Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |      
Autore: Edward    02/06/2010    5 recensioni
[Hibiki + Red] [HeartGold/SoulSilver]
Per Hibiki, Red era sempre stato una persona importante.
Fin dai tempi in cui non era altro che un dodicenne un po’ troppo entusiasta, piazzato davanti allo schermo gigante del salotto mentre sua madre passava l’aspirapolvere per la casa. Semplicemente seduto a gambe incrociate sul tappeto, gli era stato vicino fin dall’inizio.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The One Hundred Prompt Project Titolo:

Titolo: Metamorphoses

Fandom: Pokémon HeartGold/SoulSilver

Personaggi: Hibiki + Red

 

Genere: Generale, Introspettivo

Avvertimenti: One-Shot, What If, Missing Moments

Timeline: Final Battle

 

Argomento: 18° [Futuro]

Prompt: 87° - Destino

 

Note: L’ooc è quasi assicurato, ma visto che mi baso sui videogiochi, i protagonisti in teoria sono privi di carattere.

°Red e Hibiki sono, rispettivamente, i protagonisti di Pokémon Rosso/Blu/Giallo e di Pokémon HeartGold/SoulSilver

 

 

 

Metamorphoses

 Hibiki = Eco

 

 

Per Hibiki, Red era sempre stato una persona importante.

Fin dai tempi in cui non era altro che un dodicenne un po’ troppo entusiasta, piazzato davanti allo schermo gigante del salotto mentre sua madre passava l’aspirapolvere per la casa. Semplicemente seduto a gambe incrociate sul tappeto, gli era stato vicino fin dall’inizio. L’aveva visto combattere, e vincere. Passare da palestra a palestra, da percorso a grotta, perennemente tenuto sotto controllo da reporter e cameraman in cerca di scoop. Quasi si trattasse di un nuovo show televisivo, Hibiki lo seguiva con la fede incrollabile di chi sa, in cuor suo, di aver puntato su cavallo giusto il giorno delle corse.

Poi sua madre si era stancata di vederlo così ossessionato, e l’aveva spedito per giorni interi lontano dal salotto. Lui era uscito di casa, portandosi appresso la Radio, e cercando di non farsi vedere da Kotone si era messo al laghetto di Borgo Foglianova, sotto l’ombra degli alberi. Aveva passato i giorni seguenti con i piedi ammollo e una mano sulla manopola della Radio, cercando di sintonizzarsi da solo sulle frequenze della regione affianco, nella speranza di riuscire comunque a tenersi aggiornato. Come se fosse qualcosa di personale, come se Red fosse il suo eroe, e di nessun’altro. Come se, consapevole della breve distanza che li separava, avrebbe potuto percorrere quel tratto d’acqua in due semplici bracciate, e ritrovarsi nel mondo sconosciuto e affascinante che era la regione di Kanto.

E poi, quando sua madre si era dimenticata di quella storia, era riuscito a vederlo di nuovo.

Red era diventato forte, più di chiunque altro, e aveva battuto il Campione della Lega. Passando dai Super Quattro più forti di cui si fosse mai sentito parlare, era riuscito, di nuovo, a vincere.

L’ammirazione era restata tale per anni, in un’altalena di alti e bassi, tra scuola e pomeriggio assolati. Ma lentamente la fede era tornata ad essere passione, e la passione di nuovo distratta curiosità. Finché anche quella non se ne era andata, e Hibiki era diventato grande, quasi un uomo, ed era cambiato tutto.

 

 

~

 

 

Aveva le mani affondate nella neve ghiacciata, e lo sguardo fisso sul bianco accecante che aveva davanti. Aveva il fiatone, che poteva chiaramente sentir raschiare contro la gola secca, e i muscoli intirizziti dal freddo. La pelle arrossata dalle punta delle dita ai gomiti scoperti, e le viscere che gli si stringevano nello stomaco tanta era la tensione. Aveva freddo e caldo, segno che forse cominciava a perdere i sensi, ma non per via delle fiamme rossastre che Thyplosion sputacchiava ancora di tanto in tanto, a proprio volta esausto.

Prese fiato, rumorosamente, e nel rilasciarlo andare tossì e strizzò un occhio, sentendoli pizzicare entrambi tanto erano lucidi.

Non stava piangendo. Non realmente, non per un motivo preciso.

Aveva semplicemente passato gli ultimi mesi della propria vita a vagare per una regione che in teoria avrebbe dovuto essere casa sua, e che invece non riconosceva. Aveva viaggiato e combattuto, seguendo le indicazioni del Professor Elm, e si era fatto un nome. Era diventato qualcuno.

La neve si mosse, scricchiolando come pop-corn impazziti, e Hibiki alzò per riflesso lo sguardo. Nel farlo indietreggiò con il busto, finendo seduto con le mani paralizzate dal freddo, e si limitò semplicemente a fissare Red, tentando ancora di riprendere fiato.

Era diventato qualcuno, e al fianco della propria squadra era riuscito ad arrivare alla Lega. Si ricordava ancora come aveva riso nervosamente, la prima volta che aveva stretto tra le mani la Medaglia Levante.

