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Autore: lyrapotter    23/05/2010    11 recensioni
Prima classificata al Multicolour Contest indetto da _Mary, Fierobecca93 e Nabiki93 sul forum di EFP
Missing moment dal settimo libro: Remus lascia di nuovo Dora quando lei scopre di essere incinta. Qualche mese dopo, la ragazza se lo ritrova sotto casa, deciso a ottenere il suo perdono... A qualunque costo
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Remus Lupin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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DISCLAIMER: Harry Potter e tutti i suoi personaggi appartengono a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

N.B. le parti in corsivo sono i pensieri dei personaggi.

Fanfiction partecipante al Multicolour Contest indetto da _Mary, fierobecca93 e Nabiki93

AFTER THE STORM, THE SUN WILL SHINE AGAIN

Era stata una giornata davvero infernale. E se pensava che al Ministero le cose continuavano a scorrere più o meno alla normalità le veniva voglia di urlare e rompere qualcosa: c’era la sua solita scrivania, il suo solito mucchio di scartoffie, il suo capoufficio che come ogni giorno l’aveva rimbrottata per il solito ritardo…

Ma non era così che dovevano andare le cose, no! Non quando il Ministro della Magia era stato assassinato da nemmeno ventiquattro ore, proprio in uno di quegli uffici! Non quando Voldemort aveva di fatto appena preso il potere, attraverso il suo burattino O'Tusoe! Non quando i Mangiamorte erano finalmente liberi di agire e seminare morte indisturbati! Non quando la nuova, sanguinaria politica verso i Nati Babbani era già bella che pronta ad essere messa in pratica! Non quando…

Oh, ma lei aveva già deciso: se erano quelle le condizioni in cui avrebbe dovuto lavorare da quel momento in poi, avrebbe fatti i bagagli e tanti saluti. Non avrebbe certo giocato a fare l’aiuto Mangiamorte, dando la caccia al suo stesso padre o a suo marito, in attesa che la cara zia Bellatrix venisse a farle un saluto. L’aveva detto a Kingsley quel giorno: non aveva il carattere adatto per una cosa del genere, in capo a una settimana avrebbe mobilitato una sommossa e si sarebbe fatta ammazzare!

Oltretutto, sommando tutti i fattori, non era nemmeno da escludere che fossero loro a tagliarla fuori, visto che non aveva mai fatto particolare mistero di essere del partito di Silente e Malocchio. E, causa il suo recente matrimonio, parecchia gente, Umbridge in testa, già l’accusava di "fare comunella con il nemico", neanche fosse stata sposata con Fenrir Greyback in persona! Per non parlare del bambino: un’Auror incinta serve a ben poco…

In effetti, a ben pensarci, probabilmente il suo capo sarebbe stato più che lieto di aiutarla a sgombrare la scrivania e indicarle l’uscita, invitandola gentilmente a non farsi più vedere!

Tonks sospirò, frustata, camminando più veloce che poteva verso casa, i sensi all’erta: voleva solo arrivare il prima possibile, dimenticare di essersi mai alzata e farsi coccolare un po’ dal suo lupo preferito, al resto ci avrebbe pensato in seguito… Ci avrebbero pensato in seguito, lei e Remus, insieme.

Arrivò al modesto appartamento che di lì a poco non avrebbe più potuto permettersi appena in tempo per evitare l’acquazzone che si preparava a scatenarsi, sentendosi immensamente sollevata: ora era finita sul serio, poteva rilassarsi, dimenticarsi della guerra almeno per qualche ora e concedersi di essere felice per sé stessa, il suo matrimonio con l’uomo migliore del mondo e il loro bambino… Purtroppo, come avrebbe scoperto solo di lì a poco, il peggio di quella giornata infernale doveva ancora arrivare.

"Sono tornata" si annunciò, chiudendosi la porta alle spalle e riattivando tutti gli Incantesimi difensivi.

Quando non le giunse risposta, corrugò la fronte, perplessa: che Remus fosse uscito? Ma le avrebbe certo lasciato un biglietto da qualche parte in bella vista. E poi per andare dove a fare che?

Quasi senza accorgersene, sfoderò la bacchetta, tesa come una corda di violino. Paranoia? No, semplice vigilanza costante, come avrebbe detto Malocchio. "Remus, ci sei?".

"Sono in camera".

Tonks fu talmente sollevata di sentire la sua voce che non registrò il tono strano, quasi rassegnato, con cui le rispose: invece sorrise, dirigendosi a passo saltellante verso la camera da letto e rischiando di ammazzarsi sul tappeto nel pur breve tragitto.

"Ehi, non è che mi aspettassi un saluto trionfale con orchestra e coriandoli, ma almeno un bacio e un abbraccio dopo questa giornata penso di essermelo meritato… A meno che…". Ridacchiò maliziosamente tra sé. "Non è che hai preparato qualche sorpresina divertente, vero? In caso, penso che potrei anche perdonarti il bacio mancato…".

Ma, quando approdò in camera, non trovò ad aspettarla nessuna delle numerose sorpresine divertenti che le erano passate per la mente, né il tanto sospirato bacio, né le attese coccole per dimenticare l’inferno del Ministero: trovò invece il letto occupato da una valigia semipiena e Remus con in mano una delle sue lise camicie e in volto la tipica aria da ladro colto con le mani nel sacco.

Era proprio la tipica espressione che lei odiava tanto, quell’espressione che diceva "Sto per fare una cosa che odierai e che pure io odierò e che ci farà stare tutti male, ma che devo fare perché non posso agire altrimenti": l’aveva già vista tante volte, quell’espressione, e aveva sperato di non doverla rivedere mai più.

E tuttavia, malgrado già sapesse come sarebbe finita, volle fare finta di nulla, credere che fosse tutto un equivoco e che tutto si sarebbe risolto semplicemente e felicemente… Ma con Remus non finiva mai nulla in modo semplice e felice.

"Vai da qualche parte?" domandò con voce atona, mentre il sorriso le moriva sulle labbra.

Per un attimo, Remus sembrò indeciso, abbassò il capo come se non sopportasse di guardarla e probabilmente era così. "Non credevo che tornassi così presto…" disse alla fine.

"Sono le sei passate" obiettò Tonks indicando la sveglia sgangherata che ticchettava diligente sul comodino.

"Ah… Devo aver perso la cognizione del tempo: non mi ero reso conto che…".

"Che cosa, Remus? Che tua moglie stava per tornare a casa? Altrimenti che avresti fatto, te la saresti squagliata alla chetichella come un ladro?" lo aggredì Tonks, mentre la rabbia le montava dentro: perché, perché lo stava facendo un’altra volta? Negli ultimi giorni l’aveva sentito un po’ distante, certo, ma l’aveva attribuito allo stress della situazione, alla guerra, alla morte di Malocchio… Ma non avrebbe mai pensato che sarebbero arrivati a quel punto.

"Io… No, ti avrei aspettato…" fu la risposta. "Non volevo farmi trovare con la valigia ancora da fare…".

Tonks scosse il capo, incredula: non poteva essere vero, doveva essere solo un orrendo incubo… Sì, da un momento all’altro si sarebbe svegliata e tutto sarebbe tornato al suo posto. Ma non accadde, perché quella era solo la dura realtà e Remus la stava davvero lasciando un’altra volta.

"Perché?" fu tutto quello che riuscì a dire. "E abbi almeno la decenza di guardarmi mentre me lo dici!".

Dopo un attimo di esitazione, Remus si decise infine ad alzare la testa, l’incertezza sostituita da un cipiglio deciso. "È stato uno sbaglio, Dora: non dovevamo sposarci…".

"Oh, non ricominciare ancora con la storia del ‘troppo vecchio, troppo povero e troppo pericoloso’, Remus, per piacere! In che lingua devo dirtelo che non mi importa?!".

"Importa a me: ti ho trasformato in una reietta, Dora, non puoi quasi uscire di casa senza essere segnata a dito… E solo perché hai sposato me! Ti meriti di meglio, molto meglio del sottoscritto".

