poltrona dov’ era stravaccato, accavallando le gambe in maniera giocosamente sensuale, forse sperando di distrarlo.
Cosa che sarebbe anche stata possibile se non avesse avuto davanti agli occhi l’ espressione addolorata del suo cantante.
Solo poche ore prima, incrociando lui e Nadia per mano nel corridoio, li aveva osservati qualche secondo concedendo loro un mesto sorriso, poi aveva abbassato lo sguardo sui suoi stivali, senza alzarli più mentre li oltrepassava diretto alla sua stanza.
Tornò alla realtà della sua donna seduta accanto a lui.
<<  Mi piacerebbe dirti che va tutto bene Nadia …  >>.
La ragazza appoggiò la guancia sulla testa dell’ uomo.
<<  Vedrai che passerà …  >>.
David sospirò, cercando di non dare a vedere la poca fiducia in quelle parole che avrebbero dovuto essere confortanti.
Nemmeno Nadia credeva a quello che stava dicendo, ma detestava vedere David così demoralizzato e preoccupato per i ragazzi.
Non che lei lo fosse di meno.
Vedere qui ragazzi così le metteva tristezza, soprattutto perché li aveva visti in compagnia di Andrea.
Georg e Gustav erano ancora più silenziosi del solito e se nel batterista la cosa non si notava poi molto, essendo silenzioso già di suo, Nadia sentiva un po’ la mancanza del caos che, non si sarebbe detto, il bassista riusciva a creare, lo scintillio scherzoso dei suoi occhi verdi che le prendeva un po’ in giro quando confabulavano tra di loro.
Per non parlare dei due Kaulitz, che sembravano fare a gara per chi dei due riuscisse a far preoccupare di più David e di conseguenza lei.
Tom era intrattabile e scostante e le uniche volte che lo vedeva in atteggiamenti più umani era con suo fratello o con Georg e Gustav, ma solo perché questi ultimi gli intimavano chiaramente con lo sguardo di non scocciarli con i suoi malumori che ne avevano abbastanza dei loro.
E poi c’ era Bill.
Nadia si sentiva spezzare il cuore ogni volta che, masochisticamente supponeva, posava gli occhi sull’ efebico cantante.
Gli sembrava quasi dimagrito, sebbene la magrezza del ragazzo fosse da sempre uno dei suoi tratti distintivi; ma erano i suoi occhi a colpirla ogni volta come un fulmine a ciel sereno.
Ricordava lo sguardo che aveva notato in quelle iridi ambrate che si posavano quasi colpevoli e intimidite su Andrea, sebbene le sembrasse che la ragazza stessa non se ne accorgesse, ricordava i suoi sorrisi grandi quando scherzava con lei e ricordarli adesso che di quel sorriso vi era solo l’ ombra su quelle labbra, era doloroso per lei.
Sapeva che Andrea soffriva e la faceva impazzire il fatto di non sapere cosa fosse effettivamente successo tra i due ragazzi prima che la sua amica tornasse in Italia.
-…  Perché qualcosa è successo … Lo so, lo sento! … Maledizione …  -.
Non sapeva se a renderla più nervosa fosse il fatto che la sua amica non le avesse raccontato tutto o il fatto stesso di non sapere.
<<  David … Sei davvero sicuro di non sapere cosa sia successo tra Bill e Andrea? Insomma io … Io credo … Non so … Andy mi è sembrata strana quando l’ ho sentita …  >>.
David trattenne a stento uno sbuffo spazientito.
Non voleva offendere Nadia ma quella domanda gliela aveva ormai posta già un centinaio di volte e lui, la stramaledetta risposta, non la aveva.
E Dio solo sapeva quanto avrebbe desiderato averla.
<<  No Nadia … Non lo so, e nessuno dei ragazzi me ne ha parlato … Non so cosa maledizione sia successo!  >>.
Poi, rendendosi conto di avere esagerato, sorrise mesto alla ragazza.
<<  Possiamo parlare d’ altro? Questa situazione mi sta distruggendo … Detesto vederli così e non potere far nulla per risolvere il problema …  >>.
Nadia non se la prese, sapeva di essere stata vagamente assillante, così decise semplicemente di baciarlo.
Per lui e per sé stessa.

