Nota: i
personaggi di Sailor Moon, detenuti da Naoko Takeuchi, non mi appartengono.
…E penso a te…
“Io lavoro e penso a
te…”
Credevo
che lavorare servisse per tenere la mente occupata e per evitare di pensare.
Allora come mai i pensieri non ne vogliono sapere di lasciarmi in pace?
Sono le
due di mattina e mi ritrovo a non avere niente da fare… per forza! tanta era la
smania di lavorare che ho già finito i miei compiti durante il turno. Ho
controllato i pazienti del mio reparto e ho dovuto compilare tutte le cartelle
mediche.
Sono il
più giovane medico che sia mai stato assunto qui all’ospedale Juban, il più
prestigioso di tutta Tokyo. Sebbene sia entrato solo da un anno, sono già
temuto e rispettato da tutti i miei colleghi e non ho difficoltà ad ottenere
ciò che voglio. L’unico svantaggio dell’essere arrivato da poco e che, a volte,
mi toccano i turni più pesanti, come quello di notte che mi hanno assegnato per
oggi… Tempo fa, avrei usato tutta la mia influenza per evitare l’infernale
condizione di stare sveglio e vigile nello studio dell’ospedale. Ora, invece,
mi sembra l’unico modo che ho per tenermi occupato e per frenare il flusso dei
miei pensieri che, da un mese a questa parte, è rivolto unicamente a… lei. Usagi.
Un nome di appena cinque lettere che per me è tutto. Anche se a lei ho tentato
di far credere che non fosse niente. E l’ho tagliata fuori dalla mia vita.
Perfetto!!
Mi ero riproposto di smettere definitivamente di pensarla e, invece, a quanto
pare, la mia mente si rifiuta di collaborare.
Lo
sapevo!! Appena mi fermo, subito i ricordi dei giorni felici trascorsi con lei
mi assalgono con tutta la loro potenza. Mi rivedo durante i nostri incontri… erano caratterizzati sempre da un’allegria e
da una gioia di vivere che partiva da lei e mi contagiava. I suoi occhi erano
caldi, luminosi e ricolmi d’amore che riversava a tutti coloro che avevano la
fortuna di essere oggetto dei suoi sguardi. Ero felice… come non mi accade
da tempo. Almeno da quando l’ho lasciata. Mi illudo di poter essere felice
anche senza di lei ma la verità è tutto l’opposto.
Non c’è
più una scintilla di vita nei miei occhi da quando non ho più voluto vederla.
Continuo con la mia vita di sempre ma mi accorgo che vado avanti per inerzia e
che i giorni mi passano davanti senza sfiorarmi.
“Torno a casa e penso
a te…”
Mi sembra
che questa notte non voglia mai passare…
Alla fine,
è stato inutile oppormi ai ricordi. Erano così vividi e chiari dentro la mia
mente che sembrava quasi che stessi rivivendo quel tempo quand’ero senza
preoccupazioni. Ritornare alla grigia realtà mi lascia un senso di desolazione
permanente e senza via d’uscita… è per questo che non voglio abbandonarmi ai
pensieri. Devo comunque cercare di andare avanti. Non posso mostrare segni di
debolezza. Devo restare lucido, concentrato. Devo farlo per lei. Perché lei
possa vivere la vita felice che merita. Perché accanto a me quella vita non le
sarebbe concessa.
Guardo
l’orologio: sono le sette del mattino. Il mio turno è finito. Devo sbrigare le
ultime cose e poi finalmente tornerò a casa.
Salgo in
macchina ed esco dal parcheggio. Il cielo ancora scuro è in sintonia col mio
umore. Solo poche macchine corrono nelle strade cittadine il che mi permette di
raggiungere più velocemente il mio appartamento. Non vedo l’ora di riposare.
