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Autore: BaschVR    28/05/2010    3 recensioni
Quando apre gli occhi, è già mattina.
La luce filtra attraverso le ampie finestre, e la sveglia di colpo, violentemente. E’ un risveglio brusco, che la lascia un po’ stordita per parecchi minuti, durante i quali la sua mente rielabora gli avvenimenti degli ultimi giorni. Il viaggio in aereo, la conversazione nell’appartamento di Lollard Street, una serata passata con Zack e gli altri al Croco.

[Spin-off di "Croco", di Valy-chan]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cissnei, Cloud Strife, Reno, Tseng
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto è uno spin-off della fan fiction “Croco” di Valy-chan, raggiungibile a questo indirizzo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=410168&i=1. Dopo le pressanti richieste dell’autrice sopracitata, ho deciso di creare questa nuova versione della sua storia, che riprende le vicende del lungo periodo in cui Aeris affronta un viaggio in Cina, svanendo dalle vite dei personaggi principali.
Ovviamente vi invito a leggere “Croco”, prima di questa, a causa di chiare esigenze di trama (alcuni avvenimenti potrebbero risultare un po’ ostici a coloro che non hanno letto l’originale xD).
Dedico questa fan fiction a Valy, un’amica speciale che con la sua simpatia e la sua saggezza ha illuminato parecchie mie giornate (a proposito, buon compleanno, Madre!)
Vi auguro una buona lettura!


A place to call Home

Quando apre gli occhi, è già mattina.
La luce filtra attraverso le ampie finestre, e la sveglia di colpo, violentemente. E’ un risveglio brusco, che la lascia un po’ stordita per parecchi minuti, durante i quali la sua mente rielabora gli avvenimenti degli ultimi giorni. Il viaggio in aereo, la conversazione nell’appartamento di Lollard Street, una serata passata con Zack e gli altri al Croco.
“E quindi, in realtà, siamo tutti collegati telepaticamente dal nostro cervello!” dice Zack, vuotando per l’ennesima volta il bicchierino di cherry. Aeris ha perso il conto del numero di bicchieri che il ragazzo ha bevuto, ma gli basta guardarlo in viso per capire che ancora una volta ha esagerato col bere. Sospira e intercetta lo sguardo di Tifa, che si è allontanata un momento per servire altri due clienti al bancone.
“Quindi… i nostri pensieri sono energia?” ripete incerto Cloud, tra un risolino e l’altro, non meno brillo dell’altro.
“Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, biondo!” ammicca Zack, poggiando il bicchiere sul tavolo di legno.
“E perché i pensieri non sono sfruttati come fonte di energia alternativa, allora?” chiede l’altro, un po’ confuso dall’alcol.
Zack sogghigna, mentre con una mano fa cenno a Tifa di unirsi a loro. “Aaah, ed è questo il punto!” esclama poi, alzando la voce e facendo voltare gran parte degli uomini nel locale. “Ho ragione di credere che sia tutta una cospirazione messa su per bene da… da qualcuno di cui non ricordo il nome…” si ferma, incerto, e Aeris sospira di nuovo. Non è la prima volta che Zack menziona gigantesche cospirazioni, da ubriaco.
“Di che si parla?” chiede Tifa, che si è liberata dalle attenzioni dei due uomini al bancone e che occupa il posto accanto a lei.
Cloud scoppia a ridere, seguito a ruota da Zack. “Difficile da spiegare!” esclama quest’ultimo, osservando il bicchiere vuoto poggiato sul tavolino di legno. “Lo riempiresti?” le chiede poi, mettendoglielo davanti al naso.
Lei ci pensa su per qualche secondo, poi gli risponde di no. “Hai già bevuto abbastanza per oggi. E lo stesso vale per te!” risponde, indicando Cloud.
“Naaah, ci tagli i fondi?” si lamenta Zack, ma la ragazza si è di nuovo allontanata, chiamata da un gruppo chiassoso sul fondo del locale.
“Non vorrei essere nei vostri panni domattina, ragazzi!” sospira la ragazza, sorridendo.
“Neanche io, in verità!” risponde Zack, e tutti e tre scoppiano a ridere, mentre Aeris si augura che serate del genere possano non finire mai.
La mattina dopo, ha fatto le valigie e se n’è andata.
Suona la sveglia. Probabilmente si è riaddormentata senza nemmeno accorgersene. Apre gli occhi, il display luminoso segna le otto e quarantacinque. Sbadiglia un’ultima volta, si alza dal letto e osserva il nuovo giorno dalla finestra della camera d’albergo.




Nemmeno un’ora dopo, ascolta il rumore dei suoi passi confondersi con quello di altre migliaia di turisti nella stazione centrale di Pechino. Probabilmente è in anticipo, ma non importa, perché a lei non è mai pesato aspettare. Tiene il biglietto per il treno che ha comprato tra le mani, e lo osserva attentamente. Il tizio al bancone le ha detto che il treno partirà alle dieci e trenta, e con un sorriso cordiale le ha consigliato di prendere un posto accanto al finestrino.
Si sente meglio se ripensa al sorriso del ragazzo, e si rilassa. Il suo non è stato un sonno ristoratore, e sente ancora sulle spalle il senso di colpa per la fuga improvvisata di pochi giorni prima.
D’un tratto, si sente stanca, nonostante abbia dormito quasi otto ore, e si ripromette di riposarsi un po’ una volta salita sul treno. Ma sa già che non lo farà, perché nulla è più burrascoso per l’anima di un nuovo viaggio, e sente che anche quella volta si ritroverà persa tra mille pensieri.




E invece, è ormai pomeriggio inoltrato quando Aeris si sveglia dal suo letargo. Il paesaggio è rurale, adesso, e grandi campi coltivati si alternano a ettari di foreste incolte.
Legge il nome della destinazione sul biglietto, e sorride. Ha fatto la cosa giusta, lo sa, e questo pensiero aiuta a farla sentire meglio. I colori accesi del tramonto tingono i sedili vuoti davanti a lei, mentre fuori dal finestrino la linea dell’orizzonte è già infuocata.




Non si è ancora abituata al fuso orario. Nonostante la scorsa notte abbia dormito normalmente, al sopraggiungere della sera stavolta non ha sonno, a differenza del pomeriggio appena trascorso. Per la prima volta accende il cellulare, che ha riposto in una tasca interna dello zaino quasi tre giorni prima.
Tredici chiamate ricevute, tutte da parte di Cloud. Sospira.
Per un momento si chiede come mai Zack non abbia provato a contattarla, poi si dice che è meglio così. Ed è in quel momento che la porta dello scompartimento, chiusa da quasi tutto il giorno, si apre cigolando.
Aeris alza lo sguardo, curiosa, perché non ha ancora visto nessuno da quando è salita sul treno, ed oltre allo stridere dei binari finora ha udito solo la voce dei suoi pensieri.




