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Autore: Sweetie616    06/06/2010    5 recensioni
Il sogno di trovare un'anima gemella e un amore non corrisposto danno vita alle canzoni più belle...
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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18 luglio 2008
Alzai la testa dalla scacchiera, per guardare l’ora sul display del cellulare. Burton mi aveva di nuovo incastrato per un’interminabile partita a scacchi quando, in realtà, l’unica cosa che avrei voluto fare prima del concerto era rilassarmi con un buon libro. Per fortuna, di lì a poco qualcuno sarebbe venuto a chiamarmi per l’intervista… sì, dovevo essere davvero disperato, per considerare un’intervista come una via di salvezza!
All’improvviso si aprì la porta, e sulla soglia comparve… un angelo. Sì, non c’era nessun altro modo di definirla, se non un angelo. Era la donna più attraente che avessi mai visto in tutta la mia vita. Vestita in modo semplice, i capelli lunghi e ricci, gli occhi brillanti e luminosi di chi, oltre alla bellezza, può contare su un’intelligenza fuori dal comune.
“Scusate… lo so, avrei dovuto bussare, ma la porta era aperta e… ho anche sbagliato stanza! Cercavo Nutini!” disse, arrossendo.
“La porta accanto!” indicò Migè, ridacchiando.
Si scusò di nuovo, per poi chiudersi la porta alle spalle, sorridendo.
Annuii, come ipnotizzato.
Non mi accorsi nemmeno della voce esultante di Burton, ero rimasto a fissare la porta con gli occhi sbarrati e la sigaretta in bocca.
“Scacco matto!”
Una mano mi passò davanti agli occhi. “Oh…Ville, sei tra noi?”
“Eh?” borbottai distrattamente, tentando di spegnere la sigaretta che non avevo neanche acceso. “Sì…ok, bravo, hai vinto di nuovo. Vado a fare un giro, ci vediamo dopo. “ E uscii dalla stessa porta da cui, solo pochi minuti prima, era apparso il mio angelo.
Mi sentivo strano. Esattamente come ci si sente dopo una colossale sbornia… strano è dire poco, visto che non toccavo una goccia di alcool da più di un anno.

25 luglio 2008

“Questa canzone è dedicata a…. abbiamo suonato a un altro festival, una settimana fa, qui in Svizzera e… è stato uno sballo e… mi è capitato di incontrare la ragazza più carina che io abbia visto negli ultimi anni, mi ha lasciato senza fiato… e… non lo so, probabilmente non è qui, stasera, ma… deve sapere che è la cosa più carina che cammina su questa terra. Ho pensato a lei per gran parte della settimana e mi ha aiutato tanto a sconfiggere la mia depressione e… non so se mi ha visto, una settimana fa… ma è stato come un miracolo…. Lei è entrata nella stanza e mi sono sentito raggiante e stordito. Spero accada di nuovo…. Vedremo… questa è per te, baby…”

Partirono le prime note di Join me in Death, e chiusi gli occhi. Non volevo guardare Migè, che sicuramente mi stava fissando ad occhi spalancati, non volevo guardare il pubblico, che probabilmente mi considerava il solito, patetico, poeta romantico. Non volevo neanche pensare che lei potesse essere davvero lì, a vedermi rendermi ridicolo davanti a tutti. Non potevo essermi innamorato di una persona con cui non avevo mai parlato… nemmeno sapevo il suo nome, nemmeno sapevo se l’avrei vista di nuovo. Sospirai, pensando a lei. A lei, che per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, mi aveva ricordato come ci si sentisse ad essere vivi.

Helsinki, settembre 2008
“Quello che sto per dirti probabilmente non ti piacerà” esordì Seppo, mentre mi sedevo con poca grazia sul divano del suo ufficio.
“Non avevo dubbi” ridacchiai. “Cosa devo fare stavolta? Meet and greet con gente improponibile, darmi da solo in pasto alle fan inglesi…?” ridacchiai. Per fortuna mi ero svegliato abbastanza di buon umore…
“Niente di tutto questo” rise Seppo “vedo che sei preparato al peggio, quindi sapere che avrai per una settimana un’addetta marketing della Warner tra i piedi non dovrebbe essere così grave, no?”
“Una settimana?” sbiancai “ tra i piedi cosa vuol dire? Io devo lavorare, sto scrivendo, lo sai”
Seppo mi lanciò un’occhiata molto significativa.
“Ville, siamo obiettivi. Non stai facendo un cazzo, a parte stare chiuso in casa a cercare di mettere insieme qualcosa alla chitarra”
“Appunto, sto lavorando” dissi serio, accendendomi una sigaretta.
“Bene. Oltre a continuare ad ammazzarti di lavoro, ti occuperai di controllare Katie. Non mi piace molto l’idea di avere qualcuno della Warner qui a ficcare il naso. Tienila occupata, falle visitare Helsinki, portala in sala prove, quello che vuoi. E’ solo per una settimana, passerà in fretta.”
Spensi la sigaretta. “Un rifiuto non è contemplato, immagino.”
“Appunto. L’hai detto. Su, non sarà così terribile”

