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Autore: Melanto    26/05/2010    1 recensioni
[Neo Angelique Abyss]
«J.D.?»
«Sì?»
«Mi insegneresti a sorridere?»
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Perché, palesemente, Jet è ADORABILE ed io lo lovvo. *v* e perché, per la miseria!, questo anime si meriterebbe una pioggia di fic! T_T perché nessuno ne scrive?!
Sono tutti così bellini e pucci e pronti per essere slashati!! XD
Non abbandoniamoli!!! *_*/

 

La difficoltà d’essere umano

 

La fatica di Jet era quella di riuscire a conciliare la sua natura d’artefatto con le emozioni umane che, lentamente, cominciavano ad emergere.
Più che altro, aveva difficoltà a comprenderle: non avevano una logica, erano imprevedibili e, spesso, quando erano troppo forti, bloccavano il suo sistema. Forse, in parte, la colpa era anche sua perché, istintivamente, seguitava ad opporvisi in maniera meccanica.
In quelle occasioni, l’Origin-… J.D. – ci teneva tanto che lui lo chiamasse per nome – gli rivolgeva un’espressione – che avrebbe potuto definire piacevole –, dicendogli di non essere sempre così severo con sé stesso e di non avere paura, perché non c’era nulla da temere nell’essere più vicino agli umani.
Ma Jet non ne era intimorito, solo… lo confondeva. Ed era la confusione che instillava quell’altra nuova ed orribile emozione chiamata ‘paura’. Non avere certezze o obiettivi da perseguire lo faceva sentire come quando aveva aperto gli occhi per la prima volta, e aveva visto il mondo attraverso il vetro della cabina dentro cui la Fondazione Artefatti lo aveva tenuto rinchiuso: inutile e difettoso.
Per questo, per non doversi più sentire ‘diverso’, stava cercando di venire a patti con il suo lato umano. E J.D. era l’unico che potesse insegnarli come vivere, ora che era divenuto il padrone di sé stesso.
Con l’intenzione di imparare qualcosa di nuovo per quando Angelique sarebbe ritornata – o, viceversa, loro l’avrebbero raggiunta – , quel giorno si era avvicinato al suo gemello nella cucina della Nuova Villa Hidamari che Nyx, ormai purificato dall’influenza di Erebos, aveva fatto costruire sulle ceneri della vecchia, mettendola a disposizione dei suoi compagni come punto di ritorno tra un viaggio e l’altro.
Jet aveva visto J.D. intento a preparare dei biscotti per il tè del pomeriggio. Il grembiulino, con quel motivo a scacchi color pastello ed i merlettini, gli fece inarcare un sopracciglio, trovandolo ridicolo, ma all’altro divertiva indossarli, dicendo che ad Angelique erano sempre piaciuti e quella motivazione, per lui, era sufficiente.
Gli si avvicinò di qualche altro passo e forse avrebbe dovuto porre la questione e la richiesta in maniera più delicata, ma stava ancora imparando cosa significasse l’espressione ‘avere tatto’, così, la espose nel modo diretto che gli era usuale.
«J.D.?»
L’altro si volse, le mani piene della teglia rovente. «Sì?»
«Mi insegneresti a sorridere?»
Il viso della Jasper Doll assunse una mimica sorpresa per quella richiesta così improvvisa e, a suo modo, inusuale per un tipo come Jet; poi i tratti si sciolsero proprio in quel sorriso che suo fratello gli aveva appena chiesto di fargli comprendere. Mollò il vassoio sul ripiano in marmo della cucina e lo raggiunse in rapidi passi, abbracciandolo con trasporto.
Jet, come sempre, rimase immobile a quella manifestazione d’affetto, ma, col tempo, si era accorto che non gli dispiaceva poi così tanto.
Anche quello significava che stava diventando più umano che Artefatto?
«Ma certo, fratello!» accordò J.D. con entusiasmo. Rapidamente lo lasciò andare, mettendo da parte il grembiulino colorato per guardarlo dritto nelle iridi rosse. «Allora, per cominciare, devi provare una sensazione piacevole.»
Il sopracciglio di Jet saettò leggermente verso l’alto. «Riformula.» disse, col suo tono basso e neutro, non riuscendo a capire.
J.D. si passò una mano sotto al mento, con fare meditabondo. «Vediamo, come posso spiegarmi?» borbottò, prima di trovare quello che gli sembrava il modo migliore per dirlo. Con convinzione ed un nuovo sorriso si batté il palmo della mano. «Sii felice.»
Stavolta, le sopracciglia di Jet saettarono entrambe. «Felice?»
«Sì! La felicità è una sensazione piacevole. La gioia è una sensazione piacevole. Il divertimento, il sentirsi utili, fare qualcosa che piace e ci fa sentire sereni.»
«Io… non credo di saper riconoscere questo genere di emozioni.»
La mano di J.D. si poggiò sulla sua spalla e gli occhi oro restituirono ancora quel sentimento, chiamato ‘affetto’, con cui l’Artefatto Originale gli si rivolgeva sempre. Jet gli vide incurvare le labbra verso l’alto e le fissò intensamente. Quello era un sorriso. Era così difficile farne uno?
«Quando imparerai a riconoscere la felicità e ad essere felice a tua volta, allora saprai anche sorridere. Una volta imparato, potrai farlo sempre, anche nella tristezza.»
«Questo è un controsenso.» fece notare Jet, rifugiandosi di nuovo nella sicurezza della logica. «Il sorriso è legato ad un’emozione piacevole. Essere triste è spiacevole. Non si possono fare ambedue le cose-»
«Invece sì.» J.D. lo interruppe ed il clone osservò come il sorriso virasse in una sfumatura nostalgica. «Sì può sorridere anche nel dolore, quando è l’unica cosa che ci resta.»
Lì, Jet comprese che non esisteva un solo sorriso, ma questo era associato all’emozione provata. E le emozioni erano mutevoli.
Sorridere si stava rivelando più complicato di quanto avesse creduto.

