Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |      
Autore: Edward    26/05/2010    7 recensioni
[Hibiki + Kotone; Silver; Team Rocket]
Hibiki non si era mai considerato una persona particolarmente timida, in un certo qual senso.
Eppure, in quel momento, avrebbe voluto che un maledetto Sandshrew sbucasse all’improvviso e usasse l’attacco fossa su di lui, in modo da farlo sprofondare nelle viscere della terra il prima possibile. Un po’ perché sapeva che se sua madre l’avesse visto in quel momento le sarebbe venuto un infarto, un po’ perché i vestiti aderenti non facevano per lui.
[HeartGold/SoulSilver]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The One Hundred Prompt Project Titolo: //

Titolo: Hi jack

Fandom: Pokémon HeartGold/SoulSilver

Personaggi: Hibiki + Kotone; Silver; Team Rocket

 

Genere: Generale

Avvertimenti: One-Shot

Timeline: Team Rocket’s Hijack

 

Argomento: 10° [Sentimenti]

Prompt: 48° - Sensazioni

 

Istruzioni per l’uso:

°Questa fanficion è basata sui personaggi del videogioco della serie, e quindi non sull’anime, non sul manga.

°Hibiki e Kotone sono i nomi dei personaggi principali del videogioco HeartGold/SoulSilver, rispettivamente quello maschile e quello femminile. Silver è, quindi, il loro Rivale.

°A causa dei caratteri quasi inesistenti dei due protagonisti, si potrebbe dire che mi sono presa una certa libertà nel caratterizzarli in questa –e probabilmente anche in quelle future- fan fiction, sperando comunque di non aver sfociato nell’ooc.

°Ho ritenuto opportuno alzare discretamente l’età generale dei personaggi, nonostante questo non venga menzionato all’interno della storia, non volendomi ritrovare a manovrare dei bambini di dieci anni in un mondo che io ho immagino appena un po’ più adulto.

°La parola “Jack”, oltre ad essere intesa come nome di persona, è interpretabile come “tizio, ragazzo”. Hijack, inoltre, vuol dire “dirottamento”.

 

 

 

 

 

Hi jack

 

 

 

Hibiki non si era mai considerato una persona particolarmente timida, in un certo qual senso.

Aveva accettato di buon grado il compito affidatogli dal Professor Elm, nonostante inizialmente avrebbe dovuto essere un semplice favore della durata di poche ore –ricordava quasi con nostalgia di aver lasciato persino la Wii accesa, con quell’idea- e poco tempo dopo aveva sostenuto lo sguardo di Silver con una certa fierezza –nonché curiosità- la prima volta che l’aveva sfidato. A quei tempi non sapeva ancora che avesse rubato Totodile al Professore, e aveva accettato la sfida ripensando semplicemente allo spintone che si era beccato poco prima per aver semplicemente detto « Ehy, ciao! Che fai? ». Insomma, aveva trovato il ragazzo appostato dietro un cespuglio a fissare con aria pensierosa la finestra di una casa che decisamente non gli apparteneva, non aveva certo pensato che quello l’avrebbe accusato di essere invadente e fastidioso!

Quindi, Hibiki non era una persona timida.

Eppure, in quel momento, avrebbe voluto che un maledetto Sandshrew sbucasse all’improvviso e usasse l’attacco fossa su di lui, in modo da farlo sprofondare nelle viscere della terra il prima possibile. Un po’ perché sapeva che se sua madre l’avesse visto in quel momento le sarebbe venuto un infarto, un po’ perché i vestiti aderenti non facevano per lui.

Come cavolo facevano i membri del Team Rocket ad andare in giro vestiti in quel modo?

Hibiki sospirò, sotto lo sguardo teso e nervosamente divertito di Kotone, passandosi una mano sul cappello nero. Non era stato poi così difficile infiltrarsi nel gruppo, dopotutto –c’era stato persino un ragazzo, quello piazzato davanti al negozio di Fiori, che vedendolo gli aveva urlato « Rispetto! » con una certa enfasi- eppure non riusciva a togliersi quella sensazione di disagio dallo stomaco.

La prima volta che erano andati alla Torre Radio, ovviamente, non li avevano lasciati passare. A detta della recluta che li aveva cacciati, non avevano l’abbigliamento giusto.