Aveva battuto i Super Quattro –anche lui, c’era riuscito anche lui- e poi Lance. Era stata una sorpresa ritrovarselo lì, senza il minimo preavviso, affianco del proprio Dragonite.

Perché, nonostante la sorpresa –la felicità, lo sgomento- c’era stata una semplice domanda, pressante e continua, ad accompagnarlo per tutto il combattimento.

Dov’è Green.

L’uomo che era stato il precedente Campione, l’amico d’infanzia che era stato l’ultimo grande ostacolo di Red.

Alla fin fine, era semplicemente diventata un’ossessione. Le Palestre di Kanto, il Team Rocker, Green, il Professor Oak.

Il cuore di Hibiki batteva lento, sicuro, rassegnato.

Poi le mano ruvida di Red si strinse attorno al suo braccio, e sollevandolo di peso lo trascinò fin dentro il Monte Argento.

 

 

Il cambio di temperatura fu quasi doloroso.

Con la schiena premuta contro la parete della piccola grotta, la coperta pesante che Red gli fece cadere addosso sembrò dolorosa come ricevere un Geodude in pieno stomaco.

Hibiki tossì –e la gola gli fece un male cane- mentre sentiva prima un braccio e poi l’altro venir sollevati di nuovo, e di nuovo alzò lo sguardo per incrociare quello quasi impassibile dell’altro.

Nessuno dei due disse nulla, mentre Red gli infilava dei mezzi guanti un po’ malconci nel silenzio più assoluto, e lasciandogli andare le mani gli si accovacciò davanti, allungando un braccio verso la cintola.

Hibiki si tese appena, premendo la schiena contro la roccia –sentendo uno spuntone conficcarglisi nella carne- e si corrucciò.

Si rese conto che era quasi odio, quello che provava.

Red lo guardò di nuovo, fermandosi, e si portò una mano al viso, poggiando l’indice sulla fronte e il pollice sul mento, come pensieroso.

« I tuoi Pokémon. » disse poi, e Hibiki si rese conto –stupidamente, quasi- che il gracchiare confuso della televisione non era nulla confronto alla voce originale. « Hanno bisogni di cure. » continuò Red, indicandogli con un dito le Poké Ball rosse e bianche al suo fianco.

Ma Hibiki non rispose, non ancora –dopotutto, l’unica parola che gli aveva detto fino a quel momento era stata un rabbioso « Combattiamo. »- e si limitò a distogliere lo sguardo.

Red gli prese tutte e sei le Poké Ball, interpretando quel gesto come un cenno di assenso, e si alzò in piedi.

Lo trattava con indifferenza, come se non contasse nulla. Eppure per Hibiki era diventato qualcosa di personale, più che ai tempi in cui aveva solo dodici anni, e in quel momento non sapeva dire perché.

Green ancora non lo riconosceva come un vero Campione, e il Professor Oak continuava a ripetergli quanto gli ricordasse Red, le sue imprese, il suo continuo lavoro. Giovanni gli diceva che aveva il suo sguardo, lo sguardo di quel ragazzo che tempo fa l’aveva sconfitto.

Era frustrante.

Si raggomitolò nella coperta, stringendo le gambe al petto, e chiudendo gli occhi sospirò. Red neanche lo conosceva, dopotutto.

Quando li riaprì però quello gli era tornato davanti, seduto su uno sgabello di legno di fronte a lui, e quasi gli fece prendere un colpo. Forse gli avrebbe anche detto qualcosa –magari sarcastico o rabbioso, comportamento che decisamente non gli si addiceva- se quello non l’avesse interrotto prima.

« Sei Silver? »

Hibiki si rimangiò tutto quello che stava per dire, qualunque cosa fosse. Sbatté le palpebre un paio di volte, non capendo, e sentì tutta la frustrazione e l’umiliazione evaporare in un attimo.

« Che c’è centra Silver? » domandò quindi, corrucciandosi e inclinando il viso di lato, trovando poi estremamente buffo come Red reagì allo stesso modo, perdendo a sua volta quell’aura di intoccabile che aveva sempre avuto.

« Credevo fossi il figlio di… se non sei Silver, perché mi hai sfidato così, di punto in bianco? » replicò quello, e lo disse con un tono così confuso, scocciato e accusatorio che Hibiki quasi si sentì in colpa.

« Ehm. » fece per rispondere, grattandosi la testa scoperta –chissà dove aveva perso il cappello- con aria imbarazzata. « Io sono Hibiki. »

E abbozzando un sorriso forzato gli tese una mano, non sapendo che altro fare. Ma Red non ricambiò, continuando a fissarlo, costringendolo così ad abbassarla dopo poco. Poi sospirò, sistemandosi nuovamente sotto la coperta, e distolse lo sguardo.

« Sono il nuovo Campione di Jhoto. » prese così a spiegare, sperando che l’altro arrivasse alle dovute conclusioni da solo. « E di Kanto. » aggiunse, annuendo appena senza un motivo preciso.

Il silenzio restò tale per qualche tempo, e a quel punto Hibiki non seppe neanche più come continuare. Non c’era molto altro da dire.