*

Nyx si passò il dorso della mano sulla fronte, spostando i capelli che il sudore gli aveva incollato sulla pelle.
Preparare un giardino e farlo da soli non era proprio semplice come quando c’era Angelique ad aiutarlo. Ma lei, ora, era lontana a pregare per la pace di tutti e Nyx aveva deciso di fargliene trovare uno rigoglioso al suo rientro. Perché avrebbe varcato di nuovo la porta di Villa Hidamari, un giorno, ne era sicuro e lui, prima di quel giorno, non sarebbe morto per nulla al mondo.
Solo che… sospirò, inarcando un sopracciglio: non aveva affatto il pollice verde. Con o senza Erebos, l’arte del giardinaggio non sembrava essere nelle sue corde.
Gli sfuggì una risata sottile, pensando che forse era meglio se continuava a suonare il piano, quando vide l’inconfondibile figura di Jet uscire dalla villa ed ebbe un’idea.
«Jet!» lo chiamò, alzando un braccio per farsi vedere.
L’Artefatto lo individuò che era in ginocchio ai bordi d’una aiuola, attorniato da strani utensili.
«Capiti a proposito. Se non hai altro da fare, ti andrebbe di aiutarmi con queste piante? In due faremo sicuramente prima.»
Jet osservò alcuni bulbi e sacchetti di semi. Non sarebbe dovuto rientrare a Farian prima di un paio di giorni, quindi, no, non aveva altro da fare, al momento.
Con movimenti composti si liberò dell’impermeabile, abbandonandolo sul bordo del muretto lì vicino. Quello era il suo modo per dire ‘Sì.’ e Nyx sorrise. «Potresti occuparti di questi semi? Io sto provvedendo a mettere i tulipani.»
Jet prese i semi imbustati dalla sua mano, leggendo l’etichetta.
«Kalanchoe Fedtschenkoi.» disse e la sua memoria sintetica fece il resto. «Famiglia delle Crassulaceae, di durata perenne. Raggiunge i trentacinque centimetri d’altezza, ha foglie verdi tendenti al blu e fiori penduli aranciati. Necessita di molta luce, ma non di sole diretto.» alzò lo sguardo, facendolo ruotare nel cielo azzurro e valutando la sua posizione rispetto al percorso dell’astro. «Questo luogo è ottimale.» sancì, riprendendo la sua spiegazione. «Le temperature di coltivazione sono tra i 15 °C ed i 22 °C.» attraverso i sensori termici sottopelle misurò la temperatura circostante. «19 °C. Va Bene.» prese la zappetta e cominciò a lavorare il terreno, mentre Nyx seguitava a fissarlo con espressione tra l’interdetto ed il divertito. «I semi vanno distribuiti in maniera omogenea secondo file parallele ed interrati leggermente con un pezzo di legno piatto.» Jet si guardò attorno e poi si rivolse al padrone di casa con la sua solita neutralità. «Hai un pezzo di legno piatto?»
L’altro ridacchiò. «Te ne vado a cercare uno.»
Rimasto solo, il clone di J.D. creò dei solchi perfettamente paralleli, grazie alla precisione dei suoi sensori ottici, sistemando i semini alla giusta distanza.
«Questo credo che possa andar bene.»
Nyx comparve, porgendogli il frammento di una tavola avanzata dai lavori di ricostruzione della villa. Jet annuì e con abilità cominciò ad interrare i semi.
«Sei davvero bravo.» notò l’uomo dai lunghi capelli neri, osservando le sue abilità manuali.
«Sono un Artefatto. Il procedimento è stato impiantato nella mia memoria artificiale. Non faccio altro che riprodurlo.»
«Forse è vero, allora perché non provi a metterci un po’ di cuore in ciò che fai? I frutti che raccoglierai alla fine del tuo lavoro saranno ancora più belli, se c’è anche un pezzo di te e non solo una sequenza d’azioni.»
Jet si interruppe.
Metterci il cuore.
Il cuore.
Ancora quella parola.
