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Autore: Doralice    24/05/2010    2 recensioni
Foster, mantenere la distanza. Gill, superare la linea. Certo Cal non si sarebbe mai aspettato che la linea l'avrebbero superata in quel modo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note:

Le cose sono andate così: mesi fa un'amica mi passa il dvd della prima stagione di Lie to me*... io me ne dimentico bellamente e finisco per guardarlo solo la settimana scorsa. Colpo di fulmine: in meno di una settimana ho fatto fuori tutte le puntate, comprese quella della seconda stagione fin'ora uscite. Ora, siccome c'è da aspettare fino al 7 giugno per vedere il seguito, in qualche modo dovevo sfogarmi, e così mi sono messa a scrivere... ecco a voi la mia prima fanfic su Lie to me*, rigorosamente callian.

Buona lettura!






Making the border*



L'ufficio è immerso nella penombra. Posi la tazza di caffè sul tavolino e poi vai ad alzare le tapparelle della finestra.

Quando la luce del mattino lo investe, lo senti imprecare con una qualche colorita bestemmia irlandese.

Cosa ci fai qui? – biascica dal divano.

Buongiorno anche a te Cal. –

Si preme le mani sugli occhi. Lo osservi con le braccia conserte: questa volta non se la sarebbe cavata facilmente.

Hai dormito bene? –

Non risponde.

Almeno hai dormito? – insisti, sapendo perfettamente che lo stai irritando.

Si fa leva per mettersi a sedere: – Perché fai domande di cui sai già la risposta? –

Gli stessi vestiti della sera prima, odore di alcool e...

Oh mio Dio.

Hai portato qualcuno qui? –

C'è da stupirsi di quanto la tua voce risulti calma.

Se ti dicessi di sì te la prenderesti, se ti dicessi di no non mi crederesti. – dice annoiato – Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. –

Lo guardi storto: – Lightman. –

Foster? –

Faccia da schiaffi.

Ti avvicini e raccogli da terra un'unghia finta laccata di rosa. Gliela mostri.

Carina. – osservi – Da chi te le fai fare? –

Si lascia andare contro lo schienale, la testa reclinata all'indietro.

Ti siedi accanto a lui: – Cal, non puoi andare avanti così. –

Hai ragione: le squillo costano troppo. – commenta.

Sbuffi. Apre un occhio e ti guarda con una smorfia. Sai già che sta per spararne una delle sue.

Fammi la lezione di vita e poi vattene a lavorare. –

Era meno dura quando facevo apprendistato come consulente nei licei.

Ci devi provare. Anche se le altre volte hai fallito? Sì, non è mai inutile provare. Allora perché c'è una parte di te che sta cambiando idea?

Ancora una volta. Solo una.

Gli appoggi una mano sul braccio.

Vai a casa, datti una sistemata. – dici dolcemente – E poi ne parliamo con calma, mh? Che ne dici? –

Finito? – sospira.

Ti alzi di scatto: – Accidenti Cal! –

Sgrana gli occhi davanti alla tua rabbia. Ti guarda stupito mentre cammini avanti e indietro nervosamente.

Sono mesi che vai avanti così! E pensi che gli altri non se ne siano accorti? – sbotti.

Questo ufficio è mio. Se a te o a qualcun altro non va bene quello che faccio, – scrolla le spalle e indica l'ingresso – quella è la porta. –

Ti volti verso di lui, esasperata: – Prima o poi ti vedrà un cliente e sai che bella pubblicità! –

Non è della mia reputazione che t'importa. – ribatte, si alza e prende la tazza di caffè – Ehi, lo capisco... il fascino dell'uomo maledetto e tutto il resto. Tu sei così ingenua da volermi salvare. –

Apri la bocca ma non riesci a dire niente. In certe circostanze le parole non servono. Ecco perché un attimo dopo ha le tue cinque dita sulla guancia.

L'unica cosa che voglio salvare è questo dannato lavoro! – scandisci a voce un po' troppo alta – Quindi vedi di risolvere i tuoi problemi! –

Ti allontani da lui. L'hai veramente picchiato? In tre anni non è mai successa una cosa del genere, ma sembra che da quando siete diventati soci i vostri rapporti siano peggiorati. E non è che prima si nuotasse nella camomilla.

Non sono io che ho portato i miei problemi sul posto di lavoro. – ribatte.

Sbianchi. Non ti piace il suo tono. E nemmeno quell'aria distante. Non ti piace nemmeno un po' come si sta mettendo il discorso.

Fra una settimana si ripeterà la stessa storia. Come ogni mese, no? – spiega, e tu non puoi credere che lo stia dicendo davvero – Arrivi in ufficio con gli occhi rossi... –

Alzi un dito: – Smettila. –

E nessuno può parlare di madri o bambini... –

Ti ritrai: – Cal, smettila. –

O si scatena la tragedia. – continua, lui continua e tu vorresti solo morire o svanire o ucciderlo – Non credi che sia venuto il momento di fartene una ragione? Perché siamo tutti stufi... qui... oh, merda. –

Ti accorgi appena che ha smesso di parlare. Sei uscita dall'ufficio senza voltarti e cammini verso il bagno. O per lo meno la direzione dovrebbe essere quella: le lacrime ti annebbiano la vista.

