Note:
Le cose sono andate così: mesi fa un'amica mi passa il dvd della prima stagione di Lie to me*... io me ne dimentico bellamente e finisco per guardarlo solo la settimana scorsa. Colpo di fulmine: in meno di una settimana ho fatto fuori tutte le puntate, comprese quella della seconda stagione fin'ora uscite. Ora, siccome c'è da aspettare fino al 7 giugno per vedere il seguito, in qualche modo dovevo sfogarmi, e così mi sono messa a scrivere... ecco a voi la mia prima fanfic su Lie to me*, rigorosamente callian.
Buona lettura!
Making the border*
L'ufficio è immerso nella penombra. Posi la tazza di caffè sul tavolino e poi vai ad alzare le tapparelle della finestra.
Quando la luce del mattino lo investe, lo senti imprecare con una qualche colorita bestemmia irlandese.
– Cosa ci fai qui? – biascica dal divano.
– Buongiorno anche a te Cal. –
Si preme le mani sugli occhi. Lo osservi con le braccia conserte: questa volta non se la sarebbe cavata facilmente.
– Hai dormito bene? –
Non risponde.
– Almeno hai dormito? – insisti, sapendo perfettamente che lo stai irritando.
Si fa leva per mettersi a sedere: – Perché fai domande di cui sai già la risposta? –
Gli stessi vestiti della sera prima, odore di alcool e...
Oh mio Dio.
– Hai portato qualcuno qui? –
C'è da stupirsi di quanto la tua voce risulti calma.
– Se ti dicessi di sì te la prenderesti, se ti dicessi di no non mi crederesti. – dice annoiato – Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. –
Lo guardi storto: – Lightman. –
– Foster? –
Faccia da schiaffi.
Ti avvicini e raccogli da terra un'unghia finta laccata di rosa. Gliela mostri.
– Carina. – osservi – Da chi te le fai fare? –
Si lascia andare contro lo schienale, la testa reclinata all'indietro.
Ti siedi accanto a lui: – Cal, non puoi andare avanti così. –
– Hai ragione: le squillo costano troppo. – commenta.
Sbuffi. Apre un occhio e ti guarda con una smorfia. Sai già che sta per spararne una delle sue.
– Fammi la lezione di vita e poi vattene a lavorare. –
Era meno dura quando facevo apprendistato come consulente nei licei.
Ci devi provare. Anche se le altre volte hai fallito? Sì, non è mai inutile provare. Allora perché c'è una parte di te che sta cambiando idea?
Ancora una volta. Solo una.
Gli appoggi una mano sul braccio.
– Vai a casa, datti una sistemata. – dici dolcemente – E poi ne parliamo con calma, mh? Che ne dici? –
– Finito? – sospira.
Ti alzi di scatto: – Accidenti Cal! –
Sgrana gli occhi davanti alla tua rabbia. Ti guarda stupito mentre cammini avanti e indietro nervosamente.
– Sono mesi che vai avanti così! E pensi che gli altri non se ne siano accorti? – sbotti.
– Questo ufficio è mio. Se a te o a qualcun altro non va bene quello che faccio, – scrolla le spalle e indica l'ingresso – quella è la porta. –
Ti volti verso di lui, esasperata: – Prima o poi ti vedrà un cliente e sai che bella pubblicità! –
– Non è della mia reputazione che t'importa. – ribatte, si alza e prende la tazza di caffè – Ehi, lo capisco... il fascino dell'uomo maledetto e tutto il resto. Tu sei così ingenua da volermi salvare. –
Apri la bocca ma non riesci a dire niente. In certe circostanze le parole non servono. Ecco perché un attimo dopo ha le tue cinque dita sulla guancia.
– L'unica cosa che voglio salvare è questo dannato lavoro! – scandisci a voce un po' troppo alta – Quindi vedi di risolvere i tuoi problemi! –
Ti allontani da lui. L'hai veramente picchiato? In tre anni non è mai successa una cosa del genere, ma sembra che da quando siete diventati soci i vostri rapporti siano peggiorati. E non è che prima si nuotasse nella camomilla.
– Non sono io che ho portato i miei problemi sul posto di lavoro. – ribatte.
Sbianchi. Non ti piace il suo tono. E nemmeno quell'aria distante. Non ti piace nemmeno un po' come si sta mettendo il discorso.
– Fra una settimana si ripeterà la stessa storia. Come ogni mese, no? – spiega, e tu non puoi credere che lo stia dicendo davvero – Arrivi in ufficio con gli occhi rossi... –
Alzi un dito: – Smettila. –
– E nessuno può parlare di madri o bambini... –
Ti ritrai: – Cal, smettila. –
– O si scatena la tragedia. – continua, lui continua e tu vorresti solo morire o svanire o ucciderlo – Non credi che sia venuto il momento di fartene una ragione? Perché siamo tutti stufi... qui... oh, merda. –
Ti accorgi appena che ha smesso di parlare. Sei uscita dall'ufficio senza voltarti e cammini verso il bagno. O per lo meno la direzione dovrebbe essere quella: le lacrime ti annebbiano la vista.
