Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: _Syn    04/06/2010    2 recensioni
1° Classificata al Contest indetto da signorino "L'ottocento stringe la mano al ventunesimo secolo [Kuroshitsuji & Son of Rust]
“Tornare all'ora del tè.” la voce dell'uomo vestito di nero rallegrò le ombre “Proprio da voi, Conte.”
L'immobilità del nobile scomparve quando i suoi occhi persero finalmente la pallida protezione delle palpebre. Il blu, due sfere nel buio, sciolse la propria regalità sullo sguardo nascosto del becchino.
“Non credo che quell'appellativo mi appartenga ancora.” replicò lui, pur sapendo che quella era un'identità che a stento egli stesso era riuscito a ripudiare. “Ma non posso dire lo stesso di te, Undertaker.” “Non posso liberarmi del mio appellativo, Conte. Non potrei neanche se lo volessi.”
Completa
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ciel Phantomhive, Undertaker
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: _BellaBlack_
Titolo: Kurohitsugi
Rating: Arancione
Genere: Dark, Introspettivo, Drammatico
Avvertimenti: Longfiction, What if...?, Shonen-ai
Numero scelto/canzone ottenuta: 17/ The world you live in
Presentazione: Questa storia potrebbe tranquillamente essere AU, tuttavia ho pensato che l'avvertimento What if fosse sufficiente. Prima di tutto: Sebastian non esiste, e se esiste sarà da qualche parte a lucidarsi gli stivali, in mancanza di argenteria inglese. Grell neanche, e se esiste starà cercando Sebastian seguendo l'odore del lubrificante degli stivali. Sarebbe più semplice, in effetti, dire che la fic coinvolge due soli personaggi principalmente (più alcune comparse più o meno importanti): Undertaker e Ciel Phantomhive. Dopo aver chiarito questo punto, passiamo avanti. Anzi no, un'ultima cosa: siccome le cose sono già intricate e non c'è il tempo di affrontare anche gli angeli ho semplificato le cose, altrimenti non sarebbero bastate 20 pagine – il limite – per narrare tutto. Spero comunque che la mia versione risulti sensata.

 

Il Conte Phantomhive ha diciannove anni e un passato oscuro con cui un becchino-Shinigami ha a che fare anche troppo. Ipotizzate per un istante che Sebastian non sia mai esistito (per i più testardi XD) – o mai rivelato, che sia nel suo bel mondo di demoni a farsi gli affari suoi – e che Ciel Phantomhive non abbia mai ricevuto il marchio. Immaginate che Ciel sia stato salvato dall'intervento di uno Shinigami. Immaginate che il lavoro sia stato svolto proprio dallo Shinigami Leggendario e che abbia stretto un “patto”con Ciel. Un patto chiamato Kurohitsugi. Kurohitsugi, come ho avuto modo di scoprire leggendo Bleach, vuol dire: Black Sarcophagus. Incredibile come si possa ottenere un significato così diverso eliminando semplicemente una lettera e cambiandone un'altra *O*. Incredibile come questo possa richiamare alla memoria la figura di Undertaker.

Le vicende prenderanno avvio a partire dal futuro, da cui poi si dipaneranno vari flashback riguardo il passato dei due protagonisti. Perciò, il Ciel di cui narrerò nel presente è adulto – ha 19 anni. Undertaker ha qualche secolo, ma questa non è una novità. Se tutto ciò vi schifa, chiaramente, questa storia non fa per voi. In pace. Alexiel.
Note dell'autrice: Prima che dimentichi... Questa storia nasce grazie ai Son of Rust e alla loro canzone “The World you live in”, come già specificato quassù. Non mi sono ispirata all'intero testo ma solo ad alcuni frammenti della canzone. Penso d'aver detto già tutto nella “breve” presentazione, perciò non mi resta altro da dire, se non: buona lettura.

