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Autore: avalon9    29/05/2010    12 recensioni
Il cielo di Atene? Di un blu crudo.
Ma è bello il cielo di Atene. E' bello. E può far male.

Per Aiolos. Gli ulitmi istanti di vita; gli ultimi pensieri. L'uomo. E il resto è mito.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A latere: Doveva essere per un contest

A latere: Doveva essere per un contest. Poi il tempo è passato, il contest si è concluso e la storia è rimasta a vegetare nel suo file per mesi. L’ho riesumata; e l’ho conclusa. Decisamente, scrivere la tesi mi ispira pericolosi voli pindarici. Ma su Aiolos erano mesi che provavo a scrivere qualcosa e alla fine è avvenuto questo parto. Perché – diciamolo pure – scrivere di Sagitter non è affatto facile, proprio no. E penso che questa one-shot spiazzerà un bel po’. Sia chiaro: io adoro Aiolos. E mi piace, l’aura di luce che lo circonda. Ma a volte penso che sia troppa luce. Penso che Aiolos non fosse tanto l’eroe che è ricordato, ma un ragazzino che ha giocato.

Ha vinto e ha perso. Ha vinto l’eroe e ha perso la vita.

Per me Aiolos è pieno di rimpianti, ma la sua forza sta tutta lì: nella scelta che ha fatto senza pensarci. Non se ne è pentito, ma non può, secondo me, essere del tutto contento. Lo rifarebbe? Forse; non lo so. Ho cercato l’uomo, qui dentro, non l’eroe.

Perché lo adoro, e questo è un piccolo omaggio alla sua umanità.

 

 

 

 

 

Come azzurro

 

 

 

 

 

O pater, o partria, o Primi domus,

saeptum altinoso cardin templum!

Vidi ego te adsante ope barbarica,

tectis caelatis laqueatis,

auro ebore instructam regifice!

Haec omnia vidi inflammari,

Priamo vi vita evitari,

Iovis aram sanguine turpari

.

Ennio, Andromacha

 

 

 

 

 

Il cielo di Atene.

Te lo ricordi, di che colore è il cielo di Atene? É azzurro. Il cielo di Atene è azzurro. Azzurro. Come il mare che guardavi dalla tua Casa; come il mare che, da bambino, ti faceva compagnia nei pomeriggi caldi di Grecia; come il mare che tradisce e porta via.

É azzurro, il cielo di Atene. Sopra la tua testa.

Te lo ricordi, il cielo di Atene? Te lo ricordi fra le colonne che si schiariscono con il sole che sorge; fra il sudore e l’affanno di giornate trascorse nella polvere e nell’olio. Dentro gli occhi di un compagno che ti è cresciuto accanto.

É bello, il cielo di Atene.

É bello anche adesso, fra gli architravi e i rocchi che sanno di polvere e ginestra. Ed è azzurro. E ti accorgi che era da tanto che non lo guardavi, il cielo di Atene. Se ne stava lassù, sulla tua testa, nelle giornate che sanno di impegni e nelle notti piene di stelle. Se ne stava lassù, con le sue costellazioni e il suo bagaglio di sogni. E tu non lo guardavi più, il cielo.

Non avevi tempo, alla sera, per guardare il cielo, negli uliveti sul fianco dei templi con l’erba alta e secca, con la terra brulla che sa di sole. Non ce lo avevi più il tempo di guardare le stelle; e il cielo di Atene se ne stava lassù e tu, giù, sulla terra, alzavi le spalle e chiudevi le imposte. Tanto c’è tempo, ti dicevi. Ci sarà tempo, dopo, per guardare il cielo.

E adesso, di tempo, non ne hai più, mentre il cielo lo guardi fra gli architravi e i rocchi che sanno di polvere e ginestra. Non ne hai più, di tempo.

Non lo vedrai più, il cielo di Atene. Azzurro. Come i fuochi della meridiana; come il mare negli occhi di Saga. E adesso il tempo lo vorresti, per vederlo diventare bianco e poi nero e poi rosso, il cielo azzurro di Atene. Negli uliveti sulle pendici del tempio, fra l’erba alta e le cicale.

Ti hanno insegnato che ci stanno gli dei, nel cielo. Gli dei capricciosi e un po’ umani, che ti guardano con un sorriso bastardo che sa di inganno. Si divertono a giocare, sai, gli dei. E della tua vita non gliene importa tanto. Si divertono a giocarla, la tua vita, con un tiro di dadi.

E qualche dio, adesso, se l’è vinta, la tua vita.

E il cielo di Atene – azzurro; e lontano – te lo puoi guardare, all’ombra di vecchie colonne che ti sembra di sentir raccontare. E ci stanno gli eroi, in quei racconti sussurrati dal vento; gli eroi che stanno in cielo, nelle stelle che hai imparato a cercare, quando il cielo ancora lo guardavi.

Quando il tempo era il combattimento che diventava un gioco, nel rotolare scomposto fra sabbia e olio; quando il tempo era una risata; quando il tempo era un amico che raggiungevi dalle terrazze della collina, una mela in mano e un dito sulle labbra.

