Speculum Cordis
Ogni
cosa, ogni oggetto, ogni luogo o persona non è semplicemente ciò che appare o
sembrerebbe essere. Si è soliti affermare che la prima impressione sia sempre
quella giusta, ma cosa fa credere sia davvero così? Cosa ci porta a considerare
reale quel che osserviamo? Cosa spinge ad accettare per buono ciò che l’occhio
rimanda?
Anche
la vista più acuta e disinteressata non potrà mai cogliere a pieno la verità di
quel che osserva, la mente non riuscirà mai a soffermarsi su ogni particolare.
Sfuggiranno
mille minuscoli granelli di vita sincera, natura schietta, quisquilie in
confronto al grande piano generale, ma che assumono una sottigliezza sfumata al
pensiero che le si è comunque perdute per sempre, che non torneranno più se non
nella forma di rimpianto.
Ogni
immagine che colpisce la nostra attenzione o immaginazione, viene catalogata
nella nostra memoria e collegata allo spunto ispiratore o alla sensazione che
ne è stata ispirata.
Sarà
con nostalgia che ricorderemo un’estate particolarmente felice, con tristezza
un litigio con un amico, con gioia il sorriso di chi amiamo e vorremo
conservare gelosamente ognuno di quei preziosi echi di passato, lottare perché
non vengano dimenticati.
La
sua vita aveva molti scheletri nell’armadio ed era con orgoglio insensato che
sfoggiava la collezione di improperi e ostilità che gli erano state gettate
addosso dall’ottusità malevola degli estranei nell’infanzia e prima
adolescenza.
Sì,
i primi anni in tutto quel rivangare di bei tempi andati non erano certo da considerare
dei migliori o di facile considerazione, ma ne andava particolarmente
orgoglioso.
Era
fiero di quel passato infangato dal dispiacere e ancor più fiero del fatto di
poterlo mettere a confronto con un presente tutt’altro che semplice, ma di ovvia
felicità, un futuro che ne uscisse vincitore e per nulla ammaccato dalla
possibilità di non esistere.
Inutile
mentire o tentare di farlo, non era mai stato bravo a dir bugie sin dai tempi
dell’Accademia in cui Iruka-sensei era solito scoprirne la menzogna ancor prima
che aprisse bocca per giustificare il misfatto.
Naruto
poteva essere giudicato a ben vedere come un libro aperto per quanto concerne
espressività facciale e sicuramente questo non andava propriamente a suo
vantaggio, soprattutto se il suo scopo nella vita era essere un bravo ninja e
il suo desiderio fosse stato un tempo di emulare l’altera indifferenza di
qualcun altro.
Non
era in grado di articolare in modo opportuno una scusa verosimile a qualche sua
manchevolezza, ma sembrava per controparte possedere una spiccata sensibilità a
scovare quello di cui tanto era a corto. La capacità di fingere o simulare
un’emozione che non gli appartenesse era un’idea che mai l’aveva sfiorato se
non riguardo un unico argomento, il solo capace di smuovere quello spicchio di
sole che sempre aveva stampato sul viso gioviale.
Non
aveva mai brillato per capacità analitica, ma era innata in lui l’abilità a
percepire il dolore altrui, una sofferenza affine a quella che lui stesso aveva
patito, che ciò nonostante però nulla aveva in comune se non il pianto del
cuore. Da bambino era stato tacciato più e più volte dalla parola “mostro”, senza
che questa riuscisse ad assumere un chiaro significato di cosa implicasse.
Era
un suono sgradevole, specie se sempre accompagnato da diffidenza timorosa e
disprezzo negli sguardi degli adulti, che a quel modo lo sgridavano per la sua
essenza diversa dalla loro, ma che davvero nulla gli aveva dato se non senso di
inadeguatezza verso il mondo che lo rifiutava e ambizione a diventarne parte.
L’incontro con altri “mostri” gli aveva aperto gli occhi sulla meschina
situazione che era stato costretto a subire, l’imbroglio con cui era stato raggirato.
Aveva
sofferto ed ora gli spettava quella fetta di felicità a lungo rimandata.
Non
si può aspettare che un desiderio si avveri da solo, bisogna essere in grado di
avvicinarsi al traguardo e rendersene meritevoli. Per questo aveva combattuto
contro i nemici, che questi fossero in carne ed ossa o semplici spettri nati
dal terrore inconfessato delle persone che lo circondavano.
