Storie originali > Avventura
Ricorda la storia  |      
Autore: cabol    22/05/2010    4 recensioni
Buio.
Non che fosse un problema per lui, ma quella sera l’oscurità lo turbava. C’era qualcosa di greve in quella stanza. Qualcosa di stranamente angoscioso.

Breve avventura di Blackwind riscritta in ambientazione originale.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il mistero dell'angoscia

Buio.
Non che fosse un problema per lui, ma quella sera l’oscurità lo turbava. C’era qualcosa di greve in quella stanza. Qualcosa di stranamente angoscioso.
Si muoveva rapido, silenzioso come un gatto, sicuro dei propri movimenti, calcolati al millimetro. Conosceva quella stanza alla perfezione, come sempre, quando pianificava uno dei suoi colpi.
Inoltre, era perfettamente in grado di vedere al buio, proprio come i felini.
Eppure, qualcosa lo inquietava.
Raggiunse velocemente l’armadio, in fondo alla camera. In pochi minuti individuò la borchia d’ottone che apriva la stanza segreta dove lord Fester raccoglieva le sue immense ricchezze.
La porta si aprì facilmente. Era nascosta benissimo ma non abbastanza da mettere in difficoltà un ladro meticoloso ed esperto come Blackwind. Con lui le porte segrete e le serrature più intricate non servivano ad altro che a esaltarne l’abilità e a moltiplicare il suo impegno.
Entrando nella stanza del tesoro, la sensazione di disagio si fece più intensa. Blackwind individuò immediatamente i tre grandi forzieri dove erano ammassate le ricchezze.
La sensazione di angoscia crebbe.
Perché quella sensazione?
C’era qualcosa di strano ma l’esperto ladro non riusciva a comprendere cosa. Il furto poteva dirsi riuscito eppure Blackwind esitava.
Cosa c’era in quella stanza?
Aveva tempo, tutta la notte certamente, visto che i padroni di casa non sarebbero rientrati fino al mezzogiorno dell’indomani, dunque cominciò a esaminare l’ambiente palmo a palmo. Ci vollero pochi minuti perché si rendesse conto che le dimensioni di quel locale non tornavano. Raggiunse la parete di fondo e cominciò a studiarla con attenzione.
Dovette fare un terribile sforzo su se stesso per vincere la sensazione di inquietudine che si era fatta sempre più forte. Febbrilmente si mise a cercare il pannello mobile che, evidentemente, celava la parte mancante di quella stanza.
Un locale segreto dentro un locale segreto.
Assolutamente illogico.
Ma perché tanto angosciante?
Finalmente trovò la porta segreta e il meccanismo di apertura. Provò a usarlo ma nulla si mosse. Esasperato, provò a forzarlo ma senza esito. Cosa lo stava bloccando?
Tornò nella camera da letto, prese una lampada a olio e, alla luce tremolante di questa, riprese a studiare quel misterioso tratto di parete. Fu un’ombra fuggevole, comparsa spostando la lampada, che gli fece comprendere come un banale cuneo di legno fosse stato inserito a forza nel meccanismo fino a scomparire nel pannello stesso, bloccandolo completamente.
L’agitazione crebbe ancora.
Cominciò a lavorare pazientemente col pugnale, vincendo l’angoscia che gli attanagliava il cuore.
Un tempo che a lui parve infinito trascorse in quel modo ma, alla fine, il cuneo saltò via.
Esitò.
L’ansia era ormai quasi insostenibile.
Fu tentato di fuggire via, di lasciare quel locale cupo, di abbandonare tutto. Avrebbe potuto cancellare ogni traccia del suo passaggio. Nessuno avrebbe saputo del suo fallimento.
Esitò.
Il cuore gli batteva all’impazzata ma aprì quel pannello.
E l’orrore emerse davanti ai suoi occhi.


