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Autore: Kiki May    02/06/2010    4 recensioni
Vincitrice del meraviglioso contest Primaverile di Gold Insanity, la ficlet segue Saga in tre momenti precisi di una giornata particolare. Mattina, mezzogiorno, tramonto del suo compleanno. Occasione di rinascita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice:
Questa ficlet sognavo di scriverla da un po’. Più che altro, sognavo di dare agli amanti più tragici di Saint Seiya un happy end caramelloso e caldo. La formula finale è la traduzione latina di “nostro fuoco”.
Gli eventuali errori, papocchi e sviste, sono tutti da attribuirsi alla sottoscritta. Nessun scopo di lucro, puro fangirlism.
Vi rimando al sito del forum di Gold Insanity: goldinsanity.forumfree.it
Andateci! C'è gente meravigliosa!
Sono pieni d'iniziativa e sanno fare tutto! *O*

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Trenta Maggio

 

 

 

 

 

Aprì gli occhi, immobile e lucido.
Dalla finestra aperta, che dava sulla camera da letto, provenivano i rumori del mare e le urla dei pescatori di ritorno dalla mattinata di lavoro.
Un vento leggero muoveva le tende di cotone grezzo, profumando la stanza di fiori di zagara ed erba nuova, di sassi prosciugati al sole e strade polverose e deserte.
Saga si concesse un sospiro stanco.
Assaporò le labbra amare, cercandovi invano un retrogusto salino.
Prese un bicchiere d’acqua, per schiarirsi la gola.
S’alzò dal letto e lo rifece, guardandosi attorno con attenzione.
La camera era spartana. Fresca, nelle ore più calde del giorno, e candida, come la parte più intima di un tempio.
Sempre in ordine.

 

Si spogliò e lavò con accuratezza.
L’acqua, preziosa, mancava ogni tre giorni. Bisognava attrezzarsi con vasche di riserva e volontà ferrea di risparmio.
Indossò i vestiti tolti il giorno precedente, raggrinziti sulla corda chiara nel balcone.
Una coccinella s’era appollaiata sul colletto della maglia.
La fissò senza emozione, liberandola nel vento.
Si ritirò in casa per preparare la colazione.
Frutta fresca, un bicchiere di latte ed una fetta di pane.
Nel tagliare un’arancia scura, deglutì di desiderio.
La lama del coltello gli era parsa più lucida, voluttuosa e invitante del solito.
La strinse, percorso da un tremito d’eccitazione.
Serrando gli occhi a forza, schiuse il palmo sudato.
Indugiò un momento, portandosi i capelli dietro le orecchie, prendendo un respiro.
Per questo aveva chiesto ad Athena di allontanarsi dal Tempio.
Per imparare a sopportare.
Il ronzio delle zanzare, il rossore dei pomodori maturi, la voce della gente, la disperata realtà di ogni oggetto ...

Ogni tanto, si sentiva invadere da un estenuante senso d’impotenza, tanto forte da lasciarlo stordito e debole.
Doveva imporsi disciplina. Resistere.
Riprese il coltello al secondo tentativo.
Lo strinse e continuò a tagliare l’arancia a piccoli pezzetti.
Quando la macedonia fu pronta, si sentì soddisfatto e felice, salvo.
Nonostante la gioia, pulì la lama con precisione.
La scrutò.
La mise in tasca.

 

Il mercato del paese era più affollato del solito.
Aveva udito uno schiamazzo insopportabile appena uscito di casa e s’era affacciato dall’angolo della piazza che dava sulle prime bancarelle.
Erano piene di donne che cercavano di contrattare sul prezzo della merce.
Non si poteva che evitare quello spaventoso contatto umano di massa.
Con le mani in tasca – una era più fredda dell’altra – superò l’antico centro cittadino, incamminandosi per le vie che conducevano al porto.
L’aria si era fatta frizzante e piacevole, nonostante l’approssimarsi dell’ora di punta.
Affacciate alle case che davano sulla strada, anziane signore rammendavano lunghi calzoni di cotone, camicette candide per bambini.
Il pavimento di pietra lavica emanava un piacevole tepore terreno.
Pigramente, decise di sedersi qualche minuto in una delle panchine che circondavano un Ratto di Kore dalle linee troppo decise.
Non badò minimamente all’episodio storico scolpito nel marmo, abbassò il capo.
S’era tagliato un dito nel corso degli allenamenti che, nonostante lo stato di calma forzata, s’imponeva quotidianamente.
Avrebbe dovuto bendare meglio la ferita.
Venne distratto dal bussare di una manina paffuta sulla spalla.
Si girò, sgomento.
Una bambina, di cinque anni al massimo, lo fissava incuriosita.
Negli occhi verdi spalancati, riusciva a scrutare il riflesso del suo volto pallido.
“Hai freddo?” mormorò la bimba.
Non seppe che replicare.
Il vociare di una donna lo rassicurò.
“Lucia! Lucia!”
Il braccio della bambina venne catturato nella presa salda e preoccupata di quella che doveva essere la madre.
Saga considerò velocemente l’espressione indurita della donna.
Di nuovo solo, tornò al suo silenzio.