Voleva
trasformare quel dubbio in certezza, rassicurare ognuno e cancellare la
suggestione creata da qualcosa di sconosciuto, affrontare ogni tempesta con
audacia e risolutezza e fare in modo che tutti riuscissero a vedere ciò che di
buono vi era in lui oltre quella ripugnante cosa nascosta e sigillata al suo
interno.
Abbattere
il muro di omertà e sospetto, crearne uno di fiducia e rispetto, diventare
l’eroe di cui si aveva bisogno e che suo padre voleva che fosse.
L’eventualità
che tali condizioni si realizzassero era stata in qualche modo scalfita
dall’abbandono di uno degli ingranaggi che la muovevano, ma non distrutta
perché la fede era sempre accanto a lui, compagna e alleata in quella battaglia
contro la vendetta.
Il
momento in cui i suoi sforzi erano stati riconosciuti in tutto il loro
apprezzamento era avvenuto all’ennesimo confronto con un avversario. Allora gli
era davvero sembrato che ogni suo sacrificio non fosse stato vanificato, ma
avesse trovato un suo motivo d’esistere e in ogni sorriso degli abitanti gli
era parso di vedere un se stesso bambino smettere di piangere e ridere insieme
a lui.
Non
più mostro, ma salvatore, aveva
scoperto il piacere del difendere, che non era mera soddisfazione
nell’ammirazione, ma proveniva
dall’essere stato finalmente accettato. Aveva raggiunto uno dei suoi
obiettivi, ma ne rimaneva un altro ben più importante.
Restava sempre sbagliata, ma in qualche modo
contorto meno di quanto fosse stata prima, dato che non si macchiava più del
crimine della ribellione.
E
lui intendeva perseguire la strada che aveva scelto, aspirava a dare il massimo
e mantenere saldo tra le dita quell’ideale di perfezione, nonché vagheggiamento
ad occhi aperti, con tutta la fatica che esso comportava.
Sapeva
di non poter essere impeccabile e se c’era una cosa che aveva compreso, era che
il principale ostacolo da abbattere fosse proprio la Volpe, limite la propria
paura inconfessata di venirne sopraffatto.
Aveva
imparato a convivere col se stesso che non faceva parte di lui, prendendo atto
di quella scomoda presenza, quella macchia indelebile che non gli precludeva
nulla, non più, ma rendeva solo tutto più difficile.
Eppure, non poteva evitare
di provare a volte una forma di rabbia che non conosceva rancore, ma piuttosto
aveva il sapore della malinconia, un qualcosa di animalesco che prepotentemente
si affacciava, manifestandosi nelle situazioni in cui tutta la sua
determinazione non era abbastanza, non era sufficiente allo scopo. Non odiava
quella parte oscura di sé, ma non poteva neppure amarla e sapeva che fino a
quando non fosse stato capace di conciliarsi con lei, nessuna promessa e
avvenire sarebbero stati al sicuro. Doveva imparare a conoscere se stesso, ma
oltre ogni comprensione era necessario ci fosse anche amore. Doveva prima amarsi per amare gli altri e proteggerli,
tuttavia, nonostante sapesse quale fosse la cosa giusta da fare, compiere quel
semplice gesto era tutt’altro che facile.
Perché
amarsi era davvero qualcosa di complicato, specialmente in considerazione del
fatto che l’altro sé fosse ben lungi dal voler dargli una mano in quell’arduo
compito di intesa.
Ecco,
porgere l’altra guancia per farsela prendere a pugni non era esattamente
allettante.
Finalmente
era arrivato il tempo del faccia a faccia e doveva ammettere che non si sarebbe
mai aspettato qualcosa del genere e che fosse lontano da ogni idea che avesse
fatto o avrebbe potuto fare in proposito.
Ok,
parte oscura, Volpe e tutto il resto, ma vedere una cosa simile entrava fuor di
dubbio nelle cose più strane a cui avesse assistito in vita sua e per uno
abituato a trasformarsi in una bestia a code o a far comparire centinaia di
proprie copie, era davvero, davvero inusuale da dire.
Fu
perciò con un sorriso al contrario ed una più che giustificata meraviglia
stupefatta, che incrociò lo sguardo del suo opposto, arrivando alla prematura conclusione
di aver involontariamente evocato una sua copia. Eppure c’era qualcosa che non
quadrava, l’aveva notato subito, ma se ne era ritratto l’istante dopo, quasi
infastidito da quella vista e dal pensiero che essa suscitava.
Perché
quell’essere non poteva essere lui e sebbene fosse stato avvisato, non avrebbe
mai pensato che quell’incontro l’avrebbe scombussolato a quel modo o fatto
infuriare tanto.