Lady Fester era una delle donne più belle di Elosbrand[1], pur se già ben oltre i quarant’anni. Alta, maestosa nel portamento e nella chioma fulva, dal viso stupendo sul quale risaltavano gli occhi azzurro-mare, capaci di far fremere qualsiasi maschio degno di tal nome che capitasse nel loro raggio d’azione. Le forme sinuose eruttavano sensualità e calore, fascino e magnetismo. La voce, perfettamente educata al canto e alla conversazione era capace di far sciogliere i cuori più algidi e di far crollare miseramente l’onestà di qualsiasi uomo. Bella da far invidia a Yavië[2], si diceva che avesse spezzato più cuori lei del pugnale di Dhela[3]. Ricca di nascita, ultima erede di una famiglia di antica nobiltà, era diventata ancora più ricca grazie ai doni dei suoi innumerevoli amanti e alle sostanze del suo augusto consorte, lord Adrian Fester. Uomo, questo, di considerevoli fortune, materiali e non. Armatore, socio influente della compagnia mercantile più florida della costa, erede di un piccolo feudo di campagna, si era fatto largo nell’alta società di Elosbrand e, soprattutto, nel mondo imprenditoriale del grande porto. Il come era oggetto di commenti sussurrati a mezza voce. A spallate, certamente. Con l’uso disinvolto del denaro proprio e altrui. Con alleanze discutibili con certi capitani di mare più avvezzi ad abbordare mercantili che a trasportare merci. E con l’uso spregiudicato della bellezza di sua moglie.
“Gli dei li fanno e poi li accoppiano”. Un detto popolare che ben si adattava a quei due. Sposi, amanti, soci e complici. Avevano costituito un legame che andava oltre il sentimento, la lussuria o gli affari. Erano una micidiale macchina per il successo.
Pure, un atroce dolore aveva colpito quella coppia. La loro unica figlia, dolce e bella - mai quanto la madre, ma di bellezza rara e umile - era scomparsa nel fiore della gioventù, rapita e trascinata chissà dove da un avventuriero al servizio di Lord Adrian, un mezzorco proveniente da Krünhand[4] che, evidentemente, aveva tradito i suoi obblighi di fedeltà trascinato dall’abietta passione per quella celestiale creatura. Un infame traditore, ricercato ovunque per un anno e poi catturato, lungamente torturato affinché rivelasse cosa era stato della fanciulla e infine impiccato e squartato, nonostante si professasse innocente.
Una storia crudele che aveva sconvolto i buoni cittadini di Elosbrand che, in occasione dell’esecuzione di quel mostro, si erano accalcati in piazza per non perdersi nulla di quell’atto di profonda giustizia.

Lord e lady Fester si godevano il sole di primavera, comodamente assisi sul loro calesse magistralmente condotto da Molder, ex campione di corse al trotto del circo di Aglargond[5] e scortato da Jim Barnett, un giovane avventuriero che aveva messo la sua abile spada al servizio di lord Adrian nel ruolo che era stato del mezzorco traditore. Era un uomo di altezza media, dalle spalle larghe e possenti, elegantemente vestito, che sfoggiava spavaldamente uno splendido stocco e cavalcava silenziosamente dietro il calesse, con gli occhi vigili che controllavano ogni movimento nei dintorni, pronti a individuare e rintuzzare qualsiasi minaccia.

«Mi dispiace che il vecchio Wilson ci abbia lasciato le penne ma questo è stato veramente un ottimo affare». Lord Fester gongolava letteralmente, mentre lanciava qua e là occhiate condiscendenti ai concittadini che riverivano il ricchissimo calesse dell’aristocratica coppia.
Lady Fester guardò di sottecchi il suo pingue consorte.

«Adrian, lo sai che quella gente non mi piace. Sanno troppo dei nostri affari con Tolbelg[6]. E se ci tradissero?».

«Dolcezza mia, ti fai intimidire troppo da quei bricconi. E li sottovaluti. Sanno benissimo che, finché saranno in affari con noi, i loro guadagni saranno sempre i più alti di tutti gli equipaggi dei nostri mari. Inoltre, chi oserebbe prendere in considerazione la parola di un pirata contro la nostra? E poi… guarda che meraviglia!».