Gli avevano detto che anche gli Artefatti ne avevano uno, dopo che per anni, da che era ‘nato’, non avevano fatto altro che ripetergli che era una macchina e le macchine non avevano cuore né sentimenti. Ma vedendo J.D. e provando su sé stesso sensazioni strane, aveva cominciato a convincersi del contrario. Eppure, aveva la sensazione di averlo trovato, il suo cuore, ma non ricordava quando né come. C’era come un vuoto nella sua memoria. Se n’era accorto dopo qualche giorno che si era risvegliato nella capsula in cui Erenfried lo aveva curato, dopo aver salvato la Nave delle Stelle dall’esplosione. Ma non riusciva a ricordare nulla di quegli attimi e lo aveva anche riferito allo scienziato della Fondazione, ma il check-up cui l’aveva sottoposto non aveva rilevato danni alla memoria e lui non s’era interrogato più di tanto.
Ma ora, le parole di Nyx gli avevano fatto pensare che, forse, anche per riuscire a provare sensazioni piacevoli e imparare a sorridere, aveva bisogno di ritrovarlo, quel cuore. Anche se non aveva ancora capito come fare.
«Perché hai deciso di voler piantare questi semi?»
Evitò volutamente di rispondere alla frase che l’altro gli aveva rivolto perché, in definitiva, non sapeva che dire se non: “Non so come si fa.”, ma si stava rendendo conto che le cose che non sapeva fare erano così tante, che cominciava a sentirsi nuovamente difettoso.
«Sono un regalo per Ange.»
A quella notizia, Jet si volse; le iridi rosso rubino attentamente puntate sul viso sorridente dell’altro.
«Quando tornerà, vorrei farle trovare quei bellissimi fiori che in passato non ero riuscito a far nascere, per quanto mi ci fossi impegnato; Erebos non mi permetteva di prendermi cura delle vite altrui.»
- Un regalo… per Angelique… - ripeté la mente dell’Artefatto, tornando a fissare le proprie mani ed il lavoro che aveva appena svolto.
Nyx continuò. «Sono sicuro che le farà davvero piacere sapere che l’abbiamo coltivata insieme, quest’aiuola.»
Jet annuì. Se era per lei, allora sarebbe dovuta essere perfetta per dimostrarle come, nel suo piccolo, si prendesse cura di ciò che lei continuava a proteggere con le sue preghiere.
Lo strano rumore di un colpo secco, simile a quello d’un tamburo gli risuonò nelle orecchie, facendogli sollevare il capo di scatto e guardarsi intorno.
«Qualcosa non va?»
Nyx, lì accanto, sembrava non aver udito nulla e Jet si limitò a scuotere il capo, tornando ad occuparsi dei semi di kalanchoe.
«Spero di non averti disturbato, chiedendoti di darmi una mano con queste piante. Eri forse impegnato con J.D.?»
«No. E’ lui che sta aiutando me.»
«Oh, davvero?»
Il pezzo di legno veniva passato con attenzione sopra i semi interrati e poi leggermente ricoperti di terriccio.
«Mi sta insegnando a sorridere.»
«Ma è un’ottima idea.» approvò l’uomo «E come sta andando?»
Jet si volse, fissandolo a lungo e con intensità, ma restando in silenzio tanto che l’altro, dopo qualche momento, inarcò un sopracciglio, abbozzando un sorriso perplesso e piuttosto confuso.
«E… e allora?»
«Stavo sorridendo.»
«Ah.»
Il padrone di casa gli batté leggermente la mano sulla spalla, cercando di infondergli un certo supporto. «Vedrai che andrà sempre meglio. Abbi fiducia.» e, presi i bulbi di tulipano, s’allontanò di qualche passo per cominciare a trapiantarli nell’aiuola.
Jet tornò a fissare il terreno, avvertendo una strana sensazione che, purtroppo, di piacevole non aveva nulla.
Sorridere, forse, era troppo difficile per uno come lui.
Improvvisamente si sentì difettoso sia come Artefatto che come essere umano.