Mentre lo diceva, aveva ripreso a ficcare in valigia quel che restava ancora dei suoi effetti: era proprio deciso ad andare fino in fondo, allora.

"Io voglio te, Remus!" protestò Tonks, pur sapendo che ormai nulla l’avrebbe fermato, nemmeno quella più che sincera dichiarazione che gli aveva già fatto un milione di volte. "Per favore, Remus, perché ti è così difficile credere che potrò essere felice solo con te?".

"Forse adesso lo credi, Dora, ma tra qualche anno…Tra qualche anno, quando incontrerai l’uomo davvero giusto per te…".

Tonks scosse freneticamente il capo: perché non voleva accettare i sentimenti che sentivano l’uno per l’altra? Perché non poteva semplicemente amarla e dimenticarsi del resto del mondo?

Remus chiuse la valigia e si avviò verso la porta, senza mostrare traccia di esitazione. Cercando di non farsi prendere dalla disperazione, Tonks si decise a giocare la sua ultima carta: gli corse dietro, frapponendosi tra lui e l’uscita, implorandolo con gli occhi a restare.

"Dora, per favore, devo andare…" dichiarò Remus, cercando di superarla.

"E il bambino? Cosa mi dici di tuo figlio? Anche lui starà meglio senza di te?".

Remus si bloccò, le spalle rigide e il viso contratto. "Il bambino?".

Tonks annuì con vigore. "Sì, tuo figlio, rammenti?".

Per qualche istante, Remus non rispose e Tonks quasi si illuse di essere riuscita a farlo ragionare… Illusione che si infranse miseramente quando scosse il capo con aria affranta e ancora più colpevole di prima. "Il bambino… Il bambino è stato forse lo sbaglio peggiore…".

Se pensava che peggio di così non poteva sentirsi, Tonks si sbagliava di grosso: Remus non avrebbe potuto farle più male nemmeno se l’avesse colpita. Come poteva dire una cosa del genere del loro bambino?

Certo, non aveva reagito proprio in maniera entusiastica quando gli aveva detto di essere incinta, ma aveva voluto dirsi che gli ci voleva solo un po’ di tempo per abituarsi all’idea di diventare padre: in fondo, era andato tutto così in fretta, anche lei si era sentita stordita da come si erano evolute le cose, ma non avrebbe mai potuto definire suo figlio un "errore"! Un incidente di percorso assolutamente non programmato, forse, ma non certo un errore!

"Come puoi dire una cosa simile?" domandò in un sussurro.

"Dora, quelli come me non dovrebbero riprodursi, mai, per nessuna ragione: il bambino sarà malato…".

"Non è affatto una certezza" obiettò Tonks: poteva ancora farlo ragionare, ne era certa. "Mi sono informata: se solo uno dei genitori è un licantropo, c’è solo il venticinque per cento di possibilità che anche il bambino lo sia…".

"Non ha importanza" ribatté Remus, caparbio. "Se anche sarà sano, starà molto meglio senza in giro un padre di cui vergognarsi…".

Tonks lasciò cadere le braccia tese per fermarlo, scoraggiata e quasi fisicamente esausta: tornavano sempre lì, tutto tornava sempre lì, potevano cambiare luoghi e parole, ma tutto si riduceva sempre e comunque alla licantropia di Remus e alla sua pressoché inesistente fiducia in sé stesso. Era come un muro che non sarebbe mai riuscita ad abbattere: per ogni mattone che lei tirava giù, Remus sembrava aggiungerne altri tre, rendendole il compito impossibile.

Aveva creduto che con il matrimonio i loro problemi si fossero finalmente risolti, ma si era solo illusa, finalmente lo capiva: anche senza il bambino, Remus avrebbe trovato un’altra scusa per andarsene, forse non così presto, ma l’avrebbe trovata. Non avrebbe mai potuto essere felice con lui finché non riusciva ad accettare quello che era e i sentimenti che provavano l’uno per l’altra e lei era troppo spossata per continuare a picchiare sul muro.

Sono stata proprio una stupida, una stupida accecata dall’amore… "Non so più cosa dirti, Remus" disse, scuotendo il capo. "Non so più che fare per farti capire… Se solo potessi farti vedere come ti vedo io, sarebbe tutto più semplice".

"Mi dispiace, Dora…".

"Non dirlo, Remus!" scattò lei, facendolo trasalire e assumere un’aria ancora più afflitta. "Non dire "mi dispiace": sono stanca di tutti i tuoi "mi dispiace", "non posso", "è uno sbaglio", "starai meglio senza di me" e il resto del teatrino! Se vuoi andartene, vattene, ma non dire che ti dispiace: se ti dispiacesse sul serio, non te ne andresti!".

Remus tentò di dire qualcosa, ma Tonks lo fermò con un gesto perentorio della mano, improvvisamente furiosa. "Fuori dalla mia casa! Fuori! Non voglio più vederti né tanto meno sentire le tue patetiche scuse!".

Forse sorpreso da quello scoppio di rabbia improvviso, Remus non si mosse, senza parole, facendola arrabbiare ancora di più. "Beh, cosa stai aspettando, che Merlino discenda in terra?! Fino a poco fa non vedevi l’ora di andartene: e allora, vattene!".

"Dora…".

Tonks lo colpì senza nemmeno rendersene conto: semplicemente la mano le partì quasi avesse vita propria, atterrando a pugno sulla spalla di Remus, nemmeno con troppo forza, in realtà. "Zitto, zitto! Non voglio più ascoltarti, Remus, voglio solo che tu te ne vada, adesso! O ti sbatto fuori io!".

E praticamente lo fece, visto che quasi lo spinse sul pianerottolo per poi scagliargli contro la valigia. "E un’altra cosa: sta alla larga da me e mio figlio d’ora in poi!" e sbatté la porta con tutta la forza che aveva, facendo tremare i quadri appesi alle pareti.

Si appoggiò ad essa, mentre la rabbia, veloce com’era montata, svaniva lasciandola svuotata e priva di energie. Si lasciò scivolare in terra, mentre le lacrime cominciavano a scorrere e il suo sguardo si posava sull’ora vuoto e grigio appartamento: se n’era andato, se n’era andato sul serio… E stavolta non sarebbe più tornato, era sola, sola con i suoi sogni infranti e dei progetti che non avrebbe mai realizzato…

No, non è vero, non sono sola: c’è anche lui, si corresse subito, accarezzandosi la pancia ancora piatta. Doveva essere forte, per suo figlio: in qualche modo se la sarebbero cavata. Sono la pupilla di Alastor Moody, posso tirarmi fuori da qualunque situazione spinosa, anche da questa…

Non per la prima volta in quegli ultimi giorni, desiderò che Malocchio non fosse morto: in quegli ultimi anni era stato quasi un secondo padre per lui, sentiva la sua mancanza come se le avessero strappato un arto. Appena fosse riuscita a mettere le mani su Mundungus, gli avrebbe fatto rimpiangere di non essere caduto nelle mani di Voldemort…

Si rese conto che indirizzare la propria rabbia contro qualcun altro la faceva sentire giusto un pochino meglio, quel tanto che bastava per mettersi a riflettere seriamente sulla sua situazione: capì subito che non avrebbe tollerato di stare in quell’appartamento ora che lui se n’era andato, per quanto ci avesse vissuto molto più da single che da sposata.

Ora so cosa devo fare.

Risoluta, si tirò in piedi e andò in camera. Cercò il più possibile di non indugiare sul letto perché sarebbe stato troppo facile cedere di nuovo alle lacrime (e già sapeva che presto avrebbe ceduto di nuovo), perciò raccolse il più in fretta possibile tutti i suoi effetti personali, li cacciò di mala grazia in un paio di borse e uscì di nuovo.

