IMPORTANTE: I personaggi di queste
storie non mi appartengono, ma appartengono alla BBC e chi per essi. Da queste
storie non ci ricavo niente.
Questa storia ha partecipato alla challenge “Settimane a tema”, genere
fluff, per la community ff_serietv_ita.
Ci tengo a dedicare questa storia ad Harry, poiché aspettava
questa storia e me l’ha anche reclamata, facendomi molto felice. Non c’è la
presenza del tuo Sir preferito, sorry ç.ç però Arthur e Merlin si fanno le coccole… (Oddio, più il primo al
secondo). Spero che ti piaccia! *-*
Inoltre ci tengo a dedicarla ad Egle, per farmi perdonare delle tante – troppe – drabble che posto.
E già che ci sono tanti tanti auguri a Ryta Holmes, che oggi compie gli
anni!! *-*
Buona lettura
a tutti.
I like the way you are…
(‘Cause you make my day)
Quella mattina Arthur aveva pensato che procacciare qualche preda per il
nobile banchetto che si sarebbe tenuto la sera stessa a Camelot, avrebbe
sicuramente influito positivamente sul pensiero che suo padre aveva di lui.
Non poteva permettersi che Uther lo
vedesse poco stimolato dal cacciare o dall’essere perennemente attento ai
problemi e ai bisogni che il suo popolo reclamava.
E così aveva trascinato Merlin con sé, nelle foreste vicine al castello,
certo che avrebbe portato qualcosa di buono da consegnare ai cuochi al suo
ritorno.
In fondo era o non era il principe ereditario di Camelot?
L’aria particolarmente densa, nel bel mezzo della fitta boscaglia in cui si
trovavano, rendeva il suo respiro lievemente affannato.
Sentiva piccole gocce di sudore impregnarsi nella maglia che indossava sotto
la cotta, mentre udiva Merlin dietro di sé, arrancare a fatica, tentando di
tenere il suo passo.
Stranamente quando poche ore prima l’aveva informato che quella sarebbe
stata una mattinata di caccia, l’altro – che di suo solito adorava lamentarsi e
ribattere agli ordini che lui impartiva – aveva debolmente annuito ed
acconsentito a seguirlo, preparando tutto l’occorrente in regio silenzio.
Anche in quel momento era dietro di lui, silenzioso come non mai.
Teneva tra le mani due piccole corde con cui aveva legato le lepri che il
principe aveva ucciso poco prima.
“Cos’hai, Merlin?” chiese, dopo un po’ che il moro limitava a
comportarsi come fosse la sua ombra. “Oggi mi sembri un po’ sottotono” aggiunse
poi.
“Siete sempre scontento delle mie risposte insolenti… Per
una volta che preferisco tenere la bocca chiusa non ne siete compiaciuto?” gli
rispose l’altro con un sorrisino irriverente.
Aveva sempre la battuta pronta.
Ciò nonostante il moro aveva eluso la sua domanda, lasciandogli il dubbio
sulla verità.
Presto o tardi, avrebbe scoperto cosa lo stava affliggendo.
Un fruscio che proveniva vicino al punto in cui si trovavano lo distolse
dai suoi pensieri.
Erano abbastanza coperti dagli alberi e dai fitti cespugli, ed Arthur prese
a sgattaiolare velocemente fra quei grovigli.
Si isolò dal resto del mondo, seguendo solamente il suo istinto di
cacciatore ed i suoi sensi affinati. Adorava la caccia: lo rendeva libero ed indipendente… molto più di quanto lo sarebbe mai stato
a corte.
Dopo essersi affacciato un poco da dietro un albero, vide la sua preda.
Era una volpe dal pelo rosso e lucente che aveva la testa ficcata in una
cavità, probabilmente alla ricerca di qualche lombrico, completamente
ignara del pericolo che incombeva su di lei.
Ad Arthur parve quasi una creatura eterea, in quel contesto.
Mosse lentamente la sua balestra di legno, puntandola verso l’animale e
mirando la traiettoria.
Stava per scoccare il dardo, quando un urlo straziante fece scappare la sua
preda ed attirò la sua attenzione.
Solo in quel momento si accorse che Merlin non era più dietro di lui.
“Merlin!”
Il suo richiamo risuonò nella boscaglia, ma non ottenne una risposta.
Tornò sui suoi passi, ripercorrendo la strada che aveva fatto, cercando di
ricordare ogni singolo spostamento che aveva compiuto.
Poco lontano scorse la figura del suo servo; il suo esile corpo era steso a
terra, apparentemente privo di sensi.
