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Autore: willHole    06/06/2010    4 recensioni
Un favola sulla libertà, sulle sue deviazioni e sul suo valore intrinseco, nonché sul desiderio di fuga e la mancanza di radici, la voglia di cambiare dell'adolescenza e i drammi dell'assenza di appigli.
Si propone, nella migliore delle ipotesi, come una sorta di stringatissima sintesi delle smanie giovanili, ma vi avverto sin d'ora, eventuali e coraggiosissimi lettori, che c'è un pericolo di intossicamento da fluff lessicale e tematica triste, con possibili complicazioni variabili da soggetto a soggetto. XD
Oh, bè, io vi ho avvertiti. :D
Questa storia, tra l'altro, ha partecipato al concorso "La Nicchia e... la Luna" indetto da Eylis.
Genere: Triste, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Soffio di Luna

Soffio di Luna

 

Ovvero

 

Una favola di luce e di vento, di libertà e di regole, di adolescenza e di maturità

 

 

Se, in un limpido pomeriggio d’estate, ti sdrai sull’erba e poi guardi con attenzione in su, verso il cielo sereno, è probabile che tu scorga una microscopica nuvola, lassù, nell’azzurro.

È un semplice sbuffo di pallido candore, ed è probabile che tu non ti soffermi nemmeno un attimo ad osservarla, e che distolga lo sguardo, per posarlo su un fiore, uno stelo, o sull’orizzonte lontano; e dunque che non dedichi un solo momento d’attenzione a quel piccolo mondo. Del resto, non puoi sapere che quella piccola nuvola, sì, proprio quella, sia il magico regno di Libertà, abitato dall’antico popolo degli Alati.

Sono piccoli esseri antropomorfi, dotati di un ampio paio d’ali armoniosamente unite alla schiena, di una splendida tinta opalescente.

Vivono in perfetta armonia tra loro e con l’ambiente aereo che li circonda, si nutrono del vento che li accarezza e bevono la luce della luna che sempre li abbraccia. La loro comunità non ha bisogno di regole, tanta e tanto perfetta è la loro sintonia d’intenti: una sola norma non può e non deve essere trasgredita, quella che afferma che non bisogna mai, in nessun caso, superare i confini di Libertà.

 

I confini erano presidiati da alti cancelli d’argento azzurrino, e non era molto difficile, scorgendoli da lontano, accantonare il progetto d’oltrepassarli, e tornare alle proprie confortevoli abitazioni rassicurati nella propria codardia dall’impossibilità dell’impresa.

Questo, almeno, era ciò che pensava Soffio-di-Luna a proposito dei Confini: era un giovane forse un po’ immaturo, senz’ombra di dubbio intelligente e decisamente scapestrato, che considerava sciocche la maggior parte delle preoccupazioni di chi era più vecchio, o anche semplicemente più saggio, di lui. Anche in un mondo senza regole, accarezzava l’idea di infrangere l’unica disposizione che nessuno avrebbe mai infranto.

Si considerava una sorta di avventuriero: un esploratore coraggioso del mondo ignoto, una mente aperta, pronta al nuovo, al diverso, al mai visto prima, capace, con la sola volontà di scavalcare quegli alti cancelli d’argento, di modificare il corso della Storia.

Fin da quando era un piccolo alato di soli novant’anni –la longevità di chi vive da sempre in completa libertà è sorprendente- si trastullava con quell’insinuante, suadente pensiero: lui, Soffio-di-Luna, avrebbe potuto infrangere il più antico tabù di Libertà, varcandone i confini e appagando così la propria intrinseca vanità.

 

Soffio-di-Luna crebbe, ed entrò in quella fase della vita che gli esseri umani, laggiù sulla Terra, chiamavano adolescenza. In quei momenti il desiderio di oltrepassare il limite si fece ancora più intenso, e ad esso si aggiunse il bisogno quasi morboso di fuggire, scappare, andarsene definitivamente da quel mondo che, pur così libero, non gli bastava.

Un giorno, Soffio-di-Luna decise che non avrebbe potuto aspettare oltre. Fece i preparativi in fretta: raccolse tutte le cose che desiderava portare con sé in una cassetta, e se la legò in vita con un’apposita cinghia, secondo l’uso degli Alati. Cibo per il viaggio non gli serviva: il vento spirava ovunque, e la luce della luna, madre celeste e presenza costante, bagnava ogni punto del cielo.

