My first Gazetto’s
dream:
my
18th birthday!
“Oh, Yutaka!
Davvero è per me? Kami, grazie! Sei dolcissimo!”
«Linda!
Oh Linda, cazzo! Svegliatiii!».
!CABOM!
Ecco
il mio buongiorno.. «Anate,
sei una testa di Reita,
lasciatelo dire!» sbraitai alzandomi da terra indolenzita.
«Allora la qui
presente sweet lolita non esisterebbe!». Yuuwa aveva iniziato
a scherzare sul
solito “problemino” di Rei-kun.
Che
care! Anzi, che CARA! Mi aveva
svegliato così dolcemente che ora mi ritrovavo con un livido
enorme sul
fondoschiena. Anate era ancora a terra e rideva (sicuramente non aveva
sentito
cosa Yuuwa avesse detto a proposito di Ryo. L’altra invece,
ridendo anche lei,
si alzò dalla sedia della mia scrivania, e andò
in cucina. Sentivo profumo di
dolci.
«Beh,
allora?» mi fece Anate alzandosi.
«Beh, allora cosa?» continuai io senza capire. Se
avesse finito una frase, per
una volta nella sua vita, non sarebbe mai morto nessuno! Mi buttai a
peso morto
sul letto, chiudendo gli occhi, a pancia all’aria.
«Santo Mana-sama! Non dirmi
che te ne sei dimenticata!» gridò, portando le
mani alla testa. Sembrava
disperata.
«Eh...?».
Forse era il sonno che mi
rendeva più idiota del solito.
«Linda!
Oggi è 9!!!» continuò ad
urlare. «Ah, ok!» dissi guardando per aria. Rimase
in silenzio come me. Poi un
pensiero mi sfiorò la mente: spalancai gli occhi e scattai
in piedi. «Porca
puzzola, sono 18, oggi!». Non ricordavo davvero che quel
giorno avevo compiuto
18 anni dalle 8 di mattina. Anate prese a saltare, gridando come una
fangirl
esaltata durante un fanservice di Mana e Gackt. Mi abbracciò
«Auguri, amore
mio!» e iniziò a riempirmi le guance di baci.
Si
sentì Yuuwa gridare dalla cucina «Chi
lecca il cucchiaio di cioccolato e biscotti?». Io e Anate ci
guardammo con aria
di sfida, poi iniziammo a correre dall’altro lato della casa,
rischiando di
cadere più volte.
Ore
17:00.
Stavo
allacciando il bustino di
quell’abito della Mille Noir. Me l’aveva regalato
Anate insieme a un altro
costosissimo Moitié, solo che quello l’avrei messo
alle 9, quando saremmo tutti
andati a festeggiare per davvero, in uno dei locali più
costosi di Osaka,
partendo da qui, a Kobe, esattamente alle 6. Per cui, mi stavo
sistemando con
una certa calma, allegra più per il pensiero degli...
dell’invitato speciale,
che per la festa in sé.
Continuavo
a guardarmi allo specchio.
Forse la prima volta in vita mia che mi osservavo e pensavo
“Che bello, sei una
DONNA!”. Avevo i capelli acconciati in maniera molto simile
ad Hizaki dei
Versailles, con tutti quei boccoli dorati. Ero l’unica in
quella casa che non
portava i capelli tinti. Con gli anni si erano schiariti, diventando
color
miele. Mi pareva un peccato, anche perché per ora avevo
intenzione di vestire
rigorosamente gothic o kuro lolita, e troppi colori scuri poi, non
sarebbero
stati un granché.
Stavo
finendo di sistemare un
cappellino in pizzo, in modo da non doverlo riallacciare ogni cinque
minuti,
quando sentii squillare il citofono. Anate e Yuuwa iniziarono a
gridare,
chiedendo l’una all’altra di andare a rispondere.
