Soffio di Luna
Ovvero
Una favola di luce e di vento, di libertà e di regole, di adolescenza e di maturità
Se,
in un limpido pomeriggio d’estate, ti sdrai sull’erba e poi guardi con
attenzione in su, verso il cielo sereno, è probabile che tu scorga una microscopica
nuvola, lassù, nell’azzurro.
È
un semplice sbuffo di pallido candore, ed è probabile che tu non ti soffermi
nemmeno un attimo ad osservarla, e che distolga lo sguardo, per posarlo su un
fiore, uno stelo, o sull’orizzonte lontano; e dunque che non dedichi un solo
momento d’attenzione a quel piccolo mondo. Del resto, non puoi sapere che
quella piccola nuvola, sì, proprio quella, sia il magico regno di Libertà,
abitato dall’antico popolo degli Alati.
Sono
piccoli esseri antropomorfi, dotati di un ampio paio d’ali armoniosamente unite
alla schiena, di una splendida tinta opalescente.
Vivono
in perfetta armonia tra loro e con l’ambiente aereo che li circonda, si nutrono
del vento che li accarezza e bevono la luce della luna che sempre li abbraccia.
La loro comunità non ha bisogno di regole, tanta e tanto perfetta è la loro
sintonia d’intenti: una sola norma non può e non deve essere trasgredita,
quella che afferma che non bisogna mai, in nessun caso, superare i confini di
Libertà.
I
confini erano presidiati da alti cancelli d’argento azzurrino, e non era molto
difficile, scorgendoli da lontano, accantonare il progetto d’oltrepassarli, e
tornare alle proprie confortevoli abitazioni rassicurati nella propria codardia
dall’impossibilità dell’impresa.
Questo,
almeno, era ciò che pensava Soffio-di-Luna a proposito dei Confini: era un
giovane forse un po’ immaturo, senz’ombra di dubbio intelligente e decisamente
scapestrato, che considerava sciocche la maggior parte delle preoccupazioni di
chi era più vecchio, o anche semplicemente più saggio, di lui. Anche in un
mondo senza regole, accarezzava l’idea di infrangere l’unica disposizione che
nessuno avrebbe mai infranto.
Si
considerava una sorta di avventuriero: un esploratore coraggioso del mondo
ignoto, una mente aperta, pronta al nuovo, al diverso, al mai visto prima,
capace, con la sola volontà di scavalcare quegli alti cancelli d’argento, di
modificare il corso della Storia.
Fin
da quando era un piccolo alato di soli novant’anni –la longevità di chi vive da
sempre in completa libertà è sorprendente- si trastullava con quell’insinuante,
suadente pensiero: lui, Soffio-di-Luna, avrebbe potuto infrangere il più antico
tabù di Libertà, varcandone i confini e appagando così la propria intrinseca
vanità.
Soffio-di-Luna
crebbe, ed entrò in quella fase della vita che gli esseri umani, laggiù sulla
Terra, chiamavano adolescenza. In quei momenti il desiderio di oltrepassare il
limite si fece ancora più intenso, e ad esso si aggiunse il bisogno quasi
morboso di fuggire, scappare, andarsene definitivamente da quel mondo che, pur
così libero, non gli bastava.
Un
giorno, Soffio-di-Luna decise che non avrebbe potuto aspettare oltre. Fece i
preparativi in fretta: raccolse tutte le cose che desiderava portare con sé in
una cassetta, e se la legò in vita con un’apposita cinghia, secondo l’uso degli
Alati. Cibo per il viaggio non gli serviva: il vento spirava ovunque, e la luce
della luna, madre celeste e presenza costante, bagnava ogni punto del cielo.
Così,
almeno, pensava Soffio-di-Luna: non sapeva, l’ingenuo Alato, di essere ancora avvolto nella bruma
ovattata del proprio universo di pace.
Credeva
che la luna, sua protettrice, sarebbe sempre rimasta al suo fianco, incurante
delle sue scelte ardite e sbagliate. Credeva, in qualche modo profondo ed
inconscio, che la sua vita sarebbe sempre trascorsa serena, qualunque strada
tortuosa e ritorta avesse deciso di percorrere.
