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Autore: CowgirlSara    05/09/2005    4 recensioni
PICCOLO RITOCCO. È tempo di tornare per un Cavaliere d’Oro. Dopo cinque anni passati a far finta di dimenticare, è ora di scoprire cosa è veramente cambiato e cosa è rimasto dolorosamente uguale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Rising - Back to the Sanctuary' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Questo è

Questo è, come annunciato, l'ultimo capitolo. So che ci sono dei punti rimasti un po' in sospeso, ma questa storia era nata per parlare del ritorno di Milo al Santuario e dell'inizio di un suo percorso di guarigione dal dolore. Spero comunque che questa ff vi sia piaciuta e che apprezzerete questo logorroioco finale. Aspetto i vostri commenti. Grazie con anticipo.

Baci

Sara

 

~ 7 ~

 

Era passata quasi una settimana dall’arrivo di Milo al Santuario; come ordinato da Arles, il cavaliere era rimasto ad Atene, nell’attesa di nuove disposizioni del Sacerdote, che erano ben presto arrivate. Il giorno successivo sarebbe partito, ma c’erano ancora alcune cose da fare.

Non vedeva Camus da quella mattina nella Biblioteca, quasi quattro giorni prima; l’amico si era allontanato dal Grande Tempio. Era andato da Elettra, molto probabilmente. O chissà dove, date le sue recenti inclinazioni allo sfarfallamento…

Scorpio si chiedeva come un rapporto d’amore, era da sottolineare d’amore, potesse arrivare a diventare così complicato e contorto da essere causa di sofferenza. Milo si disse che era perché a Camus non era mai capitato di perderlo un amore, nessuno glielo aveva mai strappato e, anche dopo i suoi tradimenti, c’era da scommetterci, era stato perdonato. Almeno all’apparenza. La Divina Elettra non gli era mai sembrata una donna in vena di rassegnazione, a Camus doveva essere costato caro il pentimento. Sorrise di sbieco, pensandoci.

Ricordava benissimo il suo primo incontro con la figlia di Nikolais. Lui e Melissa non riuscivano mai a stare un po’ insieme, potevano solo scambiarsi delle lettere segrete, grazie ad un metodo del bibliotecario: la ragazza prendeva un libro, ne leggeva una parte e lo riconsegnava con la lettera dentro, il giorno dopo Nikolais si preoccupava di restituirglielo accompagnato dalla risposta di Milo. Fu così che Melissa gli fece sapere che avrebbe passato un paio di giorni al Tempio di Zeus, dove sarebbero stati liberi di passare del tempo insieme. Presi accordi con Camus, la raggiunse lì… e conobbe la Gran Sacerdotessa.

Quella prima impressione gli sarebbe rimasta stampata per sempre nella mente. Non sembrava per niente greca, prima di tutto. Era alta, molto alta, e bionda, molto bionda. Con una pelle talmente chiara da sembrare quasi nordica, come nordico era il suo sguardo, e i suoi occhi erano di un turchese scuro, ma trasparente, quasi irreale. E rammentava che non gli piacque il suo atteggiamento: troppo altezzosa, distaccata, fredda, con quelle mani grandi e crudeli, dalla perfetta manicure.

Le domande che gli fece poi… una sola parola, irritanti. Sapeva d’averle risposto con arroganza e scarsa educazione, sotto lo sguardo stranamente divertito di Camus.

Ma ciò che ricordava meglio era il momento in cui quella donna, finalmente, alzò gli occhi su di lui, trapassandolo, e poi sorrise soddisfatta. “Mi piaci.” Gli disse, con quella voce che non sapevi bene se era antipatica o sensuale. In quell’istante Milo aveva intravisto qualcosa nei suoi occhi.

L’ombra di un dolore, una sofferenza antica e radicata, e più di questo… un potere che andava al di là della straordinaria energia del suo cosmo saettante… era latente e ancestrale e lui non lo capì.

Nemmeno ora lo capiva, gli ci sarebbero voluti ancora un paio d’anni prima di afferrare il segreto di quella forza creatrice e distruttiva allo stesso tempo, prima di comprendere quel potere tutto femminile di essere madre, figlia, amica, amante, compagna allo stesso tempo (*). Capace di riempire un mondo. Capace di riempire un vuoto.