La porta si richiuse lentamente facendo svanire anche quel minuscolo spiraglio di dolorosa felicità dai suoi occhi.
Si diresse a passo di marcia nella sua stanza, deciso a fare qualcosa.
Non appena ebbe messo piede nella propria camera Tom afferrò con rabbia il cellulare digitò poche furiose parole, un numero che ormai, pur avendolo eliminato in un gesto iroso dalla sua rubrica, conosceva perfettamente, poi si lasciò cadere a sedere sul letto, sconfitto, reggendosi la testa pesante tra le mani.
Sapeva di aver scritto qualcosa che non pensava, ma …
Sapeva che tra pochi istanti il motivo per cui aveva scritto quelle parole alla loro ormai ex interprete, sarebbe arrivato a bussare alla sua porta.

<<  Entra pure …  >>.
<<  Disturbo?  >>.
<<  Non mi disturbi mai fratellino … Come va?  >>.
Bill si sedette in silenzio accanto a Tom.
<<  Non va … I nostri show sono fantastici, riempiamo le arene e l’ amore che ci circonda io riesco a sentirlo sulla pelle come una scarica elettrica eppure … Eppure sento che non lo sto ricambiando come dovrei … Come vorrei … Detesto mentire loro, però … L’ unico amore che vorrei mi è negato ed io non riesco ad amare …  >>.
Tom deglutì silenziosamente.
Lo stomaco contratto davanti alla disillusione di suo fratello, davanti a quel dolore per il quale non poteva fare nulla.
Non si trattava di bulli che poteva almeno provare a fermare, si trattava di una ragazza e, se anche avesse deciso di prenderla a schiaffi, non avrebbe mai potuto obbligarla ad amare suo fratello o ad ammettere con sé stessa i suoi veri desideri.
-… Certe cose non si possono obbligare, Tom … Dovresti averlo imparato, ormai …  -.
Lo aveva imparato, aveva imparato che l’ amore è qualcosa che non si può pretendere, che non si può decidere, che non si può incanalare.
Si poteva solo viverlo come veniva, prenderlo per quello che era, accettarlo in tutte le sue infinite sfaccettature.
Chiunque avrebbe pensato fosse assurdo che proprio lui, Tom Kaulitz, avesse dei pensieri sull’ amore, ma ai suoi stessi occhi la cosa non era poi così strana.
Certo, forse lui non lo aveva davvero mai provato nei confronti di una ipotetica compagna di vita, né aveva mai davvero sentito il desiderio di averla, ma ciò non significava che non sapesse cosa fosse, l’ amore.
Amava suo fratello, prima di ogni altra cosa, più di ogni altra cosa.
Amava la sua famiglia.
Amava i suoi amici.
Amava il suo lavoro, con tutti i suoi pro ed i suoi contro.
Ed aveva imparato ad amare Andrea, in un modo che non credeva davvero fosse possibile amare un essere umano del sesso opposto.
Ma i fatti erano questi.
E comunque l’ amore aveva sempre fatto parte della sua vita.
Lo aveva vissuto attraverso gli occhi di Bill, che era da sempre stato più portato verso questo sentimento, attraverso i suoi sogni e le sue parole, i testi delle sue canzoni.
-… Ecco qui cosa significa avere un gemello … E’ come vivere due vite, tutto raddoppiato e fare tue delle esperienze pur non avendole vissute in prima persona …  -.
Adesso, un nodo in gola che gli bloccava il respiro e qualche imprecazione che al momento era meglio soffocare, si stava chiedendo se fosse un bene.
Detestava vedere quell’ espressione negli occhi del suo gemello e ancora di più detestava non vederla, dato che Bill, una sigaretta che lenta si consumava tra le sue dita affusolate innalzando effimere spirali di fumo sottile, teneva il viso basso, come se si vergognasse di ciò che stava provando.
-… Dio … Fai in modo che a me non succeda mai. MAI! …  -.
<<  Bill … Senti, forse … Forse dovremmo chiamarla … Così, per sapere come sta, per … Salutarla, non so …  >>.