La ragazza sulla porta adesso è entrata, e salutandola cordialmente le si è seduta davanti. Ha lo sguardo perso nel vuoto, mentre guarda fuori dal finestrino il paesaggio immerso nell’oscurità. Saltuariamente getta un’occhiata al suo orologio, o al cellulare, per essere sicura che nessuno l’abbia contattata.
“Sai quanto manca alla prossima fermata?” le chiede dopo un po’, mentre il treno attraversa una fitta area boscosa.
Aeris si riprende dal suo torpore e la osserva. Le ha dato del tu, pur mantenendo un tono molto cordiale.
“Non di preciso…” afferma in risposta, cercando di rammentare l’itinerario “Mi sembra di ricordare che ci sia una sola tappa durante la notte, intorno alle tre…”
“Grandioso!” esclama lei, contrariata. “Beh, immagino che l’unica cosa che io possa fare sia aspettare. A proposito, sono Cissnei” continua, sorridendo e porgendole la mano.
“Io sono Aeris.” Risponde alla stretta di mano, e le ricambia il sorriso.




E’ piacevole parlare con Cissnei, rende il suo viaggio più vario. La ragazza è divertente e amabile, e le offre di andare a prendere qualcosa al vagone ristorante, per conoscersi meglio.
Aeris accetta. Entrambe lasciano le proprie borse all’interno dello scompartimento, prelevando soltanto pochi effetti personali.
I vagoni sono deserti, nonostante non sia ancora notte fonda.
“Allora” dice Cissnei, rompendo il silenzio davanti ad una tazza di caffè. “Che ci fai in questo treno? Da queste parti non c’è niente che attiri i turisti, a parte il fascino della vita bucolica” si interrompe, portando la tazza alle labbra e sorseggiando.
“Beh, l’agricoltura non fa proprio parte dei miei interessi” le risponde Aeris, sorridendo. “E so che è… strano vedere turisti qui intorno, ma amo da sempre la Cina, e ritengo che non esista solo Pechino, o la Grande Muraglia. E poi… ho solo bisogno di un po’ di pace e tranquillità, e forse una metropoli non è proprio l’ideale per una vacanza…”
“Sono d’accordo!” approva Cissnei, poggiando il caffè sul tavolino davanti a lei. “Amo la Cina. E’ così… eterna. Non sono nata qui, ma ci lavoro da anni, è come… come la mia seconda casa. La mia vera casa. Okay, è una cosa stupida da dire,” afferma poi in fretta “però…”
“Va tutto bene…” risponde Aeris “In un certo senso, capisco cosa vuoi dire”.
La ragazza volge lo sguardo verso la nera notte aldilà del finestrino, perdendosi tra le fronde degli alberi appena visibili nell’oscurità. Aeris fa lo stesso, e le sembra quasi di riuscire a capire quello che Cissnei ha detto, e di riconoscere in quel mondo così oscuro, invisibile, ma pur sempre presente, la sua nuova casa.
“Sai, una volta ho letto su un libro che tutti cercano un posto dove tornare. Un posto speciale, capace di... beh, parlarti. Che non sia casa tua, ma che per te abbia lo stesso valore. Per me la Cina è questo, e io la amo moltissimo” afferma Cissnei, dopo un po’, mentre il volto della luna illumina saltuariamente le radure che attraversano. “Goditi questo viaggio, sul serio. Goditi persino questa lunghissima marcia in treno, perché i viaggi servono a dare più significato alla meta. E soprattutto, per renderlo ancor più memorabile…” afferma solennemente lei, facendo una pausa per dare più pathos “evita di bere questo caffè, è una brodaglia orrenda!”
“Lo terrò a mente” esclama Aeris, ed entrambe scoppiano a ridere, mentre il treno continua la sua corsa nella lunga notte.

 


Quando mezzanotte è ormai passata da più di due ore, uno speaker annuncia la prossima fermata. Cissnei si riscuote dai suoi pensieri, e controlla nuovamente il cellulare per appurare che ora sia. Le due e diciassette.
“Bene... credo che io debba iniziare a prepararmi!” esclama, alzandosi e recuperando la sua valigetta dal vano bagagli.
“Che farai una volta scesa?” chiede Aeris, mentre si alza e le dà una mano a scendere il bagaglio.
“Beh, ho un paio di amici che mi aspettano... credo ci tratterremo qualche giorno qui, e poi andremo nuovamente verso est in treno. Il tempo di sbrigare un paio di affari qui intorno!” risponde Cissnei, controllando che tutte le cerniere siano chiuse.
Il treno, lentamente, arresta la sua corsa.
“Mi ha fatto piacere conoscerti” le dice Cissnei, sincera, cordiale, amichevole. “Abbiamo passato un’ottima serata, no?”
“Già” continua Aeris, sorridendo. “Ti ringrazio”.
“Figurati, sono io a doverti ringraziare!” risponde lei, facendole l’occhiolino. “E ricorda quello che ti ho detto sul viaggio, davvero. Mi farebbe piacere riuscire a pensare che almeno tu ti stia godendo una bella vacanza tranquilla e in armonia con te stessa! E anzi,” continua lei, rovistando all’interno della sua borsa ed estraendo un foglio di carta. “tieni! E’ il mio numero di cellulare. Fammi uno squillo ogni tanto, eh?”
“D’accordo” sorride Aeris, afferrando il biglietto dalle mani dell’altra.
“Ci conto!” esclama la ragazza, mentre, con lo zaino in spalla, la saluta un’ultima volta e sparisce dalla sua vista.




Sorge il giorno, ed osserva l’alba che si rispecchia sugli altipiani asiatici. Il paesaggio è immobile, dopo che la brezza notturna ha smesso di muovere le fronde degli alberi lontani. Il treno, da quando è scesa Cissnei, non si è mai fermato.
Le vibra il cellulare, nella tasca interna della borsa. Lo sente per via del silenzio quasi innaturale che, nonostante l’avanzata del treno, pervade quei binari. Come ha immaginato, ancora una volta è Cloud che cerca di contattarla. Respira forte, e lascia la tensione degli ultimi giorni defluire da sé. Lascia che il cellulare vibri a vuoto, per venti, trenta, quaranta secondi. Quando non sente più il fastidioso ronzio, si rilassa.
Manca poco al suo arrivo, per fortuna. Da quando l’altra ragazza se ne è andata riesce a malapena a sopportare di restare seduta lì dentro.




Sotto il sole splendente della mattinata inoltrata, anche lei, finalmente, scende dal treno. Osserva soddisfatta la  meta del suo lungo viaggio, che tanto le è parsa distante durante quelle ultime ore ma che in quel momento è lì, inequivocabilmente.
Un borgo come tanti sperduto tra gli altipiani della Cina centrale. La chimera che sarà la sua oasi.




Ha lasciato le valigie nella camera che ha prenotato diversi giorni prima, ed è subito già uscita nuovamente all’aria aperta, lasciando la locanda presso la quale alloggia. Quest’ultima è situata in una strada laterale da cui è possibile arrivare alla piazza principale del luogo. L’aria qui sembra pulita e fresca, ed Aeris non fa a meno di pensare di come, probabilmente, appena fuori dal paese le colline possano essere piene di bellissimi fiori.
Cammina senza una meta precisa, la macchina fotografica pronta in mano; ne possiede una piuttosto vecchia e malandata, con il rullino, che usava ai tempi del liceo ma che ancora adesso funziona dignitosamente: e con questa in mano, osservandosi intorno, con quella sua aria svampita che tante volte Zack gli ha fatto notare, fotografa ciò che le sembra degno di essere ricordato. Il sole è alto nel cielo ed è sicura che le foto, con tutta quella luce, saranno splendide.