Lui ti chiama alle spalle: – Foster. –
Infili la porta del bagno e ti nascondi in uno dei cubicoli. Ti siedi a piangere come una ragazzina del liceo.
– Foster. – insiste da fuori.
– Vattene! –
Senti la porta che si apre.
– È il bagno delle donne. – gli fai notare.
Lui t'ignora. È molto bravo ad ignorare le persone, quando vuole.
Occupa il cubicolo affianco al tuo e resta in silenzio. Non sai cosa sia più insopportabile, se le cose orrende che ti ha detto prima o il fatto che sia lì mentre tu piangi per colpa sua.
– Mi dispiace. –
– Vaffanculo. – singhiozzi.
– È la prima volta che ti sento imprecare. – dice sinceramente stupito.
Tiri su col naso: – Se vuoi posso continuare. –
– Me lo meriterei. –
Sembra davvero dispiaciuto, ma non hai alcuna voglia di perdonarlo.
Ti rifugi nella retorica: – Io non ti ho mai detto niente del genere. –
Silenzio.
Stacchi un pezzo di carta igienica e ti ci soffi il naso.
– So di te e Zoe, ma non ho mai... io non oserei mai. – continui.
Ancora silenzio.
Scuoti la testa: – Come hai potuto? –
E stavolta non c'è niente di retorico: non capisci proprio. Di lui ti fidavi. Come un fratello maggiore, un mentore. Se ti avessero chiesto “chi è la persona di cui ti fidi di più al mondo?”, tu avresti risposto senza esitazione “Cal”, con buona pace di Alec.
– Zoe se n'è andata. Ha portato via Emily. –
Puff! Una frase ed ecco che tutta la tua rabbia se ne va e ti senti come un palloncino sgonfio.
Esci titubante dal tuo cubicolo e spingi piano la porta del suo. E lì, nel bagno delle donne, con il naso rosso e colante e il trucco sciolto, dai il primo, vero abbraccio al tuo socio, reduce da una notte brava fatta di sbronze, gioco d'azzardo e squillo.
– Mi dispiace. – gli sussurri.
Ha l'odore della disperazione. Ne è impregnato.
Lo stringi più forte: – Mi dispiace. –
Lui annuisce sulla tua spalla. Poi si stacca da te e per un momento restate così, un po' imbarazzati per quello strano tepore che vi siete scambiati e che non ha niente a che fare con la temperatura.
– Lo sai perché ti ho detto tutte quelle stronzate? – ti chiede d'un tratto.
– Non sono stronzate. – ammetti – È la verità. –
È da un pezzo che ci pensi: non puoi più negare l'evidenza. Cal ha detto la verità. Solo che non sempre verità e felicità vanno d'accordo.
– No, ascolta. – ti prende per le spalle – Gill, ascolta. –
Lo guardi attentamente: deve costargli molto dire quello che sta per dire.
– Lo sai perché te le ho dette? – insiste – Non mi serve una risposta da strizzacervelli. –
Ti stringi nelle spalle: – Non lo so. –
È così, non lo sai. Lo sapresti, se ci pensassi un attimo, ma il fatto è che ti sembra troppo. Semplicemente troppo. Sei arrivata al limite.
– Non lo so. – ripeti.
Lui ti guarda e, Dio mio, non gli hai mai visto occhi così tristi. Mai.
– È per questo. – bisbiglia.
Per un momento non capisci. Batti le palpebre, confusa. Poi diventa tutto così ovvio che quasi ti sembra di vacillare. Vertigini. Di colpo senti sotto i piedi il piedistallo su cui lui ti ha messo da un pezzo e che tu facevi finta di non notare.
– Cal... –
– Tu non passerai mai la linea. –
Lo dice con l'aria malinconica di chi sa da sempre una cosa ma spera fino all'ultimo che non sia così.
– Non lo farai. – aggiunge – E non perché non ne sei in grado. –
È come se d'improvviso anni di studi e di lavoro si dissolvessero nel nulla. E ti trovi a chiederti chi sia l'uomo davanti a te. Perché l'unica risposta che sai darti non è sufficiente.
Sei la mia antitesi, Cal?
Così sarebbe riduttivo, eppure perfetto. Così spiegherebbe per quale motivo, prima, mentre lo abbracciavi, sentivi una perfezione che andava aldilà del sopportabile. Un perfezione bellissima e innominabile, che ha sentito anche lui. Glielo puoi leggere negli occhi: te lo sta dicendo, te lo sta confidando. Una perfezione che per mille motivi non dovrà mai uscire dal bagno delle donne.
– Ti chiedo scusa se l'ho superata io. Non lo farò più. –
Annuisci. Non ci credi: credi che sia sincero nel suo proposito, ma non che non accadrà più. Il che comunque non rende meno importante quello che ti ha appena detto.
Ti fa un cenno: – Vieni qua. –
Vi abbracciate di nuovo. Ora sai che a quella perfezione non potrai più sfuggire. E capisci che la sua malinconia ha un lato dolce.