Il nobiluomo aprì lo scrigno che teneva in grembo, cullandolo come un neonato, rivelandone il contenuto che sfavillò al sole primaverile. Diamanti di varie dimensioni ma tutti di straordinaria purezza. Un tesoro che costituiva solo l’infinitesima parte dell’inestimabile patrimonio della coppia ma che lord Adrian pareva tenere nella medesima considerazione di tutte le altre sue ricchezze.

«Certe volte, Adrian, mi viene da pensare che tu possa amare le tue ricchezze ben più di quanto ami me».

«Amore!». Protestò ridendo lord Fester, «Ma come ti vengono certi pensieri?».

La risata argentina della moglie gli rispose immediatamente.


Giunsero alla loro splendida residenza cittadina, un sontuoso palazzo fortificato posto nella zona più ricercata della città. Superato il portone, sorvegliato da una guardia, entrarono nell’ampio cortile lastricato dove il maggiordomo accorse a dare il bentornato alla coppia, aprendo lo sportello dell’elegante calesse e aiutando la dama a scendere.
Lord Fester scese con insospettabile agilità, si tolse l’ampio cappello piumato, lasciando il cranio glabro a risplendere al sole e si rivolse all’anziano servitore.

«C’è il signor Paul Seernin?». Si riferiva al giovane contabile che, da alcuni mesi, prestava servizio in luogo del vecchio Julius, ormai troppo avanti con l’età per poter svolgere quel delicato lavoro.

«Sì, milord. È nel suo studio, volete che lo faccia chiamare?».

«Oh, no, Gill. Ci vado io!». Lord Adrian aveva molta simpatia per quel giovane colto e zelante, tanto abile e discreto nel gestire i conti dell’imponente giro d’affari della famiglia Fester. Lavorava sodo e senza far domande inopportune, per quanto il nobiluomo avesse la netta impressione che avesse capito qualcosa anche della parte meno lecita dei suoi affari. Ma era un ragazzo intelligente e sufficientemente avido da capire che, servendo bene il suo signore avrebbe avuto solo da guadagnarci, forse fino a diventare più di un semplice ingranaggio di quella formidabile macchina per far soldi.

«Barnett, vedete di controllare che il servizio di guardia sia in efficienza».

«Immediatamente, milord».

Lo spadaccino scese dal cavallo e, dopo averlo affidato alle cure di un palafreniere, si diresse con passo elegante verso il portone interno, badando a non superare il suo meno agile (ma assai suscettibile) datore di lavoro. Lasciò che il nobile entrasse per primo e lo seguì fino al primo piano, salutandolo rispettosamente prima di allontanarsi verso l’appartamento nobiliare per verificare che la guardia fosse al suo posto. Allegramente, Lord Fester salì i gradini che conducevano al secondo piano del palazzo, e percorse lo stretto corridoio che conduceva allo studiolo del contabile.

«Buongiorno signor Seernin!».

L’impiegato sollevò il naso dal documento che stava studiando, si tolse gli occhiali e strizzò gli occhi per mettere a fuoco la sagoma del visitatore. Era un omino smilzo, già leggermente curvo sebbene dovesse essere ancora lontano dalla trentina, dai folti capelli color carota.

«Buongiorno milord. In che posso servirvi?».

«Vi ho portato del nuovo lavoro, spero vorrete perdonarmi». Nel dir questo, Lord Fester aprì lo scrigno pieno di splendidi diamanti. Gli occhi del contabile si spalancarono per un attimo, poi l’omino recuperò il solito atteggiamento distaccato e ricominciò a parlare con la sua voce nasale e monotona.

«Quando i vostri affari vanno bene, anche il mio lavoro ne guadagna, milord».

«Bravo Seernin! Mi piace molto questo vostro atteggiamento! Sono certo che andrete lontano, se resterete accanto a me. Avete tante buone qualità e io so apprezzare i collaboratori in gamba».

«Siete molto gentile, milord. Io sono buono solo a fare i conti ma, per quel che valgo, sono a vostra completa disposizione».

«Benissimo! Intanto, potreste inventariarmi questi venti diamanti, così li vado a mettere in cassaforte?».

Il giovanotto guardò il nobiluomo con una curiosa espressione.