Si prese due minuti per scrivere un messaggio a Remus, nel remoto caso in cui fosse tornato, dicendogli dov’era andata perché non si preoccupasse ma invitandolo a non farsi vedere per un po’ e lo affidò alla sua vicina di casa, certa di potersi fidare, dopodichè lasciò l’appartamento.

Pochi minuti dopo, si era Smaterializzata direttamente nel giardino di casa dei suoi genitori. Entrò dal retro, trovando sua madre che preparava la cena: era una scena così dolcemente famigliare che Tonks si sentì un po’ risollevata.

Andromeda si girò verso di lei, senza nascondere la sua sorpresa di vederla a quell’ora e per di più carica di bagagli. "Ninfadora, che cosa è successo? Ted, vieni qui!".

L’uomo comparve nel giro di pochi istanti, con già la bacchetta in mano. "Che c’è, ‘Meda? Oh, ciao, tesoro, ti aspettavamo?". Poi notò le valige e si accigliò. "Che cosa succede, Dora?".

"Mamma, papà, vi devo dire alcune cose piuttosto importanti…".

Tre mesi dopo

Piantato sul marciapiede dall’altra parte della strada, Remus fissava la casa da almeno mezz’ora, incapace di convincersi ad attraversare, suonare il campanello e affrontare la difficile conversazione che sarebbe seguita.

Ennesima riprova del fatto che Harry aveva ragione: era soltanto un grandissimo codardo. Aveva passato gli ultimi tre mesi a dirsi che aveva solo agito per il meglio, che aveva fatto quello che andava fatto ed era Harry a non capire: la situazione era molto più complicata di quanto il ragazzo pensasse… O no?

La realtà era che non aveva fatto altro che ripeterselo per convincere sé stesso. Codardo, codardo, codardo… Quella parola non faceva che risuonargli in mente da quel giorno a Grimmauld Place ed era la verità: l’aveva mascherata con tante belle parole, ma sempre codardia rimaneva.

E probabilmente ormai era troppo tardi per rimediare ai suoi errori: di certo, quando Dora l’avesse visto, gli avrebbe sbattuto la porta in faccia. Non che potesse biasimarla: anche lui si sarebbe chiuso la porta in faccia. Aveva sbagliato troppo e troppe volte per poter ancora sperare nel perdono: che razza di stupido idiota…

Gli mancava perfino il coraggio di attraversare la strada e bussare alla porta di Casa Tonks: finché fosse rimasto lì, una parte di lui avrebbe ancora potuto continuare a sperare bellamente che Dora avrebbe perdonato la sua cocciuta stupidità ancora una volta.

Remus Lupin, oltre che un codardo, sei pure il più patetico degli illusi, si rimbrottò tra sé. Era decisamente più probabile che Dora lo cacciasse a calci nel sedere. Ma doveva pur tentare di ottenere il perdono: non farlo sarebbe solo stata la prova che era davvero il più grande dei codardi, nonché probabilmente il suo ennesimo e più grave errore.

"Remus? Che cosa ci fai qui?".

L’uomo si voltò, colto alla sprovvista: perso com’era nei suoi pensieri, non si era nemmeno accorto del suo arrivo. Remus aveva l’impressione che in quei tre mesi in cui non si erano visti fosse diventata ancora più bella di come la ricordava, anche se forse era una semplice impressione dovuta alla lunga lontananza. Cercò qualche segno della gravidanza, ma non notò nulla di particolarmente evidente: forse era merito della giacca larga che indossava o delle sue capacità metamorfiche che per qualche motivo sfruttava per mascherare la sua condizione… O più semplicemente, era ancora troppo presto.

Forza, è arrivato il momento di combinarne una giusta, tanto per cambiare… Respirò a fondo, raggranellando tutto il coraggio che aveva. "Ciao, Dora".

La donna non ricambiò il saluto, limitandosi a continuare a fissarlo con espressione a metà tra lo stupito e l’irato. "Che ci fai qui, Remus?" domandò di nuovo, stringendosi al petto la busta che stava portando.

"Che cos’hai lì?" chiese Remus, eludendo la domanda.

"A mia madre servivano latte e uova: ho fatto una scappata in paese… Non che debba renderti conto di qualcosa!".

"È pericoloso muoversi da soli di questi tempi: Bellatrix ti sta ancora cercando…".

"Bellatrix è un problema mio, non tuo" ribatté in tono secco Tonks. "Sono un’Auror, nel caso te lo sia dimenticato: so badare a me stessa quanto basta per andare a fare la spesa!".

"Non intendevo dire questo…" protestò Remus: la conversazione stava già cominciando a prendere una brutta piega.

"Che cosa ci fai qui?" ripeté lei per la terza volta, con una sospiro frustrato. "E rispondi alla domanda!".

"Sapevo di trovarti qui e avevo bisogno di vederti…".

"Bene, mi hai visto" dichiarò in tono asciutto Tonks. "Ora puoi anche andartene, prima che…".

"Prima che cosa?".

"Prima che mamma ti veda e decida di mandarti al creatore: il suo umore è parecchio instabile in questi giorni!".

"Non dovresti essere tu quella con gli sbalzi ormonali?".

Tonks alzò gli occhi al cielo, parzialmente infastidita. "È preoccupata per papà: per quanto cerchi di convincerla che ha la scorza troppo dura per farsi prendere, non vuole saperne di lasciarsi persuadere!".

Remus annuì con aria grave: aveva letto sulla Gazzetta della nuova politica del Ministero verso i Nati Babbani, senza la minima sorpresa, e il nome Ted Tonks gli era subito balzato all’occhio nella lista di coloro che non si erano presentati all’udienza.

"Sono certo che tuo padre sta bene, Dora…".

"So che sta bene" ribadì Tonks, con uno sguardo che lasciava pensare che avesse bisogno di ripeterselo in continuazione per continuare a crederci. "È meglio che entri in casa prima che mamma chiami l’esercito per denunciare la mia scomparsa…".

Si voltò, con tutta l’intenzione di andarsene, ma Remus la fermò, afferrandola per un polso per poi piazzarsi di fronte a lei.

"Tu guarda, questa scena mi ricorda vagamente qualcosa…" fu l’acido commento della ragazza. "Levati dai piedi, Remus, o giuro che mi metto a strillare: ci sono parecchie persone nel quartiere che saranno ben felici di accorrere in mio aiuto. Ergo, se non vuoi farti arrestare per aggressione…".

"Dora, per favore…".

"No, Remus, niente per favore, niente occhi da cucciolo ferito, niente toni supplichevoli: qualunque cosa tu voglia dirmi, non mi interessa e non la voglio sentire!".

Diede uno strattone per liberarsi il polso per poi marciare a passo di carica verso la porta di casa sua.

"Mi dispiace!" gridò Remus, senza sapere cos’altro fare: quelle parole suonarono stupide e patetiche perfino alle sue orecchie, ma almeno ebbero l’effetto di fermare Tonks, che rimase impalata in mezzo a strada, immobile come una statua.

Con rinnovata speranza, Remus le corse dietro, mettendosi di nuovo di fronte a lei. Tonks ricambiò il suo sguardo con occhi velati di lacrime. "Mi dispiace?" ripeté con voce rotta. "Dopo tre mesi di silenzio, tutto quello che sai dire è ‘mi dispiace’? Per cosa ti dispiace, Remus?".

"Per tutto, Dora, mi dispiace per tutto: per essermene andato come un coniglio, per aver lasciato te e il bambino, per non essere nemmeno lontanamente degno del tuo amore, per essere un idiota colossale, per non riuscire ad amarti come meriteresti, per non essere riuscito a capire tutto questo prima… Credo che potrei continuare all’infinito: mi dispiace anche per questo!".

"E pensi che sia sufficiente? Pensi che queste parole bastino a ripagare tutto quello che ho sofferto, tutto quello che ho passato per te? Mi hai spezzato il cuore, andandotene in quel modo, lo sai questo? Tutti i ‘mi dispiace’ di questo mondo non potranno mai cancellare quello che hai fatto…".