Scrutò
dapprima impensierito l’ombra di fronte a sé, assistendo all’incupimento della
propria immagine, l’abbruttirsi di un se stesso che stentava a riconoscere come
propria parte.
Era
come trovarsi di fronte ad uno specchio, eppure in modo così diverso da
lasciarlo spiazzato, perché quel riflesso non aveva nulla di familiare e non
comprendeva chi fosse lo sconosciuto che indossasse i suoi vestiti e si
arrogasse il diritto di usare la propria voce e trasfigurargli il volto in quel
modo orribile.
Era
un estraneo che lo sbeffeggiava con quel ghigno irrisorio e sprezzante, gli
occhi torbidi di acqua melmosa color fango, familiarmente appoggiato alla Volpe
che alle sue spalle appariva più mostruosa e terribile che mai e lo incalzava
con ringhi simili a risate rancorose.
E
mentre quel suo alter ego dava ascolto alle blande parole del demone, facendosi
accarezzare e giocando col fuoco che lo circondava –quello stesso fuoco dal
colore cremisi del sangue che, lo sapeva bene, se lui avesse sfiorato l’avrebbe bruciato- Naruto se ne stava lì
immobile ad osservare quel sogno, incubo o qualunque altra cosa fosse, prendere
la consistenza effimera della realtà.
L’espressione
sconvolta scomparve, cedendo il posto ad una orripilata.
Perché,
checché ne dicesse o pensasse al riguardo, quel che gli stava di fronte era una
parte di sé e un’alternativa a quel che sarebbe successo –stato- se avesse
scelto l’opzione più facile.
Lasciarsi
travolgere invece di combattere, piegarsi invece di piegare.
Occhi
nel passato contro occhi nel presente, volere contro altro volere, Naruto
contro Naruto, diversi eppure uguali. Quello era lui, non un altro sé, ma una parte di sé e come tale andava
riconosciuta.
Non
c’era nulla di nuovo o di spaventoso ora in quel riflesso al rovescio. Naruto,
l’uno o l’altro o forse entrambi –cambiava davvero qualcosa?- sorrise e non
c’era più ombra di indecisione tra loro. Naruto lo fissò spaesato, interdetto
da quell’improvviso cambiamento e Naruto sorrise ancor più apertamente,
sfrontato e serio come mai prima d’ora.
Il
suo cuore apparteneva anche all’altro perciò più di chiunque altra persona
poteva ben capirlo, comprendere quale sarebbe stata la sua risposta.
Arrendersi?Oh,
no.
Il
passato oramai non lo feriva più. Non soffriva più perché era grazie a quello
stesso passato se aveva il presente e sarebbe esistito un futuro.
Unì
le mani pensando intensamente a quello che avrebbe voluto dire sin dall’inizio,
ma non era stato capace di esprimere e la scritta focalizzata apparve alle sue
spalle nero su bianco, fiera e sicura come colui che l’aveva segnata,
dimostrazione di quel che fosse, rappresentasse, inseguisse.
L’altro
parve incrinarsi impercettibilmente a quella vista e c’era una nota di fondo
nella sofferenza sorda che gli urlò contro, un’isteria che aveva solo bisogno
di comprensione, di una compagnia che non fosse quella soffocante del demone
che lo esulcerava.
Ricorda quello ci hanno fatto, come ci
hanno isolato!Il male, l’imbroglio, le lacrime!Abbiamo sofferto..è stato
straziante..!Non credere a quei maledetti del Villaggio,
alle loro lusinghe!
C’erano
lacrime in quelle parole, scagliate nell’aria con la medesima
violenza con cui
erano state provocate, un pianto segreto tra punti di contatto
inesistenti,
debolezza e incapacità di incassarne i colpi impietosi e poi
c’era un sorriso caldo, fiducioso che voleva accogliere tutta
quella pena tormentata, spazzarla
via come squarci di nubi che offuscavano il sole e la limpidezza del
cielo.
Un
volto familiare e fraterno, amorevole, mani tese verso gli artigli stretti a
pugno.
«Penso
che dovresti provare a credere in te stesso. Al te stesso in cui credono gli
abitanti del Villaggio.»
Ancora
rabbia iraconda nell’altro e dolore, tanto, tanto, così tanto da sembrare
insormontabile, come un muro compatto impossibile
da valicare.
Per te io sono solo un fastidio?Cosa
diavolo ho rappresentato per te?
Naruto
lo osservò, si osservò e comprese.