*

Le camere da letto, nella Nuova Villa Hidamari, si trovavano al piano superiore, com’era stato per la villa precedente, ed anche se lui avrebbe potuto vivere anche senza dormire, J.D. aveva insistito perché avesse una stanza in cui ‘riposarsi’. Anche quello era imparare ad essere umano, ma Jet, quella sera, si poteva dire che non riusciva a prender sonno.
Affacciato alla ringhiera del terrazzo della camera, osservava la luna d’argento colorare il giardino con la sua luce tenue e riposante in quello scenario notturno. La brezza leggera gli smosse i corti capelli neri, mentre le iridi rubino erano catturate dall’aiuola coltivata nel pomeriggio. Dalla sua posizione, riusciva a scorgerne uno scorcio non protetto dalle siepi.
Un regalo per Angelique.
Continuava a pensarci e a domandarsi se avesse piantato al meglio i semi di kalanchoe o se avesse fatto errori. Perché, se c’era una sensazione che davvero l’aveva sempre fatto sentire affine agli esseri umani, quella era l’avversione per i fallimenti. Destava non riuscire a portare a termine un incarico, poiché aveva sempre pensato che un Artefatto come lui, nato per essere un’arma, se falliva la missione allora era inutile. Difettoso.
E non riusciva a sopportarlo.
Pensandoci bene, forse conosceva le emozioni umane ben più di quanto credeva, ma erano solo quelle che J.D. avrebbe definito spiacevoli. Però lui voleva imparare anche le altre, per mostrare ad Angelique i suoi progressi e come, lentamente, stesse cercando di trovare il proprio cuore. Di sicuro, lei avrebbe sorriso e a Jet… piaceva. Non sapeva spiegarsi perché sentisse quel bisogno di approvazione da parte sua, quella necessità di dimostrarle qualcosa. Forse, un giorno, tra le tante cose, avrebbe compreso anche quella, ma, al momento, seppur non fosse in grado di capirla, era tutto ciò che desiderava fare: evolversi.
O crescere?
Mancava qualche giorno al suo rientro a Farian, e mentre pensava che non avrebbe potuto seguire la crescita dell’aiuola, gli angoli della bocca, sempre dritti, si curvarono appena all’ingiù; uno strano senso di inquietudine si fece sentire alla bocca dello stomaco. Era forse preoccupazione, quella? Ansia d’aver potuto sbagliare e veder così sfumare il dono per Angelique?
Tutte quelle emozioni erano troppe e troppo complesse e, come sempre accadeva quando si sentiva ‘attaccare’ dalla parte umana sopita nel suo sistema, cercò di difendersi, bloccandone l’avanzata, rifiutandola e la vista cominciò a vacillare, mentre una parte del suo corpo iniziava ad intorpidirsi. Jet si aggrappò al marmo. Una gamba cedette e a nulla valsero i tentativi di rimettersi in piedi: era divenuta pesante come un macigno. Poi cercò di regolarizzare il respiro.
«Perché non riesco a controllarle?» il tono uscì come sempre gelido e distaccato dalle sue labbra. Poi, a poco a poco, il groppo d’emozioni sembrò ritrarsi come onde dopo essersi infrante sulla battigia e la calma tornò a regnare tra corpo, mente e circuiti, restituendogli la completa mobilità e la vista. Adagio acquisì nuovamente una stazione eretta; lo sguardo, stavolta, si puntò alla luna brillante, mentre un sapore amaro gli riempiva la bocca.
«Ho davvero così paura d’essere umano?»