Bill, immobile e stanco abbastanza da non avere voglia nemmeno di portare quella maledetta sigaretta, l’ ennesima di quella lunga giornata, alle labbra, stava silenzioso a fissare i suoi stivali.
Lo sguardo fisso sulla piccola brace che mutava il tabacco in cenere.
Pensava vagamente che se non si fosse deciso a muovere un passo, la cenere sarebbe caduta sul lucido parquet di quell’ Hotel.
Pensava vagamente che fino a qualche tempo prima non avrebbe permesso a nulla di impedirgli di mordere la vita, di farla sua il più possibile.
E invece adesso …
Adesso non aveva voglia di nulla, avrebbe solo desiderato mettere fine a quella giornata con la vana speranza che quella successiva sarebbe potuta essere migliore.

Le parole di suo fratello lo colsero alla sprovvista.
Tom non poteva averlo detto davvero.
<<  Stai scherzando vero? … L’ ho persa già una volta … Persa …  >>. Rise amaro.
<<  Non è mai stata mia … Ma di certo non le permetterò di mandarmi via un’ altra volta … Non posso …  >>.
Tom si voltò verso di lui.
<<  Sei stato tu ad andartene, quella sera … Avresti potuto farla tua … Ma hai deciso di non farlo, di andartene …  >>.
Due occhi accesi di rabbiosa frustrazione si fissarono in quelli del chitarrista.
<<  Sai bene che non sarebbe cambiato nulla! Come puoi? Come puoi accusarmi di una cosa del genere? Forse tu sei abituato a prenderti quello che vuoi senza preoccuparti di ritrovarti da solo il giorno dopo … Dio solo sa quanto la volessi, quella notte ... Ma lei sarebbe andata via, sarebbe tornata da lui … Mi avrebbe lasciato solo … Cristo Tom! Sai cos’è la solitudine? Sai come ci si senti freddi e vuoti dopo aver sfiorato la felicità, averne solo assaporato il calore e la dolcezza? Quanto più grande sia il dolore della solitudine?  >>.
La voce del cantante si era alzata di parola in parola, mentre il petto magro si alzava ed abbassava al ritmo frenetico del suo respiro affannato.

Se Bill lo avesse colpito, se gli avesse tirato uno schiaffo o un pugno dritto nello stomaco, avrebbe sofferto meno.
Ecco come si sentiva Tom, mentre lo sguardo furioso del gemello lo trapassava da parte a parte, accusandolo di non avere cuore.
Di non averne per lui.
E la rabbia fu l’ unica risposta che trovò.
<<  Senti! Sei stato tu a cercarmi! Lo fai ogni stramaledetta notte, Bill! Mi tieni sveglio per ore a sopportare in silenzio i tuoi stessi silenzi senza decidere mai di fare qualcosa di concreto per risolvere la situazione!  >>.
Si morse la lingua.
Sapeva di aver esagerato, Bill appariva vagamente sconvolto.
<<  Bhè … Mi dispiace se sono stato un peso per te in tutti questi giorni! Stai tranquillo! Non ruberò più preziose ore di sonno alle tue notti … O alle tue sgualdrinelle! Vaffanculo Tom! … Credevo … Credevo di essere abbastanza importante per te … >>.
Il ragazzo si volse verso la porta, l’ aprì con un gesto stanco e se la richiuse alle spalle.
-…  Bill …  -.
Bill.
Il suo Bill.
Suo fratello, il suo gemello, la sua perfetta metà che adesso stava soffrendo e che lui, troppo furioso con sé stesso per la propria incapacità di aiutarlo, aveva ferito e mandato via.
Per quanto quelle parole avevano potuto ferirlo, sapeva che Bill non pensava ciò che aveva detto.
E lui?
Bill sapeva che lui quelle cose non le pensava?
Si diresse svelto alla porta, sbattendosela alle spalle e cominciando a correre lungo il corridoio.
Volse l’ angolo.