Richiudo
pesantemente la porta di casa. Le stanze buie e vuote riflettono la solitudine
che mi attanaglia il cuore. E intanto la mia mente continua a giocarmi brutti
scherzi, riportandomi a memoria le sue parole il giorno in cui per la prima
volta aveva messo piede dentro l’appartamento: “E’ così freddo e impersonale, qui.” Da quando l’avevo conosciuta, mi sembrava che
il mio appartamento fosse diventato un luogo caldo e accogliente. Ricordo
ancora il giorno estivo più afoso quando lei e le sue amiche avevano preso
letteralmente d’assalto casa mia, l’unica in cui c’era l’aria condizionata.
Quante risate, quante chiacchiere!! Non mi ero mai divertito così tanto! Tutto
merito della sua presenza.
E adesso
che lei non fa più parte della mia vita, il mio appartamento è ritornato ad
essere un luogo solitario, senza nulla che indichi una parvenza di vitalità.
Lasciandomi
andare a questi pensieri, non mi sono accorto del tempo che passava: l’orologio
in cucina mi indica che sono già le otto e un quarto. E’ meglio che vada a dormire.
Non riesco
a prendere sonno. Sono steso nel letto da dieci minuti e l’unica cosa a cui sto
pensando è che probabilmente, a quest’ora, lei si sarà svegliata con un urlo,
esclamando di essere in ritardo, e, dopo essersi lavata e vestita, starà
correndo come una matta, con la colazione in bocca e la cartella alla mano, per
non arrivare in ritardo a scuola. Non posso fare a meno di sorridere al suo
ritardo cronico ma, dopo un attimo, sono già triste: mi manca. A che mi serve
ricordarla se poi mi sembra d’impazzire per la lontananza? Tutto, a questo
mondo, mi parla di lei, anche le più piccole cose.
La mia
mente sta andando un’altra volta alla deriva. Farei meglio a dormire, così
almeno durante il sonno eviterei di pensare. Purtroppo, questa non è la
soluzione più adatta: quel maledettissimo sogno mi perseguita ogni volta. Mi
sveglio sempre sudato e tremante dopo l’incubo in cui lei è in pericolo.
Dalla
prima volta che ho fatto quel sogno, non sono più riuscito a dormire
serenamente. E dopo la nostra separazione, tutto è peggiorato. Anche il riposo.
A lungo
andare, se ne risentirà anche la mia salute. Non posso più andare avanti così.
Devo riuscire a non pensare a lei. Devo relegarla nell’angolo più remoto del
cervello. Solo così tutto potrà tornare alla normalità.
“Le telefono e
intanto penso a te…”
Il trillo
insistente del telefono mi sveglia. Cavolo, quanto tempo è passato? La sveglia
sul comodino segna le 14.25. Ho dormito da schifo e la mia faccia ne è la prova
vivente: ho delle occhiaie che spaventerebbero anche gli zombie.
Il
telefono non smette di suonare.
Che
rottura!! Non ho assolutamente voglia di rispondere… se mi cercano, possono
benissimo lasciarmi un messaggio nella segreteria telefonica. Non sono tanti
quelli che hanno il mio numero di casa. L’ospedale, il mio amico Motoki e… lei.
E se fosse
lei, dall’altra parte del telefono? Come mi dovrei comportare? Non so se
riuscirei a mantenere un tono distaccato, solo con la voce lei ha il potere di
sciogliermi. E se sto zitto, farei sicuramente una figura da imbecille.
Ma la sua
voce mi manca… a dire la verità, non mi manca solo quello.
Va bene,
ho deciso! Sto per agguantare la cornetta e rispondere quando improvvisamente
il telefono tace e parte la segreteria…
-“Mamorucciooooooooo!!
Non sei in casa?”- è talmente forte l’urlo appena partito dal mio ricevitore
che sono costretto a indietreggiare e a tapparmi le orecchie per evitare la
sordità totale.
-“Uffa!!
