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Autore: mise_keith    04/09/2005    7 recensioni
FanFiction ispirata alla leggenda di Danae, fanciulla greca murata viva dal padre e fecondata da Zeus sotto forma di pioggia d’oro, secondo molti divenuta simbolo della volubilità e voluttà della donna. Cosa succederebbe se sogni ed illusioni dovessero scontrarsi con la dura realtà? Racconto di una battaglia per la vita e per la comprensione, senza bene, male, giusto o sbagliato, ma solo l’ineluttabilità delle proprie scelte.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Danae’s Truth

 

Title: “Danae’s Truth”

Author: mise_keith

Disclaimer: Ginevra Weasley appartiene a J.K.Rowling, e tantomeno Harry Potter (per carità!) e chiunque altro verrà qui citato (a parte la Silente della situazione che riconduco alla mia modesta e ripetitiva inventiva). Mi riservo solo di meritarmi disprezzo ed eventuali elogi per lo sfogo a cui qui è sottoposta.

Characters: Ginevra Weasley, Harry Potter, Draco Malfoy (e qualcun altro).

Genre: Angst/Drammatico.

Summary: FanFiction ispirata alla leggenda di Danae, fanciulla greca murata viva dal padre e fecondata da Zeus sotto forma di pioggia d’oro, secondo molti divenuta simbolo della volubilità e voluttà della donna. Cosa succederebbe se sogni ed illusioni dovessero scontrarsi con la dura realtà? Racconto di una battaglia per la vita e per la comprensione, senza bene, male, giusto o sbagliato, ma solo l’ineluttabilità delle proprie scelte.

Notes: “Danae’s Truth” (La Verità di Danae) è la mia prima fanfiction dopo tanto tempo. L’ultima l’ho scritta due anni fa. Oggi ritorno e ritento per mettermi ancora alla prova.

Il titolo è riferito sia al mito greco di Danae, murata viva dal padre e fecondata da Zeus sotto forma di pioggia d’oro, sia all’interpretazione che di questo dà Gustav Klimt, nel suo magnifico dipinto, fonte primaria della mia ispirazione, assieme alla mia particolare fissazione per i casi della vita che ci pongono di fronte a ciò che io chiamo “teorema della necessità”. Ovvero la costrizione delle scelte dataci dai precedenti insegnamenti ricevuti che ci spinge a convincerci di negarli o confermarli a seconda dell’intenzione. E che può portare ad una serie di diverse conseguenze.

Non è una fanfiction semplice. È contorta, in ogni sua frase, che può persino apparire completamente senza senso, estrapolata dal contesto. Spero solo di essermi avvicinata il più possibile alla meta che avrei voluto raggiungere. Di soddisfare chi vorrà leggere come ho soddisfatto me.

Dedicated to: Chiara (Thilwen) [E c’è da chiederlo?]

Thanksgivings: A Chiara (Thilwen), perché senza di lei tutto ciò non ci sarebbe mai stato, e la mia estate, come ogni mio giorno, sarebbe stata colma solo di rimpianti. Grazie, grazie sempre, grazie di tutto!

A Gustav Klimt, alla sua stupenda Danae, che è un po’ anche Ginny Weasley messa a nudo (in ogni senso), alla sua arte, all’amore di ogni suo quadro che è Storia ed è una storia.

A “Wish you were here”, Pink Floyd, canzone di questo mio anno, di lacrime e speranza di futuro, che ha saputo ancora una volta risollevarmi nel bel mezzo di questa fic.

A chi vorrà leggere.

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Prologo

 

Forse non ne era valsa la pena di precipitarsi fuori così, con quel freddo che serpeggiava lungo le braccia, sotto al mantello pesante e scuro dagli alamari sbottonati e scrostati, quel freddo che bloccava il cuore su un solo, lungo, unico battito, la mente in una morsa di gelo.

Aveva cominciato a nevicare giorni prima, da allora non aveva più smesso. La neve morbida e bianca si posava su altra neve ormai sporca e indurita ai lati della strada, assomigliava a polvere di zucchero mentre si librava nell’aria, si ritrasformava in desolazione appena toccata la chioma lunga e disordinata sulle spalle, la stoffa nera che copriva quasi casualmente le braccia conserte, le dita intirizzite, il suolo grigio e ghiacciato.

Chissà dove portava la strada, così lunga lì davanti, sembrava salire sempre più verso l’alto, o forse scendere troppo sotto la via fredda e silenziosa, oltre la stessa parvenza di vita dietro alle tende di ogni finestra, oltre il bianco sporco e incrinato dal fango, oltre l’incerta ed incalzante angoscia.

 

Dove sto andando?, pensò fermandosi al centro della strada, sola, inerme di fronte a se stessa.

Dove sto andando?

 

Ginny Weasley bloccò i suoi passi insieme al violento flusso che le invadeva il cervello, veemente e insensata corrente di ampi pensieri inconsistenti e rumorosi, calma Ginny calma.... Lungo respiro profondo, come diceva la mamma, ma la mamma non conta più respirare Ginny, calma....

Chiuse gli occhi, ansimando come se avesse corso per lungo tempo, le mani intrecciate nervosamente, le labbra tremanti, l’ansia e l’urgenza delle lacrime dietro alle palpebre sbarrate e il peso della troppa quiete scesa giù dai tetti grigi fin sopra alle sue spalle.

Dove sto andando? iniziò nuovamente a chiedersi il suo sguardo assente, mentre vagliava incurante il viale infinito davanti a lei, scandito da infinite plumbee case tutte uguali, infiniti grigi comignoli tutti uguali, infiniti mucchi uguali di neve sudicia e mattonelle sporche del marciapiede al lato del lunghissimo ed uguale nastro scuro della strada.