Bill si sentì afferrare un polso, poi, una forza maggiore alla sua, che lui conosceva fin troppo bene, lo attrasse a sé.
Conosceva bene anche le braccia che lo cinsero, forti e delicate, come se stessero stringendo qualcosa di molto fragile e di molto prezioso.
Conosceva la spalla sulla quale poté posare la fronte e riprendere fiato.
Conosceva quel profumo di dopobarba misto all’ odore delle Marlboro rosse che era solito fumare.
Avvolse le sue braccia esili alle spalle del fratello.
<<  Mi dispiace Tomi … Io … Lo sai che non penso quello che ho detto …  >>.
Un sussurro affranto che fece stringere i denti al chitarrista.
<<  Lo so … Ed io … Non me ne frega nulla di stare sveglio tutte le notti, se solo sapessi che serve a qualcosa, a farti stare meglio …  >>.
Gli occhi nocciola di Bill si alzarono in quelli di Tom, grandi, increduli.
<<  Ma è quello che fai! Senza di te, io … Cosa potrei fare io, senza di te?  >>.
Tom sorrise.
<<  Esattamente quello che potrei fare io … Assolutamente nulla! … Vieni … Torniamo in camera … David è già abbastanza preoccupato. Se ci trova così in mezzo al corridoio gli prende un colpo … E poi … Abbiamo un silenzio da condividere io e te, adesso … O … Puoi parlare, se vuoi …  >>.
Bill sorrise e seguì il fratello che gli aveva afferrato una mano in uno di quei gesti affettuosi ed un po’ infantili che erano andati diminuendo di anno in anno, e questo li rendeva ancora più speciali agli occhi del cantante.
Lo aspettava un’ altra lunga notte.
Sapere di avere Tom al suo fianco era l’ unica cosa che le rendesse accettabili.

**********
**********

“ Sai cosa hai fatto? Non ti importa di nessuno che non sia tu ed il tuo maledettissimo orgoglio! Sei una stronza”

Andrea leggeva e rileggeva le parole di quell' sms.
Facevano male ma erano anche l’ unico legame che la riportava a loro.
Tom.
Avrebbe dovuto aspettarselo da lui.
Sorrise mesta mentre un sapore sgradevole le si posava sulle labbra.
Lo accolse con gioia.
Era da troppo tempo che non lo assaggiava.
Poi improvviso eppure ormai fin troppo conosciuto, un sapore acido le invase la bocca e lei dovette alzarsi svelta dal divano per correre in bagno.
<<  Stai bene?  >>.
Una voce alle sue spalle la fece trasalire, mentre cercava di rimettersi in piedi.
-…  Vattene … Non adesso, Fabrizio, ti prego …  -.
Inutili speranze.
Le si avvicinò e le posò una mano sgradevolmente calda sulla fronte sudata e gelida.
<<  Non sarai mica incinta, vero?  >>.
Una doccia fredda.
Era certa che non fosse così, prendeva delle precauzioni ma la sola idea che una cosa del genere potesse verificarsi la scosse in un tremito incontrollato.
<<  No, no … Stai tranquillo … Credo di non aver digerito il salmone … A volte mi capita … Domani magari vado a fare un controllo … Torna pure a letto, io arrivo subito …  >>.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e si diresse in camera da letto, accomodandosi sotto le lenzuola ancora calde.
Andrea si alzò, si lavò i denti, cercando ostinatamente di ignorare il suo riflesso allo specchio, ma inevitabilmente il suo sguardo fù rapito dai suoi stessi occhi grigi e lucidi.
-… E se fosse? Se davvero fossi rimasta incinta di Fabrizio? Cosa avresti fatto? … Lo avresti amato questo bambino, questo è certo e poi? … Non sarebbe stato il figlio della persona che vorresti al tuo fianco, vero? Ma alla fine … Rassegnati … Prima o poi dovrai dargli un figlio … Dare a te stessa una ragione di vita no?  -.
Le sembrava strano pensarci adesso, con i brevi capelli corvini appiccicati alla fronte sudata, ma in effetti credeva di essere andata vicina alla verità.
Spesso ci aveva pensato, spesso aveva cercato di immaginare come ci si doveva sentire quando la consapevolezza di portare una piccola fragile vita dentro di sé, ti riempiva il cuore.
E non ci era mai riuscita.
A volte aveva persino creduto che per lei quel giorno non sarebbe arrivato mai.
Ora, fissando la porta che Fabrizio si era chiuso alle spalle, pensò che un giorno sarebbe successo.
Si chiese se sarebbe stata abbastanza forte da sopportarlo.
Per una frazione di secondo la verità apparve davanti ai suoi occhi : non sarebbe stato un bambino il problema ma il fatto di averlo avuto con a persona sbagliata …
-… SMETTILA! Smettila Andrea! Tu NON sei incinta e questo NON è il momento giusto per pensare ad una simile possibilità … Del resto sei tu che decidi, no? Puoi farlo … Adesso smettila di farti mille paranoie e vattene a dormire, spegni quel maledetto cellulare e non pensare più a nulla! …  -.
Si trascinò fino alla cucina, al buio, ingoiò un analgesico, poi si distese tra le lenzuola gelide, rabbrividendo ed augurandosi che il sonno arrivasse presto a strapparla da sé stessa.