Ma in questo momento, mentre saliva le scale verso l’undicesima casa, Milo era lontanissimo dal considerare Elettra una donna avvicinabile, era più un simbolo, una specie di autorità lontana che, presa da improvvisa magnanimità, gli aveva concesso i pochi momenti felici insieme a Melissa. Non riusciva a pensare la Sacerdotessa lontana dal suo trono o con un atteggiamento meno algido. Aveva come l’impressione che farci l’amore fosse un po’ come trombarsi un distributore di ghiaccioli, per questo la chiamava Vulva di Pietra. Anche se, a ben dire, a Camus piacevano molto i ghiaccioli… Brrr, Milo odiava il freddo!

 

Mancavano pochi gradini per raggiungere la casa di Acquarius, ma Scorpio si fermò, accorgendosi della persona che lo fissava con un sorriso beffardo dall’ombra del colonnato.

Camus fece un passo avanti, scendendo il primo gradino, per fermarsi nel piccolo spiazzo dove finivano le scale di raccordo con la decima casa. Indossava un lungo caftano color porpora e, a giudicare da come gli aderiva al corpo a causa de vento, solo quello. Il suo modo di vestire era sempre stato bizzarro, ma che ora avesse anche smesso di portare le mutande…

Milo lo squadrò perplesso, alzando un sopracciglio, per poi sorridere in quel suo modo tipico, ironico, sensuale e misterioso allo stesso tempo. Altra caratteristiche che l’amico gli invidiava.

“Sei sparito.” Affermò Milo, grattandosi l’addome; per farlo sollevò la canottiera, svelando che i jeans gli andavano un po’ larghi in vita, calando sui fianchi scolpiti.

“Avevo cose da fare.” Rispose laconico Camus, slacciando le braccia; il caftano aveva un’ampia apertura sul davanti, che mostrava il petto liscio e muscoloso del cavaliere.

Si sedettero entrambi sulle scale. Camus si accorse che Milo, con quella canottiera nera e quei jeans sdruciti, i capelli lunghi, sembrava proprio una rockstar. Sì, gli mancava solo un cicchino tra le labbra e la chitarra elettrica… Sorrise, tornando a guardare avanti.

“Mi spieghi perché ti sei vestito come una vecchia checca francese?” Gli chiese però l’amico, facendolo voltare.

“Perché?” Replicò lui, sfoderando l’ironia. “Non mi trovi sexy?”

Scorpio gli lanciò un’occhiata disincantata. “Senti, la tua bella troverà anche eccitante che vai in giro con il canarino fuori dalla gabbia, ma onestamente sono altre le cose che trovo sexy.” Gli rispose infine; Camus lo fissò per un attimo, poi scoppiò a ridere, seguito subito da Milo.

“Com’è andato il colloquio con Arles?” Domandò Acquarius qualche minuto dopo.

“Hm… inquietante…” Rispose Milo, alzando gli occhi al cielo.

“Decisamente.” Confermò l’altro, che doveva esserci passato prima di lui. “Hai visto le armature?”

“Sì.” Annuì Scorpio. “E tu, sapevi di Virgo e Gemini?”

“Ho incontrato Shaka, giorni fa.” Raccontò Camus. “Tanto perbenino, con quei suoi bei capelli da Barbie Kamasutra…” Aggiunse acido.

Scorpio ridacchiò, ma tornò subito serio. “E Gemini? Non sapevo avesse un custode.”

“Non so dirti molto.” Fu costretto a rispondere l’amico. “Anni fa, ai tempi della mia investitura, forse prima, avevo sentito parlare di un cavaliere, un certo Saga, ma poi non ho saputo più nulla.”

“Che sia sempre lui?” Mormorò pensoso Milo, fissando il nulla.

“Non mi riguarda, comunque.” Glissò bruscamente Camus. “Dimmi di te.” Incitò poi.

“Beh, il Gran Sacerdote mi aveva affidato il simpatico compito di sterminare i Cavalieri di Bronzo e riportare in Grecia la Sacra Armatura di Sagittarius, ma il prode Ioria di Leo me l’ha soffiato da sotto il naso.” Dichiarò Scorpio, con tono pomposo e sarcastico.

Camus l’osservò per un momento, poi sorrise. “Non sembri poi così dispiaciuto.” Ipotizzò.

Milo fece un’alzata di sopracciglia. “Non molto, alla fine.” Rispose quindi, stringendosi nelle spalle. “Se non fosse per l’atteggiamento di Ioria, che se ne va in giro a fare proclami, col petto gonfio, come se fosse il re della savana!” Sbottò poi.