Ps: in realtà un piccolo accenno a Sebastian c'è, vediamo chi riesce a scovarlo! :P

Note 2: Per spiegarvi questa "apparizione" c'è il mio profilo. ^_^


 

KUROHITSUGI

Black Sarcophagus

1° Classificata al Contest indetto da signorino "L'ottocento stringe la mano al ventunesimo secolo [Kuroshitsuji & Son of Rust]


 


 

Once again in a world of my own
With nothing left to do
Everything looks different now
Reality is seeping through

(Son of Rust – The World You Live In)


 

***


 

Siamo solo luci che illuminano bugie,

siamo luci colpevoli in cerca della verità ma incapaci di trovarla.

Siamo cacciatori di un futuro che è sempre un passo dietro di noi;

stupidamente ricerchiamo ciò che abbiamo abbandonato alla vista della prima luce.

La verità ha la forma della prima lacrima di un bambino,

la bugia il sapore dell'odio liquido, che scorre come lava dagli occhi.

( © _BellaBlack_ )


 

***


 

Prologo


 

La natura umana è davvero ingannevole.”

Probabilmente qualcuno aveva pronunciato quella frase in passato, usando parole diverse ma volendo intendere la stessa cosa. Gli uomini sono inclini all'inganno. O anche: Le scelte umane mirano sempre alla manipolazione e all'inganno, anche quando gli intenti sono dei più puri.

La purezza è destinata alla corruzione.”

Non sapeva, Ciel Phantomhive, se là fuori ci fosse qualcuno che stesse pensando la stessa cosa o che l'avrebbe pensata in futuro. In effetti, mentre beveva il suo tè seduto davanti al camino, su una poltrona di soffice velluto, cercando un briciolo di calore in quella sera invernale, si rese conto che non gli importava affatto. Che gli uomini pensassero o no, non poteva interessargli. Ne aveva conosciuti di esseri pensanti, ma non aveva mai avuto il piacere di giungere a positive conclusioni. Il pensiero è decisamente sopravvalutato, avrebbe detto qualcuno di sua conoscenza.

La tazzina di porcellana finissima restò immobile tra le sue dita, mentre gli occhi disperdevano guizzi di blu nel fuoco scoppiettante. Gli sembrava quasi di sentirla, la risata di quell'uomo. Shinigami o qualunque cosa fosse. Non ricordava che gli fosse mai importato.

Sì... lui avrebbe detto proprio così, per poi abbandonarsi ad una risata leggera, come un sibilo che scioglie paura nei cuori di chi non conosce le tenebre.

Immaginava che sarebbe giunto il momento, prima o poi, che la sua stessa natura l'avrebbe ingannato, trasformandolo in ciò che era sempre stato destinato a diventare. Dopotutto, erano state le scelte del Conte stesso a condurlo a quel giorno ormai sempre più vicino.

Tornare e ritrovare il mondo, tornare e immergersi forse un'ultima volta nella realtà. Cosa sarebbe rimasto di se stesso probabilmente Ciel Phantomhive non voleva saperlo. Non ancora.


1. Stelle nere


 

La fiamma guizzante, eternamente mossa dal desiderio di raggiungere vette proibite dove il fuoco divora persino il nulla, accarezzava con la propria luce parte del volto del ragazzo in piedi, le spalle rivolte al muro sporco e ricoperto di strani segni. Evitava di poggiarvisi direttamente, per evitare qualunque contatto con quella sozzura così palese. Egli, al contrario, conservava un'apparenza candida, pura; un'aura che sussurrava nobiltà e malinconia.

La parte del volto illuminata dalla luce della torcia assicurata al muro appariva completamente immobile, impassibile. L'occhio destro era socchiuso e solo una linea di fragile blu infrangeva l'unione del pallore di quella pelle. Pareva una macchia di vernice, lasciata lì apposta da un pittore esperto. Richiamava armoniosamente il completo blu genziana che fasciava il suo corpo, elegante, privo di qualunque imperfezione.