Verso mezzogiorno entra in un locale un po’ fuori mano, nella parte orientale del centro abitato, costeggiato da alcuni alberi radi, che sono il principio di un grande bosco che si estende per le colline ad ovest, con l’intenzione di pranzare. Ed è nel momento in cui si siede che sente il cellulare vibrare nuovamente all’interno della borsa. Come al solito, immagina che sia Cloud, ma questa volta rimane molto stupita nel constatare che il nome che lampeggia sul display è un altro, che ha memorizzato soltanto recentemente.
“Cissnei?” domanda, accettando la chiamata della ragazza.
“Aeris! Come stai?” chiede quella, con il suo tono di voce amichevole e caloroso.
“Bene, grazie!” risponde lei, felice di sentirla. “Sono arrivata da qualche ora, è tutto… magnifico, qui!”
“Ne sono felice” afferma l’altra, in risposta. “E sai una cosa? Credo proprio che stasera sarò da quelle parti!”
“Davvero?” chiede Aeris, incredula, trovandosi a sorridere.
“Sì! Ho incontrato alcuni… colleghi, diciamo, ed è saltato fuori che abbiamo qualche lavoro da sbrigare anche lì. Quindi, se non hai altri impegni, pensavo che potremmo incontrarci e passare un po’ di tempo tutti insieme. Gli ho parlato di te e sembrano così impazienti di conoscerti.”
“Certo, sono libera, e mi fa davvero piacere rivederti!” esclama Aeris, sincera, sempre più sicura sul fatto che il viaggio sia stato la scelta giusta.
“Ottimo!” esclama Cissnei. “Allora a stasera!”
 “A stasera!” ripete Aeris, chiudendo la conversazione e rimanendo di nuovo sola con i suoi pensieri.




Nel pomeriggio non ha sonno, nonostante non abbia dormito per tutta la notte. Chiude le imposte delle finestre, lacerando la luce del sole che, violenta, inonda la camera di luce. Si siede sul letto, tra le valigie che attendono ancora di essere disfatte, a rimuginare. Quasi automaticamente, ripensa a quella sera il cui pensiero aveva accompagnato il risveglio del giorno precedente.
Intorno alle due del mattino, il Croco ha già chiuso, e loro quattro sono gli unici ancora all’interno del locale. Tifa sta lavando alcuni bicchieri usati dai clienti della serata, e lei si offre di aiutarla, indossando un paio di guanti e prendendo un paio di stoviglie in mano.
“Davvero, non ce n’è bisogno!” esclama Tifa, cercando di dissuaderla, ma ormai Aeris le è accanto.
“Per carità, lascia che io ti aiuti!” la implora, immergendo dei bicchieri nell’acqua. “Se sto un altro minuto con quei due, io... divento matta”. Indica l’unico punto del locale da cui, nonostante l’ora, provengono ancora schiamazzi e continue risate.
“Stavolta hanno proprio esagerato, quei due ubriaconi!” esclama Tifa, a metà tra il divertito e il preoccupato.
“Già…” concorda, asciugando un bicchiere che l’altra le porgeva.
Trascorre qualche minuto di silenzio, interrotto ogni tanto dalle larghe risate dei due e dalle loro vane parole.
“Tifa?” dice Aeris infine, titubante. “Posso chiederti una cosa?”
“Mmm…” risponde la ragazza, pensierosa. “Credo di sì”.
“E’ una domanda… piuttosto personale.”
“Beh… siamo amiche, giusto?” risponde alla sua affermazione, sorridendo.
“Come fai ad essere sicura che Cloud… beh, ti ami veramente?” chiede Aeris, a disagio per la domanda probabilmente inopportuna.
“Sai forse qualcosa che io non so?” scherza Tifa con un sorriso sarcastico.
“Uh, no, non in quel sens…!”
“Tranquilla!” la interrompe, sorridendo. “Ho capito cosa intendi. E credo anche di sapere a cosa in realtà ti riferisci.”
Aeris non risponde a questa affermazione, e abbassa lo sguardo, imbarazzata. E’ troppo codarda per rivelare l’altra parte di una verità più grande. Ma forse, non è solo questione di vigliaccheria.
“La risposta, per quanto scontata, è semplice.” Afferma l’altra. “Ed è riassumibile in tre parole: Non lo so. Credo che qualunque sentimento – e, in particolare, l’amore – sia basato unicamente sulla fiducia. Nessuno può realmente comprendere nessun altro, al di fuori di se stesso. Quindi tutto quello che facciamo è sperare nelle altre persone, grazie alla fiducia che riponiamo in esse. Se la mettiamo così, l’amore è essenzialmente basato sulla speranza. Forse è un po’ scontato, ma la penso così. In base a questo ragionamento, non ho idea se il sentimento di Cloud sia sincero o no, come del resto lui non sa se lo sia il mio o meno. Sei d’accordo?”
Aeris non risponde subito, ed alza lo sguardo sui due ragazzi che, ignari della loro conversazione, si godono ancora l’allegra serata. E poi, improvvisamente, senza che se ne accorga, è di nuovo nella sua camera alla locanda. Il buio adesso rende indistinguibile qualunque cosa. Ma d’altronde, il buio di quella stanza è fittizio poiché creato dall’uomo, perché, dopotutto, anche la più nera notte ha le sue stelle che illuminano il cammino.




In questo borgo di periferia il crepuscolo tinge le case e le staccionate di un violento arancio. L’aria è già più frizzante rispetto al mattino, e Aeris, prima di uscire dalla camera, si è cambiata indossando qualcosa di lievemente più pesante.
Cissnei le ha mandato un messaggio dicendo che il suo arrivo è previsto per le sette e trenta. Sono già le sette e venti, e dunque percorre a ritroso la strada che ha attraversato quel mattino per arrivare al paese. Adesso il paesaggio è più vuoto ed essenziale, rispetto al mattino, e ciò lo rende in maggior misura rurale, e ne sottolinea la diversità rispetto al resto del mondo in cui Aeris finora ha vissuto.
Immersa in questi pensieri, neanche s’accorge di varcare le soglie della stazione.




All’improvviso una voce la chiama dall’altro lato dell’edificio, e lei, in attesa su uno dei sedili, alza lo sguardo. La stazione è quasi deserta, a quell’ora, nonostante non brulichi di turisti nemmeno al mattino. Posa lo sguardo, un po’ assente, su diverse persone, prima di notare la mano alzata di Cissnei che le fa segno di avvicinarsi.