Helsinki, ottobre 2008
Sbuffai. Di nuovo. Ormai avevo perso il conto delle volte in cui avevo sbuffato da quando avevo messo il naso fuori di casa, un’ora prima.
Ero seduto sul mio divano preferito del Loose ad aspettare questa famigerata Katie, davanti a una… no, davanti alla terza tazza di caffè. Era in ritardo, e oltre a detestare i ritardatari, mi ero anche alzato dal letto con il piede sbagliato. Non era un buon inizio, assolutamente.
Poi la porta si aprì. La sigaretta mi cadde dalle labbra e uno sciame di farfalle sembrò iniziare a prendere il volo nel mio stomaco. No, forse questa settimana non sarebbe poi stata così orribile.
Katie era lei… la ragazza che mi aveva lasciato totalmente senza parole al concerto in Svizzera.
La settimana seguente si rivelò tutto fuorchè orribile. Perché quando salti giù dal letto alle 7 del mattino con il cuore che ti martella in petto all’idea di rivedere una persona , significa che quella persona è davvero speciale. Come era speciale ogni singolo momento passato con lei, in giro per Helsinki, in sala prove, o semplicemente seduti in un bar a parlare davanti a una tazza di caffè.
Ma una settimana è poco tempo… davvero poco, soprattutto quando vorresti trascorrere così il resto della tua vita.

“E così… dobbiamo salutarci” sospirò Katie “Grazie di tutto Ville, io… credo di non essere mai stata così bene con una persona che conosco appena” disse abbracciandomi.
Dapprima perplesso, la strinsi a mia volta.
Katie mi guardò, soffocando una risatina. “Hai una faccia…” disse, guardandomi di sottecchi “a che pensi?”
Che vorrei baciarti. Che vorrei avere il coraggio di dirti come mi sento da quando sei qui. Che vorrei che restassi qui, tra le mie braccia, per sempre…
“Non lo vuoi davvero sapere” tagliai corto, con un mezzo sorriso. Non ero mai stato bravo ad esprimere i miei sentimenti, e di certo la storia con Jonna non mi aveva aiutato a superare le mie paure…

Tornai a casa, rassegnato a tornare alla solita vita. Ero stravaccato sul divano, strimpellando distrattamente la chitarra, quando sentii bussare alla porta. Sperai che non fossero le solite fan invadenti, magari era semplicemente Migè che tentava di tirarmi fuori di casa.
Aprii la porta, e non avrei mai immaginato di trovarmi davanti Katie.
“Ho bisogno di sapere una cosa” disse, a occhi bassi, restando sulla porta.
La guardai, interrogativo. “Tutto quello che vuoi”.
“Lumnezia… quella dedica era… era per me?”
Migè. Qui c’era lo zampino di Migè, senza ombra di dubbio.
“Se fosse così… sarebbe un buon motivo per non ripartire, domani?” dissi, trovando improvvisamente molto interessante la punta delle mie scarpe.
Katie sospirò, gettandosi di nuovo tra le mie braccia.
“Ville…” sospirò “perché le cose non sono mai semplici?”
“Perché stai abbracciando il maggior esperto al mondo in complicazione della propria vita?” sorrisi, cercando le sue labbra.
“No, non è giusto” sospirò, allontanandosi da me improvvisamente “Io… non posso… scusami”
La guardai, smarrito. Avevo davanti una contraddizione vivente, in quel momento. Si capiva…si vedeva. Mi voleva, esattamente come la volevo io, ma affermava il contrario.
“Cosa..?”
“Sto per sposarmi” sospirò “Lui è un giornalista di Kerrang, stiamo insieme da anni, viviamo insieme. Non posso fargli questo, io… scusami.”
Corse via, fuori dalla mia vita, uccidendo l’amore con un bacio. La guardai andar via dalla finestra appannata, scrivendo sul vetro quello che non avevo avuto il coraggio di dirle.
L’ennesima dimostrazione che le persone, forse per paura, forse per non mettersi in discussione, scelgono sempre il percorso più facile: decidono di innamorarsi di chi hanno vicino.
E per una volta di troppo mi trovai a chiedermi cosa c’era di sbagliato in me. Perché scelgo sempre la via più difficile? Perché, a 33 anni, spero ancora che, per una volta, una porta si apra facendo entrare, come un raggio di sole, colei che cambierà la mia vita?

Febbraio 2009
Non avrei dovuto farlo, una vocina nella mia mente mi imponeva di lasciar stare, ma non la ascoltai. Salii sul primo aereo per Londra, deciso a dirle addio da lontano, a vederla con i miei occhi mentre faceva quell’unico passo che la allontanava per sempre da me.
Un’ombra scura in fondo alla navata, unico viso triste tra persone felici, la vidi avanzare verso l’altare, raggiante nel suo abito bianco.
Tornai a Helsinki la sera stessa, senza avvisare nessuno. Sotto una pioggia battente, chiamai un taxi e tornai a casa. Passai l’intera notte a scrivere, musica e testi di un album che racconterà il mio amore per lei, quello che non ho mai avuto la possibilità di spiegarle a parole.
E questo è l’unico modo che mi resta. Quando ascolterà l’album, quando ormai per noi due sarà troppo tardi, capirà ciò che provavo. E sarà un funerale acustico, per un amore mai nato.
   
 
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