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Autore: whitevelyn    09/06/2010    10 recensioni
Ovunque finirò, chiunque incontrerò, qualunque donna crederò mai d'amare, da me non ti farò mai uscire.
Robert amava Severine. Severine amava Robert. Ma era facile amarsi, era facile tutto, tra le familiari pareti della Harrodian School di Barnes.
Poi quel che è stato di Robert, tutti lo sappiamo. Quello che è stato di Severine invece no.
Solo che fuori dalla Harrodian, niente era più stato facile e niente era più stato bello.
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Che cosa resta degli anni passati ad adorarti,
cosa resta di me, delle bocche che ho baciato in discoteca,
che cosa ne è della nostra relazione, stupidi noi che piangiamo disperati.
Che cosa resta dei sogni che avevamo nella testa,
la nostra speranza a che cosa servirà..

Sfreccia in cielo un aeroplano,
io ti amo e non ti penso mai..

L'aeroplano, Baustelle.



SEVERINE POV

Certi giorni mi sveglio ed ho di nuovo diciannove anni. Mi succede in quei giorni, rari a dire il vero, in cui ti penso.
Ma di solito non lo faccio mai, pensarti intendo, di solito ho ventiquattro anni. E nessuno mi ha mai più chiamata Sevie. Bè, tranne una volta, Andrè.
Voleva che andassi con lui a trascorrere la settimana di Natale dai suoi, in Provenza. Avevamo ventidue anni, ma quel giorno io me ne sentivo diciannove, sai, era uno di quelli.
Così gli ho risposto che no, non mi andava, che una famiglia da andare a trovare ce l'avevo anche io, però, lo sai, la verità, nei giorni in cui ho diciannove anni, non muta di una virgola, è sempre la medesima. La verità, sei tu. Ma solo quando ho diciannove anni.
Andrè, questo non lo sa e non lo sapeva. Andrè, non sa chi sei, sa solo che faccia hai, ma quella ormai tutto il mondo la conosce.
Così, quel giorno mi ha guardata ed ha sospirato, poi ha detto "Ti prometto che l'anno prossimo, lo passeremo con la tua famiglia. Andiamo, Sevie."
Ricordo le impronte scarlatte di cinque dita sulla sua guancia destra, ricordo con che cattiveria l'ho colpito. Io che di solito sono dolce. Ma Sevie, non lo sono mai invece.
Poi è successo che non ci siam rivolti la parola per un paio di settimane e che lui è sceso in Provenza senza di me, mentre salivo sul treno per Barnes. Non mi ha mai chiesto spiegazioni.
Forse il bruciore causato da cinque dita gli è bastato.
Il mio Natale a Barnes, come i due precedenti, è stato apatico, ma perlomeno rassicurante. Esattamente come il successivo e come lo sarà anche quello di quest'anno.
Andrè non ha mai più provato ad invitarmi in Provenza, così ci stiamo avvicinando al nostro terzo Natale, separati. La cosa non mi rende abbastanza triste, oggi. Non come dovrebbe, visto che suppongo di amarlo. Ma, indovina un po', oggi ho diciannove anni. Oggi è uno di quei rari giorni in cui mi son svegliata pensandoti.
E' un mistero il modo in cui mi vieni in mente. Non lo so che percorso fai, attraverso i miei neurotrasmettitori.
Le sollecitazioni esterne sono numerose, soprattutto qui a Londra, ma è da quando ho vent'anni e mezzo che ho imparato ad ignorarle, e la maggiorparte delle volte, funziona.
Nella memoria non scatta alcun richiamo.
E lo sai che non ti ho mai odiato, nè giudicato, mai, in alcun modo. E non avrei voluto mai, fare come se non ci fossi stato, nella mia vita, neppure per un secondo. Ma ho dovuto.
Altrimenti saresti stato dentro ad ogni cosa. Altrimenti il mondo sarebbe stato un luogo troppo ostile alla sopravvivenza. Altrimenti non sarei andata avanti, mai.
Io e Andrè non viviamo nello stesso appartamento, ma a separarci c'è solo il pianerottolo del quinto piano di una palazzina color sedano in Tottenham Court Road.
Lui sta al 104, io al 105. Quando mi sono trasferita qui, lui ci si era già sistemato da qualche anno. E i casi della vita poi sono strani, perchè per tipo sei mesi, non ci siamo mai neppure incrociati, e poi un pomeriggio verso sera, poco prima dell'ora di cena, ci siamo visti, di sotto, alla lavanderia.
Andrè, completamente nel pallone, aveva appena estratto il suo bucato da una lavatrice, accorgendosi di aver dosato male la temperatura del lavaggio, e tutte le sue magliette sarebbero potute ormai entrare solo ad un neonato. Assistere a quella scena mi ha assordata. In quella lavanderia, dove insieme -io e te- non eravamo mai stati, in quell'istante, la tua voce mi ha assordata. Le orecchie paonazze di Andrè, infuriato e frustrato dinnanzi a quello scempio formato polly pocket, han creato una falla nel mio sistema immunitario, e la tua voce, il ricordo della tua voce, mi ha punto col pungiglione avvelenato di un insetto.
La tua voce in un'altra lavanderia, le tue camice divenute tutte rosa, quel sabato mattina, quando eravamo ancora solo due studenti della Harrodian.
E avevamo quasi diciannove anni, mancava poco e non lo sapevamo.