Quando ormai si trova a pochi passi di distanza dalla ragazza, si accorge che non è venuta da sola. E’ in compagnia di due ragazzi, entrambi, seppur probabilmente di poco, più grandi di lei.
“Aeris!” esclama, salutandola calorosamente con un abbraccio.
“Ciao, Cissnei” fa lei, rispondendo all’abbraccio, come se stesse rivedendo una cara amica d’infanzia. “Come è andato il viaggio?”
“Uh, non male” risponde l’altra, sciogliendo l’abbraccio e indicando i due alle sue spalle. “Questi sono due miei colleghi e amici: Reno,” e il più giovane dei due la saluta calorosamente, stringendole la mano, “e Tseng.” L’altro le fa un cenno con la testa, senza parlare, limitandosi ad osservarla.
“Piacere” risponde Aeris, sorridendo ad entrambi.
“Piacere nostro!” risponde allegro Reno. “Cissnei aveva ragione, sei davvero una bella figl…!”
“Come?”
“Ehm.” Afferma lui, imbarazzato. “Niente!”
Cissnei ride, dandogli una pacca sulla spalla. “Scusalo, non sa trattenersi!”
“Uh, non c’è problema, tranquilla!”
Adesso anche Reno ride, insieme alle altre due. Tseng, d’altra parte, osserva la scena interessato e forse al tempo stesso anche stizzito, abbozzando un sorriso sardonico e indecifrabile.




L’affermazione di Reno, nonostante da una parte probabilmente sia stata inappropriata, dall’altra è riuscita a favorire la conversazione all’interno del gruppo. Il sole è ormai sparito dietro la massiccia muraglia di monti ad ovest, ma non importa, perché i quattro vagabondano già da un pezzo per le vie fiocamente illuminate del paese. Tseng e Reno sono rimasti indietro, e parlano a bassa voce tra di loro con un’espressione seria in volto, mentre Cissnei ed Aeris camminano pochi metri più avanti, confabulando e aggiornandosi a vicenda sulla giornata appena trascorsa.
“Allora” esclama Aeris, tutto d’un tratto. “Che sai dirmi su quei due tizi là dietro?” domanda, facendo cenno con la testa alle sue spalle.
“Uhm.” Comincia Cissnei, pensierosa. “Credo siano due maniaci sessuali, faremo meglio a chiamare la polizia!”
Aeris non riesce a restare seria, e una risata le affiora sulle labbra, latitante, che si disperde per l’aria fresca della sera crescente.
“No, sul serio!” riprende poi, proseguendo. “Sembrano simpatici, vorrei sapere di più sul loro conto.”
“Beh, suppongo tu abbia già capito che tipo è Reno!” afferma Cissnei, gettando un’occhiata alle sue spalle. “Essere così sfrontato per lui è una dote, suppongo. Dopotutto, gli viene naturale!”
“L’ho notato anch’io. E di Tseng, invece?”
“Oh, tranquilla, anche lui è un gran simpaticone!” scherza quella, sarcastica. Poi torna seria, puntando lo sguardo verso la strada semideserta davanti a loro. “Tuttavia, sono entrambi miei amici da… beh, ho semplicemente perso il conto. In verità, era da un bel po’ che non li vedevo, ma adesso… eccoci di nuovo qui tutti insieme. E la cosa strana è che, nonostante sembra siano passati secoli, tutto tra noi è rimasto pressoché invariato. E di questo, ne sono felice.”
Immersa nei suoi pensieri, Aeris non la ascolta più. Osserva distrattamente i due ragazzi dietro di loro, e posa senza volerlo lo sguardo su Tseng, che ascolta senza commentare le parole che Reno elucubra senza posa, pronunciando qualche sillaba ogni tanto come risposta. Ripensa a Zack, a Cloud ed anche a Tifa, e, confusa e d’un tratto intristita, si chiede se senta davvero la loro mancanza.
Quello che le fa più male è che dentro di sé conosce già la risposta.




Cissnei e gli altri sono già stati altre volte in quel paese, ma per Aeris questa è la prima, e dunque lascia che siano gli altri a decidere dove andare. Entrano in un locale situato in una strada secondaria, un po’ piccolo e affollato, e prendono posto in un tavolo rotondo.
“Sembrate conoscere questi luoghi come le vostre tasche” afferma Aeris, che ha osservato i tre per gran parte della loro camminata.
“Più che altro, dopo tanti anni passati da queste parti, ormai la gente ci tratta come se fossimo di casa!” risponde Reno, bevendo il suo gin. “Oltretutto, il nostro Tseng è cresciuto da queste parti.”
“Davvero?” chiede la ragazza, incuriosita, rivolgendosi direttamente a lui.
L’uomo osserva il suo drink dall’alto, ammirando la trasparenza del liquido incolore. Poi alza lo sguardo, osservandola attentamente così come aveva fatto durante la loro presentazione.
“Sì” risponde infine, tornando a posare il suo sguardo sul liquore. “Ho passato parecchi anni della mia infanzia tra queste colline. Mio padre era americano, ma mia madre viveva da queste parti. E’ naturale che la gente conosca me e i miei colleghi.”
“E dopotutto, qui la gente è davvero simpatica, anche se ha qualche rotella fuori posto!” esclama Reno, incrociando le braccia dietro la testa. “Abbiamo la vecchia matta che parla ai suoi gatti, il tizio che urla durante il cuore della notte ed anche uno che è convinto che tutti gli aggettivi finiscano in istico.”
“Davvero inquietante, quest’ultimo” annuisce Cissnei, seria.
“L’unica cosa davvero inquietante di quell’uomo sono i suoi pseudo romanzi” taglia corto Tseng, prendendo tra le mani il bicchiere poggiato davanti a lui.
“Uh, hai ragione, sono orrendi!” asserisce Reno, assumendo un’espressione sdegnata. “Per non parlare delle sue raccolte di poesie... quando me le ha recitate stavo per strozzarmi con la mia stessa saliva!”
“Suvvia, non saranno poi così male!” gli risponde Aeris, un po’ divertita un po’ confusa dalle loro parole.
“Semplicemente molto peggio” aggiunge Tseng, lapidario.
Reno fruga nelle sue tasche, improvvisamente, e ne trae fuori un foglietto di carta stropicciato e lacerato in più punti, che ricompone malamente davanti ai loro occhi.
“Guarda!” esclama poi, mettendoglielo sotto il naso. “Un suo estratto. Lo tengo sempre con me, nel caso mi senta triste e mi voglia tirare un po’ su di morale.”
Prende il biglietto che il ragazzo le porge, curiosa e al tempo stesso scettica. La calligrafia è in alcuni tratti fitta e serrata, in altri larga e infantile: ma nonostante ciò, la gran parte del testo rimane comunque illeggibile.
“Mmm…” riflette pensierosa, dopo vari tentativi di traduzione. “Che cos’è esattamente un fodero pebistico?”
“Ah, sono felice che tu l’abbia chiesto!” le risponde Cissnei, ridendo. “Questo è stato argomento di numerosi nostri dibattiti!”
“Dibattiti inutili e che non hanno prodotto alcun risultato, aggiungerei.”
“Oh, silenzio, Tseng!” lo zittisce Reno. “E’ come studiare letteratura, solo che in più ci si diverte!”




La conversazione tra loro è svelta, semplice, diretta. Continuano così per gran parte della serata, alternando le loro chiacchiere ai bicchierini posati sul tavolo polveroso del locale. Ad Aeris tornano in mente decine di serate passate in questo modo, trascorse intorno al tavolo di un locale a migliaia di chilometri da lì, insieme a coloro che ha lasciato appena pochi giorni prima ma che le appaiono già anche fin troppo distanti. E’ ancora una volta preda dei suoi pensieri, che le riportano alla mente diverse serate al Croco passate in compagnia di Zack e degli altri. Tiene lo sguardo chino, osservando il ghiaccio galleggiare all’interno del suo cocktail: ed è tanto concentrata da non accorgersi nemmeno che qualcuno, nel momento stesso in cui lei ha abbassato lo sguardo, ha cominciato a fissarla.