Era stata Kotone, dopo minuti e minuti di riflessione interiore, a spiegargli che parlava della divisa, e non di una qualche nuova moda di cui ancora non era stato informato. Allora Hibiki aveva riso nervosamente, sentendosi un’idiota, e l’aveva trascinata con un certo entusiasmo in giro per la città alla ricerca di qualche Rocket da picchiare e seguentemente trascinare in un vicolo buio per derubarlo della divisa –sì, aveva visto un film di azione la sera prima e non vedeva l’ora di provarci anche lui- quando, in un modo o nell’altro, si erano ritrovati nei sotterranei.

« Ehy, siete nuovi anche voi? » gli aveva detto allora un tizio sbucato dal nulla – “Hi-ha!” aveva urlato Hibiki mettendosi in posizione ninja- scrutandoli tra il sospettoso e l’eccitato. « Stiamo reclutando nuovi membri per la missione alla Torre Radio… » continuò quello, mentre Hibiki avvampava e abbassava braccia e gamba –Kotone invece si chiedeva mentalmente cosa avesse fatto di male nella sua vita precedente per meritarsi tutto ciò- « ma a quanto pare abbiamo finito le divise. E poi bla bla bla »

Hibiki si era perso a metà del discorso, troppo occupato a frugare con più e meno discrezione nella borsa alla ricerca di Thyplosion e nel chiedersi come potessero i membri del Team Rocket credere davvero in quella missione.

Non lo capiva, era più forte di lui. Amava i pokémon, e non riusciva ad immaginare un motivo abbastanza valido per sfruttarli per scopri malvagi come quelli a cui si prestava il Team. Lui non aveva neanche il coraggio di togliere dalle zampe dei suoi pokémon gli oggetti che trovavano in giro, nonostante quelli talvolta insistessero così tanto da ficcargli una bacca –magari pure amara- in bocca con il rischio di soffocarlo.

Non lo capiva, semplicemente.

E poi si era ritrovato all’improvviso da solo, con i codini di Kotone e il suo sguardo di intesa che sparivano dietro la porta, quella che conduceva alla stanza in cui il Signor Fotografo appendeva le sue opere.

« Eh? » aveva detto, lanciando al Rocket uno sguardo vagamente allarmato. Quello aveva sospirato, roteando gli occhi al cielo, e gli aveva premuto sul petto un ammasso di stoffa nera.

« Lei si cambia di là. Tu no. » aveva quindi spiegato, fissandolo come se fosse il peggiore dei maniaci sessuali. E senza aggiungere altro –se non uno sguardo eloquente- aveva allungato una mano per sfilargli il cappello. « Spogliati. »

Hibiki ricordava ancora il brivido lungo la schiena e il sorriso nervoso che gli era spiccato sul viso, quel giorno.

Aveva così finito con il cambiarsi davanti uno sconosciuto con i capelli rosa –lui la vedeva così, nonostante fosse andato in realtà dietro il bancone- e con il ritrovarsi addosso… la divisa.

Che era nera, e aderente. Stretta e scomoda. E dire che fino a quel momento aveva accusato mentalmente Milas di essere un esibizionista…

Poi Kotone era uscita della stanza, con la salopette di jeans e la maglietta in una mano –le scarpe e il cappello nell’altra- e aveva concordato con se stesso che forse, ma solo forse, quel travestimento più durava meglio era.

Il Rocket aveva scrutato tutti e due –Hibiki rigido come un pezzo di legno e Kotone che riponeva gli abiti nella propria borsa- e aveva detto: « Mhh. » con aria pensierosa.

« Mh? » aveva invece replicato il ragazzo, non volendo  in realtà sentire altro. E poi stava decisamente fissando lui.

« Sì…  dovremmo fare qualcosa per quei capelli… » aveva spiegato l’uomo, per poi essere interrotto dal « No, rosa no! » decisamente acuto esclamato dal ragazzo, prima che quello prendesse Kotone per una mano e corressero via entrambi verso la superficie, tra il terrore generale di lui e le risate dissimulate in tosse in lei.

E così, di nuovo, si erano ritrovati davanti alla Torre Radio.

Hibiki sospirò, cercando di sistemarsi la biancheria senza che Kotone se ne accorgesse, e al suo cenno annuì a propria volta, serrando appena le mani.

Prima o poi li avrebbero scoperti, ma non era quello il problema. Dovevano mettere fine a quella storia, una volta per tutte. Liberare il Presidente, e fare in modo che il Team Rocket la smettesse con quella missione senza senso. Non dovevano far tornare il loro capo –chiunque esso fosse- al comando, o sarebbero stati guai.