Non sei mai a casa quando ti cerco. Ma non è che lo fai apposta e mi stai
evitando?”-
Grazie al
cielo, non ho risposto al telefono. Altrimenti mi sarei sorbito una
conversazione di ore. A dire il vero, non si può parlare di conversazione con
Kimiko, diciamo piuttosto che lei fa il suo monologo e io, di tanto in tanto,
mugugno qualcosa in risposta. Ma come mi è venuto in mente di darle il mio
recapito? Sarò sicuramente stato drogato, non c’è altra spiegazione…
Ho conosciuto
Kimiko durante una delle tante feste di beneficenza che l’ospedale organizza;
di solito non partecipo mai ma quella sera avevo bisogno di svagarmi. Era
passata una settimana dalla rottura con Usagi e non avevo voglia di stare da
solo con i miei pensieri.
La cosa
che mi colpì di più in lei era il suo vestito scollato: non lasciava proprio
niente all’immaginazione. I suoi capelli rossi e il corpo snello le davano un
aspetto molto seducente. I suoi occhi di un verde brillante la facevano
sembrare molto sveglia… Peccato che, dopo appena una chiacchierata di tre
minuti, avevo già capito che era un’oca completa.
Usagi l’avrebbe definita senz’altro “una
bambola siliconata”. E, soprattutto, non mi avrebbe mai chiamato “Mamoruccio”.
Lei usava un altro soprannome, altrettanto sdolcinato, è vero, ma mai tanto
ridicolo. Quel “Mamo-chan” che ogni tanto diceva, trasudava amore da tutte le
lettere. Le prime volte facevo fatica ad apprezzarlo, solo ora che lei non mi
chiama più così riesco a percepire tutto l’affetto che mi riservava.
Ha buttato
giù. E io ho sentito solo la frase iniziale. Mi tocca risentire il messaggio
registrato e poi chiamarla, altrimenti la prossima volta che la sento mi farà
l’interrogatorio.
Da quel
che ho potuto capire, stasera Kimiko vuole organizzare una seratina romantica
per noi. E io tremo al solo pensiero…
La
richiamo, cercando di dissuaderla dal progetto anche perché, da parte mia, non
ci sono proprio le basi per far sì che la serata sia piacevole sotto questo
punto di vista. Insomma, ci conosciamo da tre settimane, siamo usciti cinque
volte assieme, non mi pareva che fossimo arrivati a questo livello.
Niente da
fare. Mi risponde che è tutto a posto, che devo stare tranquillo, che fa tutto
lei e non mi devo preoccupare. Tra uno sproloquio e l’altro, riesco a captare
frasi del tipo “creare la giusta atmosfera” e “un posto adatto da trovare”. Non
sono affatto tranquillo…
Gli
appuntamenti con Usagi erano così semplici… non c’era affatto bisogno di
pensare costantemente al dove andare, bastava semplicemente la voglia di stare
insieme e tutto il resto andava da sé. Ma questo è meglio che non lo dica a
Kimiko, sarebbe capace di rinfacciarmi a vita il pensiero appena avuto.
Le mie
peregrinazioni mentali mi stanno facendo perdere il contatto con la realtà…
Kimiko sta aspettando ancora in linea e io sono qui fermo a pensare ad Usagi.
Chissà come mai…
Accetto il
suo invito solamente per distrarmi un po’ dalla piega che sta prendendo la mia
vita, spero che non si sia accorta del mio tono fiacco…
Vado a
fare una doccia. Sicuramente mi aiuterà a distendere i muscoli indolenziti dal
sonno e a rilassarmi. Ne ho proprio bisogno. Mi si prospetta una serata
preoccupante.
“Come stai e penso a
te…
Dove andiamo e penso
a te…
Le sorrido, abbasso
gli occhi e penso a te…”
Sono
arrivato con dieci minuti di anticipo sul luogo dell’appuntamento. Lei è già lì
che mi aspetta. Appena mi scorge, mi sorride e si avvicina. Ci salutiamo amichevolmente
e ci scambiamo i convenevoli.
