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Autore: Thilwen    05/09/2005    9 recensioni
Hermione questa volta è davvero arrabbiata con Ron. Hermione questa volta è stata davvero ferita. Potrà mai sistemarsi tutto di nuovo?
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer:  Harry Potter, i luoghi  e i  personaggi della saga, appartengono unicamente ed interamente a JKRowling, la quale ne detiene i diritti. Io non voglio né offendere quella mente sadica e crudele, ma, ahimè, geniale, dell’autrice, né violare i suoi copyright. Niente di tutto ciò mi appartiene, io NON scrivo assolutamente a scopo lucro, il mio è solo un modo per esercitare la mia fantasia, dare pace e ristoro alla mia perversa anima malata e sfogarmi in modo innocuo, senza, cioè, che nessuno ne paghi fisicamente le conseguenze. Insomma, avrete capito che lo faccio esclusivamente per il bene mio e, soprattutto, di chi mi sta vicino. 

 

 

Avvertenze:  SpoilerVI libro

 

 

Note: Questa breve One-shot è nata dopo aver letto quel disastroso e tremendo quattordicesimo capitolo del sesto libro, Felix Felicis. Gli spoiler contenuti arrivano dunque fino a quel capitolo, senza inoltrarsi avanti, ma  è necessario avere bene in mente “Felix Felicis” per comprendere la storia. Dopo averlo letto, ero così arrabbiata con Ron, la Rowling e (soprattutto!) Lavander, che non ne ho potuto fare a meno! È uno sfogo di Hermione, che è talmente arrabbiata da non essere in sé, e dice cose… beh, malvagie? Ma noi donne, almeno io, siamo così, quando ci toccano gli uomini che amiamo… no?

 

Dediche: Ovviamente a Chiara (mise-keith), mia amica, confidente, compagna d’avventura, grazie alla quale non ho mai messo di sognare, di scrivere e di essere me stessa. Dovrei ringraziala per troppe cose, ma sarebbe inutile e superfluo. La nostra amicizia è gratuita e biunivoca, quindi mi limito a ribadirle quanto io le voglia bene e quanto è indispensabile per la mia vita.

 

Voglio dare un consiglio a tutti coloro che amano la coppia Draco/Ginny o, semplicemente, leggere qualcosa di veramente bello e ben scritto: leggete  Danae’s truth, di mise_keith, ascoltatemi, non ve ne pentirete!

 

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Raggiungimi 

 

Se potessi trasformare il dolore in condensa, questo stillerebbe come umore viscido attraverso i pori della mia pelle.

Se potessi anche solo descriverlo con le parole, riempirei l’aria delle mie grida, lasciandole riecheggiare nel tempo.

Perché tu mi hai fatto male.

La mia immagine allo specchio è sbiadita dai miei singhiozzi, arrossata dai silenzi che mi sono imposta, bagnata dalla forza che ho inventato per celare questa debolezza profonda.

Mi accarezzo i capelli crespi, portandoli dietro le orecchie, trattenendo un sospiro.

Perché? Perché, Ron?

Sembrava che stesse andando tutto per il meglio. Finalmente. Per una volta.

Sembrava che lo statico e doloroso equilibrio nel quale ci nascondevamo fosse stato infine scosso, facendoci cadere l’uno addosso all’altra.

Non ho avuto paura di buttarmi, abbandonando il calore certo di un amicizia per avvicinarmi ad un fuoco da troppo tempo acceso. Non ho avuto paura a lasciarmi andare perché sapevo –sapevo- che c’erano le tue braccia, solide, pronte ad afferrarmi. Ad abbracciarmi.

Le avevi già schiuse per me, aspettavo soltanto il momento per gettarmi contro e respirare dalla tua pelle.

Un passo per volta, Hermione, mi sono detta, uno alla volta. Non c’è fretta.

Invece, sì, dovevo scrollarmi di dosso tutto quello che c’era stato ed appropriarmi di te, perché tu eri mio, io ero tua, dovevamo soltanto decidere quando appartenerci. 

Ma tu sei sgusciato via, improvvisamente, inspiegabilmente. Hai serrato le tue braccia contro al tuo petto, mi hai voltato le spalle lasciandomi ad un palmo da te, smorzandomi contro le tue cattiverie gratuite.