La mattina dopo il risveglio non fu dei migliori per lei.
Come se non fosse bastata la nottataccia alla quale era appena sopravissuta, la voce di Fabrizio giunse fastidiosa a regalarle un pessimo risveglio.
Avvertì la sua mano sulla spalla che la scuoteva.
<<  Drew … Ti ho portato il caffè … Svegliati … Devo dirti una cosa …  >>.
Andrea detestava quando lui la chiamava Drew, in genere significava che voleva qualcosa o che stava per darle una virtuale batosta tra capo e collo.
Non credeva di poterla reggere, ma cercò di aprire gli occhi con un po’ di buona disposizione. 
Fece forza sul braccio sinistro alzando a fatica il corpo incastrato tra le coperte.
<<  Mentre non c’ eri ho pensato molto a noi due e non sono stato con le mani in mano … Ho parlato con Greta …  >>.
Sentire nominare la moglie del giovane uomo fece fremere le sue antennine assonnate ma ancora non aveva ben capito dove Fabrizio volesse andare a parare.
<<  La separazione è ufficiale … Non appena torno ci sposiamo … Ho già prenotato il comune, preparato le partecipazioni ... Scelto il ristorante e contattato un fotografo … Qui c’è il numero di una sarta che mi ha consigliato proprio Greta … Certo, non potrai indossare l’ abito bianco, ma in fondo non avrebbe molto senso, no?  >>.
Andrea boccheggiava come se l’ aria fosse divenuta piombo liquido che le invadeva la bocca, la gola, occludendole i polmoni.
<<  Ma … Io … perché?  >>.

Evidentemente non era la domanda che Fabrizio desiderasse sentirsi fare, ma parve, almeno agli occhi di Andrea, che se la aspettasse.
Prese fiato ed il suo tono, pratico e lineare, non mutò di una virgola.
<<  Stiamo assieme da anni, mi sembra la cosa più naturale da fare … Non vorremo mica continuare a fare i fidanzatini per anni, rischiando di gettare al vento tutto quello per cui abbiamo lavorato … Adesso però devo scappare … Ci sentiamo questa sera  >>.
Le baciò brevemente la guancia e, prima ancora che lei potesse rendersi conto di quello che era effettivamente successo, sentì la porta di casa chiudersi con un colpo deciso, quello di chi non ha tempo da perdere in stupidi convenevoli, come l’ accompagnare la porta fino alla sua chiusura o dire alla propria donna che la vuole sposare perché l’ ama.

