Sospiri. Appoggi il mento sulle mani che stringono le ginocchia. Sollevi lo sguardo e osservi la nuda e buia parete di fronte a te. Non ci sono più un paio di occhi scuri a farti compagnia. Quegli occhi che col passare delle ore avevi osservato diventare sempre più rossi, stanchi, assonnati, riflesso di uno spossamento non solo fisico, ma soprattutto interiore. Avevi deciso che si meritavano una tregua.

Ovviamente lei si era ribellata. Il suo posto era accanto a Stefan. Non tenevi più il conto delle volte in cui l’aveva ripetuto. Tutto quell’ardore di donna innamorata avrebbe anche potuto commuoverti, forse. Certo era che non potevi permetterle di collassare semplicemente per ostinazione, orgoglio e, si, amore. Così le avevi caldamente consigliato di salire su, nella camera del suo fidanzato, e provare almeno un po’ a dormire. Proteste. Infinite. Testarde. A cui avevi posto la parola fine con una, ma si, si poteva chiamare anche così, velata minaccia. “Vai di sopra e prova a riposare, Elena.”. Voce suadente, melliflua, quella delle migliori occasioni. “Se non vuoi che strappi dal tuo collo quel maledetto ciondolo pieno di verbena e ti costringa a farlo contro la tua volontà.”.

Si era finalmente convinta. Probabilmente solo perché sentiva davvero che ogni forza cominciava ad abbandonarla. Al suo ultimo sguardo sofferente avevi risposto con una promessa. Saresti rimasto tu accanto a Stefan. Lei non doveva preoccuparsi di nulla. E così era scomparsa alla tua vista. Lasciandoti solo a riflettere su quella situazione assurda. Chini la testa indietro, contro il muro. E per un attimo soltanto, ogni pensiero negativo, ogni oscuro presagio del futuro è offuscato da una visione luminosa. Elena che scende le scale. Elena che ti sorride lasciandosi andare tra le tue braccia, mentre una musica antica risuona in sottofondo.

Un urlo lacerante ti fa quasi sobbalzare. Elena. Arrivi in un lampo in camera da letto. In meno di un secondo ti attraversano la mente mille pensieri e preoccupazioni. Poi la vedi. Seduta sul letto. Due lacrime le rigano il volto. Il suo corpo trema. Stringe il lenzuolo tra le mani. I suoi occhi lucidi incontrano i tuoi. Biascica parole senza senso. Sangue. Stefan. Morte. Un incubo. Sorridi impercettibilmente, quasi sollevato dal fatto che non esista nessun pericolo reale. Ti siedi accanto a lei. Continua a tremare di paura.

Istintivamente avvolgi le sue spalle col tuo braccio e la attiri a te. Lei si abbandona con la testa sulla sua spalla. Strofina la guancia contro la tua camicia, quasi a voler ritrovare un po’ di sicurezza. Con l’altra mano sali ad accarezzarle il viso e scacci via una lacrima con un dito. Le sussurri che va tutto bene. Lei scuote la testa. Altre due lacrime scivolano giù e sai che non sono più dovute ad un brutto sogno. La stringi un po’ di più.

Il suo sguardo si specchia nel tuo una volta ancora. In cerca di una conferma. Tu però non dici una parola, negandole l’illusione di un futuro senza più ostacoli. Perciò ti volta le spalle e si rannicchia sotto le coperte. Piange sommessamente. Ti stendi dietro di lei e la abbracci. Non puoi prometterle che tutto andrà per il meglio. Non ci credi. E non ci crederebbe nemmeno lei. Puoi soltanto restarle vicino. In silenzio. E raccontarle che tu ci sei.