Capì
il dolore di quel suo lato rimasto confinato nei ricordi e nei giorni di buio e
grigiore dell’infanzia. Quel suo sé non aveva mai conosciuto la gioia
dell’affetto, mai visto la dolcezza del sorriso di Sakura, la bellezza di
quello sigillato negli occhi di Sasuke, quello silenzioso di Kakashi e quello
paterno di Jiraya.. non poteva perdonare, non poteva capire ciò che lui aveva
avuto in regalo dalla sua famiglia e il desiderio di proteggere quell’amore
infine regalatogli.
Lo
vide gettarglisi contro e aprì le braccia, accogliendolo in un abbraccio che
sapeva non aveva mai ricevuto prima d’allora.
Come
poteva provare rancore verso se stesso? Odiarsi? Ora si rendeva conto di cosa
significasse, cosa intendesse. Non compassione, ma amore. La chiave era quella,
la risposta era lì, sotto il suo naso.
Strinse
a sé la figura cupa che altri non era se non quel bambino piangente rimasto
solo sull’altalena dell’Accademia.
«Tu
sei me e io sono te. Se sono così adesso è tutto grazie a te. E’ per te che
sono forte.. Grazie di tutto, ma ora basta.»
Riposo.
L’altro Naruto era odio, ma non per suo desiderio. L’odio era l’unica
cosa che avesse posseduto e con cui fosse venuto a contatto. L’odio degli
abitanti e di quel suo sé che l’aveva sempre tenuto in catene, sigillato e
temuto in egual misura. Paura, sdegno, indifferenza: questo era stato il suo
credo, l’aria che aveva respirato, l’acqua e il pane di cui si era cibato.
Questo aveva riempito il suo cuore.
Aveva sognato l’amore, l’aveva bramato più di ogni altra cosa, ma
aveva imparato a disprezzare quel bisogno insoddisfatto che tanto lo aveva
fatto soffrire.
Naruto era amore, puro e semplice. Aveva compreso che per ricevere
qualcosa bisognasse darne in quantità uguali. Naruto dava amore in ogni suo
sorriso e risata, in ogni gesto e combattimento e questo la Volpe non poteva
accettarlo perché sapeva avrebbe segnato il suo destino, la disfatta sua e dei
suoi sogni di distruzione e vendetta.
L’altro Naruto comprese cosa avesse voluto spiegargli e
scomparendo, spalancò gli occhi che di nero non serbavano nulla se non il
miraggio di quel rancore che tanto a lungo gli aveva obnubilato la vista e
l’anima. Riusciva a vederli ora. I volti di tutti sorridergli grati, con
quell’affetto da sempre negato. Il rosso nebuloso che gli aveva riempito
d’arancio fiammato i ricordi, veniva rimpiazzato dai toni gentili e sconosciuti
del giallo canarino e del fiordaliso turchese e del verde speranza, del rosa
vivo e profondo del ciliegio in fiore, dell’ametista e del grigio perlaceo, di
un arcobaleno appena sbocciato in un prato d’ardesia. L’ombra venne illuminata
dalla luce e non fu più sola. C’era solo cenere tra le braccia, polvere
nerastra dai riflessi dorati.
Era a casa ora.
N/A:
Penso dovrei fornire alcune spiegazioni riguardo ciò che avete appena
letto. Nel caso non lo aveste capito, lo so a volte non sono molto chiara
mentre scrivo -.-, tutto è ambientato e accade nel 495 capitolo. O meglio era
come lo avevo immaginato prima che uscisse. Dopo averlo letto ho apportato
alcune modifiche ai dialoghi e qualche altra cosa qui e lì, ma più o meno tutto
è rimasto uguale.
L’ultimo paragrafo riguardo i colori non è una semplice lista.. ci
tengo a precisarlo perché ci ho messo una vita a scriverlo e dopo infinite
titubanze al riguardo ho deciso infine di inserirlo. Come dicevo, non è scritto
a casaccio tutt'altro. I colori sono quelli degli amici, dell’amore, della vita e affetto
che l’altro Naruto (questo scrivere l’uno e l’altro è stato abbastanza
problematico e snervante a volte XD) non aveva conosciuto, ma ora, ritornando
ad essere parte integrante del cuore, riesce a vedere e sentire finalmente.
Credo il resto sia abbastanza comprensibile, se così non fosse non fatevi
problemi e chiedete pure che sono qui per questo ;)
Un saluto a tutti e un abbraccio a chi leggerà e apprezzerà questo
scritto.
Spero vi giunga qualcosa di mio, grazie <3