Si chinò su di lui lasciando cadere sul terriccio la balestra e attirando a
sé, con un braccio, il corpo del moro; poi prese a dargli piccoli sbuffi sulle
guance con la mano libera, cercando di farlo rinvenire.
“Avanti Merlin!”
Passò qualche minuto, durante il quale il giovane principe credette di averlo perso.
Solamente quando vide le palpebre dell’altro schiudersi lentamente, fino ad
incontrare i suoi occhi blu, tirò un sospiro di sollievo.
Lo vide disorientato, non comprendere la situazione.
“Cos’è successo?” chiese confuso il servo.
“Non lo so.”
Il tono di voce del principe era serio e trapelava angoscia, anche se
cercava di non darlo a vedere l’altro.
“Ti ho trovato che eri già steso qui, privo di sensi. Tu non ricordi
niente?”
Merlin scosse la testa in senso di negazione e fece per alzarsi, poggiando
una mano a terra per aiutarsi, quando emise un grido sommesso.
Arthur lo vide portare una mano al braccio sinistro – con il quale aveva
cercato di issarsi – e scorse del sangue sulla sua maglia.
“Ti sei ferito.”
Non era una domanda.
Vide Merlin guardare il lungo taglio che aveva sul braccio, impregnare di
sangue quel misero straccio che indossava.
E sanguinava copiosamente.
“Dobbiamo tornare a casa” disse perentoriamente il biondo.
Si accorse dell’occhiata strana che il servo gli aveva rivolto, ma cercò di
non dargli peso.
L’aiutò ad alzarsi. Poi quando l’altro fu in piedi, si avviò verso l’uscita
della foresta, dove avevano lasciato i cavalli poche ore prima.
Quando si accorse che Merlin non lo stava affatto seguendo, si voltò
stizzito.
“Merlin, si può sapere che diavolo stai facendo?”
Vide il moro allungare un braccio verso il terreno e recuperare le due
lepri che aveva cacciato poche ore prima.
Arthur lo guardò con aria interrogativa, chiedendosi se fosse veramente il
caso che l’altro portasse pesi eccessivi quando il suo braccio perdeva così
tanto sangue, quando il moro interruppe i suoi pensieri.
“Non vorrei che vi trovaste nei guai per colpa mia. Vostro padre non
sarebbe affatto contento, se sapesse che avete perso il vostro bottino lungo il
tragitto per colpa del vostro servo disattento.”
Il biondo, inconsciamente, pensò che non gli sarebbe importato un bel
niente del pensiero del padre in quel momento.
L’unica cosa che desiderava veramente, era consegnare Merlin nelle mani di Gaius, dargli la serata libera – era sicuro che avrebbe
trovato qualche altro servo a cui far riempire il suo calice durante il
banchetto – ed essere sicuro di saperlo al risposo fino alla mattina seguente.
Osservò il suo servo dondolare verso i loro cavalli.
Durante il tragitto del ritorno, non gli sentì proferire parola.
* * *
Arrivati a Camelot, dopo aver ordinato ad un servitore di occuparsi dei
loro cavalli e riportarli nella stalla ed aver consegnato ad un altro la
selvaggina da lui procacciata, Arthur notò con estremo disappunto che il volto
di Merlin era imperlato di sudore e era notevolmente impallidito rispetto a
quando erano partiti dalla foresta.
I suoi occhi erano semiaperti e le sue labbra - solitamente rosse e succose
- erano ceree e screpolate.
Prima di tornare nelle sue stanze, l’erede al trono decise che sarebbe
stato meglio affidare Merlin alle cure di Gaius,
ma quando i due arrivarono nella stanza, il principe lesse il messaggio che il
cerusico aveva lasciato al suo servo, informandolo che non sarebbe tornato
prima di due giorni, poiché era andato in un villaggio vicino a fare scorta di
alcune spezie e che era stata richiesta la sua consulenza da parte di una
famiglia.
Merlin, debilitato, si era seduto sul letto del vecchio, al centro della
stanza.
Arthur aveva preso a camminare avanti e indietro, pensando ad una
soluzione per porre rimedio alle sofferenze del suo servo.
L’idea più plausibile che gli venne in mente, fu quella di pulire la ferita
ed applicarci qualcosa per non farla infettare.
“Togliti la maglia” ordinò al servo, guardandolo negli occhi.
Vide Merlin guardarlo con un barlume di malizia.
“Sire, come siete diretto…”
Arthur roteò gli occhi.
“So che ti riesce difficile provare a non comportarti da idiota, ma volevo
cercare un modo per alleviare il tuo dolore.”
“Capisco, Sire” rispose l’altro pensieroso. “Ma vi state affannando così tanto… non è che siete preoccupato per me?”
