Note
dell’autrice:
Bene. Ci siamo. No, non guardate me, io non
c’entro e sono innocente, è stato tutto merito colpa di quell’esserino
diabolico che prende il nome di BlueMary,
ormai soprannominata “La traviatrice”
che non si è mica accontentata di farmi conoscere questo fandom; no,
ovviamente. Lei è andata oltre, perché prima mi ha fatto perdere la testa per
il carissimo Alby Wesker,
l’uomo
perfetto che tutte le donne vorrebbero avere <3 (rischiando di fare
così
ingelosire il mio adorato Itachi Uchiha) per poi spingermi a scrivere
qualcosa che sfociasse vagamente in una Wesker/Claire. E diciamolo pure
dai, ha fatto bene dato che è stato amore a prima
vista per Wesker oltre che per questa ship <3 Sono così perfetti assieme *__*
Oh, e menomale che il giorno prima di
scrivere questa fic le ho praticamente detto “Chi? Io scrivere su di loro? Ma anche noi! Figurati se mi metto a
rovinare questo fandom e i suoi personaggi!” Eh… infatti, si è visto XD Quindi, ripeto, la
responsabilità è tuuuutta di Miss Traviatrice 2010 che, a quanto pare, è
rimasta contenta del risultato finale.
Scherzi a parte, è davvero un piacere
essere qui, dato che mi ha permesso di uscire da quella specie di blocco dello
scrittore che da mesi mi bloccava. Quindi, questa piccola storiella, scritta
senza alcuno scopo di lucro, dove i personaggi appartengono a chi li ha creati,
è dedicata tutta a lei oltre che a Calbalacrab, mia, ormai, compagna di traviate <3
Storia che partecipa allo Sfigafandom di FW.it, con il prompt “Resident Evil, Wesker/Claire, fiore dannato”.
***
“Buon giorno Miss Redfield, hai dormito
bene?” Le disse con voce suadente. La vide sussultare, e quasi si sorprese nel
vederla non rispondere.
Dandogli le spalle, Claire si limitava a
sistemarsi i capelli in una coda alta; eppure, nonostante tutto, non gli era
affatto difficile poterla immaginare mentre si mordeva a forza il labbro
inferiore in modo da reprimere la voglia di rispondergli. Ma sarebbe durato
poco, lui lo sapeva; dopotutto, la conosceva più di quanto lei conoscesse se
stessa.
Come
si divertiva a manipolarla…
“Oh, non te l’ha mai detto nessuno che è poco
educato ignorare le persone quando ti parlano?” le domandò con quella voce che,
sebbene fosse incolore, lasciava trasparire la derisione.
“Gente?”
Ghignò quando la vide voltarsi di scatto
mentre stringeva i le mani in pugni in una morsa dettata dalla collera
improvvisa.
“Quale gente?” aggiunse poi ironica “Io
vedo soltanto un mostro malato di potere che ha preferito rinnegare la propria
umanità per...”
Non fece nemmeno in tempo a completare la
sua frase che si ritrovò dapprima sollevata in aria da una forza sovraumana per
poi venire scaraventata con una violenza inaudita alla parete di quella cella
che da settimane era diventata la sua nuova dimora. L’impatto con il muro le
mozzò il fiato.
Sarebbe di certo scivolata per terra se una
morsa non avesse stretto il collo per
sollevarla affinché non toccasse con i piedi il terreno. Con incredibile fatica sollevò le braccia in aria fino a che le
mani non si posarono su quelle del suo carceriere, nella vana speranza di
rallentare la presa sul suo collo. Con gli occhi semichiusi che gli bruciavano
sia per il dolore che poteva sentire saettarle per tutto il corpo, sia per via
delle lacrime che cercavano di uscire, vide riflettersi il proprio sguardo attraverso
le immancabili lenti da sole di Wesker e, nonostante tutto, avrebbe tanto
voluto potergli strappare via quell’espressione calma e misurata con cui la
stava squadrando, facendola sentire niente se non un semplice insetto da
schiacciare. Ed era così umiliante il non riuscire a sottrarsi da quella
stretta d’acciaio, così come da quello sguardo.