Poi sono svenuta, lo sai? E' toccato ad Andrè, prima ancora che ci rivolgessimo la parola, prendersi cura di me. Quando mi sono svegliata ero già al pronto soccorso e lui mi stava seduto di fianco con una confezione di Twix sulle ginocchia, ed una di quelle barrette ad impastargli di cioccolato e mousse al caramello la bocca. Mi ha guardata e mi ha chiesto se per caso ne volessi una. Ho pensato subito che fosse uno un po' scoppiato, come te. E forse per questo mi è venuta voglia di conoscerlo.
Parlando è poi venuto fuori che era il mio dirimpettaio e che non ci era ancora mai successo di incontrarci perchè lui dorme di giorno, e la notte lavora ad un videonoleggio, mentre io dormo di notte ed il giorno lavoro in redazione. Un po' come il sole e la luna, insomma.
Ci siamo messi insieme dopo solo un paio di mesi nonostante le mie resistenze, ma poi mi sono detta che tu non saresti tornato comunque.
Dormo nel suo letto, che è uno di quelli francesi, più ampi di una piazza e mezzo, ma meno di quelli matrimoniali. Quando sono le tre lui rientra e mi si stende accanto, fa tutto molto piano, ma ogni volta, puntualmente, mi sveglio, mi volto e gli dò un bacio sulla bocca. Quando sono le sette la mia sveglia suona e, nonostante non ne abbia sempre voglia, son costretta a tirarmi su dalle lenzuola e vestirmi, faccio tutto molto piano e lui non si sveglia mai.
Nel bicchiere di vetro appoggiato sul lavandino, ha piazzato uno spazzolino da denti anche per me. L'ha scelto rosa.
Solo che oggi che ho di nuovo diciannove anni, il mio colore preferito è l'azzurro. Non un azzurro pur che sia, un azzurro che per me, non esiste più, se non stampato su tutta quella miriade di fotografie che si vedono sui giornali. Quelli che io non compro. Quelli che io scanso anche quando dalla parrucchiera me li trovo in mezzo alla pila dei Glamour e dei Vogue.
Quelli in cui troverei articoli che non parlano mai di te, che non dicono mai niente che ti riguardi davvero.
Non dicono mai che sei allergico al lattosio.
Non dicono mai che quando sorridi, durante le interviste, anche quando apparentemente non ci sarebbe un solo cavolo di motivo per farlo, è perchè stai pensando a qualcosa di fottutamente ridicolo che col contesto in cui ti trovi non centra una mazza, ma la tua testa è strutturata così, per formulare scemenze atomiche, che spesso poi, fan ridere solo te.
Non dicono mai che ti piace tocciare i grissini nella Coca cola.
Non dicono mai che per prendere la patente, hai dovuto ridare l'esame di pratica per ben quattro volte.
Non dicono mai di me. Dello sguardo che avevi quando mi guardavi, del sapore che avevi quando mi baciavi, di come ti batteva il cuore quando mi spogliavi.
Non è facile avere diciannove anni. Eppure quando ce li avevo per davvero, ero felice come non lo sono mai più stata.
Ti potevo guardare ancora negli occhi ed il cielo era un luogo molto più vicino di quanto non lo sia, oggi.
Non è facile avere diciannove anni, ora che non ci sei.