«Ma certo, milord… Siete sicuro che siano venti?».

«Ovviamente! Li ho contati io stesso! Perché me lo chiedete?».

«Ma… strano, a me sembrano diciannove, ma forse mi sbaglio io, permettete?».

«Ma certamente!». Il ricco affarista, un po’ preoccupato, porse lo scrigno al contabile.

«…diciassette, diciotto, diciannove. Purtroppo non mi sbagliavo, milord. Ne manca uno».

Lord Fester, pallido in viso, prese bruscamente lo scrigno e ricontò i diamanti. Erano davvero diciannove. Guardò con espressione avvilita il suo collaboratore.

«Ma come può essere?».

«Possibile che vi abbiano imbrogliato? Siete sempre così attento…».

«Quel pirata! Ma no… non ha senso. Li ho contati io prima di chiudere lo scrigno… poi non li ho mai persi di vista…».

«Milord, se erano venti quando avete preso lo scrigno e ora sono diciannove, qualcuno ne ha sottratto uno nel tragitto fino qui, mi sembra evidente».

«Avete ragione ma mi sembra impossibile… c’era mia moglie, con me… e Barnett… figurarsi se qualcuno oserebbe rubare qualcosa sotto gli occhi di Barnett… la sua spada è la più letale di tutta Elosbrand».

«Eppure, qualcuno c’è riuscito. Però, milord, datemi retta: portate lo scrigno in uno dei vostri forzieri. Lì sarà al sicuro. Poi cercheremo di capirci qualcosa».

Le mani sudate di lord Fester si strinsero spasmodicamente sul piccolo contenitore.

«Avete ragione. Meglio mettere al sicuro questi».

Si alzò tremante, stringendosi al cuore lo scrigno, come per proteggerlo da altre aggressioni, poi si diresse verso la porta. Giunto sulla soglia si voltò.

«Sareste così gentile da accompagnarmi, signor Seernin? Ho bisogno di una persona fidata».

«Ma certo, milord».

L’untuoso contabile si alzò dalla scrivania, prese il suo bastone da passeggio e si avviò dietro il nobiluomo con passo malfermo, dimostrando un’evidente zoppia. La causa di quella menomazione non era evidente ma l’omino pareva non gradire molte domande sulla sua infermità, che, comunque, doveva datare da parecchio tempo. Paul Seernin non era decisamente un uomo in grado di entrare nelle grazie di Lady Fester, cosa che aveva pesato non poco, al momento dell’assunzione.
Scesero a piano nobile e percorsero il lungo corridoio che portava alle stanze padronali, davanti alla porta delle quali stazionava un giovane armato che stava parlando con Barnett. Nel vedere sopraggiungere Lord Fester, entrambi si voltarono e lo salutarono con deferenza.

«Barnett! Sono lieto che siate qui. Mi hanno rubato un diamante!».

«Scusate?».

«Ma sì, un diamante! Dallo scrigno che abbiamo portato qui dalla nave!».

L’avventuriero guardò perplesso il suo signore, poi gli si rivolse con tono sicuro.

«Allora, il furto è avvenuto sulla nave, milord. Vi ho seguito a cavallo da vicino, senza mai perdere d’occhio il calesse e nessuno si è mai avvicinato».

«Siete sicuro?».

«Certamente, milord».

«Ma, allora, come diavolo può essere accaduto?».

«Probabilmente, qualcuno di quei pirati l’ha sottratto all’ultimo momento, come fanno certi illusionisti da strada… o i borsaioli».

«Ma… Va bene! Ci penseremo. Seernin ha ragione, dobbiamo mettere al sicuro questi altri diamanti».

Entrarono nell’appartamento e attraversarono numerose stanze riccamente arredate, fino a giungere nella camera da letto di lord e lady Fester. Qui Barnett, Seernin e la guardia si fermarono, voltando rispettosamente le spalle al loro signore che si accingeva a spalancare la sala del tesoro. Il contabile e il giovane armato guardarono fissi dinanzi a loro, disinteressandosi di quanto accadeva nella stanza, mentre Jim Barnett non seppe trattenersi dallo sbirciare dietro la propria spalla.
Lord Fester armeggiò un poco nei pressi dell’armadio, poi si udì uno scatto e il pannello si aprì.