“Sei un idiota” sussurrò Arthur in risposta. “Ma è proprio il tuo essere un
idiota che mi rasserena le giornate.”
A quelle parole vide gli occhi del moro allargarsi per lo stupore.
“Grazie” disse Merlin, tra un misto d’orgoglio e d’imbarazzo.
Arthur lo fissò qualche secondo prima di sorridergli.
Lo trovava tremendamente adorabile.
Benché fosse pallido e dolorante, riusciva comunque ad ammaliarlo.
Sospirò appena, cercando di trovare una soluzione, una volta per tutte.
Ordinò ad una guardia che era lì fuori, di portargli un secchio d’acqua
fresca.
Sapeva che per svolgere quelle mansioni c’erano i servitori, ma in quel
momento non aveva né tempo né voglia di cercarne uno.
Quando rientrò nella stanza con l’acqua, Merlin si era tolto la maglia,
eseguendo il suo ordine.
La sua pelle, diafana e marmorea, lo lasciò senza parole.
Non era la prima volta che lo vedeva senza vesti, ma ogni volta il suo
pensiero era sempre lo stesso.
Lo trovava perfetto anche nelle sue imperfezioni e gli dava
sempre la stessa impressione… sentiva il bisogno di
proteggerlo, di saperlo al sicuro.
Posò il secchio sul tavolo e dopo aver recuperato uno straccio, ed averlo
bagnato e strizzato, si sedette vicino a lui, iniziando a passarlo
delicatamente sul suo braccio sottile.
Cercava di non premere troppo sulla ferita, cercando di lavare via alla
meglio il sangue incrostato.
L’emorragia si era fermata, ma Arthur temeva che quello squarto avrebbe
potuto infettarsi.
Dopo aver bagnato nuovamente il panno e rinfrescato il braccio di Merlin,
lo guardò seriamente.
“Sai di cosa si serve Gaius in queste
occasioni?”
“Sire… non c’è bisogno che vi preoccupiate così…”
Il biondo gli rivolse uno sguardo che non ammetteva repliche.
Il moro scosse leggermente la testa… poi
prese a pensare.
“Una pianta curativa… per prevenire le infezioni…”
Arthur attendeva speranzoso una risposta del servo.
“Della Lavandula” disse poi Merlin, sicuro
di sé.
Fece per alzarsi, per prendere l’occorrente per la medicazione, ma Arthur
lo bloccò.
Il moro gli disse allora dove prendere i fiori.
Avrebbe dovuto batterli ed aggiungere quel poco di acqua, sufficiente a
formare una specie di crema da poter applicare sulla ferita.
Mentre compieva quelle azioni, Arthur sentiva gli occhi del servo su di sé,
osservarlo silenziosamente.
“Dimmi una cosa…” disse poi con una punta di
curiosità.
“Perché questa mattina eri restio a parlare?”
La poltiglia che aveva preparato sembrava aver raggiunto la giusta
consistenza; sperava vivamente che avrebbe funzionato.
Prese la scodella ed una paletta di legno.
Poi tornò a sedersi vicino a lui, aspettando una risposta.
“Non c’era un motivo particolare.”
“Merlin…”
Sapeva che c’era una spiegazione a quel suo comportamento. Perché non voleva ammetterlo?
Vide il moro scrollare le spalle.
Iniziò a spalmare delicatamente il composto di lavanda sulla ferita,
cercando d’essere leggero.
Quei lavori di delicatezza ed attenzione non rientravano nella classifica
delle sue migliori abilità.
Vide le labbra di Merlin piegarsi in un leggero sorriso.
“Mi mancavano momenti come questo, ecco perché” ammise, guardandolo negli
occhi.
Arthur riusciva a leggere gratitudine, fiducia, felicità ed amore in quello
sguardo.
“Siete il principe, ed io so bene quali siano i vostri doveri. Ma…” il biondo lo vide esitare, per poi riprendere il suo
discorso “…ho piacere che nonostante ciò, stiate
facendo tutto questo per me.”
Arthur sorrise a quelle parole.
Erano rari i momenti in cui Merlin gli mostrava così apertamente i suoi sentimenti… solitamente era troppo preso a ribattere
ad ogni sua affermazione.
“Però adesso credo che sia giunto per voi il momento di andare” lo sentì
concludere.
Il biondo lo guardò, dubbioso.
“Il banchetto” disse l’altro con fare ovvio. Poi aggiunse:
“Se non ci fossi io a ricordarvi tutti i vostri doveri…”
Arthur rise.
