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Autore: BigMistake    08/06/2010    8 recensioni
Missing moment di "Breaking Dawn" la mia versione di quando Edward conosce Renesmee, dopo qualche ora dal parto. Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Renesmee Cullen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Breaking Dawn
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Note dell'autrice: Buon pomeriggio! Stavo rileggendo BD e mi ha totalmente ispirata! Mi è spesso capitato di leggere del momento in cui Edward conosce Renesmee e viene a conoscenza dell'imprinting, ebbene questa è la mia versione. è un missing moment che sinceramente mi è mancato. Spero vi piaccia! Vostra pseudoscrittrice pazza Mally

 

MY LITTLE BELLA.

Secondi. Piccoli spiragli di una interminabile eternità. Tempo. Incredibile scorrere di lancette, solo per dare un significato al nostro essere, seppur non aveva mai contato realmente quante volte compissero la loro rotazione. Almeno fino ad allora, quando il corpo martoriato di mia moglie giaceva inerme su quel letto, freddo e duro, come la mia pelle. Mostro. Quello mi dicevano le sue ferite che lentamente diventavano vacue, quando il veleno stava prendendo possesso di quel cuore, fino  poco tempo prima scalpitante. Mostro. La stavo deturpando della sua innocenza, razziando una virtù che non mi apparteneva. Sono stato ladro, assassino ed ora demonio.  L’ avevo privata di tutto, dei battiti dolci che scandivano le notti ricche di sogni e speranze, di un respiro che non le sarebbe più servito, dell’essenza dell’anima che scorre nelle vene, rossa e fluida. L’avevo resa da angelo ad avido predatore. Non avrei più visto quel color del cioccolato scaldare il mio petto come se ancora vi fosse qualcosa da scaldare, non avrei più visto il viso imporporarsi al fischio del vento freddo del nord, non avrei più sentito la tua calda mano scottare sulla lastra di marmo che mi ricopriva.

“Edward …” non muoveva nulla, non si contorceva nel dolore che sicuramente stava infiammando il suo corpo fragile e perfetto nella sua fisionomia ormai quasi del tutto corrosa dalla gravidanza e dall’epilogo tragico. “Edward …” sentivo solo la lieve pressione di una mano che carezzava la mia spalla. Ero stanco. Stanco. Non volevo muovermi finché il mio egoismo l’avesse definitivamente trascinata nel limbo di mezza vita in cui ero costretto. Ingordo. Era pura, chiusa in maniera ermetica in uno scrigno. Ed io ero Pandora che, alimentato da una curiosità malata, volevo solo conoscere cosa si celava dentro il vaso. Lo stavo aprendo e cosa vi avevo scoperto? Dolore, sofferenza, tormento. Le fiamme vive. “Edward …” la speranza era rimasta intrappolata sul fondo.

“Mamma …” il mio petto vibrò convulso, mille singhiozzi che non avrebbero mai trovato sfogo in lacrime. Uomo. Ero tornato uomo. Ma maledetto e per cupidigia avevo maledetto lei. Esme non tardò a cullarmi inginocchiandosi di fronte a me accogliendomi sul suo collo. Intonava la sua ninna nanna, dolcemente, ma su di sé sentivo un odore nuovo diverso, così simile a quello della mia Bella. Ma aveva qualcosa di lontano estremamente zuccherino, come di confetto, fiori durante una delle primavere più prolifiche. Buono, no. Buonissimo. Inspirai a più boccate quell’essenza di puro piacere, era il perfetto equilibrio della follia.

“È bellissima …” il suo bisbiglio era forte e sicuro. I singhiozzi si placarono ed il peso che mi teneva a terra divenne un po’ più leggero. Alzai la testa quasi contemporaneamente alle mani di Esme che si precipitarono sul mio viso “Ti somiglia, ed è bellissima!” d’un tratto la sua mente venne inondata d’immagini e ricordi. Vividi e coperti da una patina dorata, un film indelebile di quello che mi stavo perdendo. Quel batuffolo dai capelli rossi che muoveva le braccine. Era viva e vegeta. Respirava ed aveva un cuoricino che batteva veloce. La mia testarda Bella era riuscita a compiere l’ennesima sconsideratezza. Ce l’aveva fatta. O quasi. Il suo corpo era ancora immobile, nudo ma sempre più pallido la temperatura andava calando, nell’aria intrappolato il suo calore stava svanendo. “Ti sta aspettando …”