E
ovviamente si sbagliava.
Non andare, figlio, non andare!
Soffio-di-Luna
aspettò il calar della notte e, senza dir nulla a nessuno del proprio progetto,
uscì silenziosamente di casa e volò, sbattendo piano le ali, fino ai Cancelli.
La
sua pelle candida riluceva sottilmente nel buio, e i raggi della luna traevano
riflessi cangianti dal suo piumaggio traslucido. Soffio-di-Luna era felice, in
quel momento. Sentiva nel profondo del suo giovane animo di star compiendo la
cosa giusta: doveva lasciare quella nicchia sicura, e doveva farlo in quel
momento.
Fermati, figlio, rallenta la tua corsa!
Percepiva
con estrema chiarezza la necessità della fuga: era imprescindibile e possente,
e scorreva dentro di lui come un fiume in piena che rompa i propri argini.
Non
c’era nulla che sbarrasse la strada a quel desiderio: non c’erano affetti, non
c’era famiglia, non c’erano regole. Non c’era una sola, minuscola catena che
potesse impedirgli di scappare e di distruggersi, non un solo laccio che lo
tenesse legato alla propria vera Libertà.
Ti imploro! Non potrò essere sempre al tuo fianco!
Soffio-di-Luna
pensò solo a se stesso in quei momenti; sorrise, si animò, pianse e rise; per
un istante gli sembrò addirittura di non capire più nulla, di essere invisibile
e incorporeo, assurdo ed effimero: ma fu un attimo più breve di un battito di
ciglia, e superato quell’attimo, fugato ogni dubbio, il giovane Alato s’alzò in
volo.
Perché la mia supplica non giunge alle tue
orecchie, figlio mio?
Perché non ascolti tua madre?
Soffio-di-Luna
batté con forza le ali, sentì la
familiare sensazione dell’aria tiepida che le colpiva e si sentì levare in
alto, sempre di più, finché raggiunse le acuminate punte lucenti della cima.
Fu
allora che sentì nel suo spirito un sussurro che sapeva di disperazione e di
pianto. Era un mormorio quasi inudibile, ma sembrava che vi fosse concentrato
tutto il dolore dell’eternità.
Si
fermò ancora un momento, sospeso nel cielo sopra i Cancelli. Ascoltava.
Fermati!
Fermati, ti dico!
Ma
Soffio-di-Luna non sentì più nulla. Non c’era più spazio dentro di lui per
comprendere la verità di ciò che gli veniva detto, né tempo per soffermarsi a
riflettere sulle sensazioni fuggevoli di un istante. Nel suo cuore c’era solo
quella volontà di andarsene, giovane come l’aria ed antica come il mondo, che è
in qualche modo presente nella mente di ognuno.
Il
giovane Alato diede un ultimo battito d’ali, e fu fuori da Libertà.
Addio, Soffio-di-Luna, figlio adorato.
Ed
ecco, superati i confini, ogni libertà scomparve.
La
sua libertà era sparita, e con essa tutti i suoi sogni: scomparsi i
desideri e le speranze di una nuova esistenza, spenti gli aneliti, cancellate
le brame.
Tutto
si dissolse nel nulla e nel buio. La luce della luna, delicata come una carezza
e premurosa come un abbraccio, amorosa come può esserlo una madre per i suoi
figli, non riusciva più a scalfire quell’oscurità, né i suoi sussurri avrebbero
potuto infrangere quell’infinito silenzio.
Soffio-di-Luna
non ebbe più il sostegno dell’astro madre, e dovette sottostare alle regole
della Terra, che lo attirò presso di sé.
Sbatté disperatamente le ali, sentendosi cadere sempre più velocemente.
Guadagnò qualche metro, ma l’attrazione della Terra sembrò farsi sempre più
intensa, sempre più violenta. All’improvviso gli mancarono le forze, e
Soffio-di-Luna, che aveva osato varcare i confini della Libertà, precipitò al suolo.
Le
sue ali opalescenti brillarono nella notte, e se tu avessi guardato in alto, in
quel momento, non avresti visto altro che una stella cadente.
Addio, figlio.
Addio.