*

Quando il mattino successivo s’alzò, lo strano silenzio nel salotto gli fece inarcare un sopracciglio.
Sembrava non esserci nessuno e Jet si fermò alla base della scalinata che portava al piano superiore, guardandosi attorno. Solitamente, a quell’ora, erano già tutti in piedi. S’avviò allora, lentamente, nella sala da pranzo dove consumavano i pasti, ma il tavolo era sgombro e, a pensarci bene, non avvertiva nemmeno l’odore piacevole del cibo preparato da J.D..
Jet raggiunse dunque la cucina e trovò il vassoio sul ripiano, attorniato dalle tazze. Il tè aveva smesso di fumare da un po’, si rese conto valutando col tocco della mano la temperatura della teiera. Sembrava che tutto fosse stato lasciato all’improvviso e la cosa cominciò ad insospettirlo.
Ovviamente, non pensava che fosse sopraggiunto qualche pericolo sia perché i suoi sensori l’avrebbero già captato e sia perché, da quando Angelique era divenuta Regina, non c’era più nulla che potesse impensierire gli abitanti dell’Arcadia.
E allora che fine avevano fatto tutti?
Non gli restava che controllare in giardino.
E lì li trovò.
Quasi subito, scorse le figure di J.D. e Nyx ferme proprio presso l’aiuola ed il sopracciglio s’inarcò di più. I due erano in piedi ed immobili, con il capo chino ad osservare qualcosa al suolo.
Di nuovo, il rumore cupo e forte d’un tamburo lo assordò quando ipotizzò che potesse essere accaduto qualcosa di spiacevole al regalo per Angelique, ma questa volta lo ignorò, deciso solo a sincerarsi delle condizioni dell’aiuola.
A passo sostenuto raggiunse il fratello ed il padrone di casa. «Avete abbandonato casa in tutta fretta. C’è qualcosa che non va?» esordì, palesando la propria presenza ed il primo a rispondergli fu J.D..
Jet gli vide rivolgergli un’espressione tra l’incredulo e l’eccitato.
«Stavamo aspettando proprio te.» disse.
«Jet, devi dare un’occhiata a questo!» Nyx si era inginocchiato e sembrava anche lui pervaso da evidente sorpresa. «Come è possibile?»
L’interpellato s’affacciò alle spalle del fratello.
E stavolta i colpi di tamburo divennero due, cupi come fragori di tuoni lontani. Gli occhi si allargarono riempiendosi di quell’immagine che lo lasciò – cosa che capitava piuttosto raramente, seppur già di suo parlasse poco – senza parole.
I semi di kalanchoe erano germogliati. In una sola notte.
«Non lo è, infatti.» rispose Jet alla domanda di Nyx. «Ci avrebbero dovuto impiegare dei giorni.»
«Lo so, per questo non riesco a comprendere come sia potuto accadere.»
Non riusciva a spiegarselo nemmeno lui, che aveva sempre una risposta diretta e concreta per tutto. Eppure, i germogli erano lì, sotto i suoi occhi. Piccole foglioline verdi facevano capolino dal terreno smosso. Jet avanzò di un passo, inginocchiandosi per poterle osservare meglio e… e avevano attecchito tutte. Tutte quelle che aveva piantato il giorno prima. No, non aveva senso.
O forse sì?
J.D. riuscì a trovarne uno. Con un sorriso caldo sollevò lo sguardo al cielo, schermandosi gli occhi dalla forte luce solare. «Deve essere stata Ange. Avrà visto il vostro impegno nella cura di queste piantine. Erano un regalo per lei, vero Nyx?»