D’un tratto, intorno alla mezzanotte, sente distintamente il ronzio del cellulare all’interno della  borsa. Sospira, quando, non appena lo prendi in mano, vede che il numero è lo stesso che da giorni la perseguita assiduamente.
Al tavolo, in questo momento, è da sola: i ragazzi sono andati a fumare una sigaretta, mentre Cissnei s’è alzata qualche minuto prima per andare in bagno. Osserva il display illuminato, e, per la prima volta da quando ha raggiunto la meta del suo viaggio, si sente improvvisamente distrutta, come se riesca solo adesso a sentire la fatica accumulata durante tutti i giorni precedenti.
Se prima ha solo ponderato sulle serate al Croco, adesso ne prova addirittura la mancanza. 




La voce del ragazzo è pacata come sempre, tuttavia le sembra di cogliere una vena di sorpresa nel suo tono, come se ormai, dopo giorni di tentativi, non si aspetti più davvero una risposta.
“Ciao” dice Cloud, in un sussurro appena udibile attraverso il cellulare.
Aeris risponde al saluto, atona, dirigendosi verso l’uscita del locale per avere più tranquillità.
“Non hai risposto alle mie chiamate” afferma lui, senza aspettarsi nessuna particolare risposta.
“Supponevo non ci fosse nulla da dire.”
“Non è così, e tu lo sai.”
Aspetta in silenzio cosa l’uomo abbia da dichiarare, e si pente già di aver risposto alla sua chiamata. Inspira l’aria notturna e, osservando le stelle ben visibili in cielo, si ricorda che questa è la sua prima notte circondata da quelle colline.
“Non hai più voluto parlare da quella sera, e hai smesso di venire al Croco. All’inizio pensavo mi stessi evitando, ma poi ho saputo da Zack che lo avevi mollato e che te ne eri andata, senza nessun preavviso!”
Sa che ha sbagliato, e che se il gruppo che si riuniva al Croco è stato spezzato è solamente colpa sua. Non ha bisogno che Cloud la aggredisca con le sue parole di biasimo, e le riporti alla mente gli avvenimenti che sono stati protagonisti dei suoi ultimi giorni insieme a loro. Ha deciso di andarsene per tagliare momentaneamente i contatti, e comprende che rispondendo alla chiamata ha fatto un enorme sbaglio.
La maschera dietro alla quale s’annidava l’inquietudine di Cloud è caduta, e il suo tono s’è fatto accusatorio e agitato. “Perché non dici niente?!”
“L’ho già detto che non ho nulla da dire.”
“E allora perché hai risposto alla mia chiamata, questa volta?” chiede lui, cercando di comprendere qualcosa che nemmeno Aeris capisce fino in fondo.




Pochi minuti dopo, lascia che il cellulare scivoli nelle profondità della sua borsa, mentre si biasima per la deliberazione avventata che ha avuto come esito quella sgradevole conversazione con Cloud.
“Credevo fossi rimasta dentro con Cissnei” dice qualcuno alle sue spalle. Si volta, sorpresa, e vede Tseng dietro di lei, appena sedutosi in una panchina al di fuori del locale, che la osserva, incuriosito.
“Ho dovuto rispondere a una telefonata” risponde lei, per giustificarsi, forse in un tono più scortese di quello che si sarebbe aspettata. “E Reno?”
“Ha bevuto un bel po’ di bicchierini ed ha incontrato un paio di ragazze un po’... beh, di facili costumi. Credo che non lo rivedremo almeno fino a domani mattina.”
“Ma lui e Cissnei non…?” comincia Cissnei, confusa.
“Lo credevo anch’io, in realtà, ma a quanto pare mi sbagliavo” la interrompe lui.
“Oh” esclama sottovoce Aeris, sorpresa.
Trascorrono alcuni minuti senza che nessuno dei due dica nulla. Tseng tira fuori il suo palmare e vi annota qualcosa, serio e pensieroso, ed Aeris, dopo un po’, comincia a fissarlo, divertita dalla sua espressione corrucciata.
“Che stai guardando?” chiede lui, alzando lo sguardo.
“Niente!” si affretta a rispondere lei, sedendogli accanto.




Da quel “Niente”, pronunciato senza riflettere e con la spontaneità che la contraddistingue, Aeris ha cominciato una strana conversazione con l’uomo che le è seduto a fianco. Tseng non parla molto, ed anzi, lascia che sia lei ad esprimersi per prima su ogni cosa, ma ha un modo di parlare breve e pungente che la incuriosisce sempre di più, e che la spinge a scavare maggiormente in ogni sua parola e in ogni suo pensiero.
“Mmm… e quindi tu sei cresciuto qui?” chiede, riprendendo il discorso che era stato affrontato ore prima all’interno del locale.
“Sì, ma non con i miei genitori. Ho vissuto presso mia zia per tutti gli anni in cui mi sono trovato da queste parti.”
“Davvero? E i tuoi dov’erano?”
“In America, per lavoro” risponde Tseng. Quest’ultimo, nonostante la reticenza iniziale, è finito per sviluppare un’insolita simpatia nei confronti di Aeris, e si dimostra molto più propenso a parlare rispetto a poche ore prima.
“E come hai conosciuto Cissnei e Reno?”
Sul volto di Tseng appare un sorriso strano, enigmatico, mentre guarda il paese che, ormai immerso nell’oscurità, dorme pacifico sotto le stelle. “E’ una storia un po’… bizzarra, in realtà.”
“Le storie bizzarre sono quelle migliori” risponde Aeris, sorridendo.
“Bene, tutto iniziò quando mia Zia Polly…”
“Polly?”
“Sì, Polly! Qualche problema?” chiede Tseng.
“Uh, no, vai avanti.”
“Dicevo,” continua Tseng. “che mia Zia Polly…”
“Mppf.”
“Cos’è che ti fa ridere di preciso?”
“Oh, niente!” risponde Aeris, seria e solenne.
“Hai qualche problema con mia Zia Polly?”
“Noooo.”
“Eppure ridi ogni volta che la nomino.”
“Ma nemmeno la conosco, non farei mai una cosa del genere!”
Tseng solleva un sopracciglio in risposta, mentre sul suo viso si schiude un leggero riso che incurva gli angoli della sua bocca. Non è un tipo facile con cui la gente solitamente va d’accordo, ma sono bastate poche parole di quella ragazza per far sì che qualcosa nei suoi confronti cambiasse. Abbandona il discorso precedente e si alza in piedi, guardandola.
“Facciamo un giro? Le colline sono ancora più belle, durante la notte.”
Ancora prima che risponda, lo vede nei suoi occhi, sa già che accetterà.