“Non posso lasciare Bella da sola …”

“Non devi!” un’altra immagine sempre più vivace di Bella con occhi dorati e pelle diafana prendeva forma. Alice. “La vedo, finalmente la vedo come non lo facevo da settimane!” affermò con sicurezza; nel suo sguardo c’era tutto, non più morte e dolore, ma vita, sogni, speranze. “Vai da tua figlia Edward, io ed Esme la laveremo e vestiremo, ma adesso c’è anche lei con voi …” mia figlia. Non lo credevo possibile, eppure c’era ed era mia. Padre. Mi hai reso padre, non avevo mai meritato tanto eppure, hai perpetuato nella tua ultima missione umana e mi hai reso padre sopra ogni aspettativa, così in fretta da dubitare che fosse reale. No, non lo meritavo. Non ti meritavo.“… Bella vorrebbe che tu ti occupassi di lei!” non vi meritavo. Da chi avrei potuto imparare ad essere un genitore? Non  possedevo dei veri ricordi di bambino, solo un annebbiamento di immagini sfocate, un film di troppo tempo addietro. Un secolo che non esisteva più. Quante cose avrei sbagliato non possedendo la memoria di come s’insegna ad un figlio a crescere? “Coraggio, paparino!Vorrei poterti dire che non morde, ma morde! Eccome se morde! Comunque non mi preoccuperei, è un evidente vizio di famiglia!” Alice era tornata ad essere la solita folletta dispettosa, negl'ultimi giorni era irriconoscibile ma ora che Renesmee e Bella erano due entità separate il suo spirito allegro era ritornato a spron battuto. Esme continuava a calamitarmi gli occhi. In lei persisteva la pura essenza di una vera madre, forse non ero così solo come pensavo. Quasi fosse lei a leggere nel pensiero, prese le mie mani ed aiutò ad alzarmi. La sovrastavo in altezza, ma ero un infante di fronte al suo animo così forte e candido, nonostante fosse invaso di un acido corrosivo come il veleno che le aveva arrestato ogni pulsazione di vita.

“Vai, Edward! Vuole conoscerti e so che la vuoi conoscere anche tu, non devi avere paura!” era quello il fulcro della mia preoccupazione. Avevo il terrore matto di non essere all’altezza, di non esserne in grado. Bella. Il mio amore eterno, mia moglie. Ed ora madre di mia figlia. Eri nel limbo a cedere la tua anima, in cambio di cosa? Di una nuova vita, la vita di nostra figlia. Ecco per cosa avevi combattuto fin da principio, per cosa sei stata veramente disposta a fare il baratto meno equo della storia. Un bacio leggero sulla tua fronte e mi pare di sentire il tuo capo accennare ad un si. Ma era solo ed esclusivamente un’illusione. Mia madre e mia sorella mi guardarono con un sorriso splendente, felici. Quanta gioia hai portato, con questo immenso dono? Osservai loro, scrutai te ed ebbi la definitiva conferma che non saremmo mai stati soli.

 

Cercai di escludere tutti i pensieri, volevo arrivare vergine all’altare, non conoscerla prima di osservarla veramente in viso, pulito dalle fatiche del parto. Ma era difficile. L’onda trasbordante delle idee che si affastellavano era quasi incontenibile. Trovai Emmett che pregava in più lingue il Signore affinché non mi assomigliasse di carattere, Jasper che invece se ne stava in disparte spaventato, Rosalie che si sentiva un po’ mamma ringraziando il Cielo di averti con noi. Quante cose erano cambiate. Quello che mi colpii in assoluto fu una delle menti più elette, completamente spaesata, che cercava in ogni modo di trovare un perché, un come e non ci riusciva. L’hai confuso, mia Bella. Sei riuscita anche a distruggere le certezze di Carlisle Cullen. L’uragano Isabella. Quante altre muraglie abbatterai pur di riuscire a portare a termine i tuoi desideri? Concordavo con Emmett. Doveva avere il tuo carattere, non il mio. Rimasi sul limitare della cucina, ad osservare. Rosalie sorreggeva un qualcosa sull’isola e con le sue spalle copriva la piccola figura di cui intravedevo solo una collinetta castano ramata. Mio padre cercava di preparare un qualcosa che odorava di fango, di marcio con un odore decisamente stomachevole. E la mia mente era completamente vuota. C’era solo un brusio, ma che non riusciva a coprire quel battito di ali che ripercuoteva il suo corpicino da neonata.