«Sì esatto.» sospirò l’interpellato, sorridendo. «Non mi stupirei se fosse davvero così. La nostra Madmoiselle è capace di tutto.» adagio s’alzò in piedi, portandosi le mani ai fianchi. «Volete un tè? In fondo non abbiamo ancora fatto colazione. Vado a prepararne uno.» e si allontanò, mentre J.D. si batteva una mano sulla fronte.
«Ed io ho lasciato quello che avevo preparato sul tavolo, si sarà raffreddato ormai. Non ho nemmeno ancora infornato i biscotti. Jet sei-» ma interruppe la frase quando si volse ad osservare il suo gemello. Poi, un sorriso carico d’affetto gli tese le labbra.
Jet aveva un’espressione estasiata sul volto dai tratti solitamente impassibili e distaccati. Le mani leggermente sollevate a mezz’aria e le labbra che, adagio, iniziavano ad incurvarsi finalmente verso l’alto.
Aveva creato qualcosa. Con le sue mani, da solo, per sua volontà, mettendoci un impegno diverso, non dettato dalla disperata necessità di non sentirsi inutile, ma dal desiderio di donare qualcosa ad un’altra persona. Ed avvertiva una strana sensazione di leggerezza ed euforia, dentro di sé, di soddisfazione.
«E’ questo che significa ‘essere felici’, J.D.?» domandò, senza distogliere lo sguardo dai germogli.
J.D. s’accoccolò accanto a lui; i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani a sostenere il viso. «Sì. Non è una sensazione piacevole?»
«Sì.»
«Lei sa che ci hai messo il cuore, ne sono sicuro. Deve averlo sentito, ovunque sia in questo momento.»
Quella frase lo colpì, lasciandolo interdetto per qualche momento, mentre ormai lo strano rumore di tamburo s’era attenuato e si faceva più lontano e quieto, con un pulsare ritmico e rilassante.
‘Metterci il cuore’ era dunque impegnarsi a fondo e con dedizione per il raggiungimento di uno scopo?
Ma, dopotutto…
«…che rumore fa un cuore?»
J.D. rise sottilmente. «Un cuore batte.»
«Come un tamburo.» comprese Jet, che in fondo l’aveva capito già da un po’.
«Proprio così, fratello.» la Jasper Doll gli poggiò una mano sulla spalla, attirandosi il suo sguardo. «Mi piace vederti sorridere.»
Lui inarcò un sopracciglio. «Io stavo…?».
«Tu stai
Lo corresse J.D. e Jet si rese improvvisamente conto di come, dopotutto, quella sensazione gli fosse familiare in qualche modo, così come i battiti nel petto. Aveva forse già sorriso? Aveva forse già trovato il suo cuore, in passato?
D’improvviso, i frammenti di quei ricordi, che era cosciente d’aver perduto affiorarono dall’angolino della memoria in cui li aveva nascosti perché non ancora pronto per affrontarli davvero. Ed in quei ricordi, stringeva la bomba tra le mani ed i suoi occhi erano puntati alla Nave delle Stelle che s’innalzava per il suo ultimo viaggio, mentre lui precipitava, esplodendo assieme all’ordigno. In quel momento, nell’attimo in cui aveva compreso d’avere davvero un cuore e d’averlo trovato, aveva sorriso perché, per la prima volta, aveva fatto ciò che davvero desiderava, senza che qualcuno glielo ordinasse.
Non si era comportato da Artefatto.
Proprio come adesso.
Il sorriso si accentuò, mentre tornava a fissare i piccoli germogli che facevano capolino.
Sapeva di aver ancora molto da imparare, ma quello poteva essere un buon inizio verso la conquista della propria umanità.
«Sorridere, dopotutto, non è poi così difficile.»

 

Fine

 

NotaFinale: QUESTI sono i Kalanchoe Fedtschenkoi. *_* li ho visti dal fioraio e mi sono piaciuti subito!!!

   
 
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