Ci stanno gli eroi, nei racconti del vento. Gli eroi con le corazze lucenti e gli scudi che ondeggiano; gli eroi con le loro speranze e le loro imprese da tramandare, sempre un po’ false sempre troppo belle. E le ascoltavi, una volta, le storie di eroi troppo falsi e troppo belli. Le ascoltavi con le gambe al petto e gli occhi pesanti, nella voce stanca del Sacerdote. Le ascoltavi e ci credevi, alle storie degli eroi, belli come le stelle lassù, nel cielo di Atene. E con Saga le ripetevi, quelle storie ascoltate la sera, la bocca che sa di olive e la focaccia in mano. E Saga ci credeva con te, alle storie degli eroi che stanno nel cielo e ti diceva che ci sareste stati anche voi due, in quelle storie.

Saga.

A Saga piacevano le storie. Piaceva, alla sera, aspettare il Sacerdote, sulla panca dura del refettorio, la testa fra le braccia e sussurrare e dondolare perché di dormire ti devi convincere che no, non ce ne hai voglia. A Saga piacevano le storie, e gli piaceva guardare il cielo. Il cielo nero pieno di stelle; il cielo rosso nella polvere dell’arena; il cielo azzurro fra le tamerici.

E ti diceva: guarda il cielo, la testa all’indietro e un’ombra sciocca nel sorriso. Guarda il cielo, ti diceva, e brillava, bello e rassicurante. E a te, in fondo, del cielo che importava? Il cielo pieno di dei e di storie di eroi ascoltate su una panca. C’è tempo, per guardare il cielo. Tutta la vita, credevi; e tu a morire non ci pensavi. Di morire non ne avevi voglia, quando Saga scherzava con te, fra le colonne e gli ulivi.

É bello, il cielo di Atene. Azzurro.

Come gli occhi della Dea. Come gli occhi di una bimba.

E non lo vedrai più. Per quella bambina. Per quella bambina che hai stretto forte mentre correvi senza pensare; mentre correvi e la mente inciampava in ricordi, pensieri. Inciampava. In una maschera. In un viso. In un compagno.

In un cielo.

Per la bambina, hai detto. Per la bambina posso ignorare il cielo; per la bambina devo correre sulla terra. La terra; e non il cielo. Ci sarà tempo, per il cielo. Ci sarà tempo.

Pensavi.

E adesso il cielo di Atene è azzurro sopra la tua testa; è azzurro e ti sorride beffardo, senza dei e senza più eroi. Perché, in fondo, gli eroi non esistono, sai? Esistono le stelle; ed esiste il cielo. Ma gli eroi no. Gli eroi non ci sono, e tu te ne resti sdraiato fra i rocchi e il mirto mentre il cielo ride beffardo dei tuoi sogni e dei tuoi rimpianti.

E ci pensi, a quello che ancora devi provare. Perché di cose da fare ne hai ancora molte, piccole sciocche importanti cose fa fare. Ci pensi e ti dici che sì, le vuoi fare.

Le devi fare. E il cielo. Il cielo può ridere e ridere, ma il tempo per farle no, non te lo può portare via. Anche se tu non sei un eroe. Perché il cielo di Atene è bello, e una volta ci vedevi gli eroi e le illusioni.

Ma tu non sei un eroe. E di rimpianti ne avevi tanti, mentre correvi, una bambina fra le braccia impacciate. Mentre correvi e stringevi quella bimba e avevi paura di farle male, di sentire il male di ferite e pensieri. Mentre correvi e ti dicevi che di morire non ne hai voglia. Non vuoi. Ti ripetevi. E sì, c’era tempo. Ci sarebbe stato ancora tempo.

Anche se sotto il cielo di Atene tutto cambiava. E tu, cavaliere: tu che avevi sentito la lama nella carne e avevi visto quello che non avresti voluto vedere; tu che avevi deciso senza pensare, la bimba al petto e uno scrigno in spalla; tu che avevi dimenticato un fratello. Perché, in fondo, c’è tempo, c’è ancora tempo. Tu, cavaliere, il cielo ti ha chiamato traditore.

E adesso, sotto il cielo beffardo, a quello che hai fatto ci pensi.

Ci pensi davvero.

Alla Dea; ad una bambina. Al sorriso di una bambina che, chi lo sa, forse non è niente; solo il cielo nei suoi occhi tranquilli, mentre respirava sul tuo petto. Ci pensi davvero e senti i rimpianti per un fratello che hai abbandonato; per quella maschera che hai strappato. Per una vita giocata a fare l’eroe, sotto un cielo pieno di stelle.

Senti i rimpianti e di tempo ne vorresti ancora. Mentre preghi il cielo azzurro di Atene. Mentre preghi che no, non ti faccia morire. Perché di morire, tu, non ti rassegni. Perché non è giusto, dopo quello che hai fatto. Perché lo vuoi rivedere, il cielo di Atene, dagli uliveti sul fianco dei templi; lo vuoi rivedere, mentre Saga ti ride di fianco. Vuoi rivederlo, il cielo di Atene, sotto le stelle che sanno di eroi, dentro gli occhi della Dea.

Mentre preghi. E di morire non ti rassegni.

Mentre preghi e pensi che in fondo il cielo è davvero bello. E beffardo.

 

E te ne resti così, a guardare il cielo di Atene. Lontano.

Come gli occhi di un compagno.

Come gli occhi della Dea.

Di un blu crudele.

Bastardo.

 

  
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