Alla fine, ovviamente, quella
che si piegava era Anate, nonostante tutti i borbottii mentre
raggiungeva il
salone. La si sentiva benissimo anche dalla mia stanza!
Continuavo
a controllare che il trucco
fosse a posto, quando irruppe in camera la lolita con il fiatone.
«Ma che
cavolo...?» «Kai... sta arrivando» mi
disse richiudendosi la porta alle spalle.
Rimasi a fissare il muro per un po’, poi cacciai un urlo.
Corsi verso
l’armadio, prendendo le prime zeppe che mi capitarono sotto
mano. Mi era caduto
il cappellino e iniziai a maledirlo in tutte le lingue del mondo
più quelle
marziane e venusiane. Le gambe mi tremavano, come anche le mani,
così mi vidi
costretta a tentare di infilare le scarpe più volte.
Il
campanello. Era il campanello!
Sentii Anate correre nuovamente in salotto.
«Ciao,
Yutaka! Ci stiamo ancora
preparando, così...» «Oh, figurati! Mea
culpa, mea culpa! Sono venuto in
anticipo addirittura di un’ora!».
La
lolita piombò di nuovo in camera «Ti
dai una mossa sì o no?» mi disse fra i denti.
«Ci sto provando!» risposi mentre
tentavo di allacciare i cinturini delle scarpe. La sentii sospirare e
andare
via. Era di là! Yutaka era di là, e fra un
po’ mi avrebbe vista... vestita
così, che non riuscivo a riconoscermi neanche io.
Mi
avvicinai alla porta, presi un gran
respiro e mi avviai al salotto passando per il piccolo disimpegno. Mi
fermai
qualche passo dopo la porta. Lui era in piedi, a braccia incrociate, e
stava
vicino l’ingresso a guardare i quadri miei e di Yuuwa appesi
alla parete. Gli
erano sempre piaciuti, quelli della mia migliore amica, intendo. Si
voltò verso
di me sorridendo. Come avevo previsto, nel vedermi rimase un attimo
interdetto,
poi riprendendo a sorridere si avvicinò a me, tenendo
qualcosa dietro la
schiena. Ah, Yutaka! Chi se ne importa del regalo.
«Ciao!»
mi disse guardando in basso.
Era imbarazzato? Ah, sì, era imbarazzato!
«Eheh...» feci io come instupidita,
mentre lo salutavo con la mano. Non dovevo apparire proprio
intelligente in
quel momento. «Sei... beh, insomma... diversa...? Ah! Il tuo
regalo!» mi porse
un pacchetto blu con nastri rossi. Lo posai sulla libreria
lì accanto. Non
apparivo intelligente e neanche simpatica, così facendo,
nonostante continuassi
a sorridere anche io. Gli tornai di fronte. Ci conoscevamo da anni, era
il mio
migliore amico, ma quel giorno, per un motivo o per l’altro,
avevamo preso il
motivo del nostro incontro con un significato diverso.
Abbassai
la testa, smettendo di ridere
per un attimo, poi «Oh, Yutaka! Davvero è per me?
Kami, grazie! Sei dolcissimo!».
Lui iniziò a ridere «Ma se non l’hai
neanche aperto, baka!». Risi anch’io «Ma
ho sognato che ti dicevo così». Rimanemmo in
silenzio a guardare per terra.
Comunque sia qualcuno doveva darsi una mossa, no? E non so quale
convinzione di
poter anche solo provarci, mi spinse a fare una cosa del genere...
«Kai...» lo
richiamai sottovoce, facendo un passo in avanti per arrivare a sentire
i nostri
corpi che ormai si sfioravano. Ridacchiò appena
«Buon compleanno, Linda».
Portai le mani sulle sue spalle larghe, mi misi in punta di piedi (con
le zeppe
arrivavo appena all’altezza di Ruki!) e lo baciai.
Be’.. gli avevo appena
sfiorato le labbra ma era un progresso, no?
«Grazie...»