Appena fuori dal centro abitato, quando le luci dei lampioni diventano solo fari lontani, solo le stelle rischiarano la via delimitata da una vecchia staccionata polverosa. Camminano uno di fianco all’altra, in silenzio, e ad Aeris sembra che siano passati anni dalla telefonata di appena un’ora prima di Cloud.
“Non mi hai ancora detto come hai conosciuto Cissnei e Reno” decreta la ragazza all’improvviso.
Tseng sorride di nuovo, ripensando alla conversazione di pochi minuti prima. “E’ importante saperlo?”
“Hai detto che era una storia bizzarra” risponde Aeris, senza replicare direttamente alla domanda.
“E lo è, infatti!” afferma Tseng, abbandonando il sentiero e calpestando l’erba fresca rischiarata dalla volta celeste.
“E allora perché non è importante?” chiede, scavalcando la staccionata e seguendolo. Indossa dei sandali, e gli steli d’erba le solleticano le caviglie nude mentre cammina.
Tseng non risponde a questa sua ultima domanda. “Ti basti sapere che la prima volta che ho parlato con Reno è stata anche la prima volta in cui ho mandato qualcuno all’ospedale”.
Sorridendo, Aeris decide di non indagare oltre.
Dopo qualche minuto, Tseng prende nuovamente la parola. “Allora…” esordisce, continuando ad avanzare per la radura. “Che cosa ti ha portato in questa parte sperduta della Cina?”
“Sai che circa 24 ore fa Cissnei mi ha fatto la stessa domanda?” gli sorride la ragazza.
“E tu cosa le hai risposto?”
“Che dovevo staccare un po’ la spina, e che amo da sempre questa nazione, quindi diciamo che la scelta della meta è stata automatica” risponde lei, con sincerità. “La Cina ha sempre avuto uno spazio speciale nella mia immaginazione. L’ho sognata tante volte, e ho immaginato per anni come potesse essere nella realtà, al di fuori dai miei pensieri. Eppure sono sempre stata in errore, perché non potevo neppure immaginare che in verità fosse così meravigliosa, ancor più di come l’avessi ricreata nella mia mente. Da quando sono arrivata qui, tutto il caos che avevo creato intorno a me è come sparito. Chissà se mi sarei sentita lo stesso così, se avessi preso un qualunque altro treno diretto per chissà dove. Non avrei incontrato Cissnei, e, sicuramente, non sarei stata qui, a quest’ora della notte, in mezzo a questa radura…”
Lascia che le sue parole si perdano nella sottile brezza notturna che soffia instancabile, continuando a camminare senza una precisa meta, seguendo i passi di Tseng, un paio di metri avanti a lei. Fa alcuni lunghi passi per raggiungerlo e gli si mette a fianco, ma inciampa su una radice e cade, svanendo per pochi secondi tra i lunghi fili d’erba, prima di rialzarsi, ridendo.
“Ti sei fatta male?” chiede Tseng, serio.
“Naah!” risponde la ragazza, rimettendosi in piedi. “Anzi, adesso mi sento più sveglia!”
“Se lo dici tu.”
 Entrambi si fermano sotto l’albero dalle radici nodose nelle quali Aeris è inciampata, l’unico che si staglia all’orizzonte della radura.
“E tu?” Aeris riprende il discorso di pochi minuti prima, facendogli una domanda. “Che mi dici di te? Che cos’è per te la Cina?”
Tseng ci pensa un po’, forse perché non sa nemmeno cosa rispondere ad una domanda così ampia, forse per trovare le parole giuste per esprimere il suo sentimento. Poi pronuncia appena poche parole ermetiche. “Un po’ quello che è per tutti. Solamente un’illusione pretenziosa.”
“Eh?”
“Un giorno ti spiegherò cosa vuol dire.”
E mentre riflette sulle parole dell’uomo, lo sente avvicinarsi al suo viso, e posare le labbra sulle sue, improvvisamente.




Restano sotto quell’albero per parecchio tempo, tanto che nel cielo appaiono già i primi segni dell’aurora. Sono seduti sull’erba umida di rugiada, osservando la linea dell’orizzonte dove, appena visibili, si innalzano gli altipiani antistanti al Tibet.
Aeris, senza accorgersene, ha calpestato un fiore. D’un tratto lo trova, spezzato, accanto a lei, e ne osserva la bellezza appassita con occhio critico e nostalgico. Nonostante sia parecchio rovinato, ne riconosce la specie. E’ buffo pensare a come, nonostante sia a mezzo mondo di distanza, il nome di quel fiore continui a perseguitarla. Lascia che il Croco le scivoli dalle dita e si adagi sulla terra dalla quale proviene, prima che una folata di vento lo trascini nuovamente via con sé.




A metà mattina, quando il sole è già alto nel cielo, si sveglia tra le braccia dell’uomo nella sua camera alla locanda. Sorride: nonostante non abbia dormito molto, si sente tremendamente in forma. Tseng sta ancora dormendo profondamente, con il viso sepolto sul cuscino: lo chiama dolcemente, scrollandolo, ma lui non da’ segno di volersi svegliare.
Rimane ancora a letto, a fissare le sue palpebre chiuse, aspettando il momento in cui si dischiuderanno per guardarla.




“Sei al corrente del fatto che quando sono tornata dal bagno, tu non c’eri?” chiede Cissnei, un po’ scocciata, quando la vede arrivare trafelata a causa della corsa che ha fatto per le vie della città, per arrivare in tempo all’appuntamento che si erano date il giorno prima.
“Lo immaginavo” risponde Aeris, sorridendo. “Scusami.”
“Oh, non scusarti, tranquilla!” esclama l’altra, in risposta. “Mi hai dato la scusa per cercare Reno e quelle sue due puttane.”
“Cavolo, non sapevo conoscessi un simile linguaggio!” la canzona Aeris.
“Conosco campi semantici da utilizzare in occasioni diverse, a seconda della situazione” le risponde Cissnei, facendole l’occhiolino. “Ma comunque, dove sei stata?”
La ragazza le racconta tutto, col sorriso sulle labbra, sulla notte che ha passato in compagnia di Tseng; e Cissnei le sorride, comprensiva così come solo le vere amiche sanno esserlo.
“Però” le risponde colpita, alla fine. “Avevi proprio un buon motivo per andartene!”
“Via, non era quello il mio intento!” risponde ovvia Aeris, cercando di difendersi dalle accuse dell’altra.
“Oh, ma non puoi negare che non ti faccia piacere che sia andata così!” risponde lei, ed entrambe scoppiano a ridere, facendo voltare gran parte della gente presente in piazza.




La sera dello stesso giorno si riuniscono nuovamente nel locale del giorno precedente. Questa volta è Aeris che parla per la maggior parte del tempo, sotto le pressanti richieste degli altri tre. Racconta della sua vita, del suo lavoro, della sua infanzia, e tutti la ascoltano affascinati, interrompendola saltuariamente per fare qualche commento divertente.
“Sei una ragazza davvero straordinaria, Aeris!” esclama Reno, alla fine, levando il bicchiere come se volesse brindare alla sua salute e tracannandolo tutto in un sorso.
“Beh… grazie” risponde lei, imbarazzata per il complimento.
“No, dico sul serio!” esclama lui, sorridendole. “Hai idea di quante volte avevo visto Tseng sorridere prima di oggi?” domanda lui, indicando l’espressione rilassata sul viso dell’altro uomo. “Sono così poco abituato a vederlo così che se non lo conoscessi bene penserei fosse un’altra persona, tanto appare diverso!”
“Suvvia, non è vero!” gli risponde Tseng, ma non può negare che in quel momento gli angoli della sua bocca si siano incurvati in un sorriso.
“Come no, fai così tanti sorrisi che sembri ritardato!” urla Reno, dopo aver riempito nuovamente il bicchiere di gin tonic.
“Ricorda che è l’alcool a parlare, non lui” gli soffia nell’orecchio Cissnei, ma vedendo la sua espressione accigliata, si affretta ad aggiungere: “Almeno non fargli troppo male!”