“Certo che dici a me… ma voi due non vi siete proprio mai presi.” Commentò Camus. “Se non mi sbaglio fu proprio a causa di una lite con lui che finisti a fare l’assistente in biblioteca…”

“E lo domandi?! Mi ci portasti tu a calci nel sedere!” L’interruppe l’amico; risero di nuovo. “Ad ogni modo…” Riprese Scorpio. “…siamo troppo diversi, io e Ioria, lui prende le cose maledettamente sul serio, io non l’ho mai fatto, però… in un certo senso lo ammiro, per la sua coerenza, il coraggio, lo spirito di sacrificio, non so se sarei stato capace di fare quel che ha fatto lui…” Ammise serio.

“È solo un ragazzino stupido.” Sentenziò Camus, facendo voltare Milo. “Non si può vivere col paraocchi, ci sbatterà il muso prima o poi.”

“A cosa alludi?” Chiese l’altro. “Lui e Elettra…”

“Lascia stare.” L’interruppe con un gesto. “È una faccenda in cui non voglio entrare, quei due sono fermi nelle loro posizioni come fossero in trincea, un giorno sapremo chi ha ragione e qualcuno dovrà chiedere perdono, ma fino ad allora è bene che si scannino tra di se.”

Milo ritenne meglio far cadere l’argomento, sapeva che i rapporti, diciamo così, «familiari» tra Elettra e Ioria non erano esattamente idilliaci, poiché i due la pensavano in modo opposto: lui era sempre rimasto fedele al Santuario ed al Gran Sacerdote, mentre lei… beh, lei non nascondeva certo come la pensava.

“Ho avuto un altro incarico, comunque.” Affermò quindi; Camus si girò verso di lui, incuriosito.

“Di che si tratta?” Gli domandò.

Milo si alzò. “Devo recarmi all’isola di Andromeda e scoprire il motivo per cui Albione non ha ancora giurato fedeltà ad Arles.”

Camus si mise a sua volta in piedi. “Conosco Albione, è una brava persona, avrà certamente una plausibile spiegazione per il suo comportamento.” Affermò.

“Non dubito.” Ribatté Milo, mani sui fianchi e leggermente piegato in avanti. “Sarò diplomatico.” Aggiunse, quindi alzò gli occhi, incrociando quelli seri dell’amico.

"E se la diplomazia non dovesse funzionare, quali provvedimenti sei autorizzato a prendere?" Chiese retorico Acquarius.

Scorpio lo fissò per un attimo, poi abbassò gli occhi sbuffando. “Andiamo Camus, lo sai… lo sai come vanno queste cose…” Rispose poi, tentando di alleggerire il tono.

Il cavaliere dell’undicesima casa preferì non indagare ulteriormente l’argomento, sapeva che le risposte non gli sarebbero piaciute, anche se capiva che loro erano cavalieri e agivano in nome di un’autorità che, al momento, non era possibile contestare. Si spostò di qualche passo, posando una mano contro la superficie liscia di una delle anfore che ornavano la cima delle scale; il vento, fattosi all’improvviso più intenso, fece aderire la stoffa sottile al suo corpo slanciato.

“Quando te ne vai?” Domandò all’amico.

“Partiamo all’alba.” Rispose Milo.

“Partite?!” Esclamò sorpreso girandosi. “Chi viene con te?” Domandò quindi.

“Aphrodite di Pisces.” Affermò Scorpio, dopo una lieve titubanza.

Camus si voltò del tutto, spalancando gli occhi stupito, poi gli si formò sulle labbra un sorrisetto perfido e ironico. “Aphrodite… beh, amico mio, assicurati di avere in valigia un bel paio di mutande di ghisa!”

“È la prima cosa che ho fatto!” Esclamò Milo. “Ma non è giusto che me lo faccia notare tu, che te ne vai in giro coi lombi al vento!” Aggiunse divertito; si scambiarono uno sguardo obliquo, poi scoppiarono a ridere.

“Oh, non rompere i coglioni, mi davano fastidio!” Sbottò Camus, mentre ancora ridevano.