“Carlisle, questa roba ha una puzza orribile, nemmeno Renesmee sembra gradire!”

“Dobbiamo provare, Rose in parte è anche umana!” teneva tra le mani un piattino, con dentro una poltiglia giallastra nauseabonda. Se l’odore era pessimo, il suo aspetto lo confermava. “Su Renesmee, assaggia potrebbe piacerti!” avanzò con un cucchiaino di metallo, alla cui punta vi aveva depositato un pizzico di quell’orrore. Reclinò il capo in avanti come se stesse aspettando un qualcosa. Un ‘ immagine velocissima passò nella mente di Carlisle. Sangue. Una bottiglia di metallo. Vivida. Coloratissima. Quasi un cartone animato, non avevo mai visto una cosa anche simile. Forse solo.

“In una mente di bambino …”  sussurrai ma le orecchie ipersensibili che risiedevano nella casa non potevano non avermi ascoltato. La loro attenzione venne catturata da quell’ospite inatteso, che rappresentavo.

“Edward …” solo un’eco. Le loro voci erano diventate questo. Non avevo interesse in nient'altro che non fosse il volto dai tratti di porcellana, coperti da una fuliggine rossa sulle gote e dalle labbra rosee da cui sembrò emettere un sospiro. Rimasi fermo incurvato verso di lei a tre metri senza riuscire a muovere un passo. Il sangue, la violenza, la vita che era stata strappata aveva perso ogni significato, dimensione e colore. C’erano soltanto quegl’occhi. Splendenti. Color del cioccolato al latte fuso, che spiccavano su quell’incarnato pallido, attenti come quelli di un adulto. Mi studiava, mi stava osservando ed io osservavo attraverso di lei la statua in cui mi ero trasformato. Stava ricollegando gli ultimi avvertimenti e riconoscevo ogni singolo istante, dal debole respiro di Bella, al rumore delle ossa che si spezzavano quando poche ore prima tentava di uscire dalla placenta di diamante, che da tiepida e confortante dimora stava diventando il loculo del suo respiro. In quel turbinio d’immagini che invadeva la sua mente, già abbastanza spaziosa per contenere un’eternità di dannazioni, c’era il mio viso e la mia voce. Li guardava con adorazione, come se non aspettasse altro di poterli nuovamente associare. Ero fisso su di lei. Non potevo distaccarmi, non volevo soprattutto. Il mio stomaco fu invaso dalla sensazione di avere ancora con me, la mia dolce e piccola Bella.

“Mia figlia …” con quella consapevolezza, involontariamente le mie labbra si distesero e si allargarono in un naturale sorriso. Mi ripagò con uno altrettanto solare.  Alzò le manine verso di me, cominciando ad agitarsi e mugolando come un gattino, con un versetto che mi lasciò ancor più pietrificato. Può un semplice sguardo, un semplice sorriso annichilire uno dei predatori più temibili in natura? Può distruggere ogni difesa prefissata? Come avevo potuto volerle del male, come avevo potuto pensare di poterla odiare, quando il suo soffio era il dono più grande che potesse farmi la mia Bella? Mi sentii un verme, anche solo per aver pensato di togliere questa opportunità di vita. Inadatto.