Se fosse
stato uno dei soliti appuntamenti con Usagi, sarei stato io ad aspettare la mia
dolce testolina buffa… questo pensiero mi mette addosso una malinconia
terribile. Ma devo fare finta che sia tutto a posto per non far insospettire
Kimiko. Lei, comunque, non sembra essersi accorta di nulla.
Alla mia
domanda “Dove andiamo?”, sul suo viso comincia a comparire uno strano rossore
diffuso… che stia male?!?
Sono
decisamente spiazzato, non mi aspettavo questa reazione… e dire che ho fatto
una semplice domanda!! Comunque, appena si riprende, mi comunica la sua intenzione
di recarsi al parco degli Innamorati.
Il luogo
di tante passeggiate con Usagi.
E il mio
cuore si lacera.
Vedo
Kimiko impacciata e silenziosa… il che non promette nulla di buono. Le rare
volte che siamo usciti insieme mi chiedevo spesso se esisteva un modo per
spegnere la sua dirompente parlantina… più la frequento, più mi rendo conto che
è tutta l’opposto di Usagi.
Basta!! La
devo smettere. Alzo lo sguardo e noto che Kimiko mi fissa con le mani giunte…
ho già capito che c’è un’altra richiesta in arrivo.
Non faccio
in tempo ad articolare parola che lei subito mi prega di accompagnarla a fare
un giro in barca nel laghetto al centro del parco.
No. No. Tutto ma non questo.
Con tutti
i posti che ci sono proprio al lago dovevamo andare? Avrei accettato senza far
storie tutte le sue più strampalate richieste ma questa è la goccia che fa
traboccare il vaso. E il bello è che lei non sa cosa significhi quello che mi
ha chiesto. Non gliel’ho detto. Chissà quale sarebbe la sua reazione se le
spiegassi che in quel luogo io e Usagi ci siamo scambiati il primo bacio… non
oso immaginarmela. Possessività è il suo secondo nome.
Devo
essere impallidito, perché Kimiko si avvicina preoccupata e mi domanda se è
tutto a posto. Annuisco seccamente ma me ne pento all’istante… ha le lacrime
agli occhi. Ma che mi prende?!? non è certo colpa sua se l’immagine di lei è ancora viva nella mia mente.
Si
allontana turbata. Leggo sul suo viso un misto tra dolore e rabbia crescente.
Sembra una teiera sul punto di scoppiare.
Cavolo,
non mi aspettavo che fosse così suscettibile. Forse però ha ragione… starà
pensando che il mio comportamento è inspiegabile.
Lei non ha
fatto nulla… almeno consapevolmente.
È meglio
che prenda in mano le redini della situazione… bisogna che calmi Kimiko prima
che mi faccia una scenata fuori luogo davanti a tutte queste persone che
passeggiano tranquillamente nel parco. Le porgo un fazzoletto da bravo
gentiluomo. Questo gesto ha il potere di farla tranquillizzare.
Il suo
volto si illumina quando le propongo di andare a ballare…
Le sorrido
anch’io di rimando poi, però, sono costretto ad abbassare gli occhi per
nasconderli da lei… senza ombra di dubbio, noterebbe la mia espressione
svogliata.
Mentre ci
incamminiamo verso la discoteca, io non posso fare a meno di desiderare più che
mai la compagnia di Usagi. Se solo il mio maledetto orgoglio non mi avesse
fatto agire da perfetto idiota, a quest’ora non sarei certo qui con un
esemplare di donna invadente e, soprattutto, eccitata all’idea di scatenarsi in
un luogo pubblico affollatissimo.
Devo
essere rincoglionito… ma cosa avevo in testa quando le ho proposto la
discoteca? A me neanche piace… la sola idea di restare per tutta la notte in un
posto dove si gioca per di più a sedurre mi manda lo stomaco in subbuglio per
il disagio.
Datti un
contegno, Mamoru!! Fai buon viso a cattivo gioco… tanto peggio di così non può
mica andare!!