Aveva appena ricevuto la sua prima ed ultima richiesta di matrimonio ed ora era sola.
E l’ aveva accolta ancora intorpidita, assonnata, con i capelli spettinati, il trucco sfatto e il mal di stomaco.
-…. Bhè Andrea … Deve amarti per forza se ti ha chiesto di sposarlo nonostante le tue condizioni pietose …  -.
Avrebbe desiderato ridere di quella assurda situazione ma l’ unica cosa che sfuggì alle sue labbra fu un singulto strozzato.
Alla sua mente salì il ricordo di un’ altra mattina.
Una mattina in cui il suo aspetto era stato altrettanto disastroso, ed immediato il ricordo di altri due ragazzi, forse non ancora uomini, che non la avevano richiesta in sposa ma che erano riuscita a guardarla con più affetto di quanto avesse fatto il suo futuro marito, e che l’ avevano fatta sentire davvero bella, nonostante tutto …
Georg …
Tom …
Scacciò quell’ attimo di debolezza e tornò alla realtà del suo presente.
Fabrizio le aveva chiesto di sposarlo.
No.
Fabrizio l’ aveva magnanimamente avvisata che si sarebbero sposati di lì a tre settimane.
“ … Non vorremo mica continuare a fare i fidanzatini per anni, rischiando di gettare al vento tutto quello per cui abbiamo lavorato … “.
Ecco quali erano state le esatte parole che il ragazzo aveva usato.
Suonavano così maledettamente fredde ed ingiuste e sbagliate alle sue stesse orecchie …
Un lampo improvviso la folgorò.
Era lo stesso concetto che aveva propinato a Tom.
Adesso si stava rendendo conto di come aveva potuto percepirle il ragazzo.
Sbagliate, ingiuste, fredde.
Impersonali.
Come tutta la sua vita con Fabrizio.
Come tutta la vita con lui da qualche anno a quella parte e come sarebbe stata da allora in poi.
Perché c’ era stato un tempo, sebbene lei faticasse a ricordarlo, adesso, in cui l’ aveva amato sul serio, in cui avrebbe donato qualche organo vitale pur di stare con lui, pur di sentire quelle parole.
Quante volte da ragazzina lo aveva sognato.
E adesso le aveva dette.
E non assomigliavano minimamente a quelle che aveva immaginato.
Nulla era come lo aveva immaginato.
Nelle sue fantasie di adolescente in erba non c’ erano ragazze disfatte in un letto, ragazzi che stavano per partire per lavoro e, soprattutto non c’ era l’ ombra della felicità ad oscurare quel momento che, della felicità, avrebbe dovuto essere la luce.
Ma adesso erano lì.
Un’ ombra pesante che le mancava immensamente.
Un’ ombra che era luce e forza e desiderio e rimpianto.
Mise i piedi giù dal letto, lentamente, come misurando ogni più insignificante gesto, e rabbrividì al contatto con il pavimento freddo.
Un attimo dopo stava correndo fino al bagno, lasciandosi cadere frettolosamente e scompostamente sulle ginocchia, liberandosi lo stomaco dal nulla che lo opprimeva.

**********
**********

<<  Hai sentito Andrea?  >>.
Quella domanda, da quella voce, avrebbe dovuto insospettirla, preoccuparla o stupirla, invece si accorse con tristezza che nulla di questo era avvenuto.
Si volse lentamente verso il ragazzo e gli sorrise.
Era l’ unica cosa che potesse fare.
Lui la guardava di sottecchi, quasi temendo di incrociare quegli occhi di smeraldo, quasi temendo quella risposta che ora che era stata richiesta non era più certo di desiderare.
Teneva gli occhi nocciola e intensi fissi sulle sue scarpe, sentendosi sgradevolmente colpevole.
Sapeva di non essersi comportato bene con Andrea e temeva la reazione della rossa che gli stava di fronte.

Era estremamente tenero e dolce e nemmeno questo la stupì.
Aveva appreso tempo addietro, in un aeroporto in Sud Africa, quanto lui potesse essere diverso quando si trattava di Andrea.
Era strano, ma affatto sgradevole e per un attimo un pensiero le attraversò la mente.
-…  Non sarebbe stato lo stesso, se fosse stato con me …  -.
Ma non era un male, rendersene conto.
Aveva trovato l’ uomo giusto per lei e nulla avrebbe potuto intaccare la sua felicità.
Adesso rimase ferma davanti al ragazzo in attesa di un gesto che le lasciasse intuire quanto desiderasse quella risposta che lei gli stava negando.
Non che lo facesse con il proposito di tenerlo sulle spine, semplicemente non aveva la più pallida idea di come rispondergli.
Decise di usare la via più semplice.
<<  No, Tom … Non la ho più sentita …  >>.
Ed era la verità.
Era strano per lei dirlo, rendersi conto forse solo in quello stesso istante in cui quelle parole uscivano dalle sue labbra, che erano passati quasi due mesi dell’ ultima volta che aveva sentito Andrea.

Tom rimase in silenzio.
Cosa avrebbe dovuto dire?
Cosa si aspettava?
E Nadia?
Cosa si aspettava che lui dicesse?
E lui?
Cosa avrebbe voluto dire?
Avrebbe voluto rivelarle quanto era stato stronzo con Andrea e magari sentirsi sgridare da lei, avrebbe voluto …
Che lei gli dicesse che Andrea stava bene o forse che gli dicesse che era infelice …
Si sentiva in colpa per questo, pensava di dover desiderare la sua felicità e invece  riusciva solo, egoisticamente, a pensare che non sarebbe stato giusto che lei fosse felice mentre loro non lo erano.
Nemmeno immaginava quanto, in questo, assomigliasse ad Andrea stessa.