< Muoviti Edward! >  per un attimo pensai che fosse la mia coscienza a parlare. No. Era mia sorella che cominciava a dare segni d’impazienza con il suo pensiero, così come la tenera frugoletta che, ancora seduta sull’isola avvolta da quella tutina rosa, teneva protese le braccia cercando di raggiungermi in linea d’aria. Mossi un secondo passo e la mia piccola si sporse ancora di più. Rosalie si alzò prendendo tra le braccia Renesmee, eliminando la distanza che ci divideva. Osservai i suoi di occhi, distesi, rilassati animati di un’infinita dolcezza provocata da quello splendido bocciolo che ancora cercava di attirare la mia attenzione. “Renesmee, so che lo conosci già ma questo è il tuo papà!” Padre. Scontrarmi ancora con quella parola mi schiaffeggiava. Sentire di essere un padre biologico, non di veleno era strano. Ma magnifico. Innalzava il mio cuore muto, sulle più alte vette dell’estasi, scuotendo la mia anima. Aveva proprio ragione la mia Bella quando diceva che avevo un’anima. Ne avevo la prova tangibile, la guardavo di fronte a me, mentre stava passando dalle braccia di mia sorella alle mie. L’accolsi tremante come una debole foglia autunnale, con la paura intrinseca di poterle fare del male. Sembrava così debole e fragile, che il cristallo in confronto poteva essere scambiato per diamante. Ma era solo una mera apparenza, ora che potevo finalmente godere del contatto con l' essenza di me stesso, calda e morbida, ma resistente come la roccia. Era lei, lo vedevo nei suoi occhi, nel suo respiro, in quel piccolo cuoricino che batteva contro il mio petto. Era la mia piccola Bella. Tenera, impacciata, timida ma forte. C’era ancora quella parte di lei che tanto temevo di perdere, proprio mentre una divinità stava arraffando il suo ultimo alito di vita. Potevo ancora assaporare la Bella umana.

“Renesmee …”  altre immagini presero a susseguirti, come un vortice fatto di colori e sensazioni. Le osservavo confuso, come uno spettatore con il riavvolgimento veloce di fronte ai propri occhi. Non notai nemmeno che avevo la sua calda manina a contatto con la pelle che ricopriva la mia mascella. Una particolarità si riversava sul brodo continuo ribollente delle memorie della mia bambina: il volto di Bella distrutto e ricoperto di sangue era sempre sullo sfondo, unico ricordo che aveva di lei. “La tua mamma, sarà presto con noi!” ogni piccolo gesto era così spontaneo e naturale che non mi accorsi delle mie labbra poggiate sulla sua fronte e del leggero dondolio intrapreso nel cullarla.

“Ti ha chiesto di Bella?” annuii distrattamente troppo occupato a rimirare il nasino perfetto e le labbra di miele, che descrivevano la sua curiosità mentre studiava il mio viso “Non fa altro da quando il cane è andato via!” Renesmee era speciale, senza alcun dubbio, ma come faceva a comunicare con gli altri? Già parlava? Eppure aveva solo poche ore.

“Certo Rosalie, lui non distingue i pensieri che legge da quelli che lei stessa gli mostra!” Carlisle intervenne aggiungendosi al nostro terzetto mentre io sempre più confuso cercavo di diradare la nebbia che l’ennesimo colpo di scena aveva instaurato.

“Cosa state cercando di dire?”

“La nostra piccola, ha un dono! Può trasmettere nella tua testa i suoi pensieri …” Renesmee iniziò ad agitarsi muovendo le mani verso il mio viso, io potevo benissimo osservare la sua testa ed in lei vedevo solo l’immagine della mia pelle a contatto con quella delle sue mani. Abbassai il volto permettendole di raggiungermi. La successione di figure che apparvero furono una rapida carrellata degl’attimi più intensi che aveva vissuto nelle sue poche ore. Vidi tutto quello che l’aveva coinvolta, mi sorpresi a ridacchiare al ricordo dei suoi dentini appuntiti affondati nella carne del cane. Osservai ogni volto, ogni espressione di assoluta devozione che le veniva rivolta. Persino Jasper si era avvicinato tanto da poterle accarezzare la testa per poi tornarsene ad una distanza in cui l’odore del suo sangue non fosse un’eccessiva tentazione. Ad un tratto le immagini sfocarono ed una nuova voce, ovattata ma squillante arrivò alla mia testa.

< Papà! > mostrò la fila di denti bianchi ed aguzzi in un sorriso abbagliante. La sua manina si aggrappò alla mia camicia e la testolina si abbandonò sul gomito. Il mutare del suo respiro e del suo cuoricino diventarono il preambolo della suo sonnecchiare stanco. Un debole sbadiglio prese posto sulla sua boccuccia rosata, a formare un cuoricino.

“Dorme?” chiesi stupito di quella sua reazione.

“Si ed anche molto profondamente! Non è vero piccola Nessie, sei una gran dormigliona!” il tono con cui lo disse accarezzandole la fronte mi aveva distratto, ma per un attimo tornai alla realtà cercando di capire ogni sua singola parola.