Non ci siamo neppure mai detti che è finita. Siamo sfumati nel nulla, io e te.
Però me lo ricordo ancora il giorno in cui te ne sei andato dalla Harrodian. Ti fissavo la schiena e quel giubottino di jeans che indossavi, proprio come tutti gli altri giorni.
Credevo che saresti tornato. Lo credevi anche tu.
Invece sei diventato Cedric Diggory. Invece sei diventato Edward Cullen. Invece sei diventato Tyler Hawkins.
E non sei più tornato. Le nostre telefonate sono andate gradualmente diradandosi, raffreddandosi, lentamente fino all'ultima. L'ultima quando la voce ti si è spezzata sul nome di Kristen. L'ultima quando non ti ho lasciato fare il discorso che, lo so, avevi impiegato qualche notte, per prepararlo, e comunque non ti sarebbe mai uscito come previsto.
L'ultima, quando ho pianto. L'ultima, quando tu sei restato in silenzio e alla fine hai detto "Scusa".

Ma invece non dovevi. Io non ero arrabbiata con te, ti ho conosciuto in una scuola di recitazione, lì dentro tutti sognavamo s'avverasse quello che è capitato a te.
L'ho sempre saputo che ce l'avresti fatta, Robert.
L'ho sempre saputo, che prima o poi, mi saresti mancato da morire.
L'ho sempre saputo che per me, non saresti stato per sempre.
Non te lo dicevo mai però. Bè, a parte quella volta che ci siamo ubriacati sotto al palcoscenico, tra le scenografie ed i pannelli della recita di fine anno.
Madame Butterfly, quella del quarto anno.
"Robert Thomas Pattinson, un giorno leggerò il tuo nome su tutti i giornali e sarai così lontano che respirare mi sembrerà la cosa più innaturale del mondo, la più complicata. Chiedilo alle piante come farebbero senza la luce del sole.. niente fotosintesi clorofilliana, niente glucosio, niente sostentamento. Niente di niente, Robert, ci pensi? ..vorrei poterti chiedere di restare con me.", ti ho detto con la bocca tutta secca e la voce sabbiosa. Tu mi hai guardata con quel cappello ridicolo da pirata sulla testa ed eri così maledettamente sbronzo che secondo me non ti ricordi nemmeno di avermi risposto "Severine Edwards vorrei poterti rispondere che non ti lascerò ..ma non voglio rischiare d'incorrere in una menzogna, di quelle non te ne voglio dire mai. ..però, una cosa la so. Ovunque finirò, chiunque incontrerò, qualunque donna crederò mai d'amare, da me non ti farò mai uscire."
Ho pensato mi avessi detto una cosa bella, anche se per niente tranquillizzante. Oggi penso che se hai creduto possibile una simile ipotesi, è solo perchè il tuo sentimento te lo ha sempre consentito, di far funzionare le cose, pur sentendo la mia mancanza.
Perchè, evidentemente, a te è stato concesso il lusso di potermi pensare e ricordare ogni volta che ti va, senza dover per questo soffrire. E non è giusto.
Non è un cazzo giusto, perchè anche io avrei voglia di pensarti sempre, amore.

ANGOLINO DELL'AUTRICE
Wei. Allora, chennedite? Nineteen è nata oggi nella mia testa ed oggi stesso ho sfornato questo capitolo, che come potete vedere figura come una OS, ma per il semplice fatto che attualmente ho ancora tre storie di mezzo da portare a termine e non voglio imbarcarmi nella quarta, non ancora e non adesso. Però avevo bisogno d'impostarla, giusto per mettere a tacere le mille vocine che continuavano a suggerirmi spunti ed ideuzze per questa nuova vicenda. Questo che avete letto, possiamo definirlo un po' il background, lo sfondo, su cui eventualmente, se voi lo vorrete, potrà svilupparsi tutta una trama. Perciò fatemi sapere se l'idea e l'atmosfera vi garbano e se gradireste un seguito. Nel qual caso non mancherebbero ovviamente i ROBERT POV, vabbè giusto per specificare. Ad ogni modo Let Juliet Die sta per finire, mancano al massimo due o tre capitoli, quindi questa potrebbe essere la sua (spero degna) sostituta, anche se dal sapore meno alacre. La nostalgia non mancherà, ma di una natura diversa, una nostalgia meno ultraterrena, meno trascendentale (oggi mi piace questa parola -.-),e molto più umana, una nostalgia che appartiene a due persone che si sono conosciute, amate, un po' rovinate, perchè comunque l'amore è anche un po' rovinarsi la vita a vicenda. E che chissà cosa gli riserverà il futuro. Salutoni!
  
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