“Pensavo di essere stato abbastanza chiaro
la prima volta che ti ho condotto qui, Miss Redfield. Eppure, noto che ancora
oggi tu non sappia cosa sia la parola rispetto.”
Oh come avrebbe voluto rispondergli lei, se
solo avesse potuto; ma tutto ciò che riuscì a fare fu sputargli in faccia,
dritto su quelle lenti scure. Fu allora che lui aumentò la pressione delle dita
impedendole quasi del tutto di respirare. Non poté evitare di tremare dalla
rabbia, collera e dalla paura per poi cercare, spinta più dalla disperazione
che da altro, di contorcersi in modo che Wesker la lasciasse libera. E quando
sembrava che ormai fosse finita, lui la lasciò andare all’improvviso,
guardandola mentre scivolava inerme ed inerte per terra, come una bambola usata
e priva di vita.
“Questo è l’ultimo avvertimento che ti do, Claire” Un brivido le percorse la
schiena quando lo sentì pronunciare il proprio nome di battesimo con quella
voce che, sebbene sembrasse priva di emozioni, lasciava trapelare tutta la minaccia che il suo
corpo le trasmetteva.
“Prova ancora a rispondermi in quel modo, a
prenderti gioco di me o a fare qualunque cosa che possa arrecarmi fastidio, e
mi vedrò costretto a farti del male, molto male, più di quello che stai
provando adesso” Disse mentre con calma studiata si toglieva gli occhiali da
sole “Siamo intesi?” Le lasciò il tempo di rispondere, ma notando che lei
teneva la testa bassa con la frangetta a coprirle gli occhi, quasi scocciato,
si abbassò in modo da prendere tra le dita il mento, costringendola, con forza,
a guardarlo dritto negli occhi, dove lei poté
sentire bruciare su di sé quelle iridi rosse come il sangue.
“Non mi pare di aver sentito la tua
risposta prima, Miss Redfield. Siamo intesi?” Ripeté lentamente.
Avrebbe tanto voluto rispondere di no e di
andarsi a fare fottere, ma il suo corpo sembrava quasi animato da una forza
misteriosa tanto da trovarsi ad annuire suo malgrado.
Wesker sembrava compiaciuto da quella
risposta perché, dopo averle sfiorato con una strana dolcezza i segni sul
collo, come se fosse costernato, si alzò
per poi volgersi verso la porta.
Stette lì qualche secondo e, prima di
chiudersela alle spalle, disse quelle parole che dal primo giorno non aveva mai
smesso di ripeterle, quasi volesse inculcarle e scolpirle in profondità.
“Ah, quasi dimenticavo, ti mando i saluti
dal tuo patetico fratellino Chirs. Sai, l’ultima volta che abbiamo avuto il piacere di conversare, non mi sembrava
poi così felice di vedere la sua adorata sorellina piangere addolorata, piena
di lividi. Che duro colpo per lui vederti così e non poter fare niente per
impedirlo, non trovi? E questo non niente, è solo l’inizio.
E pensare che un giorno sarai tu a farlo
quando vedrai la sua vita scivolare via dalle mie mani, Dear Heart.”
E
sarà presto, molto presto.
Attraverso le lenti scure dei suoi occhiali
da sole, lanciò un'occhiata sbrigativa all'orologio appeso alla parete laterale
della sua scrivania; accorgendosi dell'ora tarda, con gesto veloce, dettato più
dall'abitudine che d'altro, si apprestò a spegnere il suo portatile.
Non si accertò nemmeno di aver salvato
perfettamente il suo lavoro; non aveva bisogno di controllare, non quando lui
stesso poteva contare su qualcosa di unico e raro: la perfezione.