Così, almeno, pensava Soffio-di-Luna: non sapeva, l’ingenuo Alato,  di essere ancora avvolto nella bruma ovattata del proprio universo di pace.

Credeva che la luna, sua protettrice, sarebbe sempre rimasta al suo fianco, incurante delle sue scelte ardite e sbagliate. Credeva, in qualche modo profondo ed inconscio, che la sua vita sarebbe sempre trascorsa serena, qualunque strada tortuosa e ritorta avesse deciso di percorrere.

E ovviamente si sbagliava.

 

Non andare, figlio, non andare!

 

Soffio-di-Luna aspettò il calar della notte e, senza dir nulla a nessuno del proprio progetto, uscì silenziosamente di casa e volò, sbattendo piano le ali, fino ai Cancelli.

La sua pelle candida riluceva sottilmente nel buio, e i raggi della luna traevano riflessi cangianti dal suo piumaggio traslucido. Soffio-di-Luna era felice, in quel momento. Sentiva nel profondo del suo giovane animo di star compiendo la cosa giusta: doveva lasciare quella nicchia sicura, e doveva farlo in quel momento.

 

Fermati, figlio, rallenta la tua corsa!

 

Percepiva con estrema chiarezza la necessità della fuga: era imprescindibile e possente, e scorreva dentro di lui come un fiume in piena che rompa i propri argini.

Non c’era nulla che sbarrasse la strada a quel desiderio: non c’erano affetti, non c’era famiglia, non c’erano regole. Non c’era una sola, minuscola catena che potesse impedirgli di scappare e di distruggersi, non un solo laccio che lo tenesse legato alla propria vera Libertà.

 

Ti imploro!  Non potrò essere sempre al tuo fianco!

 

Soffio-di-Luna pensò solo a se stesso in quei momenti; sorrise, si animò, pianse e rise; per un istante gli sembrò addirittura di non capire più nulla, di essere invisibile e incorporeo, assurdo ed effimero: ma fu un attimo più breve di un battito di ciglia, e superato quell’attimo, fugato ogni dubbio, il giovane Alato s’alzò in volo.

 

Perché la mia supplica non giunge alle tue orecchie, figlio mio?

Perché non ascolti tua madre?

 

Soffio-di-Luna batté con forza le ali,  sentì la familiare sensazione dell’aria tiepida che le colpiva e si sentì levare in alto, sempre di più, finché raggiunse le acuminate punte lucenti della cima.

Fu allora che sentì nel suo spirito un sussurro che sapeva di disperazione e di pianto. Era un mormorio quasi inudibile, ma sembrava che vi fosse concentrato tutto il dolore dell’eternità.

Si fermò ancora un momento, sospeso nel cielo sopra i Cancelli. Ascoltava.

 

Fermati!

Fermati, ti dico!

 

Ma Soffio-di-Luna non sentì più nulla. Non c’era più spazio dentro di lui per comprendere la verità di ciò che gli veniva detto, né tempo per soffermarsi a riflettere sulle sensazioni fuggevoli di un istante. Nel suo cuore c’era solo quella volontà di andarsene, giovane come l’aria ed antica come il mondo, che è in qualche modo presente nella mente di ognuno.

Il giovane Alato diede un ultimo battito d’ali, e fu fuori da Libertà.

 

Addio, Soffio-di-Luna, figlio adorato.

 

Ed ecco, superati i confini, ogni libertà scomparve.

La sua libertà era sparita, e con essa tutti i suoi sogni: scomparsi i desideri e le speranze di una nuova esistenza, spenti gli aneliti, cancellate le brame.

Tutto si dissolse nel nulla e nel buio. La luce della luna, delicata come una carezza e premurosa come un abbraccio, amorosa come può esserlo una madre per i suoi figli, non riusciva più a scalfire quell’oscurità, né i suoi sussurri avrebbero potuto infrangere quell’infinito silenzio.

Soffio-di-Luna non ebbe più il sostegno dell’astro madre, e dovette sottostare alle regole della Terra, che lo attirò presso di sé.  Sbatté disperatamente le ali, sentendosi cadere sempre più velocemente. Guadagnò qualche metro, ma l’attrazione della Terra sembrò farsi sempre più intensa, sempre più violenta. All’improvviso gli mancarono le forze, e Soffio-di-Luna, che aveva osato varcare i confini della Libertà, precipitò al suolo.

 

Le sue ali opalescenti brillarono nella notte, e se tu avessi guardato in alto, in quel momento, non avresti visto altro che una stella cadente.

 

Addio, figlio.

Addio.




  
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