“Come l’hai chiamata Rosalie?” mia sorella e mio padre si guardarono per un lungo istante, incerti se dirmi o no la vera natura di quel soprannome.

“Vedi Edward …” iniziò pacato Carlisle, assumendo l’impostazione di chi deve dare una brutta notizia. La cosa non mi piacque. Perché il mio primo momento con mia figlia doveva essere rovinato? “… è stato Jacob a darglielo!”

“Jacob? Non è andato via?” si scambiarono un ulteriore sguardo Rosalie tentò di prendere la bambina dalle mie braccia, ma io non avevo intenzione di lasciarla, in un certo senso m’imponeva di stare calmo, mi sedava. Ritrasse le mani ed indietreggiò di qualche passo, Carlisle invece si pose di fronte a me con le mani congiunte al petto, cercando di riordinare le idee. Era una cosa che lo infastidiva, lo turbava. Anche Jasper ed Emmett ci avevano raggiunti. Il primo si trovava alle mie spalle, sentivo il suo potere invadere il mio corpo avvolgendolo in un’aura di tranquillità zen, il secondo aveva affiancato la moglie tenendole le spalle.

“Edward, è successa una cosa mentre eri al capezzale di Bella, ma penso che sia lui che te ne voglia parlare!” cercavo nelle loro teste ma tutti deviavano l’argomento ripercorrendo poesie, canzoni. Quel demonio di un vampiro era riuscito a insegnare i suoi trucchetti da strapazzo per deviare il mio potere. D’un tratto un nuovo ricordo pervenne, abbassai la testa e le paffute e morbide manine di Renesmee si ritrovarono su di una piccola porzione di pelle scoperta dalla camicia che lasciava aperto il primo bottone. Non seppi dire se era stata lei a rievocare quell’immagine proiettandola nella mia testa o se fossi stato io a carpirne l’essenza. Ma lo vidi. Chiaro, netto e nitido. Era un sogno, un sogno che già avevo potuto ascoltare, nella notte, in quella tenda in balia del freddo vento del Nord, attendendo l’imminente battaglia. Come protagonista il licantropo Quileutte, completamente rapito e coinvolto. Non aveva lo sguardo arrabbiato e dolente che lo aveva caratterizzato fino agl'ultimi istanti di vita dell'amata. Sembrava più come se una potente verità gli fosse arrivata direttamente nel cervello, senza filtri di nessuna natura. Lo stesso schiaffo che avevo subito io, nella rivelazione di essere un padre, lo potevo osservare su di lui. La cosa più strabiliante fu una sola. Quelle tre maledette parole, messe una di seguito all’altra, che erano nate sulle labbra di un sogno della mia vita sull’orlo della morte. Il mio Jacob.

“Cosa significa tutto questo?” nessuno osava rispondere né a voce né con il pensiero. Sentii un mugolio proveniente dall'esterno, Seth si trovava ancora fuori di casa e si agitava nervoso. Mi affacciai e notai il suo capo basso, la coda che spazzava il terreno, mentre percorreva pochi passi avanti ed indietro. Leah sonnecchiava vicino al fiume, accucciata incurante. “Perché sono ancora qui?”

< Cacchio! Ci sta arrivando! > solo allora i pensieri del lupo color sabbia giunsero a me. Non gli avevo prestato attenzione fino ad allora, erano un continuo e semplice brusio sconnesso, niente che potesse distrarmi dalla mia dolce piccola Bella.

“Calmati Edward stai facendo agitare la bambina!” mi riprese Jasper, riportando la mia attenzione a Renesmee che continuava a dormire, con gli occhi serrati, ma con tre piccole rughe sulla fronte aggrottata. Le accarezzai una guancia con il pollice per rassicurarla ma ancora le mie domande non avevano trovato alcuna replica ed io sentivo un strana angoscia montare.

“Cosa sta succedendo?” chiesi con più impeto.

“Te lo posso spiegare io sanguisuga!” il poppante Quileute si trovava dall’altra parte della stanza alternando lo sguardo da me a Renesmee di continuo, ma soffermandosi con una certa insistenza su di lei. Istintivamente strinsi le bambina depositata fra le mie braccia e digrignai i denti, in una smorfia che dimostrava la mia intenzione di abbandonare ogni inibizione per difenderla. Le ginocchia si piegarono con la sinistra dietro alla destra pronte ad intraprendere lo scatto per attaccarlo. Quella mia reazione destò mia figlia, la mia bambina, che alzò la testa ramata nella direzione del ragazzo dopo che ne aveva carpito l’odore nell’aria.