Perché lui non era altro che l'essere perfetto, e questo equivaleva
soltanto ad una cosa: a non errare mai.
Avrebbe potuto anche stare lì tutta la
notte – non sarebbe stata di certo la prima volta – per sentire il dolce sapore
della sensazione di fatica sciogliersi via come la neve al sole, per poi
ritrovarsi a deridere l'inutile capacità di quegli esseri umani, stolti e
inutili, di dover sottostare ai limiti imposti dal loro corpo umano. E allora
si sarebbe sentito onnipotente, perché avrebbe dimostrato, ancora una volta, di
essere superiore a tutto e tutti. Ma c'era qualcosa per cui valeva la pena di interrompere
il suo lavoro per quella notte, e non solo quella. Sorrise compiaciuto mentre
si alzava dalla comodissima poltrona di pelle nera per lasciare il suo
laboratorio.
Non c’era niente di meglio, e lui questo lo
aveva sempre saputo.
E poi, lui era un professionista, badava
solo al meglio, ed il meglio si otteneva solo con la logica, la pazienza e la
razionalità.
Non aveva di certo bisogno di lasciarsi
andare e coinvolgere dai sentimenti che quei patetici umani provavano nel
profondo fino a farsi schiavizzare. Di certo, non era adatto per farsi
comandare dalle emozioni, semmai era lui che lo avrebbe fatto, piegandole e
spezzandole al proprio volere.
Era nato umano, era vero, ma non era stata una
sua scelta, tanto che aveva preteso di pensare come un Dio, e lo era diventato
davvero.
Lui non era altro che colui che avrebbe
sostenuto il mondo sul palmo della propria mano, tessendo quei fili che
avrebbero manipolato i suoi abitanti, dominandoli e possedendoli uno per uno.
E se quel Dio, in cui tanto gli umani dicevano
di aver fede, aveva concesso loro il libero arbitrio, lui lo avrebbe spodestato della sua presunta carica,
perché avrebbe distrutto anche la più misera delle loro insulse speranze.
Sarebbe stato colui che avrebbe deciso se schiacciarli o farli restare in vita.
Sarebbe stato la loro coscienza, il tutto o il nulla.
Ghignò malignamente mentre proseguiva la propria
avanzata, con le mani giunte dietro la schiena e la punta della lingua che
accarezzava le labbra, immaginando di poter sentire su di
esse il tepore del sangue versato per la sua causa, fino a scavare di più e scorgere
l’odore ed il sapore di quello più pregiato, innocente e candito come i petali
di un fiore che lui stesso avrebbe macchiato, quello della sua piccola,
indomita e coraggiosa preda: Claire Redfield.
Più la desiderava, più sentiva la bestia
dentro di sé urlargli di possederla. Più la bramava, più non riusciva a frenare
gli impulsi umani che, nonostante tutto, non era riuscito a domare, non da
quando c’era lei, la sua voce, il suo sorriso, la sua risata, il pulsare di
quel cuore a tormentarlo… e questo non gli faceva altro che desiderare di
poterla rompere con le sue stesse mani.
E l’avrebbe fatto, un giorno.
Oh, sì.
Era così caritatevole la sua Claire, e che
cosa avrebbe spezzato la sua candida anima se non vedere la gente che tanto
professava di amare, crollargli ai piedi senza volontà?
Oh, ma non sarebbe stata di certo solo una
preda lei; no, affatto. Sarebbe stato così… troppo
poco. Avrebbe assistito a tutto non
come una semplice prigioniera, ma come la sua
regina che egli stesso avrebbe incoronato. Avrebbe assistito al suo trionfo
senza tuttavia poterlo impedire, né ribellarsi, versando quelle lacrime che lo
avrebbero compiaciuto, perché l’avrebbe piegata al suo potere. Oh. Lei sarebbe
stata libera di potergli camminare accanto, ma pur sempre schiava dei suoi
desideri; così per sempre.