“Ma se la maggior parte delle volte finisci alla gogna perché sei distratto
e non ricordi i miei impegni?”
Però doveva ammettere a se stesso, che in quel momento il suo servo aveva
ragione: si era completamente dimenticato del banchetto di quella sera.
Si alzò dal letto, posando la scodella sul tavolo lì vicino.
Vide Merlin alzarsi e seguirlo passo passo.
“Dove pensi di andare?”
“Dovete prepararvi per il…”
“E’ fuori discussione. Hai la serata libera, riposati. Farò chiamare un
altro servitore”
Vide un’espressione amareggiata farsi largo sul suo viso.
“Ma…”
“Niente ma” replicò Arthur “Riposati. E’ un ordine”
Dettò ciò uscì dalle stanze di Gaius e
si recò nelle sue.
Aveva fame, aveva bisogno di un bagno, ed era seriamente preoccupato per
Merlin.
Avrebbe dovuto realmente presiedere a quel banchetto?
Ordinò ad un valletto di portargli un po’ di frutta e preparargli una vasca
piena d’acqua calda.
Poi si sedette sul letto, ad aspettare.
***
Quella sera Arthur non aveva trovato conforto neanche nelle chiacchiere di
Morgana.
Solitamente, quando un banchetto si presentava così noioso, trovava nelle
parole frizzantine della ragazza un po’ di sollievo.
Ma quella sera no. Non vedeva l’ora di potersi liberare da
quell’incombenza.
Aveva mangiato delle buone porzioni di cibo, saziandosi a sufficienza, ed
aveva osservato gli ospiti che suo padre aveva invitato, che gli stavano seduti
vicino.
Si trattava di un qualche Re – corredato di famiglia – che proveniva da un
paese che distava giorni di viaggio da Camelot.
Stava ascoltando sbadatamente i discorsi che questi stavano facendo assieme
ad Uther, mentre mangiava qualche chicco d’uva,
pensando al suo servitore.
Afferrò il calice con una mano e prese a farlo oscillare lentamente,
guardando il poco idromele che era avanzato danzare senza sosta da una parte
all’altra.
Chissà se Merlin sta dormendo…
Sperava vivamente che il suo intruglio avesse funzionato.
“…non lo pensi anche tu, Arthur?”
Le parole di suo padre lo riportarono al banchetto.
Gli rivolse uno sguardo serio, annuendo fieramente.
Mai ribattere alle parole del Re.
“Certo padre, la penso come voi.”
Ma probabilmente Uther non se l’era
bevuta, perché chiese:
“Qualcosa non va, Arthur?”
“No” rispose prontamente il biondo, portandosi lentamente una mano alla
testa “Ma credo di avere un po’ di cefalea.”
Lo sguardo di suo padre si incupì.
“Sarà meglio che tu vada a riposare allora… Domani
mattina si terrà l’investitura di Sir Bedivire.”
Arthur annuì riverente e salutò gli ospiti d’onore.
Si avviò fuori dalla porta, quando si accorse dello sguardo di Morgana che
lo stava seguendo.
Gli fece capire di non avere creduto neanche un secondo a ciò che aveva
detto al resto della tavolata.
Il principe le rivolse un cenno con la testa e lei gli sorrise di rimando,
poi sparì dietro la porta.
Anni prima, quando erano più piccoli - ed erano stati comunque obbligati a
partecipare a quei banchetti - quella era sempre stata la loro scusa
privilegiata per lasciare il banchetto e svignarsela a giocare tra le mura del
castello.
E dopo tutti quegli anni, quella scusa continuava ad essere una valida
alleata.
Invece di prendere le scale per tornare nella sua stanza, il biondo
continuò a camminare lungo il corridoio, proseguendo verso le stanze del
cerusico.
Bussò piano alla porta e poi entrò, sussurrando un “Merlin”, ma non ottenne
nessuna risposta.
La stanza era apparentemente vuota.
La percorse, osservando attorno a sé tutti gli oggetti ed i libri di Gaius che si trovavano sugli scaffali o sparsi sul
pavimento.
Arrivò davanti la porta della piccola stanza del servitore.
L’aprì lentamente, cercando di non far rumore.
C’era solo una piccola candela, sul comodino vicino al letto, che
illuminava lievemente l’ambiente rendendolo accogliente e gradevole.
Arthur sorrise alla vista di Merlin.
Dormiva.
Era rannicchiato su un lato del letto, quasi sapesse che lui sarebbe andato
a trovarlo.
Si sedette vicino al moro.
Poi si stese sul letto, su di un lato, poggiando un gomito sul cuscino e
una mano sotto il mento, per osservarlo meglio.