< Ok, Jake è morto! Addio è stato un piacere conoscere un alfa come te! >

< Seth sto cercando di riposare, chiudi il becco! Se la sa cavare, ed ora diventerà l’amichetto del cuore dei vampiri! Immagino che sarà anche peggio di te! > il battibecco dei due fratelli colmò il mio stato di ansia, insieme alla sparizione dei miei familiari dalla stanza. Perché avevamo bisogno di restare soli?

“Edward, mi devi lasciare spiegare, dopo tutto quello che ho fatto per voi è necessario!” il gorgoglio che aveva iniziato a ripercuotere il mio petto, divenne più intenso quasi come un latrato. Nella sua testa c’erano solo le immagini di mia figlia, il suo sorriso, i suoi occhi, il suo viso perfetto. Tutto alimentato da un moto di dolcezza e protezione tipica di un fratello affettuoso. E poi una parola, mia nemica. Mi stava già obbligando ad una rinuncia troppo grande e troppo intensa. Come poteva avanzare quelle assurde pretese da lupo? Lei era mia figlia, non poteva portarmela via, neanche il tempo di abituarci ad averla con noi. Io e Bella avevamo lottato, lei aveva rinunciato alla vita per cosa? Perché lui potesse prendersela e vantare dei diritti su di lei? I ricordi di Jacob collegati a Renesmee si alternavano a quelli di Renesmee su Jacob, con un gioco sincrono di situazioni e parole. La loro intesa era ben oltre di ogni cognizione umana e vampirica. Tra di loro c’era già un senso di possessione morboso e la preoccupazione della mia bambina si faceva sempre più scalpitante. Imperversava su di me, sulla mia pelle mentre indugiava nell’osservazione di quello che già mi aveva rivelato il suo Jacob. “Voglio solo il suo bene Edward e la possibilità di starle accanto, per proteggerla!” aveva le mani avanti in segno di resa, io non avevo abbandonato la posizione di attacco. Ora nella sua mente potevo leggere le sue fantasie future, sul rischio che correva la mia bambina essendo tra le mie braccia. Invece, lei non appariva spaventata per sé. Non le interessava molto di ciò che le stava per accadere. Era totalmente occupata nel gestire l’apprensione che provava per l’evidente ostilità che dimostravo al suo Jacob. Avevo perso in partenza.

“Maledetto di un cane, me la stai già portando via!” non c’era acredine o livore in quello che pronunciai, ma solo rassegnazione.  Ripresi il controllo del mio corpo, tornai a rilassare spalle e gambe. Guardai i suoi occhi, dolci teneri che sembravano indiscutibilmente soddisfatti.  Le carezzai il nasino che arricciò con una smorfia tenera. Era così pura, da ricordarmi sua madre in ogni piccola sfaccettatura, anche nell’amore smisurato che provava per quel ragazzo, che rimaneva rigido con una mano sulla porta pronto a scattare di fuori per poter scappare dalla furia di un padre. Io. Padre. Era proprio la mia piccola Bella. “E così dopo mia moglie, dovrò dividere anche mia figlia con te, lattante!” in quella frase uscii un sorriso, anche il Cane rilassò i muscoli. La mia vista acuta osservò accuratamente le sue guance che si colorarono di un velo più scuro del bronzo della sua pelle, mentre con una mano si grattava la nuca.

“Già, non pensavo che la prendessi così bene!” la sua faccia strafottente con quel ghigno divertito, si collegò solo al pensiero che invase la sua testa < Paparino! >

“Non sfidare la mia pazienza Jacob, non so ancora quanto il mio autocontrollo possa poter reggere ad una tua altra provocazione!” si abbandonò ad una risata nervosa, per poi tornare indiscutibilmente serio.

< Voglio solo che sia felice … >  era quello che desideravamo tutti d'altronde. Per il resto ci avrebbe pensato Bella, soprattutto dopo che saprà il soprannome del mostro di Loch Ness, che ha dato alla nostra bambina. La sua felicità. No, non era la mia piccola Bella. Lei era la mia piccola Renesmee, lei era nostra figlia. Mia e della mia Bella.  

   
 
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