"Lo so, lo so, ma sono comunque qui a chiederti di perdonarmi e darmi un’altra possibilità, pur sapendo di non meritarmelo affatto… Vuoi che ti supplichi in ginocchio? Sono disposto a fare qualunque cosa per farti capire che sono pentito e che non farò mai più una cosa del genere…".

E l’avrebbe fatto sul serio: per lei avrebbe fatto praticamente qualunque cosa. Ma perché aveva dovuto rendersi conto così tardi che quella piccola strega gli era entrata nel cuore e che ormai non poteva più vivere senza di lei?

Prima che potesse inginocchiarsi veramente, però, Tonks lo bloccò, scuotendo il capo. "È troppo tardi, Remus" disse, cercando di mantenere la voce ferma. "Il mio cuore vuole perdonarti, lo vuole davvero, ma non riesco più a fidarmi di te: cosa mi garantisce che fra una settimana non cambierai idea e sparirai di nuovo?".

"Io te lo posso garantire, Dora. Ti prego, devi credermi: ti amo più di quanto credessi avrei amato qualcuno… Per favore, Dora, dammi modo di dimostrartelo, per favore…".

"Non ho mai dubitato del tuo amore, Remus: nemmeno quando ripetevi strenuamente di non volermi ho mai smesso di credere nei tuoi sentimenti per me… Anch’io ti amo" dichiarò con un sorriso mesto. "Ma l’amore ormai non basta più, non senza la fiducia e io non riesco più a concederti la mia, mi dispiace…Ora, se vuoi scusarmi…".

Lo superò di nuovo e stavolta Remus non provò a fermarla, sentendosi svuotato: l’aveva persa, adesso glielo aveva detto chiaro e tondo, l’aveva persa per sempre e poteva biasimare solo sé stesso per questo. Che grande, immenso imbecille…

Fu allora che, come altre volte nei momenti di crisi, pensò a come avrebbero reagito James e Sirius se l’avessero visto in quel momento. Sirius probabilmente gliele avrebbe date con un bastone, per il modo in cui aveva fatto soffrire così la sua adorata cuginetta e James l’avrebbe rimproverato per il suo comportamento, probabilmente con le stesse identiche parole che Harry gli aveva sputato addosso tre mesi addietro. Riusciva a vedere distintamente le loro facce deluse: già, nessuno dei sarebbe stato molto contento di come aveva gestito le cose con Dora, senza dubbio…

Ma dopo i rimproveri, Sirius se ne sarebbe uscito con una delle sue "trovate geniali", James gli sarebbe andato dietro a ruota e in men che non si dica avrebbero elaborato un folle, strampalato e assurdo piano per aggiustare tutto: nessuno dei due conosceva il significato della parola resa, perseguivano anche la più disperata delle cause finché non erano certi di aver tentato tutto il possibile.

Ma lui non era come Sirius e James: lui non era mai stato capace di tirare dritto per la proprio strada nonostante le sconfitte, lui faceva dietrofront o cambiava direzione. Ma in questo caso, questo avrebbe implicato perdere Dora…

Che cosa farebbero quei due pazzi al mio posto? Continuerebbero a provare, provare e provare ancora, per quanto il successo sembri impossibile…

Si voltò verso Casa Tonks: Dora aveva ormai raggiunto la porta.

"Non mi arrendo, Dora" gridò. "Non mi arrendo".

Anche se lei non si girò ed sparì in casa, Remus era certo che l’aveva sentito e che forse lo stava guardando mentre tornava alla sua postazione originale e si sedeva sul ciglio del marciapiede. Non mi arrendo, ripeté tra sé. Anche se ci volessero mille anni, non mi arrenderò…

*******

Quella notte, Tonks si rigirava senza pace nel letto, apparentemente incapace di prendere sonno. Il breve incontro con Remus l’aveva turbata molto più di quanto avesse voluto lasciare a intendere a sua madre: quando Andromeda si era resa conto che il presunto vagabondo che sostava di fronte a casa loro in realtà era il suo genero, ci era voluto del bello e del buono per non farla uscire e sfogare su di lui la sua ira repressa.

Tonks era riuscita a calmarla prima che facesse qualcosa di irreparabile dicendole che aveva parlato a Remus e gli aveva detto di non volerlo vedere, perciò se ne sarebbe certo andato presto.

Stizzita, Andromeda aveva passato la giornata borbottando come una pentola a pressione, spostando tutti i soprammobili della casa per la centesima volta in un paio di settimane e cucinando una squisita torta al cioccolato che figlia e nipotino avevano molto apprezzato.

Tuttavia, nessuna delle due aveva più menzionato Remus e Tonks si era sforzata di non pensarci tenendosi il più possibile occupata. La cosa aveva funzionato, almeno fino al momento di mettersi a dormire: il sonno non voleva saperne di venire, ma in compenso non mancavano i pensieri.

Perché era dovuto ricomparire proprio ora? Con quale faccia si era presentato alla sua porta dopo tutti quei mesi, facendole quei discorsi accalorati? Perché doveva confonderla di nuovo, proprio nel momento in cui stava finalmente mettendosi l’animo in pace e cercando di proseguire con la sua vita, nei limiti del possibile, visto il figlio che aveva in grembo.

Soprappensiero, si accarezzò la pancia appena accennata. Che cosa devo fare con quello stupido del tuo papà, piccolo mio? Scommetto che perfino tu sapresti cosa fare meglio di me!

Si girò sul fianco, osservando fuori dalla finestra la sottospecie di diluvio universale che si era scatenato verso l’ora di cena. Che tempaccio da lupi, pensò, per poi ritrovarsi a sorridere tra sé per la battuta involontaria: gira che ti rigira, sempre sui lupi tornava…

Scomoda, cambiò di nuovo posizione mettendosi sulla schiena, quasi sperando di trovare scritto sul soffitto la risposta ai suoi problemi.

Remus le mancava, questo era innegabile: le mancava la notte, quando desiderava di accoccolarsi contro il suo corpo in cerca di calore; le mancava quando temeva per la vita di suo padre e avrebbe voluto essere abbracciata; le mancava quando pensava al bambino e avrebbe voluto dividere con lui la gioia che provava. Praticamente, le mancava ogni ora di ogni giorno, ma nonostante questo, non riusciva a perdonarlo: avrebbe voluto riaccoglierlo nella sua vita più di qualunque altra cosa al mondo, ma come poteva fidarsi dopo tutto quello che le aveva fatto passare?

Perché l’amore deve essere così complicato? Non dovrebbe essere come nelle favole, dove ogni principessa ha diritto al suo bel principe e al suo "per sempre felici e contenti"… Dovrebbero scrivere un manuale d’istruzioni per quando l’uomo dei tuoi sogni ha più complessi di un drago incapace di sputar fuoco e meno autostima di un vermicolo!

Quasi dal nulla, l’immagine della torta di sua madre cominciò a galleggiarle davanti agli occhi, invitante come non mai. Beh, tanto non riesco a dormire comunque… E il cioccolato non è un buon antidepressivo?

Era già in cucina con un’enorme fetta di torta davanti quando si ricordò che quest’ultima informazione l’aveva ricevuta proprio da Remus almeno un paio di anni prima. Per un attimo, quasi le passò la fame, ma il bambino aveva evidentemente voglia di una bella botta di calorie, così fu comunque con soddisfazione che addentò il primo boccone. Spero che tu sia contento, mostriciattolo, perché questa roba sta andando a depositarsi direttamente sui miei fianchi!

Si stava già servendo la seconda porzione (perché si sa, una fetta tira l’altra), quando un tuono la fece trasalire. Rivolse lo sguardo alla finestra: praticamente stava venendo già a secchiate. Se va avanti così, finisce che domattina dobbiamo uscire con la zattera…, pensò la ragazza, scostando la tendina per controllare com’era esattamente messa la situazione.