Mi sono chiesta perché anche allora, con il volto asfissiato contro il cuscino per non far sentire a nessuno i miei singhiozzi, di punto in bianco, quando io e te iniziavamo ad essere noi, perché hai deciso di farmi male. Di rendere odio al mio amore.

Ho creduto fosse lo stress, le preoccupazioni, un periodo di disagio o momenti d’inspiegabile follia. Ho stretto i denti, ho tentato di non fare caso alla tua tagliente crudeltà, alle tue caustiche parole.

Ti conosco Ron, so quanto sai essere stupido.

Ho pensato che, comunque, in un modo o nell’altro, tutto, prima o poi, si sarebbe sistemato.

L’ho creduto prima di questa sera.

Prima che tu sguainassi un pugnale e, aprendo il mio sterno con un gesto rapido e deciso,  suddividessi il mio cuore in tante piccole parti. Così piccole da farmi credere impossibile che una volta ne avessi uno intero.

Mi hai fatto male, Ron. Ed io credevo che tu fossi l’unica persona che non potesse mai ferirmi così.

Ti ho guardato per alcuni lunghi secondi divorare le labbra di Lavanda, lo sai?

Ti ho guadato, mentre qualcosa all’altezza della gola iniziava a stringere pericolosamente, lasciandomi sfuggire fra le labbra un gemito muto.

Ti ho guardato,  credendo di vivere un incubo. Uno di quelli che nell’intimità delle mie notti mi perseguitano  sembrando incredibilmente vividi. Quelli che mi fanno svegliare, sudata ed ansimante con un vuoto al centro del petto. Quelli il cui sollievo si fa largo fra le mie viscere con dolorosa lentezza.

L’ho atteso quel sollievo.

Non è giunto.

Mi hanno colpita a raffica una miscela ardente di sensazioni, che si è pressata contro le pareti della mia anima come ferro rovente, marchiandola.

C’era rabbia.

Frustrazione.

Follia.

Odio.

Sono corsa via, nascondendomi in me, difendendomi come meglio so fare, tentando di racchiudere tutto il mio dolore in una parte segreta del mio cuore.

Mi sono imposta di non lasciare trapelare nulla di quello che stavo provando. Di essere superiore. Anche quando tu, con la tua espressione di vuoto e colpevole imbarazzo, con la tua coraggiosa sfacciataggine, mi sei apparso davanti, con la tua oca puttana.

Volevo vederla morta. Avrei voluto sfoderare la bacchetta e lanciarle un anatema mortale.

Sai, Ron, non credo avrei mai provato rimorso.

Perché lei ha fatto qualcosa che non doveva mai permettersi di fare. Si è presa una cosa mia. Ed io non voglio si tocchino le mie cose.

Tu mi appartenevi. Noi ci appartenevamo. Lei si è messa in mezzo.

Perché, prima o poi, le cose si sarebbero sistemate.

Lei non aveva alcun diritto su di te. No doveva mai provare a mettere le mani su qualcosa che non doveva avere.

Avrei voluto ucciderla, nei pochi secondi in cui l’ho vista. Avrei voluto urlare. «Ti avverto, lascia stare il mio Ron!»

Una puttana. Lavanda Brown è solo una troia stupida. Un essere insignificante e patetico che nella vita sarà utile solo per aprire le gambe ed ansimare orgasmi. Non ha nient’altro.

Io sono migliore di lei, tu lo sai.

Tu dovevi stare con me, qualunque altra al tuo fianco è al posto sbagliato. Qualunque altra fosse al tuo fianco riceverebbe il mio odio e le mie maledizioni. Qualunque altra si limiti anche solo ad alzare gli occhi su di te sarebbe una puttana per me. Anche se fosse una suora vergine, che chiude il suo amore in un bocciolo di fredda castità, infuocandolo unicamente di sguardi schivi ed innamorati, per me sarebbe una puttana.

Per tu sei il mio Ron, come fai a non essertene accorto?

Come fai a non volerlo capire?

Ed ancora, mentre mi specchio qui, nel bagno dei prefetti, temo che salendo in dormitorio non riesca a vincere l’istinto di soffocare Lavanda Brown con il cuscino.