Sebbene non si era mai sottoposta ad alcun
addestramento, si era dimostrata all’altezza delle aspettative, gettandosi
nella mischia senza macchia né timore.
Ma com’è che si dice? Buon sangue non
mente, giusto? E lei lo aveva dimostrato con orgoglio tipico che caratterizzava
i Redfield.
Eppure c’era una cosa che lo faceva ancora
sorridere: nonostante fossero passati mesi dalla sua prigionia, nonostante le
torture, il dolore, la solitudine, non aveva mai smesso di ribellarsi e lottare
per quell’assurda libertà. Lo vedeva come un diritto che gli era stato
brutalmente negato.
Che strano, sbagliava o gli era sembrato di
essere stato abbastanza chiaro quando, dopo averla catturata, le aveva chiaramente
detto che non avrebbe mai più aperto le sue ali? Poiché lui stesso l’avrebbe
spogliata di quel mando candito, vedendolo strappare, giorno dopo giorno e una
dopo l’altra, ogni singola piuma.
Sarebbe
stato così piacevole.
Nonostante sapesse che non si sarebbe
svegliata tanto presto, almeno finché l’effetto del sedativo non si fosse
esaurito, si avvicinò a lei lentamente, quasi temesse di poterla destare dal
quel sonno profondo e privo di sogni. Ma
non di incubi, pensò. Perché se doveva tormentarla tanto quanto lei faceva
con lui, doveva farlo per bene, per continuare a gioire della sua
disperazione.
Allungò una mano fasciata dal guanto di
pelle fino a sfiorarle la fronte matita di sudore prima di sedersi sulla sedia
che da interminabili notti usava per osservare da vicino ogni singolo particolare
di quella creatura. Non era la prima nottata che passava così, a vegliarla e
guardarla, eppure non riusciva proprio a comprendere il perché non si fosse
ancora stancato di farlo. Anzi, sembrava quasi che ogni sera potesse scoprire una nuova sfumatura di quella donna che dormiva
ignara della sua presenza.
Forse era dovuto al fatto che solo così
poteva guardarla senza che lei ricambiasse lo sguardo con odio. O forse era
perché avrebbe potuto toccarla senza che lei si allontanasse, in preda alla
paura o al disprezzo, ma piuttosto si sarebbe avvicinata alla ricerca di quel
calore che nemmeno lui immaginava di poter tramandare con i suoi gesti.
D’altronde, quelle erano le mani di un assassino freddo e calcolatore. Di un mostro, come lei stessa gli aveva più
volte ripetuto.
Stranamente trovava piacevole il fatto che
lei cercasse il suo tocco, e la cosa non faceva altro che incuriosirlo e
affascinarlo al punto da chiedersi il perché non lo trovasse fastidioso o
repellente. Dopotutto, lui era sempre stato restio a qualsiasi tipo di rapporto
umano, fisico o meno che fosse; ma lei, lei era diversa. Lo stimolava in modi
che non credeva potessero esistere.
E poi, guardarla così propensa alle sue "carezze"… si domandava che cosa avrebbe detto o fatto lei se solo
lo avesse saputo: si sarebbe vergognata o avrebbe provato ribrezzo per se
stessa?
Oh, per sapere la risposta bastava soltanto
renderla partecipe dei suoi stessi gesti e sarebbe stato così divertente vedere
la sua espressione mutare al suono di quella verità tanto amara per lei quanto
dolce come un vino pregiato per lui.
Le sfiorò i capelli, lasciati liberi dalla coda
di cavallo, con una dolcezza che gli era sconosciuta, per far scorrere sulle
dita il colore di quelle ciocche ramate che avrebbero potuto competere con il
sangue, se solo fossero state più scure. Ma a lui andavano bene, erano perfetti
così com’erano. Lei era perfetta, lo era per lui.
Quasi si maledisse per non essersi tolto
quella guaina di pelle che gli proteggeva le dita tanto da impedirgli di poter
sentire al meglio la sofficità di quella pelle tenera come quella di un
bambino, per poi sfiorarle le labbra e sentirne il respiro caldo e smanioso di
chi è tormentato.