Poi magari si sarebbe scusato con Milas per averlo chiamato in un certo modo, ma quello l’avrebbe fatto un’altra volta, magari senza la presenza di Kotone che gli aleggiava attorno come il peggiore dei Volbeat.

« Andiamo. » disse lei, improvvisamente seria –forse per la tensione, forse per i pokémon che aveva anche lei a cuore- un attimo prima di muovere un passo avanti.

 

 

L’ingresso della Torre Radio, come avevano notato la prima volta, aveva un’atmosfera stranamente tesa e cupa, da quando l’aveva occupata il Team Rocket.

La ragazza alla Reception aveva un sorriso così tirato da sembrare doversi rompere all’improvviso, e quando li vide vestiti in quel modo –l’unica in tutta la città che sembrava averli riconosciuti- sgranò appena gli occhi, senza però dire nulla. Li lasciò passare, abbassando lo sguardo, e i due raggiunsero la recluta piazzata davanti alle scale, scrutandosi giusto un istante per essere sicuri di essere pronti entrambi.

Il Rocket, palesemente annoiato –la prima volta che l’avevano visto aveva le braccia incrociate e lo sguardo truce come il più fiero dei buttafuori, mentre, in quel momento, era semisdraiato sulle scale a fissare il suo Rattata accucciato sul gradino più in basso, come se avesse dovuto mettersi a fare qualcosa di interessante da un momento all’altro- si alzò di scatto, prima sospettoso e poi entusiasta.

« Ehy, dovete essere nuovi! » esclamò con una certa eccitazione, fissando prima Hibiki e poi Kotone, soffermandosi forse un po’  troppo a lungo su quest’ultima e la sua minigonna. « Stai bene con l’uniforme del Team Rocket… »

« A-ehm. » replicò Hibiki, corrucciandosi tra il perplesso e l’imbarazzato. Il Rocket tornò a guardarlo -« Anche tu, tranquillo! »- e dopo qualche altra chiacchiera annuì e si spostò di lato, ordinando al suo Rattata di fare lo stesso.

Ma quello rimase lì, limitandosi ad aprire un occhietto scontroso verso i nuovi arrivati, e voltò il muso dall’altra parte. E probabilmente la questione sarebbe andata per le lunghe, se proprio in quel momento le porte del pian terreno non si fossero aperte con un sibilo secco e Silver non fosse entrato nell’edificio.

Allora successo diverse cose contemporaneamente.

Kotone sentì il mondo crollargli addosso e si girò verso il muro, tentando di nascondersi dietro la presenza scarsa di Hibiki. Hibiki, da parte sua, pregò che Thyplosion si fosse dato alla telepatia e sentisse il suo richiamo, dato che l’ultima volta che aveva visto Silver per poco il suo Feraligatr non lo aveva azzannato.

Fortunatamente, il ragazzo decise di andare dritto dritto dal vero Rocket, con passo fermo e sguardo adirato –beh, più adirato del solito- che lo contraddistingueva così tanto.

« Ehy, Team Rocket! » esclamò quindi, picchiettando un dito contro il petto della povera recluta. « Smettetela di andare in giro in gruppi a dar fastidio alla gente, razza di codardi! »

Hibiki non poté far a meno di alzare appena lo sguardo, che aveva abbassato sperando che il cappello lo coprisse, sorpreso da quelle parole. Non credeva che a Silver importasse tanto, dopotutto.

Quello lo guardò, con distratta disapprovazione, e nel riconoscerlo sgranò gli occhi. Lasciò perdere il Rocket, raggiungendo il ragazzo con un unico passo, e Hibiki non poté far a meno di riabbassare frettolosamente lo sguardo, sperando nella grazia divina.

« Hibiki? » lo chiamò sorpreso il rosso, e lui per poco non sentì le budella attorcigliarsi per l’emozione –o per meglio dire spavento- di essere stato chiamato per la prima volta per nome dall’altro, invece che con uno dei soliti insulti. « Che diavolo ci fai qua? »

Anche Kotone si voltò appena verso di loro –con una mano sul viso e l’altra che tentava di tenere giù i codini- tra il curioso e l’imbarazzato. Hibiki invece non rispose, perché sentiva su di se lo sguardo critico del Rocket –ok che prima o poi avrebbero per forza dovuto scoprirli, ma sperava che quello accadesse un po’ più in là- e Silver sbuffò seccato, scuotendo la testa in un paio di scatti brevi, deluso.