<<  Alza  gli occhi, Tom … Non è un delitto sentirsi come ti senti, sai? Non c’ è nulla di male nell’ essere un po’ deboli, ogni tanto … O un po’ egoisti …  >>.
Tom li alzò davvero, gli occhi, stupito da quanto quella rossa malefica che adesso lo osservava sorniona, fosse riuscita a scorgere dentro di lui.
Ma quando incrociò quegli occhi scintillanti, dentro non vi vide solo quella scintilla di sottile ironia, ma anche una luce calda, che lo avvolse, consolandolo, quasi.
-… Non sarebbe stata la stessa se fosse stata con me …  -.
Era strano e un po’ doloroso ammetterlo, ma vedeva chiaramente che Nadia aveva trovato l’ uomo giusto per lei e ne era felice, per entrambi.
Ed anche un po’ per sé stesso.
Continuava a pensare quello che aveva pensato qualche notte prima, in compagnia di Bill …
-… Dio … Fai in modo che a me non succeda mai. MAI! …  -.

<<  Bhè, se la senti …  >>.
<<  Te la devo salutare?  >>.
<<  Non credo sia quello che vuole …  >>.
<<  Non credo che servirebbe a farla stare meglio, temo …  >>.
Nadia aveva concluso con un sospiro mesto ed esasperato quel breve scambio di battute per poi voltarsi e dirigersi con passo leggero e naturalmente elegante, verso la stanza che divideva con David.
Tom rimase da solo a fissare la schiena lunga della ragazza allontanarsi e sparire da davanti ai suoi occhi, una volta svoltato l’ angolo.
Si volse a sua volta e si diresse verso la propria stanza.

<<  Finita la vostra chiacchierata serale?  >>.
Bill stava con le spalle appoggiate al muro freddo, la schiena inarcata, una lunga gamba tesa davanti a lui sulla cui punta dello stivale che la terminava, teneva posato lo sguardo.
<<  Bill, io …  >>.
Il ragazzo stava cercando di giustificarsi.
<<  Adesso …  >>.
<<  … Basta  >>.
Le voci di Georg e Gustav risuonarono nel corridoio deserto.
I due gemelli alzarono gli occhi su di loro e quelli che incontrarono erano altri quattro occhi, gonfi e stanchi quanto i loro.

Nonostante Madre Natura fosse stata alquanto generosa con tutti loro, così che riuscivano ad essere piuttosto attraenti anche dopo ore di prove o di interviste o di sessioni fotografiche infinite, adesso, ognuno nell’ altro, poteva vedere i segni che quei giorni avevano lasciato su di loro.
Una tournee di successo equivaleva a parecchie ore di sonno perse, a ritmi frenetici e stressanti, a lavoro extra : interviste, signing session, meet&greet e photoshoot erano all’ ordine del giorno.
Ma c’ era una stanchezza diversa in quegli occhi.
Tutti erano stanchi di quell’ ombra di malumore che aleggiava su tutti loro, come un’ aspettativa già delusa in partenza.
Tutti sapevano che era un’ illusione continuare ad aspettare che avvenisse qualcosa, eppure tutti aspettavano, stoici.
<<  Bill, adesso basta … Non sei l’ unico ad avere la luna di traverso … La differenza è che noi cerchiamo di andare avanti, di non assillarci l’ un l’ altro, nei limiti del possibile, di sostenerci, anche in silenzio, mentre tu …  >>.
<<  Tu te ne stai con un muso lungo da qui all’ infinito, quando sorridi sembri uno psicopatico depresso e … Non ridi mai, Bill, te ne rendi conto?  >>.
Concluse Gustav seguendo Georg.
<<  Io … S … Sì … Ma …  >>.
<<  E ti rendi conto quanto tutto questo ci ferisca?  >>.
Tom.
Bill alzò gli occhi su di lui, per poi spostarli sulle due G.
<<  Ferisce tutti noi  >>.
Georg.
<<  E a tutti noi manca Andrea  >>.