Dopo un’altra notte passata insieme, questa volta sono svegli già all’alba. Fanno colazione insieme, passeggiando per le vie del borgo: non incrociano Cissnei né tantomeno Reno, e dunque trascorrono gran parte della giornata sotto le fronde ombrose dell’albero che sorge solitario in mezzo alla radura poco distante dal borgo.
Per entrambi sembra che siano i giorni più belli della loro vita.




Aeris si meraviglia di come, uno dopo l’altro, i giorni passino senza sosta al paese, come pagine di un libro sfogliate velocemente. Prima che riesca a rendersene conto, il locale sulla strada secondaria della prima sera diventa un punto fisso d’incontro tra i quattro amici, che ogni giorno al calar del sole si riuniscono davanti alla sua insegna luminosa. Per Cissnei, Reno e Tseng, Aeris è ormai parte integrante del loro gruppo, e allo stesso modo, nella mente di Aeris, i ricordi confusi delle serate al Croco lasciano il posto a quelli più recenti trascorsi con i suoi nuovi amici.
E poi, in una sera come tante, a due settimane dal suo arrivo, con il treno della sera giunge una novità nella routine della vacanza. E mentre Aeris si dirige in compagnia di Tseng al solito bar, si trova davanti agli occhi il volto grave di un ragazzo biondo a cui non ha più risposto durante le ultime due settimane.




Tseng se n’è andato via prima che potesse spiegargli qualunque cosa. Adesso Aeris cammina al fianco di Cloud, in silenzio, irata, afflitta e al tempo stesso delusa. Il ragazzo non le parla, nonostante abbia viaggiato migliaia di chilometri per raggiungerla, e si limita a lanciarle qualche occhiata alla luce dei lampioni che rischiarano il loro cammino.
“Perché sei venuto?” chiede lei, lo sguardo chino.
“Non hai più risposto alle mie telefonate. Di nuovo.”
“E’ stato uno sbaglio risponderti quella sera, non avrei dovuto.”
“Lascia che…”
“No!” lo interrompe Aeris. “C’è un motivo per cui me ne sono andata. Non ti è mai venuto in mente, che volessi solamente stare da sola?”
Cloud borbotta sottovoce, scocciato. “Ho visto come stai da sola.” esclama poi, indicando le loro spalle, nel punto in cui Tseng era sparito poco prima nell’oscurità.
“Lui non c’entra niente con questa storia” afferma irata la ragazza. “E neanche tu, a dire la verità! Non pensi a Tifa, e al male che le stai procurando?”
“Ecco il bue che dice cornuto all’asino!” ribatte l’altro, furibondo.
“Sei stato tu a baciarmi quella sera, non è la stessa cosa!” risponde Aeris, mettendosi una mano sugli occhi, e ascoltando il pulsare della sua testa dolorante.
“No, invece E’ la stessa cosa. Tu hai lasciato Zack, io ho lasciato Tifa. E se non l’hai lasciato per me, allora dimmi tu che cosa speravi di ottenere!”
“Volevo solo staccare per un po’ la spina!”
“E nel farlo ti sei resa tale e quale a me!” la redarguisce lui, con la voce venata di biasimo. “Non puoi accusarmi di essere stato egoista nei confronti di Tifa, perché hai fatto la stessa cosa a Zack. Entrambi hanno sofferto a causa nostra, e questa è una verità innegabile.”
E d’un tratto, senza nessun preavviso, pressata dalla verità dietro le sue parole, scoppia in lacrime.




Si sono fermati entrambi in una piazzale poco illuminato, sedendosi su una panchina. Cloud l’ha stretta a sé, cercando di consolarla, ma riesce ancora a sentire i suoi singhiozzi spezzati e aspri, e capisce di dover dire qualcosa, e comincia a cercare le parole adatta per scusarsi. Tuttavia, inaspettatamente, è lei la prima a parlare.
“M-mi dispiace…” comincia a sussurrare, con la voce rotta dal pianto. “M-mi dispiace sul serio…!”
Le sue parole sono flebili, colme di angoscia, amare.
Cloud le ha già perdonato ogni cosa e la stringe a sé ancora più forte, cercando invano di consolarla.




“Hai ragione” dice Aeris poco dopo, con gli occhi gonfi, guardando davanti a sé con lo sguardo spento. “Sono stata così… stupida, ed egoista…”
Cloud la osserva in silenzio, confuso e desolato dalle reazioni della ragazza.
“Non voglio più incontrare gli altri. Non… non ci riuscirei…”
“Ma...!”
“No!” lo interrompe lei, implorante. “Ti prego.”
“Ma è la tua casa.”
Non risponde, affranta. Lascia vagare lo sguardo tra le colline verdeggianti di quel luogo che ha imparato ad amare, durante i giorni in cui vi ha vissuto: e poi, quasi per caso, il suo sguardo si posa sull’albero nodoso su cui aveva inciampato durante la prima notte che aveva passato con Tseng.
“Non credo che lo sia più” mormora tra sé, in un sussurro appena udibile nell’aria.
“Come?”
“Nel momento stesso in cui l’ho lasciata, quella ha smesso di essere la mia casa” ripete, più forte, e in quell’istante capisce cosa Cissnei volesse dire durante la loro prima conversazione in treno. Si scioglie dall’abbraccio dell’uomo e si alza in piedi, lasciando a larghi passi la piazza; Cloud la chiama a gran voce chiedendole di restare, ma è troppo tardi, e, probabilmente, dentro di sé pensa già che il cercare di trattenerla è stata una delle poche imprese in cui ha sempre fallito.