 

La spiaggia era affollata dai primi temerari dell’abbronzatura.
Ragazzini, in prevalenza, e studenti attrezzati di libri e fotocopie.
Si sedette a ragionevole distanza dal marasma universitario, prendendo un sorso d’acqua e mordendo svogliatamente il tramezzino che custodiva in borsa.
Quel modo distratto di mangiare gli ricordò i primi anni di addestramento al Santuario.
Quando, accanto a lui, si sedeva un compagno divertente, sempre abbronzato, che lo prendeva in giro con un sorriso.
Sentì un nodo in gola che, negli anni, aveva imparato ad sopportare.
Lasciò il resto dello spuntino ai gabbiani.
Avvertì uno spostamento di vento ed un dolce peso nella sabbia accanto a lui.
Si voltò sorridente.
Era Kanon.
“Ciao.” lo salutò, elemosinando le parole.
“Ti ho trovato finalmente! Credevo fossi all’altro capo della costa, ho dovuto fare un chilometro avanti e indietro!”
Saga annuì, lievemente dispiaciuto.
Osservò il sudore asciutto sul capo del fratello.
Offrì la sua mano.
“Nah … faccio io.” mormorò Kanon, passandosi la maglia sul volto. “Allora? Procede bene il compleanno?”
Saga fece spallucce.
“Al Tempio si parla di te …”
“Davvero?”
“Sì, puoi immaginare.”
“E cosa si dice?”
“Niente, Saga. Insomma … alcuni pensano che dovresti tornare. A nessuno è stato concesso un periodo di riposo lungo quanto il tuo, dopo la guerra con Hades.”
“Non è per riposare che …”
Kanon socchiuse gli occhi, riflessivo.
Squadrò severo la sagoma del fratello, dimagrito ed emaciato come nel pieno di un eterno inverno.
Trattenne i commenti più aspri.
“Dimmi,” cominciò. “Sono sempre così belle le giornate in questo posto?”
Saga sorrise stanco.
“C’è quasi sempre il sole.”
“Il luogo ideale, quindi, per riabituarsi alla vita …”
Seguì un silenzio pesante.
Kanon fece un giochino con le mani, chiudendo e riaprendo i pugni fasciati per abitudine.
“Ti ricordi? Lo facevamo in passato. Quanti anni abbiamo?”
Anche Saga mostrò una mano.
Come d’accordo, mimò la prima cifra ( un Tre ), lasciando al fratello il compito di tradurre in gesti la seconda.
“Tre … zero. Tre e zero.”
“Trenta.”
“Abbiamo trent’anni.”
Saga inclinò il capo e Kanon s’intrufolò nell’incavo del suo collo come un cucciolo smarrito, bisognoso di attenzioni.
“Sei via da tanto. Mi sento solo alla Terza Casa.”
Non completamente, però.
Da tempo, ormai, i capelli di Gemini avevano preso l’odore muschiato e forte di un amante oscuro, quasi come un segno d’appartenenza.
Saga, carezzandoli, se ne accorgeva ed era inaspettatamente felice.
Nonostante qualche sporadica fitta di gelosia ed una preoccupazione sempre presente – Kanon stava col nemico. Sarebbe sopravvissuto ad un’altra guerra? - era contento che il fratello avesse trovato qualcuno capace di amarlo.
Qualcuno capace di dargli tutto quello che, inconsapevolmente o con voluta cattiveria, lui gli aveva sempre negato.
“Sei via da tanto.”
Inaspettatamente, il gemello capace di ingannare un dio necessitava cure d’affetto continue.
Solo per lui Saga tornava ad essere generoso.

 

Kanon era andato via con la promessa di tornare al più presto.
Paterno, Saga gli aveva sistemato la maglia e le bende, porgendogli un regalino di compleanno.
Con un bacio, s’era allontanato in direzione dalla strada.
Il sole tramontava sul mare calmo, colorando il cielo di infinite tonalità d’arancio.
Saga cominciava a sentire il caldo e la fatica di una giornata all’aperto.
Con le mani in tasca – ed una era ancora piena – si diresse all’appartamento, vicino alla piazza.
Avrebbe voluto sceglierne uno in periferia, ma la terapia di incontro col genere umano sarebbe stata meno efficace.