I due occhi sgranati del cantante si abbassarono nuovamente.
Non voleva sentire quel nome.
Non voleva sentirlo dire da nessuno di loro; gli bastava sentirlo rimbombare nella sua testa ad ogni respiro.
E non poteva smettere di respirare.

<<  Tom stava solo cercando di … Alleviare quella mancanza … Bill … Ha solo chiesto a Nadia se la aveva sentita … Abbiamo il diritto di farlo, anche se sappiamo che ti fa male … Ma non credi che continuare ad ignorarla, come se non fosse mai stata con noi, possa fare anche più male? … Hai il diritto di cancellarla dalla tua vita, se è quello che vuoi …  >>.
<<  Ma non di chiedere a noi di fare altrettanto  >>.
Georg e Gustav completavano l’ uno la frase dell’ altro.
Capitava delle volte, quasi come capitava tra lui e suo fratello e questo faceva sorridere Bill, di solito.
Da quando l’ avventura con i Tokio Hotel era cominciata, aveva imparato qualcosa che fino ad allora gli era sconosciuta.
C’ era qualcuno al di fuori della sua famiglia che poteva diventare altrettanto importante.
Georg e Gustav erano quel “qualcuno”.
Erano la sua famiglia.
E lui li stava ferendo.
Questa consapevolezza lo ferì fino infondo all’ anima.

Gustav gli si avvicinò, potè sentire la sua mano piccola ma forte e salda sulla sua spalla fragile.
<<  Forse, e ti prego non ti arrabbiare, dovresti fare qualcosa … Non tutto è perduto fino a quando non lo abbandoniamo, fino a quando non smettiamo di crederci … Tu … Ci credi, Bill?  >>.
Gli occhi fondenti del batterista lo fissavano buoni e rassicuranti come sempre.
Quello era lo stesso Gustav che lo aveva mandato da Andrea, l’ ultima notte che aveva passato con loro.
Avrebbe dovuto detestarlo, per questo, lo avrebbe voluto.
Ma non poteva.
Poteva solo cercare di rispondergli ed essere sincero con lui.
<<  Io … L’ amo, per quello che può valere …  >>.
Gustav sorrise amaro.
Lo sapeva, sapeva cosa provava quel ragazzo idolatrato dalle folle oceaniche che li attendevano notte e giorno in tutto il mondo, e che adesso appariva semplicemente un ragazzino che soffriva per il motivo apparentemente più banale del mondo.
Ma non lo era, banale.
Era importante.
Lo era per Bill e lui lo sapeva perfettamente.
Lo abbracciò.
<<  Non dire una cosa del genere Bill … Non dirlo più, non dirlo mai … Il tuo amore vale, tanto … Potrebbe essere tutto per lei e solo lei può decidere della sua vita ... Ma questo non significa che tu debba rimanere immobile ... Non è ... da Bill!  >>. Sorrise infine il batterista.

Doveva fare qualcosa.
Ma cosa?
Mentre si godeva quel tepore che gli stavano dando le braccia forti di Gustav se lo domandò, senza trovare alcuna risposta.
<<  Senti … Andiamo in camera mia? Magari parliamo un po’ …  >>.
<<  No, Tomi, grazie ma … Avete ragione … E soprattutto, TU hai bisogno di dormire, non di passare le ore ad ascoltarmi tacere come un idiota … Buonanotte e grazie  >>.

Quello era rivolto a tutti loro, i suoi due amici e suo fratello, alla sua famiglia.

Si volse e se ne andò verso la sua stanza, forse un po’ più confuso, ma anche un po’ più deciso, sebbene non sapesse a fare cosa sapeva che qualcosa lo avrebbe fatto.

**********

Bene ... Non ho nulla da dire e vorrei ringraziarvi una ad una per la Vostra presenza, pazienza e recensioni!
Ma il tempo a mia disposizione sembra essere sempre troppo poco rispetto a tutto quello che Vorrei fare e a tutto quello che Dovrei fare...
Quindi Vi ringrazio così, dicendovi che le Vostre parole sono SEMPRE davvero Importanti per me!
GRAZIE a :
Lady Cassandra
Raffuz
NiceGirl
Dragona
Layla
Non so quando arriverà il prossimo, ma sarà l' ultimo! ^_____-
Un Abbraccio!
   
 
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