E fu allora che lo vide: apparentemente indifferente alla pioggia, Remus era ancora lì, seduto sul marciapiede che guardava dritto verso la sua casa. "Non mi arrendo" le aveva gridato dietro quel pomeriggio, ma Tonks non credeva che avrebbe preso la cosa così sul serio.

Dannazione a quello scemo, si prenderà un accidente con questo tempaccio! Si morse il labbro, sentendosi colpevole: certo, non glielo aveva chiesto lei, ma Remus stava facendo tutto questo per lei, perciò se si fosse preso una polmonite, sarebbe stata almeno in parte colpa sua. Forse dovrei invitarlo a entrare, almeno per stanotte…

"Ninfadora, che cosa fai?".

Spaventata, Tonks sobbalzò, voltandosi di scatto. "Merlino santo, mamma, mi hai fatto quasi venire un infarto!".

Andromeda corrugò la fronte, portando le mani ai fianchi. "Cosa stavi facendo che non dovresti fare?" domandò, neanche stesse parlando con una bambina di sei anni.

Tonks roteò gli occhi, insofferente: sua madre non sarebbe mai cambiata. "Non riuscivo a dormire e mi è venuta fame, così sono scesa a prendermi una fetta di dolce…".

Il viso di Andromeda si addolcì in un sorriso complice. "Già con le voglie notturne, eh?".

Tonks si limitò a borbottare qualcosa di indefinito. "Non c’è nulla di male a concedersi un peccatuccio di gola…".

"Oh no, certo, specie se consideri che tanto ingrasserai ugualmente: ricordo che quando ero incinta, mangiavo quintali di quei biscotti al caramello della pasticceria degli Hummer…".

"Veramente? Ma se non ti ho mai visto mangiarne nemmeno mezzo!".

"Già, perché mi hanno stomacata al punto che non riesco più a vederli" rispose Andromeda con un sorriso. "Che guardavi fuori dalla finestra?".

"La finestra?" ripeté Tonks, allontanandosi di scatto dalla stessa: era decisamente meglio che sua madre non vedesse Remus piantonato davanti alla loro casa.

"Sì, la finestra da cui ti sei appena scostata con aria colpevole: cosa c’è là fuori che non vuoi farmi vedere?".

Per qualche istante, la ragazza accarezzò l’idea di continuare a fare la gnorri e cercare di distrarre Andromeda in qualche modo, solo per ricordarsi subito che era praticamente impossibile distrarla quando assumeva quella posa decisa, da autentica Black: se non glielo avesse detto lei, l’avrebbe scoperto da sola, questo era il messaggio. Perciò, tanto valeva rendere la cosa il più indolore possibile…

"Remus… È seduto sul marciapiede dall’altra parte della strada".

Con sua somma sorpresa, Andromeda non si mise a strepitare, a sputare fiamme o a lanciare inconsulte minacce di morte contro il genero: si limitò a stringersi nelle spalle e commentare: "Oh, è ancora lì?".

"Ancora lì? Che cosa vuol dire ‘ancora lì’? Tu lo sapevi?".

"L’ho visto dopo cena, mentre finivo di lavare i piatti…".

"Perché non me l’hai detto?".

"Non ti volevo turbare ulteriormente… E credevo che con questo tempo, ci avesse rinunciato e se ne fosse andato".

Tonks scosse il capo. "Invece, è ancora lì… E si prenderà una broncopolmonite se passa tutta la notte all’addiaccio sotto la pioggia".

Scostò di nuovo le tende, sentendosi il cuore pesante: come prevedibile, Remus non si era spostato di un millimetro. Tonks poteva immaginare il cipiglio deciso che aveva in volto il marito in quel momento: capì che non si sarebbe mosso da lì finché non le avesse parlato di nuovo, che avrebbe tentato qualunque cosa per convincerla del suo sincero cambio di rotta.

Che cosa doveva fare? Il suo cuore le urlava di correre fuori, abbracciare quel pazzo e tornare a essere una famiglia, la sua testa non faceva che ricordarle tutto quello che le aveva fatto passare, tutto quello che aveva patito in quei mesi di separazione e prima ancora. D’altra parte, Remus era pur sempre il padre del suo bambino: se aveva deciso di voler far parte della vita di suo figlio, lei non aveva diritto di impedirglielo… Oppure sì? In fondo, aveva abbandonato anche il bambino, non solo lei: non è che poteva andare e venire come gli pareva, appena si stancava o lo ricoglievano le vecchie paranoie.

Scosse il capo, sentendosi più che mai confusa: forse per la prima volta nella sua vita, non aveva idea di cosa fare.

Andromeda le posò una mano sulla spalla in segno di appoggio. "Devo andare a cacciarlo a colpi di bacchetta?".

Tonks non poté evitare di ridacchiare: quello sarebbe stato uno spettacolo decisamente interessante, considerò, ma non avrebbe mai lasciato Remus (o qualunque altro essere umano) alle grinfie di una Andromeda Black in Tonks imbufalita. "No, grazie mamma" rispose perciò scuotendo il capo, senza distogliere gli occhi dalla finestra.

La madre le sorrise comprensiva. "Tu hai intenzione di perdonarlo, vero?".

"No… Sì… Forse… Non lo so!" concluse con uno sbuffo. "Non so cosa fare, mamma, non lo so davvero… Tu cosa faresti?".

"Stai sul serio chiedendo il mio consiglio, Ninfadora?".

"Sì, lo sto facendo, mamma" rispose Tonks, per nulla certa di volerlo sentire.

"Tesoro, credo che in questi mesi non ho fatto particolare mistero di cosa penso di quell’uomo e del vostro matrimonio, ma qui non parliamo di me, bensì di te: solo tu puoi decidere quello che vuoi fare".

"Grazie, mamma: sei stata davvero illuminante!" commentò Tonks, sarcastica. "Fin qui ci arrivavo anche da sola…".

"Vedi di moderare un po’ i toni, signorinella" la rimbrottò piccata Andromeda, prima di addolcirsi di nuovo. "Io credo che Remus si sia pentito e so che tu sei talmente innamorata da poterlo perdonare: non penso di poter ancora dire di approvare la vostra relazione, ma sento che quello è l’unico uomo con cui ti sentirai mai felice".

Tonks sorrise amaramente. "Sembra che questa cosa l’abbiamo capita tutti tranne il diretto interessato… Tu cosa faresti al mio posto?".

"Sinceramente, non lo so, anche se sono convinta che con i giusti tempi, sarei capace di perdonare tuo padre di qualunque cosa… Posso dire che un uomo disposto a passare una notte di novembre sotto la pioggia per dimostrare il suo amore vale quanto meno un pensierino! Io torno a letto, Dora: vieni anche tu?".

"Tra un momento…" promise Tonks.

La ragazza aspettò di sentire sua madre chiudersi la porta della sua camera alle spalle, dopodichè corse a infilarsi l’impermeabile e afferrò un ombrello. Pochi minuti dopo, era a fianco di Remus e lottava per riparare entrambi dalla pioggia battente. "Sei un cretino, Remus".

"Preferisco definirmi perseverante" ribatté lui, alzandosi in piedi.

"Perché non hai Evocato un ombrello?".

"Sarebbe stato come barare".

"Sei un cretino, Remus" ribadì con ancora più convinzione Tonks. "Sei troppo vecchio e malconcio per fare di queste azioni eroiche: se non fossi stata sveglia, domani ti trovavo morto sul marciapiede".

"Tanto, sarebbe importato a ben poca gente…".

"Sarebbe importato a me, Remus! Brrr, dai, entriamo in casa…".

"Vuoi sul serio farmi entrare?". Remus sembrava sinceramente sorpreso.

"No, ho affrontato il diluvio solo per dirti che sei un imbecille… Andiamo, devi toglierti quegli abiti fradici!".

Lo condusse in casa e gli procurò dei vestiti di suo padre per potersi cambiare.

"Grazie, ma posso semplicemente asciugarmi questi…" cercò di protestare Remus.