Non sapeva neanche lui come spiegarlo. Lui non era inferiore a Red, lo sapeva. Ne era consapevole, e difatti non era quello ad infastidirlo. Avevano vissuto le stesse esperienze, seguito lo stesso percorso. Incontrato bene o male le stesse persone, le stesse sfide. Hibiki aveva persino dovuto, ad un certo punto, fare in modo che il Team Rocket -lo stesso che Red aveva sconfitto tre anni prima- evitasse di riacquistare potere. Era come se avesse dovuto

Da quel punto di vista, Hibiki era persino superiore a Red.

Eppure, ancora una volta, non bastava.

Red continuava a fissarlo, come a voler cercare di intuire il suo percorso mentale. Ma, forse non riuscendovi, qualche istante dopo interruppe i suoi pensieri.

« Mi hanno parlato di te. » disse mentre si alzava in piedi all’improvviso, riottenendo così l’attenzione -ma soprattutto lo sguardo- del più piccolo. Gli diede le spalle e, superando un paio di massi un po’ appuntiti, prese a muoversi per la grotta.

Che, nonostante il luogo sperduto in cui era situata, sembrava essere piena.

Di scatole e sacchi, di vestiti sparsi in giro e di fornelli a gas. C’era un pezzo di legno che avrebbe dovuto essere una scrivania –Hibiki ricordava ancora la sensazione della polvere sotto le dita, quella volta che aveva visto la stanza di Red- e cianfrusaglie varie in giro, disordinate e talvolta consumate dal tempo.

Il più piccolo continuò a fissarlo -sentendo man mano il freddo dissiparsi dalle guance arrossate fino alle punta delle dita- muovendosi appena.

« Il professore e Green. » riprese a parlare Red, dando a Hibiki l’impressione che non fosse molto abituato fare conversazione. Si chiese per la prima volta perché si trovasse lì, alla cima del Monte Argento, e perché avesse chiuso i contatti con il resto del mondo. Sentì un brivido e, di nuovo, si chiese se sarebbe mai diventato come Red anche in quel senso.

Un rumore un po’ forte, seguito da un jingle fin troppo familiare, lo riportarono nuovamente alla realtà.

« Ma non mi avevano detto saresti arrivato. Qual è il problema? »

Gli sembrava tutto fin troppo lontano. Quel posto, quel titolo di Campione a cui non riusciva ancora a credere. La sua vita, da tre anni prima fino a quel momento, era stata più e meno influenzata dalla presenza di Red.

Il completamento del Pokédex, le Medaglie. Kanto, il Team

Hibiki sorrise, corrucciandosi quasi incredulo, e si lasciò uno sbuffo dal naso che sapeva di risata.

« Non voglio essere te. »

E lo disse con la consapevolezza di chi non ha fatto altro che rimuginare per tutto il tempo e si ritrova la risposta lì, proprio nell’unico punto in cui non aveva guardato.

Aveva avuto sempre il terrore di non essere all’altezza di Red, quando in realtà non aveva fatto altro che emularlo. Hibiki voleva la propria indipendenza, la propria storia. Aveva cominciato ad interessarsi ai pokémon perché entusiasta delle lotte di qualcun altro, e quindi per riflesso, di conseguenza. Aveva lottato per somigliare a qualcuno che neanche lo conosceva, qualcuno che aveva influenzato così tanto la sua vita da renderlo una specie di brutta copia.

Hibiki voleva, in un certo qual senso, essere reale. Indipendente.

Vide Red tornargli davanti, e tenne alto il viso per seguirlo con lo sguardo. Quello poi gli si accovacciò davanti, di nuovo, e lo fissò.

« Che cosa vuoi, allora? » domandò semplicemente, prima di porgergli, dopo un attimo di pausa, tutte e sei le sue Poké Ball. « Combattere? »

Hibiki guardò le Poké Ball, e la mano nuda di Red. I guanti di quest’ultimo, che ora gli fasciavano le dita, e tutto quello che lo aveva portato fino a quel punto.

Sorrise, scuotendo la testa, e si riprese i pokémon.

« No. » rispose, stringendosi un’ultima volta nella coperta prima di alzarsi, finalmente, in piedi. « Non ora. »

 

 

 

 

 

« L'eco è spesso più bella che la voce da essa ripetuta. »

Oscar Wilde

 

 

Metamorphoses

Fine

 

 

 

 

 

 

Scuse dell’autore

Note:

Lo so, farei meglio a lasciar perdere questo fandom, perché a quanto pare non fa per me. E’ una What if, e quindi “potrebbe anche essere”, ma sinceramente ci credo poco anch’io.

Il punto è che la parola “Hibiki”, in giapponese, vuol dire “Eco”. E quindi ho scritto tutto questo. Per di più è una palla introspettiva, e io con l’introspezione non c’azzecco niente.

In ogni caso. Ringrazio tutti quelli che hanno letto (ovvero io, il mio gatto e l’Istituto dell’Igene Mentale) e ne approfitto per ringraziate le persone che mi hanno recensito la precedente fic su Pokémon, Hi jack.

Speriamo bene.

Alla prossima.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Edward