«Potete voltarvi».

La vicinanza dei suoi tesori doveva rincuorare molto lord Fester che aveva ripreso a sorridere. Attese che i tre uomini si fossero avvicinati, poi si diresse verso il forziere centrale, che era anche il più grosso. Barnett osservava incuriosito il suo signore. Questi sembrava un topo nel formaggio e pareva aver dimenticato l’ansia cagionatagli dalla scomparsa della gemma. Rimase un attimo a osservare pensieroso il comportamento del nobiluomo, poi si riscosse e si voltò verso la guardia.

«Resta qui e che nessuno si avvicini senza l’autorizzazione del signore».

«Sì, capo».

Lord Adrian e Seernin si erano accostati al forziere e il nobile stava già armeggiando intorno alla serratura, con lo sguardo eccitato di un innamorato che si appresta ad incontrare la sua bella. Barnett provò un vago senso di fastidio. Era un uomo d’armi, amante della sua professione e interessato alla ricchezza come chiunque ma non era avido né capiva l’atteggiamento di chi fa della ricchezza l’unico scopo e interesse della propria vita. Comunque, non era pagato per approvare incondizionatamente tutto ciò che faceva il suo datore di lavoro, né criticarlo rientrava nelle sue competenze. Rimase a osservarlo con il blando interesse che si può provare di fronte a una creatura insolita e, quando lo vide sbiancare e vacillare all’indietro, non fu pronto come avrebbe voluto nel sorreggerlo. Lord Adrian Fester rovinò al suolo, emettendo un suono gorgogliante dalla bocca spalancata.

«Signore! Che succede? Seernin aiutatemi!».

Ma il contabile aveva fatto un salto all’indietro e ora era appoggiato alla parete di fondo con le spalle e le braccia dietro la schiena, come per sorreggersi ed evitare di cadere. Gli occhi erano fissi sul forziere e la bocca era rimasta spalancata in un’espressione di assoluto stupore.

«Milord!». Rapidamente, Barnett sdraiò sul pavimento lord Adrian che pareva paralizzato. Spostare da solo un uomo della mole del suo signore era impresa decisamente superiore alle sue forze, sicché lanciò uno sguardo esasperato all’impiegato, ancora appoggiato alla parete.

«Signor Seernin! Se avete deciso di non svenire, cercate di darmi una mano. Milord si sente male».

«A… arrivo, signor Barnett».

Il giovane si avvicinò timidamente al nobiluomo ma, prima che potesse toccarlo, questi si rizzò a sedere, gridando.

«Aiuto! I ladri! Le mie ricchezze!».

«Calmatevi, milord. Le ritroveremo, vedrete».

«Gli altri forzieri… fatemi vedere gli altri forzieri».

Lo aiutarono a rialzarsi e lo accompagnarono nella triste rassegna degli altri contenitori che apparvero desolatamente vuoti.

«Aiuto! Barnett, aiutatemi! Seernin, aiuto!».

Lo spadaccino trattenne a stento un sorriso ma si rivolse al disperato nobile con voce sufficientemente rassicurante.

«Sdraiatevi sul letto, milord. Cercheremo subito di ritrovare le vostre ricchezze».

«Chiamate mia moglie! Chiamate le guardie! Chiamate i senatori!».

«Calmatevi, milord. Vado subito. Signor Seernin, sareste così gentile da restare con lord Fester?».

«Sarà un piacere, signor Barnett. Andate pure».


Lady Fester stava entrando nei suoi appartamenti, quando vide Barnett correrle incontro. Apprezzava molto quel giovane spadaccino, col quale aveva avuto modo di sollazzarsi più volte, dunque sorrise sensualmente nel vederlo avvicinarsi ma comprese immediatamente che qualcosa di grave doveva essere accaduto. Barnett non sorrideva e il suo bel viso era evidentemente irrigidito dalla tensione.

«Jim? È accaduto qualcosa?».