Quando l’ilarità terminò rimasero lì, in piedi, senza dire nulla, fianco a fianco. Acquarius aveva scherzato, ma in realtà era turbato dalla notizia che Aphrodite avrebbe accompagnato Milo. Due cavalieri d’oro erano decisamente troppi per una missione diplomatica. Pisces era un fedelissimo di Arles e che Albione avesse addestrato uno dei cavalieri di bronzo non era un mistero. Troppe coincidenze allarmanti, c’era da tenere dritte le antenne.

“Bene…” Fece Milo, risvegliandolo dai suoi pensieri, lo guardò. “…ora devo andare, ho lasciato un paio di cose in sospeso e vorrei risolvere prima di partire.” Camus annuì fissandolo.

Scorpio scese un paio di gradini, poi però si girò di nuovo verso l’amico, come se avesse dimenticato qualcosa; Camus lo guardò perplesso, con espressione interrogativa. Il ragazzo risalì in fretta le scale e abbracciò d’impeto l’altro cavaliere. Fu un gesto istintivo, qualcosa che sentiva di dover fare, prima di partire, per dimostrare che, nonostante fossero molto diversi e spesso la pensassero in modo opposto, la loro amicizia restava. Un punto fermo nelle vite di entrambi. Un legame profondo e vero per chi, come loro, non aveva mai avuto una vera famiglia.

Acquarius, dopo un primo istante di sorpresa e imbarazzo, sorrise e poi rispose all’abbraccio dell’amico, stringendolo a se e dandogli lievi pacche sulla schiena. Capiva e condivideva i suoi sentimenti. I legami creati dal cuore che diventano più forti degli ormai smarriti legami del sangue. Milo era come un fratello e come tale lui lo amava.

Lo strinse appena un po’ di più, ma solo un attimo dopo, svelto come era nato, l’abbraccio cessò e Scorpio si allontanò veloce, cominciando a scendere le scale senza guardarlo. Certo, non è che ci fosse bisogno di tante parole, i gesti avevano già detto tutto…

“Milo.” Lo fermò però l’altro; lui si bloccò sulle scale, poi si girò piano. Ah, ecco perché scappava, ha gli occhi lucidi… si disse Camus. “Volevo solo dirti di tenere gli occhi aperti, non mi fido di Aphrodite.” Gli suggerì serio, guardandolo negl’occhi.

L’amico annuì. “Lo farò.” Rispose quindi. “Grazie Camus.” Aggiunse poi, con un ultimo sguardo e s’incamminò giù per le scale. E Acquarius sapeva che quel grazie non era per il consiglio.

 

C’era veramente qualcosa che Milo aveva lasciato in sospeso. Per cinque anni. Fatti d’interminabili giorni passati a fare finta che non fosse successo nulla, che le persone coinvolte non fossero esistite. E di molti altri giorni, altrettanto interminabili, passati sul fondo della più cupa disperazione, tra alcool e sigarette, a sfiorare il pensiero che sì, farla finita non sarebbe stato poi così male.

Giorni in cui il mondo era bello solo perché esisteva e anche se eri triste valeva la pena vivere. Altri in cui la vita era semplicemente come la scaletta del pollaio: corta e piena di merda. Particolarmente nel suo caso. Attimi in cui gli sembrava di stare quasi bene, alternati ad altri dove stava tanto male da vomitare. E non perché aveva bevuto troppo. Quelle volte era meglio calarsi un Valium e stare rincoglionito per un paio di giorni, almeno non pensava.

E tutto questo a causa di una ragazza e della sua storia. Melissa era una ragazzina minuta, molto magra, con lunghi capelli color miele e due occhi troppo grandi. Li vedeva come se fosse ora, di un blu cupo, ma luminosi come una notte stellata. Era un piccolo angelo, fragile e dolce. Avrebbe avuto bisogno di qualcuno che la salvasse. Se soltanto lui ne avesse avuta la forza.

Ma Milo aveva solo diciassette anni a quel tempo. Era un giovane cavaliere che non aveva ancora ben capito i doveri e i limiti del suo ruolo. Troppo immaturo per comprendere che la vera tragedia non è gridata, ma si consuma in silenzio, all’improvviso, quando meno te lo aspetti. (*)

Così era successo. Melissa, schiacciata da anni di vessazioni, dolore e violenze, aveva compiuto l’unico gesto che poteva veramente liberarla. Si era uccisa. Nonostante tutto l’amore di Milo, l’affetto e la comprensione di Elettra, il sostegno di una sorella più forte.