"Stupidaggini: non puoi metterti a dormire in giacca e camicia!" lo rimbeccò Tonks. "Non dispiacerà a nessuno…".

"Nemmeno ad Andromeda?".

"Oh, non preoccuparti di lei: se farà storie, me la vedrò io… Avrai fame: vuoi qualcosa da mangiare?" domandò poi la ragazza, in cerca di una scusa per lasciare con discrezione la stanza: ok che l’aveva già visto spogliato, ma non le sembrava il caso di restare, visto che non era ancora certa al cento per cento di cosa volesse fare. "Mamma ha preparato una torta fantastica!".

"Non ti disturbare, Dora: posso sopravvivere fino a domattina…".

"Domattina di quella torta resterà solo l’essenza" ribatté Tonks: tutto quel discorrere di cibo le aveva ricordato che aveva una voglia pazzesca. "Sai che ti dico: ora vado a prenderne un po’ per tutti e due!".

E prima che Remus potesse sollevare altre proteste, uscì dal salotto a passo di carica. Sul tavolo della cucina, la torta incriminata la fissava tentatrice: forse era soltanto una sua impressione, ma sembrava gridare "mangiami, mangiami". Dannato bambino, vuoi farmi diventare una balena? Ne ho già pure mangiata una fetta… No, no, ne prendo giusto una piccola, piccola, giusto perché non posso lasciare Remus a mangiare da solo: sarebbe maleducazione e forse lo metterei pure a disagio. Ma sì, un po’ di cioccolato non ha mai ucciso nessuno!

Ma, alla faccia di tutto, si riservò una porzione che era almeno il doppio di quella di Remus (la quale non è che fosse proprio modesta), che infatti la guardò stralunato quando lo raggiunse.

"Hai intenzione di mangiarti tutta quella roba?" domandò, finendo di stendere su una sedia gli abiti bagnati: i vestiti di Ted gli andavano un po’ grandi, ma era comprensibile data la differenza di corporatura.

"Ah, ah… Se ti dicessi che è già la seconda fetta della nottata e la terza in totale, visto che ne ho mangiata una anche dopo cena, cosa diresti?".

"Che sei un autentico pozzo senza fondo".

"Ehi, se non vuoi che tuo figlio nasca con una voglia di cioccolato grande come una casa, sarà meglio che taci e mi lasci mangiare in pace!" dichiarò Tonks in tono perentorio, stravaccandosi sul divano, allungando i piedi sul tavolino di fronte e appoggiandosi il piatto sulle gambe.

Remus la guardò con un sopracciglio inarcato, prendendo posto al suo fianco in una posa decisamente più composta.

"Che c’è? Una non ha nemmeno diritto di mettersi comoda a casa propria?".

"No, no, in ogni caso ti ho visto in pose ben peggiori di questa! Stavo pensando che ti manca solo una bottiglia di Whisky Incendiario per essere tale e quale a Sirius".

"Uhm, però un po’ di Whisky ci starebbe proprio bene…".

"Dora!" fu il commento scandalizzato di Remus.

Tonks scoppiò a ridere. "Stavo scherzando, Remus, rilassati! Primo, mia madre considera quella roba alla stregua di un prodotto del demonio e brucerebbe la casa prima di comprarla; secondo, non sono così scema da bere alcolici, incinta come sono!".

L’uomo sorrise debolmente, prima di addentare un grosso boccone per darsi una scusa per non dover parlare. Anche Tonks seguì il suo esempio e calò così un silenzio teso e carico di tante cose non dette.

La ragazza trattenne uno sbuffo di frustrazione: aveva intuito (non che fosse difficile) che Remus si era ammutolito perché aveva infilato nella conversazione ben due riferimenti al suo stato in meno di cinque minuti, ma in qualche modo la situazione doveva pur sbloccarsi. Remus non poteva sul serio aspettarsi che lei lo riaccogliesse nella sua vita senza prima aver capito se considerava ancora un problema (no, uno sbaglio!) il loro bambino. Ma capì anche che avrebbe potuto aspettare cent’anni prima che si decidesse a intavolare quella conversazione, perciò decise di prendere in mano le redini del gioco.

"Senti Remus, presto o tardi di questa cosa dovremo parlare" esordì in tono deciso, appoggiando la forchetta: quello non era un discorso da torta al cioccolato. "Del bambino intendo… O pensi che abbia dimenticato certi dettagli della nostra ultima conversazione al riguardo?".

"No, non lo penso…".

"E allora? Pensi ancora che questo bambino sia uno sbaglio? Perché se è così, puoi anche andartene: o me e lui o niente, non ci sono mezze misure".

Remus sospirò, mentre giocherellava con la torta senza guardarla in faccia. "Sai, ho sempre pensato che sarei morto solo: i miei genitori se ne sono andati quando ero giovane e dopo di loro, anche James, Lily e Sirius, che sono stati la cosa più vicina a una famiglia che abbia mai avuto. Non credevo che avrei mai trovato una donna disposta a sposarmi a causa del mio essere un lupo mannaro; quanto all’avere un figlio, l’ho sempre ritenuto impossibile proprio perché sono un lupo mannaro".

"Credevi di essere sterile?".

"No, non è per questo: lo sai anche tu, la licantropia è ereditaria, si può tramandare dai genitori ai figli. Ho giurato a me stesso che non avrei mai, mai rovinato la vita di qualcuno come Greyback fece con me…".

"Remus, allora è questo all’origine di tutto, la possibilità che il bambino sia infetto? È soltanto per questo che te ne sei andato?".

L’uomo non rispose e Tonks lo interpretò come un sì: scosse il capo, lottando contro la forte tentazione di picchiarlo a sangue. "Remus, sei un cretino: credi sul serio che mi importerebbe se il bambino fosse un licantropo?".

"Importa a me" fu la dura replica. "E importa al resto del mondo: hai visto come la società tratta quelli come me e chiunque mi stia vicino. Lui o lei non avrà un trattamento migliore: è condannato a essere un reietto solo per il fatto di essere figlio mio!".

"E allora noi lo ameremo tre volte tanto e lo stesso vale per tutti quelli che gli staranno vicino: sarà il bambino più amato e felice di questo mondo e non importerà a nessuno che sia un lupo mannaro, un umano o una manticora a tre teste!".

"Ma…".

"Non ci sono ‘ma’ che tengano questa volta, Remus" lo interruppe in tono risoluto Tonks. "Solo una domanda conta per porre fine alla questione: tu vuoi o no questo bambino?".

"Sì, lo voglio" fu la risposta, dopo qualche eterno secondo di silenzio.

Tonks sorrise, intimamente sollevata: aveva detto sì, aveva detto sì, per loro c’era ancora una speranza. "Allora, il resto non conta, come non contava quando ci siamo sposati e come non conterà in futuro: dimentica il Ministero, la Umbridge, Greyback e tutti gli altri, ci siamo solo io, tu e lui o lei che sia".

"Vorrei fosse così semplice…".

"È semplice, Remus: sei solo tu che ci vedi tante difficoltà. Cosa posso dire che non ti ho già detto per convincerti?". Gli prese il viso tra le mani, per costringerlo a guardarla. "Ascoltami, Remus: ti amo e ti amerò sempre, dovesse cascare il mondo; nostro figlio per essere felice avrà semplicemente bisogno di una madre e un padre che gli stiano vicino e gli vogliano bene; noi tre saremo una famiglia, fosse l’ultima cosa che faccio, e che la Umbridge e tutte le vecchie befane acide e razziste come lei possano bruciare all’inferno se solo provano a ostacolarci! Ma perché tutto questo discorso abbia importanza e non siano solo parole al vento, ho bisogno che tu smetta di remarmi contro e decida cosa desideri: ti voglio accanto a me sempre, non solo quando la luna ti gira per il verso giusto!".

Per qualche istante, Remus rimase zitto a guardarla. "Sono un cretino" disse infine, scatenandole un attacco di risate.