«Siete stata derubata, milady. Lord Fester si è sentito male ma sta già riprendendosi».

«Come, derubata?».

«I vostri forzieri sono vuoti, milady. Qualcuno è penetrato nella stanza segreta, stanotte».

«I… forzieri? E…». La nobildonna esitò. «Cos’altro è successo?».

«Vostro marito ha avuto un malore. Seernin e io lo abbiamo messo a letto e ora stavo per andare a chiamare le guardie».

«Aspettate. Accompagnatemi, voglio vedere di persona».

Barnett la guardò pensoso, poi scosse la testa e chiamò il giovane di guardia.

«Vai a cercare un ufficiale della Guardia di Elos[7] e portalo qui. È una faccenda seria».

Girò sui tacchi e scortò lady Fester nell’appartamento. Paul Seernin stava parlando quietamente con lord Fester, quando la coppia entrò nella stanza. Il contabile fece un inchino e si allontanò dal letto.

«Adrian! Cos’è successo?». La splendida donna si avvicinò al letto dove il marito giaceva, pallido ed esausto. Nel vederla, questi parve rianimarsi.

«Il mio oro! Il mio oro!».

«Semmai, il nostro, amor mio. Ora tranquillizzati. Lascia fare a me». La sua voce suonò ferma ma un’ombra di turbamento passò sul suo bel viso. Guardò un attimo il marito, poi si voltò e si diresse verso la stanza segreta, seguita da Seernin che portava una lampada. La nobildonna esitò un attimo nell’entrare, osservando attentamente la stanza alla luce tremolante proiettata dalla lampada, prima di avvicinarsi ai forzieri. Innervosita da quel tremolio, si voltò a osservare il giovane impiegato, accorgendosi, con disprezzo, che tremava tutto. Guardò con espressione triste e assorta i contenitori svuotati di ogni ricchezza, poi si rivolse al contabile.

«La stanza era aperta o chiusa, quando siete arrivati?».

«Era chiusa, milady. L’ha aperta lord Adrian. Ovviamente ci siamo voltati mentre lo faceva».

«Ovviamente. Anche i forzieri erano chiusi?». La voce della donna era piatta, atona.

«Sì, milady».

Lady Fester esaminò ancora la stanza, poi si voltò e uscì, sempre seguita a rispettosa distanza da Seernin che pareva incapace di proiettare la luce più in alto dei suoi piedi. La sua espressione, pur accigliata, sembrava meno ansiosa mentre si avvicinava nuovamente al letto del marito.

«Adrian, vuoi raccontarmi per filo e per segno tutto quel che è accaduto?».

La voce di Seernin, sempre monotona e nasale intervenne prima che lord Fester iniziasse a parlare.

«Milady, se la mia presenza non è più necessaria, dovrei finire il lavoro sul quale ero impegnato prima che succedesse tutto questo».

La donna replicò con voce vagamente infastidita, senza neppure voltarsi.

«Potete andare, Seernin. Grazie». L’impiegato fece un inchino, si voltò e uscì in silenzio dalla stanza.

«Non ti è mai piaciuto quel ragazzo, vero cara? È una cosa insolita, devo dire». Un pallido sorriso aleggiò sulle labbra del nobiluomo.

«Non so cosa dirti. È troppo… grigio. Mi fa innervosire solo a guardarlo. Ora raccontami tutto».

Lord Adrian non si fece pregare e raccontò tutto quel che era accaduto dal momento in cui era sceso dalla carrozza. La moglie lo ascoltò attentamente, poi rimase in silenzio, con espressione meditabonda.

«Raccontami tutto di nuovo».

Il marito la guardò con aria stupita.

«Come? Ma perché?».

«Racconta tutto. C’è qualcosa che non capisco. La sparizione di quel diamante. Non capisco».

«Ma che vuoi che sia un diamante, ormai? L’avranno quei pirati ma non me ne importa nulla.

Io rivoglio i miei tesori!». La voce di lord Fester aveva un che di petulante. La moglie lo guardò con un misto di commiserazione e impazienza ma, quando parlò, lo fece con la massima dolcezza di cui fu capace.