Guardandolo pensò che stesse facendo un bel sogno, perché il volto dell’altro
era totalmente rilassato, ed un leggero sorriso era disegnato sulle sue labbra.
Avevano ritrovato quel bel colore che a lui piaceva tanto.
Ed osservandolo, Arthur si rese conto che anche il viso aveva ripreso un delizioso
colorito; sembrava non soffrire più.
“Ha funzionato” sussurrò, più a se stesso che all’altro.
Con una mano scansò un ciuffo di capelli corvini che stava ricadendo sulla
fronte di Merlin.
Si sporse un po’ e vi posò un bacio leggero.
Adorava quella pelle.
Il moro a quel tocco delicato, si mosse lentamente, mormorando qualcosa che
Arthur non capì.
Lo vide aprire lentamente gli occhi, restando sorpreso di trovarlo lì sul
suo letto.
“Ben svegliato” gli disse.
“Mi pareva di aver sentivo la vostra voce, ma credevo…”
“… di stare sognando?” concluse il principe per lui.
Vide l’altro annuire a quelle parole.
Non avrebbe voluto svegliarlo…
Merlin aveva bisogno di riposo, ma lui era entrato ugualmente nella sua
stanza a notte inoltrata e l’aveva disturbato.
Sapeva che sarebbe stato felice anche solo vedendolo dormire.
“Grazie.”
Arthur lo guardò negli occhi, chiedendo una spiegazione.
“Sento di stare meglio” disse con un sorriso. Poi gli chiese:
“E il banchetto?”
Arthur ghignò.
“Era tedioso ed estremamente soporifero. Così ho trovato una scusa e me ne
sono andato.”
“Vostro padre vi ha lasciato andare così tranquillamente?”
“Sarà stata colpa dell’idromele” disse Arthur alzando lievemente le spalle.
Si avvicinò un po’ a Merlin, quel tanto che gli serviva per ritrovarsi a
poca distanza dal suo viso.
Carezzò lievemente una guancia, mentre l’altro chiuse gli occhi, a quel
tocco leggero.
Il biondo si sporse un altro po’, fino a trovare le labbra del moro.
Le catturò in un dolce bacio.
Mordicchiò quelle labbra così morbide, succhiandole lentamente, per poi andare
a cercare la sua lingua e farla giocare con la propria.
Adorava giocare con la quella bocca, renderla partecipe del piacere che gli
provocava.
Adorava la sua essenza.
Adorava quei piccoli ed umidi baci scambiati a fior di labbra.
Adorava lui.
Quando si staccò da quelle labbra così rosse, i due si scambiarono un
sorriso complice.
Arthur non avrebbe mai potuto fare a meno di quel rapporto così speciale
che si era creato tra di loro.
Benché Merlin fosse il suo servitore e benché di fronte al resto del mondo
quel fatto avrebbe dovuto rimanere tale, sapeva che il moro ci sarebbe sempre
stato per lui, e viceversa.
Si erano protetti la vita a vicenda, si erano sostenuti nel momento del bisogno. Per il principe, il suo servitore era il suo personale toccasana.
Poteva essere arrabbiato, triste, preoccupato, ma la presenza di Merlin
riusciva sempre a placarlo.
Si avvicinò nuovamente a lui, posando qualche piccolo bacio sulla guancia
dell’altro, per poi continuare, lasciandone una piccola scia sul collo.
Si scostò un po’ da lui, mentre l’altro, con un sorriso sulle labbra,
poggiò la testa sul cuscino.
Prese a tracciare con un dito i contorni del suo viso, del collo. Sapeva
che a Merlin piaceva quella piccola e lenta tortura.
Non passò che qualche secondo, quando sentì l’altro, sotto il suo lieve
tocco, rabbrividire di piacere.
Sorrise.
“Com’è?” gli chiese.
L’altro sorrise.
“Rilassante” aggiunse poi con un tono di piena gratitudine.
Arthur continuò per qualche minuto con quella delicata tortura, fino a che
non vide Merlin sbadigliare.
Quel gesto così semplice e naturale, lo riempì di tenerezza.
A volte aveva timore anche a toccarlo, tanta era la paura di fargli del
male.
“Hai bisogno di riposare” disse poi.
Vide Merlin incupirsi e subito aggiunse:
“Ma se vuoi, posso rimanere.”
L’altro gli diede un piccolo bacio a fior di labbra e poi si rannicchiò
vicino al lui, che lo cinse fra le sue braccia.
Continuò a carezzarlo dolcemente, finché non si accorse che si era
addormentato.
Poco dopo, lo raggiunse nel mondo dei sogni.