Povera piccola, innocente e dolce Claire,
che aveva lasciato la sua gabbia dorata, i suoi studi universitari, per
gettarsi dritta tra fauci del leone cattivo. E tutto per cosa? Per cercare di
salvare il suo adorato fratellino. Era persino disposta a morire per lui,
sacrificandosi, e sarebbe di certo stata una grande perdita quella della morte
della giovane Miss Redfield. E questo lui non lo voleva, non ancora.
“E’ davvero un peccato che nemmeno questi
sentimenti umani ti potranno salvare, sai?” Fece una pausa mentre continuava ad
accarezzarle, con gesti misurati e calmi, quasi volesse consolarla nonostante
il tono di voce e quelle sue parole che l’avrebbero lentamente uccisa
dall’interno. “Oh, no, anzi, sai cosa
penso… Claire?”
Fece scorrere le dita dell’altra mano fino a
sfiorarle il collo e accarezzare quei segni che egli stesso le aveva provocato durante
la sua ultima e vana ribellione, per poi
scendere, senza alcuna fretta, così da godersi ogni singolo attimo di quel
momento, in mezzo al solco tra i sui seni dove poteva sentire indistintamente
il battito accelerato del suo cuore. Chiuse per un attimo gli occhi, lasciando
la mano lì dove poteva sentire meglio, rilassandosi al ritmo di quel suono che
non era altro che musica per le sue orecchie.
“Penso che saranno la tua completa dannazione,
ti rovineranno un giorno. Ed io lo aspetterò con ansia, perché questo amore,
che tanto covi dentro, non farà altro che mostrarti la strada dell’eterna
dannazione che ti farà soffrire come non mai. E le emozioni che scorrono dentro
di te ti spezzeranno e addoloreranno al punto tale da non poter più tornare
indietro.
Ti conosco, Claire, so che, da brava essere umana, cercherai in me, tuo malgrado, la
compassione e la comprensione che non c’è e non è mai esistita, e questo ti
farà morire dall’interno, e quando lo farai, perdendo l’ultimo dei tuoi petali,
che io stesso ti avrò strappato a forza, sarà allora che risorgerai tra le mie
mani, per essere la mia prediletta regina. Il mio fiore dannato.
Sì, io sarò lì a guardare tutto, Dear Heart, per assaporare la tua
ossessione nei miei confronti e cibarmi delle tue debolezze, e solo quando
sentirò il dolce suono del tuo cuore frantumarsi in mille pezzi, e l’ultimo battito
scemare dal tuo petto, solo allora sarò soddisfatto… forse.”
La sentì rabbrividire al suono della sua
voce fredda e liscia come una lama tagliente e non poté fare a meno di
reprimere una risata. Era così bello poterla tormentare così. Quasi più soddisfacente
che uccidere Chris.
“Chissà come si sentirà il caro Chris
quando saprà che sarai diventata mia quel giorno? Non vorresti saperlo? Oh, ma
lo vedrai. Sarà solo questione di tempo. Ma dopotutto, io non ho alcuna fretta,
posso aspettare ancora e ancora il giorno in cui sarai mia, per poi farti
assistere al dolore negli occhi del sangue del tuo stesso sangue, prima di
ucciderlo lentamente. E solo allora potrai assistere alla venuta del tuo Dio.”
Fine
Beta: Naco chan, che ringrazio come sempre per il suo lavoro <3
Dear Heart: è il modo di Alby di chiamare
Claire in Resident Evil: Code Veronica.
Siccome non riesco a tradurlo in modo consono, perché il risultato finale è o
“troppo poco”, oppure “troppo troppo”, ho preferito lasciarlo così, che mi
piace tanto *__*
Bene, questo è tutto. Spero che questa
lettura sia stata di vostro gradimento, e chissà… alla prossima? Chi può dirlo
XD