Sembrava in attesa di qualcosa o qualcuno, giaceva in quel luogo insieme al silenzio, respirando appena. Il capo leggermente inclinato in avanti avrebbe fatto credere che la sua attenzione fosse rivolta altrove, verso pensieri lontani. Ma tutto ciò che il ragazzo in verità ascoltava era il rumore assordante della luce intrappolata in quelle tenebre. Cercava una via per entrare, per sprigionarsi e sostare lì, eternamente.

Era tutta lì l'attenzione di Ciel Phantomhive.


Dall'altro lato della torcia, rumoroso come il cigolare di una porta che si chiude per l'ultima volta, si avvicinava una seconda persona. L'atmosfera vagamente dorata rimandava l'immagine di un uomo alto, dipinto nel nero delle sue vesti. Capelli lunghi e grigi si univano al rosa chiarissimo, un occhio attento avrebbe detto “bianco”, della pelle, muovendosi appena in quel luogo attraversato dall'immobilità. Eppure, era possibile percepire un leggero rumore: sinistro, ipnotico, paralizzante. Gli occhi celati dalla frangia lunga e irregolare, forse per un intuito incomprensibile, erano sicuramente ancorati alla figura sottile e silenziosa del Conte.

Le unghie placcate di nero, affilate probabilmente, graffiavano lungo il muro, intaccando ulteriormente quel silenzio che pareva dire addio e bentrovato contemporaneamente. Allo stesso modo, i denti bianchi, lasciati scoperti dalle labbra sottili e bagnate da un velo quasi invisibile di saliva, distruggevano il buio, rendendo vane persino le speranze della luce. Non era luce quella che fuoriusciva da quelle labbra, ma non era neanche ombra.

L'unico in grado di dare voce a quel mistero era Ciel Phantomhive, ancora e ostinatamente immobile al proprio posto, a un soffio dal muro. Le ombre silenziosamente abbracciate l'una all'altra mormoravano ipotesi e segreti. La luce imprigionata e debole piangeva lacrime prive di sapore, ancora ignorata dagli unici presenti che avrebbero potuto invitarla a entrare.

Era una legge che luci e ombre, forse all'inizio del tempo, avevano scritto sui battenti della porta che conduceva al mondo che solitamente chiamiamo “mondo degli uomini”. Fin quando l'ombra invisibile, egoisticamente rappresa attorno allo spazio vuoto e dispersa tra le iridi e il respiro, non avesse dato il permesso di entrare alla luce, essa sarebbe rimasta nel suo stato di perpetua agonia.

Un permesso chiesto agli uomini, sempre alla ricerca delle cose visibili, di ciò che si può toccare e rende solide le consapevolezze. La luce, in quel caso, avrebbe dominato. Ma non tutti ricercano ciò che la luce rende visibile; altri tengono gli occhi puntati su ciò che è ancora puro, protetto dalle ali spezzate del buio. E' lì che risiede la verità, quella che nessuno può vedere e che nessuno sa riconoscere.

Tornare all'ora del tè.” la voce dell'uomo vestito di nero rallegrò le ombre “Proprio da voi, Conte.”

L'immobilità del nobile scomparve quando i suoi occhi persero finalmente la pallida protezione delle palpebre. Il blu, due sfere nel buio, sciolse la propria regalità sullo sguardo nascosto del becchino.

Non credo che quell'appellativo mi appartenga ancora.” replicò lui, pur sapendo che quella era un'identità che a stento egli stesso era riuscito a ripudiare. “Ma non posso dire lo stesso di te, Undertaker.”

Non posso liberarmi del mio appellativo, Conte. Non potrei neanche se lo volessi.” replicò Undertaker, impaziente di avvicinarsi all'altro. Eppure, evitava di toccarlo, resistendo. Anni prima sarebbe stato così semplice finire alle sue spalle e sfiorargli una guancia, oppure arrotolare intorno alle dita quei capelli.