Il cuore del giovane cavaliere di Scorpio si era fermato quel giorno e anche se poi era ripartito, non aveva avuto più la forza di un tempo. Il dolore lo aveva lasciato quasi stordito, nella sua potenza. La rabbia lo aveva accecato e reso quasi un assassino. Ma, infine, ciò che aveva preso il sopravvento era stato il senso di colpa.

Lui era un cavaliere e non era stato capace di comprendere l’orrore in cui viveva Melissa e salvarla, portandola lontano. Era stato incapace di prendere in mano le loro vite e dare una svolta nuova. La sua giovane età non era un giustificazione. La volontà di lei di tenerlo allo scuro ancora meno. Per anni si era roso in queste considerazioni, preso negli alti e bassi delle sue crisi depressive.

Le cose, però, ultimamente erano un po’ cambiate. Crescendo aveva capito meglio. Si sentiva ancora in colpa, ma comprendeva che il destino e la mente degli uomini erano territori oscuri. Aveva compreso che, probabilmente, portare lontano Melissa non avrebbe risolto i suoi problemi, che l’aspettavano anni di terapia per uscirne. Che lui, in ogni caso, restava un cavaliere di Atena e il suo dovere l’avrebbe prima o poi riportato al Santuario. Come era davvero successo, infine.

Forse il dolore era una crudele prova degli Dei per mettere i mortali davanti alla loro fallibile natura umana. Forse Melissa era davvero una creatura del cielo e, se era così, questo cattivo mondo non era il suo posto. Solo nei giardini dell’Elisio sarebbe stata libera e felice. Questi pensieri non lo confortavano dal dolore, che comunque era nel suo cuore, ma almeno poteva sperare che lo sguardo amorevole della fanciulla lo proteggesse nelle battaglie che avrebbe dovuto affrontare.

 

Si tolse il casco e lo poggiò sulla sella della moto che aveva usato per arrivare fin lì. Il panorama era talmente bello da togliere il fiato.

La costa si frastagliava in alte scogliere particolarmente candide, spoglie d’alberi, ma coperte da erba verde. Il cielo era di un azzurro cristallino, che si rifletteva nell’acqua verde e blu del mare calmo. I gabbiani sfioravano le onde, gridando, nel vento dolce. C’era profumo di salsedine, misto a quello inebriante degli arbusti cresciuti tra le rocce.

Milo camminò attraverso l’incerto sentiero che risaliva una scogliera. Quel posto aveva certamente un’importanza particolare. Lui e Melissa c’erano stati alcune volte e la ragazza se n’era innamorata. Aveva lasciato scritto che era il luogo in cui voleva riposare e così era stato.

Il suo desiderio, in realtà, era rimasto un segreto condiviso da solo tre persone, perché Melissa doveva essere sepolta nella cripta del Santuario, un onore concesso a pochi; dopo la sua morte, però, Milo aveva trovato la sua lettera d’addio, dove la ragazza esprimeva la volontà di essere tumulata sulla scogliera, non in un posto buio e freddo. E a chi poteva chiedere aiuto, il cavaliere di Scorpio, se non al suo migliore amico e all’unica persona che aveva dimostrato di amare Melissa? Camus, pur non del tutto d’accordo, lo aiutò a trafugare il corpo, mentre Elettra si occupava della tomba. Furono loro tre gli unici ad assistere alla tumulazione e, al di fuori della ristretta cerchia, solo Ofelia, la sorella di Melissa, fu informata del luogo di sepoltura.

La sparizione del corpo della ragazza era tutt’ora uno dei misteri meglio custoditi del Santuario. E solo gli Dei sapevano quanti segreti celassero quelle mura.

Il padre di Melissa, un capitano delle guardie del Santuario, e i suoi due figli, rozzi e viscidi soldati di truppa, avevano tentato di accusarlo, rendendosi conto ben presto che un cavaliere di quella casta era intoccabile e anche che gli conveniva stargli lontano. Scorpio, infatti, quando aveva saputo i particolari della vicenda di Melissa, era partito deciso a fare strage dei membri maschi della famiglia; solo Camus era riuscito a riportarlo alla ragione, con le maniere forti.

Erano stati giorni strani quelli. Passati addosso come se fossero stati guardati dal di fuori. Con la rabbia che lo riempiva di energia negativa, per poi lasciarlo in balia di una disperazione tanto forte da privarlo di qualsiasi forza, anche quella di sollevare una mano.

