Chiuse la borsa e lasciò che una lacrima salata le scendesse e terminasse la sua corsa sulla tela colorata. Si strinse le braccia e sconvolta dai singhiozzi, indiettreggiò finchè non si scontrò contro l'armadio. Scivolò a terra lentamente, dondolandosi per il dolore.

Mise una mano sulla bocca, per tentare di cacciare via quell'urlo disumano che la stava uccidendo.

Con una forza disumana si rialzò sulle gambe tremanti e riprese ad impacchettare le sue cose. Le lanciava a caso dentrò lo scatolone, le lacrime che copiose cadevano, le impedivano di vedere.

Si bloccò. La mano sospesa mentre afferrava un vecchio tomo di chimica farmaceutica.

Si voltò verso la radio e lo sentì.

Lui, la sua voce, la sua chitarra, la sua anima. Ricordò che l'aveva canticchiata qualche settimana prima. Erano in spiaggia ad fissare le onde impetuose del mare agitato. Lui l'aveva abbracciata, lei aveva avuto il coraggio di sorridergli, sentendosi un carnefice.

Le sue parole la colpivano come un martello pneumatico che instancabile, picchiava l'asfalto. Lì dove il suo cuore giaceva sanguinante.

Prese una vecchia palla da tennis e colpì violentemente la radio, che cadde a terra e si frantumò in centinaia di piccoli pezzi.

Eva fissò il pezzi della radio, finchè non vide le sue lacrime bagnare il pavimento.

________________