Condanna o privilegio...” sussurrò Ciel, vagheggiando il significato di quelle due parole. Il significato dell'una toccava quello dell'altra come le onde del mare si infrangono sul bagnasciuga per poi tornare indietro, in un ciclo eterno quanto il tempo. “Condanna o privilegio...”

Suppongo, Conte, che questo cambi da individuo a individuo.”

Oppure da compenso a compenso.” disse tagliente il nobile, azzardando un'occhiata fuori dall'ombra. Le labbra del becchino si curvarono armoniosamente.

Quali compensi credete siano destinati, a noi becchini?”

Alla luce il tuo stato è quello di becchino. Il tuo compenso si attiene alle leggi del mondo.” iniziò, allontanandosi ancor di più dal muro. Ormai, cresciuto più di quanto ricordasse, Ciel poteva perfettamente osservare il viso di Undertaker senza sforzare le punte dei piedi o lo sguardo. C'era qualcosa di diverso, oppure erano i suoi occhi a guardare tutto da un'angolazione diversa da prima. “Ma nell'ombra c'è più di quanto gli altri possano vedere.” concluse, senza imbellettare il discorso o fare giri di parole inutili. In quello non era affatto cambiato. Ma lo stesso Undertaker dubitava che il Conte fosse effettivamente cambiato. Forse il mondo, per quanto impossibile e fantasioso suonasse, ma non il Conte.

Tra gli altri, Conte, la vostra umiltà,” rise impercettibilmente “vi spinge a inserire anche il vostro nome?”

Se l'avessi fatto, in passato come ora, oggi non saremmo qui, becchino.”

Oh, sì, il Conte era ancora così divertente da costringerlo e tenere gli occhi chiusi per non farli bruciare.

E sarebbe un immenso dispiacere per entrambi.”


***



Undertaker aveva sempre tenuto in gran considerazione gli esseri umani. Pur non essendo divertenti allo stesso modo del Conte, riuscivano a strappargli una risata di tanto in tanto, - senza farlo apposta, chiaro – oppure a lasciarlo in silenzio; magari di fronte a una chiesa durante un funerale, insieme a tre fratellini che si chiedevano il perché della vita e della morte 1. Non domande filosofiche, profonde e piene di opinioni strappate dalle labbra di scrittori o personaggi importanti ormai belli che morti. Solo con occhiate curiose, “perché” assillanti seguiti da una tiratina alla maglietta sdrucita del fratello maggiore e uno scappellotto dovuto all'esasperazione.

A ben vedere, il paradigma dell'esistenza era tutto lì. Esisti per assistere alla morte, in una giornata di sole, e neanche sai perché. Esistere, alla fine, non significa crescere in una famiglia che ti coccola dalla mattina alla sera, o prendersi un ceffone da tuo fratello perché non sei abbastanza sveglia da capire le cose da sola. Esistere è solo avere la luce negli occhi, inconsapevoli, tuttavia, della propria immensa cecità. Vivere, poi, è tutta un'altra cosa. Ma quello, giustamente, non era l'ambito di Undertaker.

Per questo al becchino non dispiacevano gli umani, a differenza del Conte. L'ignoranza delle cose importanti e la piena conoscenza delle cose inutili è tutto quello che rendeva divertenti le giornate del becchino. Poteva guardarli e sapere che tutti, prima o poi, sarebbero finiti tra le sue fatali braccia, pronti a ricevere l'addio. Forse solo allora avrebbero spalancato i veri occhi, comprendendo ciò che avevano sempre avuto davanti allo sguardo. Ma alcune stelle sarebbero rimaste sempre nere. Sì, pensò Undertaker. Si dice che nel momento della morte tutta la vita ti passa davanti. Forse è vero, ma più veritiero di questa vaga affermazione è che il buio che ne deriva trova la propria causa in quell'ignoranza umana. E la finale luce bianca, per quanto potente possa essere, non scaccerà mai tutte le tenebre.