 

Entrato in casa, Saga sospirò, poggiandosi ad una parete.
Stava morendo di freddo.
Sentiva il sudore nei capelli appiccicati al collo e i brividi continui che gli scuotevano le mani.
Si diresse in cucina a prendere del succo di pomodoro, nel tentativo di darsi forza.
Era ancora presto per cenare.
Udì il campanello, serrando gli occhi sfinito.
Perché quella giornata era tanto lunga? Come potevano disturbarlo ancora?
Tornò all’ingresso.
Aprì la porta, cancellando con un gesto deciso le lacrime che non aveva potuto trattenere.
La punizione era completa.

“Saga?”

Si volse altrove, tirando indietro i capelli che avrebbe voluto strappare.
Scosse il capo, sconfitto.

“Saga?”

Aiolos stava fermo dinnanzi a lui, con un inutile mazzo di margherite.
“Saga, perché non vuoi guardarmi?”
“Come hai saputo che ero qui?”
Una domanda secca quanto una fucilata.
Sagitter esitò un secondo, poi scelse di affrontare la conversazione con la lucidità dovuta.
“L’ho sempre saputo.” ammise, imperturbabile. “Ho letto negli occhi di Athena tutte le risposte. Ho scelto solo di rispettarti e attendere.”
“Non l’hai fatto.”
“Probabilmente sono le stelle che governano la mia nascita. Impazienti e focose, dopotutto.” Il sorriso di Aiolos era pieno di dolcezza, non tradiva alcun sarcasmo. “Tu, piuttosto, sembri avere molto freddo. Stai bene?”
Saga deglutì.
Tipico di Aiolos preoccuparsi anche di un assassino.
“Sì.”
“Non mi pare.”
Sagitter tese una mano per carezzare il volto dell’amico ritrovato.
Questi spalancò gli occhi, sgomento, allontanandosi di un passo.
“No, ti prego …”
La mano lo raggiunse comunque.
Era calda.
“Ti prego …”
“Per cosa mi preghi, Saga?”
Gemini strinse le dita tiepide, imprimendole nella carne.
Erano lisce e immacolate. La morte aveva cancellato ogni cicatrice del passato.
Erano tanto diverse dalle sue, ruvide e viscide di sudore freddo.
“Il tuo viso è gelido.”
“Lo so. Non posso farci nulla.”
“Io potrei riscaldarti, però.”
Saga socchiuse gli occhi, baciando la mano del compagno.
L’aspetto di Aiolos era ancora quello di un luminoso ragazzino innocente.
Per tanto tempo, Saga l’aveva sentito così incredibilmente presente da non percepire alcuna mancanza.
Aiolos non era più morto dell’usurpatore che si aggirava nel Grande Tempio, Saga non era più vivo del ragazzo ucciso e sepolto in fretta.
Cosa separava due cadaveri?
Il battito di un cuore? Il pulsare dei polmoni?
Formalità corporali, certamente.
Aiolos e Saga erano caduti insieme.
E, forse, solo Gemini era morto davvero, perdendo tutto il calore associato comunemente alla vita.
Che gli veniva offerto, ancora una volta.
“Potrei riscaldarti. Perché non me lo permetti?”
“Ho cercato di ritrovare l’ardore del mondo, ma ho fallito. Non rimane che arrendermi. Non sarà doloroso, comunque. Sono abituato al trapasso.”
Sagitter abbandonò i fiori ed estrasse da una tasca dell’amico un coltello da cucina, che sformava la manica.
Lo lasciò cadere a terra.
“Non ti sei ancora ucciso.”
“Non serve. Io sono già ...”
Impedendogli di completare la frase, Aiolos prese il volto di Saga nelle mani, in un gesto repentino e deciso.
Lo baciò con passione, scatenando un tripudio di sensazioni che, di certo, non potevano appartenere ai cadaveri.
Si staccò ansante, lasciando il compagno arrossato e sconvolto.
“Vedi? Te l’ho dimostrato adesso, amore. Sei vivo.”
Colmo d’emozione, Saga non poté che abbandonarsi ad un abbraccio disperatamente desiderato.
Assaporò il respiro di Aiolos, l’impeto naturale del suo fervore.
Scelse di arrendersi e lasciarlo entrare.
Era tempo di vivere.

 

 


Ignis Noster


 

  
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