"Io l’ho sempre detto, ma l’importante è che alla fine il messaggio sia trapassato".

"Stavo per mandare al diavolo la cosa migliore della mia vita".

"Ma per tua fortuna, io sono cretina quasi quanto te e sufficientemente magnanima da perdonarti… Ma solo se giuri in ginocchio che non oserai farlo mai più".

"Dora, ci ho messo pure troppo a capirlo, ma non riesco più a stare senza di te".

Tonks sorrise. "Queste sono le esatte parole che volevo sentirti dire" e lo abbracciò, stringendolo a sé come desiderava fare da mesi a quella parte, inspirando il suo profumo e beandosi della sua presenza.

Remus, dal canto suo, si aggrappò a lei quasi con troppa forza, quasi temesse che da un momento all’altro lei potesse cambiare idea e cacciarlo a calci.

"Andiamo a dormire" si decise infine a dire la ragazza, dopo parecchi minuti che restavano immobili in quella posizione. "Ti avverto, ho un letto a una sola piazza, perciò dovremo ingegnarci…".

"Posso sempre stare sul divano" suggerì Remus, incontrando la ferma opposizione della ragazza.

"Non sopporterei di passare un’altra notte senza di te sapendoti così vicino: piuttosto dormo sul pavimento!".

Si alzò in piedi, stringendogli la mano, e così facendo fece miseramente cadere in terra il piatto con la torta, di cui si era completamente scordata. "Oh, dannazione, che razza di spreco!".

Remus si chinò, aggiustando il piatto scheggiato con un veloce Reparo per poi raccogliere la torta. "Io credo che sia ancora salvabile: questa è forse la casa più asettica e pulita che abbia mai visto".

"Già, mamma considera la lotta contro disordine e microbi una specie di crociata personale…". Annusò al torta e poi ne staccò un pezzetto: le sue papille gustative danzarono in cerchio dalla gioia. "Il cioccolato è peggio di una droga: ne assaggi un pochino e non riesci più a smettere. Si vede che è proprio figlio tuo" commentò distrattamente, accarezzandosi la pancia con una mano e spiluccando dolce con l’altra.

"Qualcosa mi dice che il buon proposito di dormire sia passato in secondo piano" disse Remus, seguendo i gesti della moglie con la fronte aggrottata.

"È colpa tua, mostro tentatore: mi sventoli questa cosa sotto il naso, come faccio a resistere?".

Nel mentre i due avevano finito con il risedersi sul divano: Tonks esitò un attimo, ancora incerta di come muoversi nella sua appena ritrovata relazione, ma alla fine si decise ad acciambellarsi contro il fianco di Remus, che dopo altrettante esitazioni la circondò con il braccio non impegnato a reggere il piatto.

Tonks respirò a fondo, soddisfatta come un gatto durante la siesta: ci sarebbe voluto un po’ di tempo, ma le cose tra loro sarebbero tornare come prima e lei non chiedeva altro. Le bastava quel semplice contatto per sentirsi bene come non le capitava da tempo. "Mi sei mancato, Remus".

"Anche tu, ogni giorno…".

Non c’era bisogno di dire altro: Tonks continuò a mangiare la sua torta e Remus continuò ad abbracciarla. Quando il dolce fu finito, la ragazza si appoggiò con la testa alla sua spalla. "Cinque minuti e andiamo a letto" promise. "Sei troppo comodo per alzarsi subito".

Quasi non aveva finito di dirlo che già ronfava beata come una bambina.

"Dora?" la chiamò Remus, dopo un po’, senza ricevere risposta. "Dora, ma ti sei addormentata?".

Un tenue mugolio fu tutto quello che ottenne, prima che la ragazza si sistemasse più comodamente addosso a lui. Remus sorrise, intenerito, senza trovare il coraggio di svegliarla e portarla nel suo letto. Alla fine, ha vinto il divano, pensò, mentre con movimenti cauti cercava a sua volta una posizione che non gli procurasse dolori a tutta la schiena al risveglio.

"Ti amo, Dora" sussurrò, accarezzandole i capelli rosa, prima di chiudere gli occhi.

Prima di addormentarsi, si ripromise che la volta successiva però glielo avrebbe detto da sveglia.

*******

La mattina dopo, aveva smesso di piovere e un debole sole faceva capolino tra le nubi.

Andromeda si avviò giù per le scale, infilandosi nel contempo la vestaglia e chiedendosi cosa avesse infine deciso di fare sua figlia la notte precedente: aveva controllato e Lupin non era più sul marciapiede, il che voleva dire che Dora l’aveva convinto ad andarsene oppure l’aveva portato in casa.

Fu quasi tentata di fare dietrofront e bussare alla camera della figlia per verificare se fosse sola, manco fosse stata una quindicenne al primo fidanzato, ma alla fine zittì le sue paranoie da madre apprensiva: Ninfadora era adulta e vaccinata e aveva diritto di fare quel che le pareva.

Chi era lei in fondo per tenerla lontana dal padre di suo figlio? Sua madre, certo, ma Dora non aveva mai brillato molto per la sua capacità di prestarle ascolto: piuttosto, tendeva a fare l’esatto contrario. In compenso, era sempre stata pappa e ciccia con suo padre: guai, nel gioco di ruoli, lei era sempre stata il poliziotto cattivo e Ted quello buono, non importava quale fosse la situazione.

Sentì una fitta di nostalgia accompagnata da paura e ansia: cosa stava facendo Ted in quel momento? Dov’era? Stava bene? Tutte domande che non avrebbero trovato risposta: poteva solo continuare a sperare e aspettare…

Per poter raggiungere la cucina e iniziare a preparare la colazione, dovette passare per il salotto e fu così che trovò comunque risposta al suo primo quesito: Dora se ne stava comodamente allungata sul divano, con la testa appoggiata al petto di Remus, strizzato mezzo storto in un angolo con un braccio intorno alla vita della moglie. Entrambi erano ancora profondamente addormentati.

La prima cosa che Andromeda si ritrovò a pensare fu che Lupin si sarebbe risvegliato con un torcicollo da far invidia a una giraffa. Subito dopo notò i piatti sporchi e le briciole di torta sparse per tutto il pavimento e maledì silenziosamente quella casinista disordinata di sua figlia. Solo allora, mentre appellava un paio di coperte e le posava alla bell’e meglio sui due addormentati realizzò quello che stava vedendo: la sua Dora e Lupin, abbracciati, sul suo divano, in apparente pace con il mondo.

E così alla fine l’hai perdonato, bambina mia, pensò, mentre a passi felpati si dirigeva in cucina e metteva sul fuoco il bollitore dell’acqua.

Non che si fosse mai seriamente aspettata il contrario: già il giorno prima, quando aveva visto Lupin alla finestra, aveva capito come sarebbe finita.

Ma se Lupin pensava di poter abbindolare anche lei così facilmente si sbagliava di grosso: l’avrebbe marcato stretto da quel momento in poi, oh sì. E se solo avesse pensato di far soffrire di nuovo la sua bambina a quel modo, avrebbe solo dovuto sperare di avere qualche santo particolarmente affezionato in cielo, perché nulla l’avrebbe salvato dalla sua furia.

Ma, in fondo, sperava davvero di sbagliarsi. Era evidente che si amassero e per amore si fa di tutto: lei ne sapeva qualcosa sull’argomento. Se Dora fosse stata felice con Remus, avrebbe gioito con loro.

Sbirciando i due belli addormentati mentre aspettava che l’acqua del the si scaldasse, sentì nel cuore delle vibrazioni positive: forse la cosa poteva non andarle totalmente a genio, ma quei due erano anime gemelle, con un po’ di fortuna più nulla avrebbe potuto separarli.