Il giovane Conte Phantomhive, anni prima, doveva averle viste molto da vicino quelle stelle nere. Forse, mentre sentiva la vita fluire via, aveva cercato di tendere le braccia nello sforzo di toccarle, prenderle e sbucciarle come fossero mele, per poi morderle e lasciarsi invadere dalla conoscenza perduta.

Era semplice immaginarlo, anche perché aveva partecipato a quel suo supplizio. Ma solo per un po'. Poteva ricordare bene quella notte e, per quanto suonasse banale e scontato, ricordava che fosse buia e tempestosa.


My greed, my fear, my tears won't come 2

I bambini possiedono dentro di sé una innocente forma di avidità. Desiderano le cose, ma non in maniera malata, ossessiva, che porta più guai che altro. Desiderano qualcosa che neanche conoscono, desiderano semplicemente per il gusto di desiderare, ma nessuno si sognerebbe mai di additare quella inclinazione come un peccato mortale. Fa parte del corso naturale dell'esistenza, con il tempo si affina, stemperato dalla buona educazione o dal buon senso. Certo, spesso parte del lavoro spetta ai genitori, ma la natura umana, oltre a essere ingannevole, si avvale di altre caratteristiche che neanche la migliore delle educazioni può sopprimere.

Siamo esseri umani abituati a soffocare la nostra reale natura, anzi, a mascherarla. Per questo l'inclinazione al male o ad abitudini dai più definite devianti – una soggettività di opinioni resa oggettiva da quel grande male che si chiama civiltà (forzata) – prima o poi torna a ruggire. Come un leone che azzanna il collo del proprio ammaestratore.

E pare strano, ma nessuno si rende conto che tale devianza altro non è che la stessa avidità che provavamo da bambini. Solo, è avvelenata da quello che diventiamo quando la civiltà compie il proprio lavoro come non dovrebbe. E' giudicata con tanta severità solo perché sembra innaturale in un uomo adulto e abituato al controllo. E' come guardare una quarantenne che cerca di entrare negli abiti che indossava a tre anni. Folle.

L'avidità è una follia che tutti coltivano e al tempo stesso falciano, per poi nascondere sotto il cuscino.

Undertaker, soffocando una risata per poi lasciarla rimbombare attraverso le viuzze londinesi, si domandò quanta di quella follia fosse nascosta sotto i reali cuscini della regina Vittoria.


Anche Ciel Phantomhive doveva aver avvertito quella innocente avidità da bambino, senza sapere che quella stessa sensazione divora il corpo degli adulti. Su di lui aveva l'effetto di una camomilla. Era un'avidità ben sfamata, poiché ogni suo desiderio infantile veniva esaudito senza che la fame diventasse troppo dolorosa. Desiderava giocattoli, attenzioni, compagnia e allegria. Era il mondo limitato di chi non è ancora riuscito a vedere quelle stelle nere, di chi non conosce l'odio e l'amore nella loro forma più pura, perciò più facilmente corruttibile. La forma d'amore che Ciel conosceva allora era quella semplice, conosciuta solo per metà, di una madre che ti bacia prima di andare a letto e di un padre che ti accarezza la testa e sorride là in alto, dove lui non poteva ancora arrivare.

Non sapeva, il piccolo figlio del Conte di Phantomhive, che quelle stelle nere sarebbero esplose prima di quanto potesse anche solo immaginare.

1 : Qui faccio riferimento alla scena dell'anime e del manga in cui Undertaker parla con i bambini che si trovano davanti alla chiesa in cui si sta celebrando il funerale di Madame Red. Ma Madame Red e il suo funerale, nella mia storia, non c'entrano nulla. Mi piaceva quella scena e l'ho decontestualizzata e generalizzata dalla trama originale. Madame Red, infatti, è ancora viva.


2 : Son of Rust, The World you live in


  
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