«Ripetimi tutto. È importante».

«Va bene, cara…».

Lord Adrian ripeté tutto il racconto, cercando di essere il più preciso possibile. Alla fine lady Fester sorrideva di un sorriso crudele.

La porta si spalancò e lord Fester entrò nella stanza, scuro in volto, seguito dalla moglie i cui splendidi occhi lampeggiavano terribili minacce e da Barnett, impassibile, come sempre. Lo spadaccino chiuse a chiave la porta e, quando si voltò, l’arma gli brillava in pugno. La finestra dava sul cortile, con un salto di oltre dieci metri su un fondo lastricato che difficilmente avrebbe concesso scampo a chi vi fosse caduto. Nessuno sarebbe uscito da quella stanza senza il permesso dei Fester.

«Signor Seernin, credo ci dobbiate delle spiegazioni».

Il contabile alzò il naso dalla pergamena che stava leggendo e sorrise.

«Davvero, milord? E, di grazia, cosa dovrei spiegarvi?».

Lady Fester si fece avanti con un sorriso sarcastico.

«Per esempio, come avete fatto a sottrarre il diamante dallo scrigno sotto il naso di mio marito».

Se la domanda aveva impressionato il giovane non ci fu modo di capirlo. Non un muscolo del suo volto si contrasse e la voce risuonò nasale e monotona, come sempre.

«Solo questo? Volete dire che mi accusate di aver sottratto il diamante?».

La bellissima donna lo guardò con aria di superiorità.

«Chi altri avrebbe potuto?».

«Per esempio, chi ha svuotato i vostri forzieri, milady».

«Davvero? E voi sapete chi è stato?». La voce della donna si era fatta beffarda.

«Ma mi pare evidente: Blackwind. È di una semplicità lampante. A proposito, avete chiamato le guardie?».

La nobildonna apparve interdetta.

«Certo… Stanno ispezionando la stanza dei forzieri… ma che c’entra Blackwind? Non cercate di confondere le acque!».

Il contabile si tolse gli occhiali dal naso e sorrise.

«In questo caso, avranno già trovato il diamante, dunque, non datevi pensiero per quello».

«Cosa? Perché dite questo? Dov’è il diamante?».

«Nel piccolo spazio del muro di fondo, proprio dove un cuneo ficcato a forza bloccava il pannello che chiude lo scomparto segreto dove giacciono i cadaveri di vostra figlia e di vostro nipote che avete condannato a una morte orribile, sepolti vivi. A quest’ora le guardie sanno già tutto». La voce del giovane aveva perso la sua monotonia e risuonava dura e limpida, non più nasale.

«Cosa? Di cosa state parlando?».

«Permettetemi di rinfrescarvi la memoria». Lo sguardo che dardeggiò sui coniugi era colmo di minaccia e disprezzo. «Vostra figlia si era innamorata di uno dei vostri guardaspalle, un mezzorco, forse non un esempio di virtù ma forte e coraggioso. Quest’unione vi era sgradita, dunque, avete proibito a vostra figlia di frequentarlo ulteriormente. Al suo rifiuto l’avete segregata in quella cella, accusando il mezzorco di averla rapita e condotta chissà dove».

«L’aveva rapita!».

«Sì, nel cuore. Ma voi l’avevate rinchiusa in quello sgabuzzino. Avete fatto arrestare e condannare ingiustamente quel poveretto per separarlo definitivamente da vostra figlia. Ma lei portava in grembo il frutto del loro amore. Quando dette alla luce il bimbo, dai tratti evidenti del mezzosangue, avete condannato entrambi a una morte orribile. Temo che sarete voi a dover dare molte spiegazioni, milady».

La donna era impallidita, guardava l’uomo che aveva davanti con timore e stupore di fronte alla sua calma glaciale. Lord Fester indietreggiò fino alla porta, guardando la moglie e quel sorprendente individuo che aveva ritenuto un innocuo impiegato.

«Era un mezzorco! Non avrei mai permesso a un simile mostro di entrare in casa mia!».

«Perché, milady? Eravate già troppi?». La voce del giovane era diventata tagliente e dura come l’acciaio. La donna lo guardò con gli occhi spalancati per il furore.