« Non dirmelo. Credi di sembrare… più forte, andando in giro vestito così? E, Kotone, ti ho visto. » aggiunse poi scocciato, dato che lei aveva ripreso imperterrita a fissare il muro come se tutto quello non la riguardasse. Voleva indietro la sua dannata salopette, ecco.

« Ah, no, io… » abbozzò voltandosi verso gli altri tre, puntellando a terra un piede con aria impacciata. « Io non sono Kotone. » tentò di sviare, come se non fosse abbastanza ovvio.

« Hai i codini. » gli fece notare allora Silver, vagamente seccato nel sentirsi trattare come un’idiota.

Hibiki in quel momento avrebbe anche riso –istericamente, come in quel sogno in cui si accorgeva di essere arrivato davanti al Campione della Lega in mutande- se solo Silver non avesse teso una mano verso di lui –verso il suo cappello nero nuovo di zecca- e gliel’avesse sfilato con un gesto un po’ brusco, fissandolo come se fosse l’essere più abominevole di tutta Jhoto. « E lui ha quel dannato ciuffo. »

Hibiki arrossì, giusto un pochino, bofonchiando un « Senti chi parla. » a mezza bocca.

Il Rocket, nel frattempo, li guardava con tanto d’occhi. Come se fossero tutti impazziti, come se tre mocciosi apparsi dal nulla lo stesso ignorando del tutto, cosa che stava in effetti succedendo davvero.

Quindi, decidendo che fosse ora di guadagnarsi lo stipendio –che in realtà non gli arrivava a casa da tre mesi- indietreggiò di un passo, in modo che tutti, ma proprio tutti notassero il suo gesto, e in un attimo si ritrovò al fianco il suo Rattata, improvvisamente sveglio e vigile.

« Tu! » esclamò, puntando il dito contro Hibiki. « Cioè, voi! Non siete delle reclute! Mi avete preso in giro! » e, dal tono in cui lo diceva, sembrava una cosa proprio brutta. « Adesso dovrete vedervela con me! »

A quelle parole, tutti e tre i ragazzi si fecero seri. Come se tutto quello di cui avevano discusso fino a quel momento fosse passato in secondo piano, come se quella che sentivano in quel momento alla base dello stomaco fosse una sensazione radicata in loro fin nel profondo, fin nelle viscere, come se quel brivido di adrenalina dentro le ossa che preannunciava ogni combattimento fosse l’ultima cosa veramente importante a cui aggrapparsi, per tutta la vita.

Kotone si sfilò a propria volta il cappello nero, lasciandolo cadere a terra, e con un movimento veloce della mano tirò fuori la poké ball contenente il suo Meganium. Quello sbatté le zampe a terra e scosse la testa, irrequieto, mentre in un istante veniva affiancato dalle fiamme roventi di Thyplosion e dal suo ruggito gorgogliante.

Poi, entrambi i pokémon abbassarono di parecchio lo sguardo per poter scrutare il Rattata della recluta Rocket.

Che li fissò a propria volta. Fissò il proprio padrone, e infine Silver, l’unico che ancora non si era mosso. Così si voltò verso di lui mostrando i denti, e lo stesso fece il Rocket, ricordando a memoria il regolamento de “Il bravo Rocket”, la quale seconda regola era “Attacca sempre il più debole”.*

Silver roteò gli occhi al cielo, per poi farsi serio e nuovamente rabbioso –Hibiki e Kotone poterono quasi avvertire  la rabbia e il risentimento, il disprezzo e forse anche una punta di malinconia, in quell’atteggiamento- e sfiorare con aria distratta una poké ball in particolare tra quelle che aveva attaccate alla cintura.

Non ebbe neanche il tempo di premerla che il suo Feraligatr uscì all’improvviso, con un ruggito e uno stridere di denti così acuto da far sobbalzare tutti –ragazza della reception compresa, che ormai li osservava così interessata che quasi rimpiangeva non avete una confezione di pop-corn a portata di mano.

A quel punto, definitivamente, il Rocket decise che non ne valeva la pena.