Ma non ne vale la pena. Non vale la pena insudiciare la mia vita con la sua sporca ed infima esistenza.

Quando siamo rimasti soli, nell’aula vuota, con Harry, unico spettatore muto ed immobile, non hai avuto il coraggio di guardarmi in faccia.

Ho tentato di mostrare tutta la forza che non possedevo. Ho tentato di dimostrarti quanto tu poco valga per me.

Ho tentato di fingere.

Ti sono passata avanti, sfoderando una pacata tranquillità.

Poi, qualcosa si è rotto dentro la mia anima. L’eco di un dolore sordo mi ha stordita, lasciandomi sfuggire le briglie della mia ipocrita indifferenza, per cadere in pasto alla mia follia, alla mia sofferenza.

Ed allora ho provato a farti male anche io.

Di un male fisico, quello facile da dimenticare, quello del quale passa il segno.

Un male stupido, inutile, momentaneo, leggero, superficiale.

Non come quello che tu hai fatto a me. Violento, freddo, estremo,  imperituro. Profondo.

Sì, Ron, perché tu sei finito sotto la mia pelle, sotto tutti gli strati della mia anima. E  mi hai ferita lì, dove nessun altro mi avrebbe mai potuta colpire.

Sono andata via, con i tue gemiti e le tue preghiere smozzicate nelle orecchie, raccogliendole nella mia vendetta.

Non mi sono sentita meglio. Per niente.

Adesso mi trovo qui, a parlare di te con te, con quel Ron che mi porto a forza dietro, con quel Ron  che vorrei cacciare via e stringere contro il mio corpo morbido allo stesso momento.

Con quel Ron che inseguo nei miei sogni impudichi, con il quale barcollo nell’ebbrezza di un amore, mai nato, mai vissuto, mai compiuto.

Come quel Ron che adesso so non mi appartiene più. Che è andato via.

Vorrei solo sapere perché. Solo questo, per riuscire a capire, a farmene una ragione.

Ancora spero di risvegliarmi fra le mie lenzuola madide di sudore freddo. Ancora spero che questo sia solo un incubo.

Ma non lo è.

Orami la notte deve aver avvolto questo giorno infelice con il suo manto buio, schiudendolo nelle mille pieghe delle sue ombre, oscurando con banchi di nuvole grigie l’oro delle stelle e l’argento della luna.

Dovrei tornare in dormitorio, abbracciarmi con me stessa, accarezzarmi piano, per consolarmi, strofinando il mio corpo contro le coperte.

Dovrei cacciarti via dai miei pensieri, cacciarti via dalla mia vita.

Dovrei fare troppe cose e non ne ho la forza.

Sono stanca, lo sai Ron?

Ti te, di me.

Di noi.

Quel noi che esiste ma non è in vita. Quel noi che non è mai nato ma c’è sempre stato.

Vaffanculo.

A te, a lei, al mondo.

Non ne vale la pena, non devo torturarmi così, vagheggiando fra me e te davanti ad uno specchio.

Perché io non lo merito.

Perché tu non lo meriti.

Vorrei estirpare quel male insano chiamato speranza dalla mia anima, come il veleno di un serpe. Non può continuare a stuprarmi sussurrandomi sibilante all’orecchio che tutto si sistemerà. Che tu, nonostante tutto tornerai da me. Che lei sarà solo il ricordo sfocato di una sbandata.

Solo una puttana.

Che io tornerà la tua Hermione.

Che riprenderò il posto che è sempre stato mio.

Al tuo fianco.

Schizzi di acqua gelida mi bagnano il volto gonfio ed arrossato.

Ho la gola riarsa.

Ho il cuore inaridito.

Ho l’anima violentata.

Un sospiro tremulo percuote l’aria intorno a me.

Ma adesso basta. 

Ho diciassette anni. Solo diciassette anni.

La vita m’invita vogliosa a giacere con lei, in un campo di fiori dal quale succhiare il nettare a l’ambrosia. Accarezza con un tocco lascivo le parti più nascoste di me, mormorandomi di correrle incontro.

Io andrò da lei, Ron.

Ma se tu vuoi, amico, amante senza amore, raggiungimi.

 

 

 

  
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