«Chi siete voi?».

«Non l’avete ancora indovinato, milady?».

La nobildonna, rossa in viso per la rabbia, gridò con voce stridula.

«Barnett, uccidilo!».

Lord Adrian sfoggiò un sorriso feroce, mentre Barnett si avventava sull’omino dietro la scrivania.

«Avete osato troppo Seernin. E pagherete con la vita. Jim è la miglior lama di Elosbrand…».

Non terminò la frase perché la scrivania si ribaltò improvvisamente, spinta da un robusto calcio del giovane che la spedì sulla traiettoria dello spadaccino, costringendolo a interrompere l’assalto. Un attimo dopo, il bastone da passeggio si trovava in pugno al contabile che ne estrasse fulmineamente una lunga lama nascosta all’interno, trovandosi così con uno stocco simile a quello del suo avversario. Seernin aveva perso l’aspetto curvo e dimesso, per apparire spavaldo e sorridente, senza più un’ombra di zoppia.

«State sottovalutando troppo il vostro avversario, milord. Barnett, siete certo che ne valga la pena?».

«Non sono pagato per giudicare il mio principale. Sono pagato per uccidere chi lo minaccia».

L’assalto di Barnett fu brutale ma il giovane avventuriero non fece una piega, parando le stoccate dell’avversario con estrema eleganza e ricacciandolo indietro con contrattacchi fulminei. Era certamente meno forte ed esperto del suo avversario ma la sua agilità fuori dal comune e la sua precisione nei colpi pareggiavano le differenze fisiche. Gli assalti della migliore lama di Elosbrand vennero rintuzzati dall’avversario che non cedeva di un passo, costringendo, anzi, Barnett a continui cambi di posizione, per evitare gli improvvisi affondi di Blackwind. La guardia del celebre ladro pareva invalicabile. Il sorriso di lord e lady Fester si andava sempre più spegnendo.
A un tratto, l’esasperato spadaccino tentò il tutto per tutto, approfittando di un passo indietro dell’avversario, che si era avvicinato alla finestra. Barnett caricò, portando tutto il suo peso in un affondo che sarebbe stato letale, se avesse colto il bersaglio. Blackwind, invece, si abbassò improvvisamente, spostando indietro la gamba sinistra e poggiando al suolo il braccio mancino, opponendo un terribile affondo di contrattacco. Barnett si schiantò, trascinato dal suo stesso impeto, contro il parapetto della finestra, mentre il suo braccio destro, trapassato dalla lama avversaria, pendeva lungo il suo corpo, privo di ogni capacità di movimento.

«Temo che siate, al massimo, la seconda lama di Elosbrand, Barnett». La voce del celebre bandito, solo lievemente affannata, era priva di qualsiasi traccia di animosità. Divenne, invece, glaciale quando si rivolse ai due spietati consorti.

«Addio, signori. Dubito assai che riuscirete a cavarvela, stavolta».

Qualcuno bussò violentemente.

«Aprite alla Guardia di Elos! Aprite o abbatteremo la porta».

Lord e Lady Fester si guardarono sconvolti. Erano in trappola. Si voltarono verso Blackwind ma il ladro era già scappato dalla finestra. Sporgendosi dal davanzale, lo videro mentre spariva sul tetto. Per lui era una cosa semplice ma loro non sarebbero mai stati in grado di seguirlo.
L’alternativa era l’ignominia e probabilmente il carnefice oppure un salto senza scampo.
Non osarono scegliere.
Poi la porta si spalancò di schianto.


--------------------------------------------------------------------------------

[1] Grande città portuale, capitale della Repubblica di Elos

[2] Dea dea dell'Amore terreno

[3] Dea della vendetta

[4] Città portuale del nord, capitale del regno di Kaardir

[5] La capitale dell'Impero di Ardor, la più grande e ricca di Ainamar

[6] Isola settentrionale nota per ospitare numerose comunità di pirati

[7] La forza militare che assicura l’ordine a Elosbrand e nel territorio della Repubblica
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: cabol