Lui ti chiama alle spalle: – Foster. –

Infili la porta del bagno e ti nascondi in uno dei cubicoli. Ti siedi a piangere come una ragazzina del liceo.

Foster. – insiste da fuori.

Vattene! –

Senti la porta che si apre.

È il bagno delle donne. – gli fai notare.

Lui t'ignora. È molto bravo ad ignorare le persone, quando vuole.

Occupa il cubicolo affianco al tuo e resta in silenzio. Non sai cosa sia più insopportabile, se le cose orrende che ti ha detto prima o il fatto che sia lì mentre tu piangi per colpa sua.

Mi dispiace. –

Vaffanculo. – singhiozzi.

È la prima volta che ti sento imprecare. – dice sinceramente stupito.

Tiri su col naso: – Se vuoi posso continuare. –

Me lo meriterei. –

Sembra davvero dispiaciuto, ma non hai alcuna voglia di perdonarlo.

Ti rifugi nella retorica: – Io non ti ho mai detto niente del genere. –

Silenzio.

Stacchi un pezzo di carta igienica e ti ci soffi il naso.

So di te e Zoe, ma non ho mai... io non oserei mai. – continui.

Ancora silenzio.

Scuoti la testa: – Come hai potuto? –

E stavolta non c'è niente di retorico: non capisci proprio. Di lui ti fidavi. Come un fratello maggiore, un mentore. Se ti avessero chiesto “chi è la persona di cui ti fidi di più al mondo?”, tu avresti risposto senza esitazione “Cal”, con buona pace di Alec.

Zoe se n'è andata. Ha portato via Emily. –

Puff! Una frase ed ecco che tutta la tua rabbia se ne va e ti senti come un palloncino sgonfio.

Esci titubante dal tuo cubicolo e spingi piano la porta del suo. E lì, nel bagno delle donne, con il naso rosso e colante e il trucco sciolto, dai il primo, vero abbraccio al tuo socio, reduce da una notte brava fatta di sbronze, gioco d'azzardo e squillo.

Mi dispiace. – gli sussurri.

Ha l'odore della disperazione. Ne è impregnato.

Lo stringi più forte: – Mi dispiace. –

Lui annuisce sulla tua spalla. Poi si stacca da te e per un momento restate così, un po' imbarazzati per quello strano tepore che vi siete scambiati e che non ha niente a che fare con la temperatura.

Lo sai perché ti ho detto tutte quelle stronzate? – ti chiede d'un tratto.

Non sono stronzate. – ammetti – È la verità. –

È da un pezzo che ci pensi: non puoi più negare l'evidenza. Cal ha detto la verità. Solo che non sempre verità e felicità vanno d'accordo.

No, ascolta. – ti prende per le spalle – Gill, ascolta. –

Lo guardi attentamente: deve costargli molto dire quello che sta per dire.

Lo sai perché te le ho dette? – insiste – Non mi serve una risposta da strizzacervelli. –

Ti stringi nelle spalle: – Non lo so. –

È così, non lo sai. Lo sapresti, se ci pensassi un attimo, ma il fatto è che ti sembra troppo. Semplicemente troppo. Sei arrivata al limite.

Non lo so. – ripeti.

Lui ti guarda e, Dio mio, non gli hai mai visto occhi così tristi. Mai.

È per questo. – bisbiglia.

Per un momento non capisci. Batti le palpebre, confusa. Poi diventa tutto così ovvio che quasi ti sembra di vacillare. Vertigini. Di colpo senti sotto i piedi il piedistallo su cui lui ti ha messo da un pezzo e che tu facevi finta di non notare.

Cal... –

Tu non passerai mai la linea. –

Lo dice con l'aria malinconica di chi sa da sempre una cosa ma spera fino all'ultimo che non sia così.

Non lo farai. – aggiunge – E non perché non ne sei in grado. –

È come se d'improvviso anni di studi e di lavoro si dissolvessero nel nulla. E ti trovi a chiederti chi sia l'uomo davanti a te. Perché l'unica risposta che sai darti non è sufficiente.

Sei la mia antitesi, Cal?

Così sarebbe riduttivo, eppure perfetto. Così spiegherebbe per quale motivo, prima, mentre lo abbracciavi, sentivi una perfezione che andava aldilà del sopportabile. Un perfezione bellissima e innominabile, che ha sentito anche lui. Glielo puoi leggere negli occhi: te lo sta dicendo, te lo sta confidando. Una perfezione che per mille motivi non dovrà mai uscire dal bagno delle donne.

Ti chiedo scusa se l'ho superata io. Non lo farò più. –

Annuisci. Non ci credi: credi che sia sincero nel suo proposito, ma non che non accadrà più. Il che comunque non rende meno importante quello che ti ha appena detto.

Ti fa un cenno: – Vieni qua. –

Vi abbracciate di nuovo. Ora sai che a quella perfezione non potrai più sfuggire. E capisci che la sua malinconia ha un lato dolce.

   
 
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