Si strinse ancora di più nel mantello e ricominciò a camminare, questa volta più lentamente, un passo davanti all’altro, calma, piano, calma, piano...

 

Cos’hai fatto Ginny?, si chiese. Non sapeva cosa ci facesse lì, in quella strada babbana troppo lunga per il gusto dei suoi piedi indolenziti. Non sapeva cos’era successo veramente qualche ora prima, forse erano state le urla di sua madre troppo forti alle sue orecchie insofferenti, gli sguardi di suo padre pesanti e delusi sul viso, il freddo, la tristezza in casa, densa e amara, le parole soffocate, sussurrate tanto piano da sembrare tanto poco importanti, perché erano sempre stati felici, dopotutto, non è vero mamma?

“No, Ginny, non possiamo essere felici della miseria.”; invece, un sibilo basso e penetrante, veleno nero che rode l’inconsapevolezza, alza le cortine dell’illusione, spinge oltre ciò che è stato verso l’oscurità di un presente sconosciuto.

Cos’è il futuro? L’acida e incapace tensione a casa? La fine infinita di questo nodo d’asfalto?

Perché tutto era cambiato così? Forse perché tutti avevano capito prima di lei come sarebbe andata, erano fuggiti in tempo?...

Ron non era riuscito a sopportare l’incombenza di un futuro trascinato per la sopravvivenza della famiglia. Era fuggito con Hermione, negli Stati Uniti, si diceva, pur di tentare una scelta che gli fornisse il beneficio di un dubbio possibile da costruire, insieme a lei, che aveva amato dal sempre di quel suo lontano primo anno ad Hogwarts, aldilà del naso all’insù e dei denti grandi, dei capelli crespi e della sua voce perentoria, nell’amore inevitabile della consapevolezza di non conoscere nessun altro così bene e così a fondo come il volto sempre accanto al proprio.

Il negozio di scherzi di Fred e George era fallito ancor prima di cominciare. Le loro ambizioni per quel che credevano un futuro a portata di mano li avevano portati ad affidarsi ad uno strozzino, che aveva stroncato quegli stessi sogni con i suoi interessi troppo alti. I signori Weasley dettero loro tutto ciò che era rimasto di anni di risparmi, e poi non li videro più.

Bill era stato licenziato. Sovrabbondanza di personale. Dopo tre mesi di proteste per la sua mancata liquidazione era stato riassunto alla Gringott, ma come fattorino.

Charlie era disoccupato. Faceva qualche lavoretto saltuario, sempre in Romania, non aveva voluto spostarsi dal luogo in cui aveva donato tanto amore ai suoi draghi, sequestrati dal ministero in allerta, ritenendoli possibili armi per l’esercito che  il Signore Oscuro andava raccogliendo lungo il suo cammino.

E Ginny, la piccola Ginny?

 

Troppi confini immaginari le erano rimasti indietro, nel tentativo di trovare una buona scusa per fermarsi.

Qual è la scelta più ovvia tra la peggiore delle certezze e il più incerto dei futuri?

 

Un enorme frastuono dietro di lei le fece perdere un altro battito. Si voltò di scatto, soffocando un singulto per i nervi.

Alla sua sinistra si spalancò con un per niente incoraggiante cigolio l’entrata di un autobus viola, a tre piani, alquanto sgangherato. Si passò la mano fra i capelli, portandoli indietro. Sospirò e salì i due gradini di fronte a lei.

Il conducente del nottetempo sfiorò con lo sguardo l’impetuoso fiume rosso sulle spalle della ragazza, indugiò sulle lentiggini fitte sulle guance, e chiese con voce incolore:

-         Dove sta andando?

Ginny ebbe un sussulto, chiuse gli occhi e si strinse nelle spalle.

-         A Diagon Alley – sussurrò sospirando.

 

*

Il viaggio era stato lungo, troppo lungo, o forse era la notte che sembrava non passare mai, scandita dai sonori sobbalzi del mezzo. Lei non aveva dormito. Si era seduta, fissando il velluto consumato del sedile davanti a sé, immobile, gli occhi grandi e ambrati spalancati sul silenzio, forse dentro al vuoto di se stessa; le mani abbandonate sul grembo non avevano che un sussulto a qualche scossa inaspettata.

La prima luce filtrò dal finestrino opaco accanto a lei, e solo allora spostò il suo sguardo fuori, oltre la caligine mattutina, verso un cielo annebbiato e spesso, ma graziato dal giorno.

Scendendo, accompagnata dal cigolio della porta scorrevole, fissò il fondo indefinito e lontano della via, anche questa troppo lunga e troppo silenziosa di fronte ai suoi occhi.

E ora? Busserò a tutte le porte chiedendo del mio destino? Sperando che vi sia un cantuccio anche per me nella carità della gente? Non c’è ambizione per chi vuole un presente, o crede di averne bisogno. Forse starò qui, a versare lacrime che non potrò neanche comprendere, perché finora ho visto tutto questo da sopra le spalle degli altri. Forse piangerò e fuggirò attraverso una goccia salata e cercherò la gioia di un fiocco di neve. Forse smetterò di esistere adesso e perderò me stessa e sarà tutto più facile.

Appoggiata contro un muro, qualcuno le scosse la spalla strappandola al suo pianto.

Due occhi fitti e pungenti come capocchie di spillo la colpirono in piena fronte quando alzò il viso, la squadrarono con attenzione, e arricciando il naso e inarcando le sopracciglia esclamarono:

-         E tu da dove salti fuori?

Ginny guardò la donna che le era davanti, bassa e ben piantata, vestita di un mantello nero e spesso, da cui emergevano due occhi azzurri gelidi e sottili circondati da qualche ciuffo ribelle e scuro.

-         I- io?

-         Hai bisogno d’aiuto?

 

  
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