In seguito aveva vissuto un periodo di apatia quasi totale, finché Nikolais non lo convinse che l’unico modo per ritrovarsi era allontanarsi da tutto.

Lo aveva fatto. Era andato nel deserto, aveva vissuto per un anno insieme ai beduini; poi il Mediterraneo, esplorato in ogni angolo per quasi due anni. Si era perso molte volte. Nei profumi estranianti dei suk maghrebini, nelle acque cristalline della Croazia, nei vicoli di Istanbul, nelle voci estranee sui traghetti. In notti lunghe e dolorose, dove l’unico rumore era quello dei suoi singhiozzi. Poi Milos lo aveva accolto. Il luogo dove aveva conquistato l’armatura, con le sue case bianche, il profumo di limoni, le campane lontane, i riti dei pescatori. C’era una strana pace irreale sull’isola, sembrava quasi artefatta, come lo era l’apparente tranquillità di Scorpio, però gli aveva fatto bene.

Ora tornava su quella scogliera con il dolore sempre nel cuore, ma consapevole che, qualunque cosa fosse successo, la sua vita era andata avanti comunque, che lo desiderasse oppure no.

 

Vide la tomba. In un punto dove l’erba si faceva più fitta e verde sorgeva una piccola lapide di semplice marmo bianco. Nessun nome, nessuna data. Solo il simbolo dello Scorpione, una specie di M con la coda, scolpita al centro.

Si avvicinò, con già un groppo alla gola e gli occhi lucidi. La tomba era curata, l’erba tagliata, il marmo pulito. Il piccolo roseto che la circondava era ben tenuto e cominciavano a spuntare piccoli boccioli di rose gialle, le preferite di Melissa. Era stato proprio Milo a piantarlo, il giorno del funerale.

Si stupì, ad ogni modo, di trovare quell’ordine. Era segno che qualcuno accudiva con devozione la tomba e non lo avrebbe creduto. Chi poteva mai essere? Sapeva che Ofelia viveva al nord, quindi era improbabile che fosse lei. Camus non era certo il tipo che… ma sì, non poteva che essere la Divina Elettra a farlo. Era la soluzione più logica, pensandoci. Al ritorno sarebbe andato a ringraziarla di persona. Ora aveva altro cui pensare.

Si chinò sull’erba, ma la sua mente era già altrove, non vedeva più il mare e il cielo. Solo gli occhi di Melissa. I loro giorni insieme. Il primo sguardo che si scambiarono, la prima carezza… il primo bacio. E quando decisero di fare l’amore, inesperti entrambi e un po’ imbarazzati. Il corpo di lei, fragile e magro… e quei lividi, c’era sempre una buona scusa. “Sono proprio imbranata!” Diceva; ma essere picchiati non è come colpire per sbaglio uno spigolo, i segni sono diversi. Le raccomandazioni così inutili di Milo, che non sapeva, no, non poteva capire. La consapevolezza arresa di Melissa, convinta che al peggio di un essere umano non ci fosse mai fine. Una giovane vita talmente privata di speranza da non riuscire a vedere neanche il riflesso di un futuro migliore. Una morte improvvisa, che aveva colto di sorpresa solo chi non aveva intuito la disperazione della ragazza.

Milo lo aveva fatto. Sentiva la disperazione in lei, nonostante lo avesse voluto tenere lontano da quel lato della sua vita. C’era qualcosa d’irrimediabilmente spezzato in Melissa e quando era morta, Milo aveva capito la propria impotenza, perché anche se lui l’aveva amata, non era stato in suo potere salvarla. Questo aveva alimentato il suo senso di colpa nel corso di quegli anni trascorsi a tormentarsi.

Era passato molto tempo, adesso, e altro ne sarebbe dovuto passare, prima che lui guarisse, che potesse rinascere denudato dagli sbagli e dai peccati, pronto a danzare sulla tomba della sua vecchia anima. (*) Non aveva perso la speranza, la ricostruzione era lunga e dolorosa, ma non si sarebbe arreso.

Si asciugò il viso bagnato dalle lacrime e sorrise appena, come se avesse davanti Melissa che gli diceva di non piangere, poi si sporse verso la lapide e scavò alla sua base. Un bocciolo più grande degli altri, già pronto a fiorire, lambiva il marmo. La ricerca fu breve, ricordava perfettamente di averlo messo lì prima di partire, cinque anni prima.