I campi che circondano il paese odorano ancora di pioggia, dopo l’acquazzone di qualche ora prima. Oltrepassa la staccionata con un salto, e come quella sera di un paio di settimane prima cammina sull’erba alta della radura, osservando il punto in cui l’orizzonte tratteggia un albero sottile alla luce della luna.
Lui è lì, come aveva immaginato, seduto con la schiena poggiata al tronco, intento ad osservare le fitte fronde sotto le quali si è rifugiato. Gli si avvicina, lentamente, evitando le radici che sporgono dal terreno, sulle quali una volta è già caduta. Poggia una mano sull’albero, mentre con l’altra gli sfiora una spalla, delicatamente.
Tseng si volta verso di lei, apatico, senza dire nessuna parola. Ed è in quel momento, sotto la luce della luna calante alta in cielo, che Aeris decide di parlargli, una volta per tutte.
“Non sono stata del tutto onesta, con te, in verità” esordisce, la voce tremante. “Ho sempre evitato di parlare, in un modo o nell’altro, delle condizioni che mi hanno portato ad arrivare in Cina. Non perché credevo che fossero poco importanti, ma perché… beh, pensavo che fino a quando avrei potuto metterle da parte, questa magnifica vacanza sarebbe continuata. Ero disposta a tutto pur di eliminare dalla mia mente il pensiero del mio ritorno, e così ho cercato di creare qualcosa di nuovo, di ricominciare, e di creare un’illusione. Ma è giusto che tu sappia tutto, adesso, e che conosca l’identità di quell’uomo.”
Si interrompe, cercando di trovare le parole giuste, sperando in un suo sguardo che però non arriva.
“Sai, credo di aver capito perché, quella sera, mi rispondesti in quel modo, quando chiesi cosa fosse la Cina per te. Ed era la verità, perché mai come adesso mi accorgo di come avessi mal interpretato la sua vera natura, e di come tu, suppongo, avessi cercato di indirizzarmi nella giusta strada. E’ per questo che sento il dovere di rivelarti gli avvenimenti che mi hanno portato qui.
Quell’uomo si chiama Cloud Strife, ed è… beh, il migliore amico del mio ex-ragazzo, Zack. Lo conobbi una sera, in un locale chiamato Croco, dove io, Cloud, la sua ragazza e Zack ci incontravamo spesso. Per la verità, infatti, il locale era di proprietà della ragazza di Cloud, Tifa. Stavamo spesso lì, e ridevamo, discutevamo... erano serate meravigliose, un po’ come quelle che abbiamo passato noi quattro giù al paese. Ma... c’è una sera che da quando sono qui continua a perseguitarmi, ed è quella in cui decisi di andarmene da quel luogo. Sia Zack che Cloud avevano bevuto molto, e poiché Tifa doveva rimanere al locale anche dopo la chiusura, mi chiese se potessi accompagnare entrambi a casa ed assicurarmi che stessero bene. Accettai e accompagnai per primo Zack, poiché era quello che abitava più vicino. Io e Cloud rimanemmo soli. In quel momento, lui... beh, mi baciò, e approfittò del momento per dirmi che non amava più Tifa, e che voleva stare con me, nonostante fossi la ragazza di Zack. E’ stato per questo che il giorno dopo sono partita con il primo volo che ho trovato per la Cina, decidendo di fuggire.”
Conclude il suo discorso, e adesso, implorante, gli si mette accanto, sperando che si degni di guardarla, e che la perdoni, nonostante i suoi continui sbagli. E lui, incredibilmente,volge il viso verso di lei; ma non vi è traccia di alcun perdono nei suoi occhi, solo di una profonda tristezza.
“Quando pronunciai quella frase, due settimane fa” esordisce, con un sospiro stanco. “fu soprattutto per me stesso. Questo perché la Cina, dopotutto, è solamente la mia unica e personale illusione.”
“Che intendi dire?” domanda lei, confusa dalle sue parole.
“Intendo dire” comincia Tseng, affranto, “Che domani me ne andrò da qui”. Ho ricevuto un nuovo incarico che mi porterà lontano per due, tre mesi… forse anche di più. Io e gli altri partiamo domani all’alba.”
Aeris si stringe forte al suo braccio, mentre sente le lacrime ricominciare a cadere dalle guance.
“Sapevo di dover partire di nuovo da un po’,” continua l’uomo, amareggiato dalle sue stesse parole, “ma ho continuato a fare finta di nulla. Non sei stata l’unica a sbagliare.”
Aeris non può permettere che accada qualcosa del genere. Lo stringe con più forza, cercando di trovare una soluzione alle sue parole gravi.
“Ma ti aspetterò… non significa per forza che…!”
“No” la interrompe lui. “Non puoi restare per tutta la vita qui. E hai parecchi conti in sospeso con diverse persone, nella tua vera casa. Addio, Aeris.”
Tseng si scioglie dal suo abbraccio, e a larghi passi, senza neppure voltarsi indietro, abbandona la radura. La ragazza non prova nemmeno a fermarlo. Ha imparato a conoscerlo e sa che è testardo, ostinato e risoluto, proprio come lei.




Epilogo




E infine si ritrova in terre a lui sconosciute e che ha sempre pensato sarebbero rimaste tali. La neve fiocca in grandi quantità dal cielo, e la guglie della grande città gotica spariscono nel mare di nebbia in cui è immerso gran parte del territorio, in quel momento. Indossa un cappotto lungo e nero, che lo scherma dalle fredde sferzate di vento: non ne ricorda di così potenti, nemmeno durante gli inverni passati al paese, in Cina, camminando a capo chino per evitare i soffi gelidi di neve sul viso. Tiene un foglio di carta in mano, contuso e stracciato in più punti, su cui è annotato un indirizzo che guarda spasmodicamente, mentre avanza lungo il marciapiede e controlla ad ogni incrocio il nome delle vie.
Finalmente, dopo parecchi minuti di marcia, trova il luogo che cerca, semisepolto dalla grande quantità di neve caduta durante la notte; lascia cigolare la cancellata di ferro e la richiude alle proprie spalle. Il tonfo, attutito dalla neve, è a malapena udibile.
Arranca faticosamente attraverso il candore della neve che si sgretola sotto i suoi passi, facendolo sprofondare di pochi centimetri ad ogni movimento, finché non raggiunge l’agognata meta di un viaggio che si è perpetrato attraverso migliaia di chilometri e che è finalmente giunge a termine.
Davanti ai suoi occhi, sepolta in buona parte dalla neve, c’è l’effigie di pietra con il suo nome impresso sopra.
Aeris Gainsborough.
Si abbassa al livello dell’epitaffio, in modo tale da poter scostare con la mano la neve che impedisce di vedere parzialmente il nome impresso sulla lapide. C’è un vaso di fiori accanto alla lapide, che, per ironia della sorte o forse solo a causa della stagione, è vuoto.
Non dice nulla per tutto il tempo in cui rimane ad osservare i caratteri sulla pietra, vagando col pensiero nel passato, durante le due settimane in cui è vissuto al suo fianco ed ha imparato ad amarla.  Ripensa al loro tormentato addio avvenuto in quella notte di molti mesi prima e si rammarica di non essersi voltato nemmeno una volta, mentre si allontanava dalla radura, per imprimere la sua immagine all’interno della mente, al fine di conservarla per sempre.
Non può vivere di rimpianti: ma se c’è una cosa che ha imparato da Aeris durante quell’ultima notte, è che non è giusto lasciare questioni in sospeso, affidandole all’eternità. La sua visita alla tomba è un’occasione per chiudere il cerchio, per riporlo nella sua mente e continuare a vivere.
Il cellulare squilla all’interno della sua giacca; e mentre fruga nelle tasca interna con decisione, lascia un ultimo sorriso alla tomba semisepolta, prima di alzarsi e darle le spalle per sempre.




FINE



Okay, è un po’ insensato come finale, ma facciamo finta che sia qualcosa voluto da me per mobilitare le vostre menti e non lasciare tutto scontato (lo so che non me la cavo con così poco, ma devo provarci xD).
E’ stata un’esperienza interessante, dopotutto, ed anche un’occasione per cambiare stile e variare un po’. Ed anche per far sapere a coloro che un tempo mi seguivano su efp che non sono morto XD.


   
 
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