Desiderò che Ted fosse lì per vederli: quando se n’era andato, Dora aveva il cuore in frantumi. Chissà quanto sarebbe stato felice di vederla di nuovo sorridere… La vedrà quando tornerà. Saremo tutti una famiglia, noi due, Dora e Remus e il piccolo… Ma non riuscì a scacciare completamente il brutto presentimento che si sentiva nel cuore: aveva come la sensazione che quello scenario utopico non si sarebbe mai realizzato.

Sciocchezze, si disse. Sono tutte sciocchezze: devi pensare positivo, Andromeda. La romantica scenetta di là è la prova che a volte l’amore può davvero trionfare su tutto il resto.

Sì, doveva smetterla con quei pessimistici pensieri: Ted sarebbe presto tornato a casa, sua figlia era di nuovo felice con l’uomo che amava e presto avrebbe avuto un bel nipotino da vezzeggiare.

Alla fine, il sole torna sempre a splendere, anche dopo la più violenta tempesta.

Lyrapotter’s corner

Ed ella si ritrovò a scrivere l’ennesima Remus/Tonks…

Non so se è più preoccupante che parli di me in terza persona o che, su due contest a cui ho partecipato, due Remus/Tonks ho scritto… Ma che colpa ne ho io se mi è toccato in sorte proprio questo pairing, che è uno dei miei preferiti (non l’avreste mai detto, eh?)? Infatti, il bando del concorso prevedeva di scegliere un colore e scrivere qualcosa in base alla traccia abbinata, che nel mio caso era appunto questa coppia. Beh, una volta tanto che ho una botta di fortuna…

Oltretutto, questa storia vegetava nell’etere della mia mente da parecchio tempo, in palpitante attesa di essere messa per iscritto, così ho pensato bene di prendere due piccioni con una fava!

Bon, mi pare di non avere altro da dirvi, a parte che le recensioni, critiche e quant’altro sono sempre ben accetti, ammesso e non concesso che qualcuno sia arrivato fino a qui!

Alla prossima!

Per chi volesse, riporto il giudizio

Prima classificata

After the storm, the sun will shine again, di Lyrapotter

Ramato – Remus/Tonks

Giudizio di fierobecca93

Grammatica e sintassi: 10. Ho notato solamente pochissimi errori di battitura come per esempio "frustato" invece di "frustrato" ma per il resto è assolutamente perfetta. Complimenti!

Stile: 9. Semplice e scorrevole! Brava!

Sviluppo della trama: 9.5. Mi ha molto colpito l’intero sviluppo della trama. È stato a dir poco fantastico. Tonks che torna a casa e trova il marito pronto ad andarsene, abbandonandosi tutto alle spalle, per poi ritrovarselo tempo dopo ai piedi di un marciapiede in piena bufera. Molto toccante e ben studiato!

Originalità: 8.5 Direi che con l’originalità ci siamo. Sono stata un po’ severa su questa parte, forse perché la gran parte delle persone tendono a rimarcare questo tratto della loro storia d’amore…ovviamente più importante. Comunque tu l’hai saputo rendere gradevole!

IC dei personaggi: 9.5. il carattere dei personaggi è perfetto eccetto per Lupin, che in un secondo momento non mi è sembrato proprio lui al cento per cento, ma ti sei rifatta alla fine! Congratulazioni.

Gradimento personale: 7.

La tua storia è stata fantastica. Mi è piaciuta tantissimo tanto da meritarsi il massimo dei voti. Mi ha colpito molto Tonks, era praticamente perfetta sotto ogni punto di vista e tutto era studiato nei minimi dettagli.

Che dire…Brava! E spero che andrai bene in questo contest, sperando di reincontrarci nel prossimo!

Saluti, fierobecca93

Quindi il mio punteggio totale è di: 53.5

Giudizio di Nabiki93

Grammatica e sintassi: 9/10

A parte alcuni errori di battitura, mi è sembrato tutto corretto.

Stile: 9 /10

Stile semplice, lineare e allo stesso tempo coinvolgente.

Sviluppo della trama: 10/10

Davvero brava!!! Hai saputo sviluppare la traccia in modo avvincente. Passare dal momento in cui Lupin lascia Tonks, fino a quando ritorna e poi descrivere anche i sentimenti di Andromeda.

Originalità: 9/10

IC dei personaggi: 9.5/10

I personaggi sono IC. Lupin è insicuro, titubante, ha questa paura di rovinare la vita al figlio, però allo stesso tempo è buono e dolce. E Tonks pure: imbranata e contemporaneamente anche risoluta e decisa.

Gradimento personale: 6.5/7

Non c’è che dire!! Davvero una fan fiction avvincente, intensa di avvenimenti!!! Complimenti!!

Totale: 53

Giudizio di _Mary

Grammatica e sintassi: 9.5/10

Stile: 10/10

Sviluppo della trama: 10/10

Originalità: 9/10

IC dei personaggi: 10/10

Gradimento personale: 7/7

Totale: 55.5/57

Sarò antipatica e precisina, ma ti segnalo alcuni banali errori di battitura: ‘greyback’, ‘frustato’ – invece di ‘frustrato’ – ‘impalata in mezzo a strada’, ‘spiluccando dolce’ – penso che ti sia dimenticata un articolo. A parte questo non ho trovato nemmeno una virgola fuori posto in tredici pagine di fanfiction, complimenti!

Sullo stile non so davvero cosa dire, a parte una parola: ‘lineare’. Chi ti legge riesce perfettamente a seguire il filo del discorso, sembra quasi di seguire un sentiero ben tracciato in mezzo ad un bosco. Hai la capacità di scrivere in modo articolato ma non confusionario, e questa è una delle caratteristiche che apprezzo di più in un autore – autrice, nel tuo caso.

Hai studiato, scavato, analizzato, passato al microscopio e smembrato ogni singola caratteristica dei tuoi personaggi e ogni dettaglio della tua trama, dal ‘tempo da lupi’ fino alla torta al cioccolato. Hai sviluppato al massimo la traccia che ti era stata assegnata, non penso proprio che avresti potuto fare meglio.

Hai rischiato grosso per quel che riguarda l’originalità: temevo di trovarmi con qualcosa di usato ed abusato – i soliti dubbi di Remus, il solito ‘non mi importa’ di Tonks. E, in effetti, nella tua storia compaiono entrambi questi elementi, ma quello che mi è piaciuto è che non li hai esasperati. Insomma, non ti sei soffermata troppo, tanto per fare un esempio, su Tonks che si gira e rigira nel suo letto pensando a Remus. L’hai inserita, certo, ma poi sei andata avanti.

E così arriviamo all’IC. I tuoi personaggi sono perfetti. Tonks è forte, battagliera e divertente (carinissimi i ‘dialoghi’ tra lei ed il ‘mostriciattolo’), e Lupin è il licantropo pieno di problemi che conosciamo, ma tu gli hai dato una marcia in più, mostrandoci anche la sue crescita dopo l’incontro-scontro con Harry. E non dimentichiamoci di Andromeda che, pur se secondario, è un personaggio perfettamente disegnato ed inserito nel suo contesto – a questo proposito, ho apprezzato anche il cambio di POV alla fine, che ti ha permesso di farcela conoscere meglio di quanto avessi già fatto.

Ho dato dei punteggi altissimi a questa storia per quel che riguardava forma e cosette varie, e non posso non metterle il massimo anche come gradimento personale. Al di là del pairing, a mio parere molto interessante, questa storia sembra presa e copiata dal blocco di appunti della Rowling in cui giacciono abbandonate tutte le sottotrame che, per un motivo o per un altro, non hanno potuto essere sviluppate nella saga di Harry Potter. In maniera più concisa, dato che uso sempre troppe parole, questa fanfiction potrebbe tranquillamente averla scritta la Rowling stessa, tanto mi sono ritrovata a mio agio con i tuoi personaggi. Potrebbe essere davvero andata così prima e dopo la ‘visita’ di Remus a Grimmauld Place, chi lo sa? Anzi, è quasi sicuramente andata così, per quel che mi riguarda.

Bravissima.

Totale: 162/171

   
 
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