Era un medaglione di forma ovale attaccato ad una catenina d’oro. Una cornice di oro rosso formava una specie di stella a molte punte al cui interno spiccava il simbolo dello Scorpione. Milo, da quando aveva memoria, lo aveva sempre posseduto; forse era l’unico collegamento con la sua vera famiglia, ma non c’erano conferme. Un tempo lo aveva donato a Melissa, ma lei non aveva potuto indossarlo, così aveva continuato a portarlo lui. Rappresentava, ad ogni modo, il legame tra loro due, per questo, quando Scorpio era partito, lo aveva lasciato lì. La garanzia del suo ritorno ed un modo per continuare comunque a starle vicino.

Il ragazzo risistemò la terra smossa, poi si alzò. Aprì il pugno e pulì la superficie dorata del gioiello, che brillò al sole, quindi se lo mise al collo; il metallo freddo gli trasmise un brivido familiare. Abbassò di nuovo gli occhi sulla lapide.

“Sono tornato, hai visto Melissa?” Mormorò cercando di trattenere le lacrime. “Non ti lascerò mai più sola così a lungo.” Continuò con voce tremante. “Sto ancora male, a volte, sai… ma non ti preoccupare, io… ce la farò…” Sospirò e sfiorò la lapide con la punta delle dita; quindi si asciugò le ultime lacrime prima che gli scendessero dagli occhi, poi riprese il sentiero in discesa.

La lunga strada della salvezza. Sarebbe riuscito a percorrerla completamente solo quando avesse compreso che, ormai, l’unico da salvare era lui stesso. Aveva speranza nel cuore e questa era già una vittoria. Forse avrebbe avuto bisogno anche di aiuto, se solo avesse trovato la persona adatta. Il futuro lo spaventava ancora, con le sue incertezze, ma avrebbe vissuto giorno per giorno tutto ciò che gli era riservato. Le battaglie. I dubbi. Le scelte. I sentimenti. Poi un mattino si sarebbe svegliato, forse con qualcuno accanto, o forse no, e la paura sarebbe scomparsa.

Sì, sarà una mattina di sole… si disse il cavaliere, poi sorrise al cielo, dove vedeva l’immagine sorridente di Melissa, e lei scomparve dolcemente, nel vento.

 

If there's a light up ahead well brother I don't know
But I got this fever burnin' in my soul
So let's take the good times as they go
And I'll meet you further on up the road

(Further on (up the road) – Bruce Springsteen)

 

FINE

NOTE:

-          (*) anche questa riflessione è tratta da Camilleri, “La voce del violino”.

-          (*) quest’idea della tragedia silenziosa (che condivido in pieno) me l’ha data un libro di Andrea Camilleri che ho letto quest’estate “La luna di carta”, che consiglio come tutti i romanzi dell’autore siciliano.

-          (*) non pensate che all’improvviso mi sia data alla filosofia, ho solo rielaborato un concetto che mi piaceva, espresso nei versi di una canzone che amo. Li riporto per correttezza: “Tonight I'm gonna get birth naked and bury my old soul / And dance on its grave” (Long time coming – Bruce Springsteen). Tutto il testo sarebbe da citare, cmq… ^__-

-          Further on… questa canzone era perfetta per chiudere la storia, perché come quasi tutte quelle dello zio Bruce è piena di speranza, nonostante tutto, e voglio dargliene di speranza, al nostro Milo.

 

E ora, finite le cose serie, si apre lo spazio dello SFOGO MALUPINO!

1.        Lo ammetto, l’idea di un figone con addosso solo un leggero caftano è una dei miei pensieri erotici ricorrenti. Che ci volete fare, sono malata…

2.        Scorpio rockstar è un classico, ormai, ma non ho potuto fare a meno del mio sguardo ma malupino… lo vedete anche voi il suo pancino? L’addominale tirato? L’ombelico? O_O E via, sono andata definitivamente…

3.        Infine non posso che ribadire il mio amore per Milo, che mi conquistò al primo sguardo del primo episodio in cui appare ed è sempre rimasto il mio cavaliere preferito. Del resto non è possibile fare altrimenti, davanti a cotanto splendore! Sbavatrici del mondo uniamoci!

 

Bene, asciugandomi l’ultima goccia di saliva, vi saluto e ringrazio e spero di rifarmi viva presto in questa sezione, altrimenti a presto sulla pagina degli autori!

Un saluto grandissimo a tutti!

CrazyCow

 

 

 

   
 
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