We can stay like this forever... (Josh Groban, "Awake")
Possiamo stare così per sempre.
Sì, potrei farlo. Potrei
rimanere qui per sempre, con il vento che mi scompiglia i capelli fino a farmi
assomigliare ad una vecchia scopa di saggina. Potrei rimanere qui ferma su
questa banchina, a fissare questo stramaledetto treno che sta per portarti
lontano.
Mi hai salutata con una carezza leggera sulla guancia. Non hai osato baciarmi,
perché non eri sicuro che avresti saputo lasciarmi andare. Sono presuntuosa, lo
so, ma tu sei pazzo di me.
Sei pazzo di me, e sei uno che non cambia mai idea. Questo lavoro è
un'opportunità che non puoi permetterti di perdere, se vuoi fare carriera. E io
non sono nessuno per ostacolarti. Beh, sì, sono la tua ragazza. Ma questo non è
abbastanza.
Dovevo chiederti di venire a vivere con me un anno fa, quando ho traslocato.
Ora saremmo sposati. No, mi correggo, saremmo divorziati. So di non essere
fatta per il matrimonio. Forse non sono fatta nemmeno per la convivenza. Non
con te, almeno. Tu sei pulito, preciso, ordinato, ligio alle regole... mio
padre mi soprannominò la mia piccola Hiroshima.
Però sono dieci anni che ti conosco, cinque che ti amo e tre che usciamo
insieme. Sei il primo uomo che ho fatto conoscere ai miei. Vorrà dire qualcosa,
no?
Il treno inizia a sbuffare. Guardo il grande orologio della piccola stazione di
provincia. Tra due minuti smetterai di far parte della mia routine. Ci saranno
ancora gli sms di buongiorno, le telefonate, e ogni tanto ti vedrò e ti
stringerò tra le braccia... ma non cancelleremo più una prenotazione al
ristorante perché ci è venuta all'improvviso voglia di far l'amore, e non ci
addormenteremo più abbracciati nell'oscurità dell'ultima fila del cinema, e non
mi terrai più il broncio perché ti ho portato alla finale di coppa anziché alla
prima dell'ultimo film di Almodovar per il nostro anniversario.
Non posso fare a meno di pensare che finirà. Perché, lo sai, finirà. Non siamo
tipi da relazione a distanza. Abbiamo bisogno di vederci, di parlare a
quattr'occhi, di sentirci a vicenda. Basta, non devo più pensarci. Più
ci penso e più mi viene da piangere. Ma tra i due, lo sappiamo, non sono io
quella emotiva. Sei tu il sensibile, quello che si commuove guardando
bambini/gattini/vecchietti che si amano come il primo giorno. Sei un raro
esempio di uomo che sa piangere. Lo sei sempre stato. E sei riuscito a
cambiarmi così tanto che senza te, ora, non credo riuscirò ad andare avanti.
Sei su quel treno da cinque minuti, ma non ti sei nemmeno sporto a cercarmi.
Non ti vedo in nessuna carrozza. Dove sei?
Il treno inizia a muoversi. I finestrini sono sigillati, nessuno saluta
nessuno. Dove sono finiti gli addii strappalacrime che tanto criticavo? Voglio
piangere mentre ti guardo andare via. Anzi, voglio solo guardarti andare via,
perché sto già piangendo. Sul serio.
Abbasso gli occhi sul marciapiede. Questo stramaledetto asfalto ha più anni di
me. Mi chiedo di quanti addii conservi la memoria.
Il rumore del treno è scomparso. So che non ci sei più. Tengo lo sguardo basso
e continuo a piangere. Odio il fatto di non essere riuscita a dirti addio.
Sento ancora la tua voce dirmi che mi ami.
Sento ancora la tua voce sussurrare il mio nome mentre facciamo l'amore.
Nella mia testa c'è spazio soltanto per i tre anni che abbiamo condiviso.
Faccio la dura, ma sono una mammoletta.
Sento ancora la tua voce. Stavolta sul serio.
"Fanculo la carriera!"
Sorridi. Sorridi e per la prima volta in vita tua, attraversi il binario.
Sorrido. Anche io, in fondo, sono riuscita a cambiarti.