« Non è giusto! » sbottò risentito mentre indietreggiava verso le scale. « Voi dovete essere quelli del pozzo Slowpoke, voi… devo avvertire gli altri! »

E fuggì via, verso il piano superiore, seguito dal suo Rattata ancora intimorito dalla stazza quasi esagerata dei tre pokémon avversari.

Seguì poi un attimo di silenzio, interrotto ogni tanto dal frusciare della minigonna che Kotone cercava disperatamente di tenere il più lunga possibile –con scarsi risultati- e dal cuore di Hibiki che batteva così forte da sembrare un tamburo impazzito.

« Capisco. » disse dopo un po’ Silver, scuotendo nuovamente la testa con aria forse un po’ meno delusa. « Stavate cercando di infiltrarvi. » continuò, per poi passarsi una mano tra i capelli e sospirare. «Tipico. »

Hibiki non replicò, di nuovo, ma solo perché vestito in quel modo non sarebbe riuscito ribattere proprio nulla contro nessuno, tanto era il disagio, ed era abbastanza convinto che per Kotone fosse lo stesso.

Il resto del discorso lo seguirono più e meno attentamente, con lo sguardo basso e le mani dietro la schiena –come due scolari sgridati dal loro insegnante- tanto che ripresero a respirare normalmente solo dopo che Silver se ne fu andato, blaterando qualcosa su delle rivince da prendersi e un certo Domatore di Draghi da sconfiggere.

Solo quando furono veramente soli, finalmente –con il solo rumore del loro respiro ad accompagnargli, e il calore del fuoco di Thyplosion sulla pelle- i due ebbero il coraggio di guardarsi, consapevoli di avere entrambi un’espressione colpevole sul viso, e di abbozzare una smorfia strana.

Che si trasformò in un sorriso, e poi in una risatina nervosa, seguita da un sospiro di sollievo e un gemito sconsolato.

Era stata una giornata pessima, sotto molti punti di vista.

Erano stati costretti a vestirsi da Rocket, a farsi vedere da mezza città conciati in quel modo. Erano stati scoperti ancor prima di essersi infiltrati a causa del loro amico-rivale che non aveva perso occasione di fargli notare quanto sembrassero sciocchi i loro atteggiamenti.

Eppure, in qualche modo, il disagio che Hibiki e Kotone avevano sentito fino a quel momento era andato via gradualmente, senza che quasi se ne accorgessero. A gorgheggiargli nel petto c’era invece una sensazione piacevole, quasi di imbarazzante e immotivato orgoglio, come una piccola bolla di felicità che, con ogni probabilità, sarebbe potuta scoppiare da un momento all’altro.

Ma c’era, era presente, e l’importante era quello. Perché nonostante tutto avevano visto Silver, dopo tanto tempo, e lui li aveva chiamati entrambi per nome, così come aveva fatto intendere che, in un certo qual modo, li reputava migliori dei Rocket e dei loro giochetti.

Kotone era abbastanza sicura che avesse chiamato anche Lance per nome, in quell’occasione, e non poté far a meno di pensare che forse Silver era cambiato, che forse, ma solo forse, li reputava delle persone vagamente importanti nelle sua vita.

Dopo qualche tempo si voltarono entrambi verso le scale, improvvisamente seri e sicuri di loro stessi, e serrarono nuovamente i pugni. Annuirono, sicuri di loro stessi, e mossero il primo passo.

« Kotone? » disse però Hibiki, prima di muoverne un secondo.

« Sì? »

« Prima… prima di salire… potremmo cambiarci? Per favore? »

« Sì. »

 

 

 

 

 

 

 

Hi jack

Fine

 

 

 

 

 

Note:

Considerando che questa è la prima fan fiction che scrivo dopo ben… otto mesi di silenzio stampa, devo dire di essere piuttosto soddisfatta del risultato.

E anche piuttosto imbarazzata.

E’ la prima volta che scrivo su questa serie, e ammetto quindi di non essere affatto abituata ai personaggi, o all’ambiente di pucciosità varia che li circonda (tenendo conto che esco da un lungo periodo di AU Splatter su D.Gray-man, si potrebbe tranquillamente dire che sia giusto un miracolo che Hibiki abbia ancora la testa sul collo e cose del genere). In teoria ho in mentre altre shot come questa in mente, in pratica potrebbe benissimo tornarmi un blocco da record mondiale e chi si è visti si è visto.

Speriamo bene.

Grazie dell’attenzione <3

 

*La prima era “Cattura un Rattata”.

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Edward