“Non so con chi
adesso sei…
non so che cosa fai…
ma so di certo a cosa
stai pensando…”
Il
silenzio tra di noi diventa sempre più pesante. Sembra che lei abbia esaurito
tutti i suoi argomenti anche se è palese la sua intenzione di farmi dire più di
qualche monosillabo.
A me,
invece, il silenzio non pesa affatto. È uno dei miei più grandi amici. E Usagi
questo lo aveva capito. Con lei, il silenzio valeva più di mille parole. Niente
situazioni imbarazzanti dopo parole inutili. Solo i nostri sguardi che parlavano.
Sono le
dieci e quaranta e io già non ne posso più… ho trascinato Kimiko sulla pista da
ballo solo per non stare qui impalato come uno stoccafisso…
Sono
circondato da una miriade di persone, l’aria è irrespirabile e la musica
assordante… l’unico aspetto positivo di questo posto è che almeno qui sono
certo di non perdermi dietro pensieri nocivi. Devo stare continuamente attento
a quello che faccio altrimenti potrei pestare un piede a qualcuno… non che mi
interessi molto, ma mi fa bene pensare a qualcosa di diverso. A Kimiko, per
esempio. Come immaginavo, in questo posto sembra divertirsi molto. È da un bel
po’ che balla vicino, anzi, attaccata a me ed è ancora piena di energia. Non
capisco proprio come faccia…
Ma che
fa?!? Sale sul cubo?!? Come se non bastasse, con un cenno frenetico delle mani
mi fa anche segno di salire… È impazzita!!
Ma certo,
mi ci vedo proprio a salire su quel dannato cubo di un centimetro quadrato!!!
Lei,
incurante del mio sguardo contrariato, continua imperterrita a ballare… beh,
ballare è una parola grossa, diciamo pure che cambia ogni cinque secondi il
modo di agitare il corpo. A un certo punto, vedo che mi grida qualcosa ma
ovviamente con questo frastuono non capisco nulla.
I suoi
movimenti sempre più provocanti affascinano e attirano tutti i maschi nel
raggio di venti metri… meglio defilarsela!!
Richiamo
la sua attenzione con dei gesti per farle capire che devo andare in bagno… In
realtà, è solo una scusa per allontanarmi dalla calca di uomini attorno a lei
che fanno bella mostra di testosterone.
È mai
possibile che, per trovare un po’ di tranquillità, uno deve infilarsi nei cessi
delle discoteche? A quanto pare, sì… è l’unico posto dove la musica è un suono
ovattato che non mi raggiunge. Cerco di rilassarmi… mi servirà se devo
trascorrere altro tempo con quella matta sul cubo.
Mi chiudo
in uno dei bagni e mi appoggio alla parete. Sono così stanco… Questa serata non
è andata come speravo. Volevo divertirmi e non pensare… che sciocco sono
stato!! Penso a lei più che mai e la
vicinanza con Kimiko me la fa ricordare con maggiore chiarezza.
Non so
cosa darei in questo momento per andare da lei
e parlarle… per dirle cosa, poi, non lo so.
Chissà
cosa sta facendo adesso… magari sta dormendo oppure è insieme alle sue amiche.
Già me la immagino a combattere a colpi di cuscinate durante un pigiama-party…
il solo pensiero mi fa sorridere.
Spero che
lei stia passando un periodo migliore del mio ma non ne sono sicuro… l’altro
giorno l’ho intravista mentre andava a scuola. Il suo viso era così pallido e i
suoi occhi così spenti… mi ha stretto il cuore vederla così. Anche lei stava
soffrendo. E pensare che non mi aveva dimenticato mi faceva ancora più male.
Un bussare
forte alla porta mi strappa alle mie riflessioni. Ma che diamine!!!
Apro
violentemente la porta e mi ritrovo davanti un piccoletto che saltella come un
grillo con un’espressione sofferente dipinta sul volto. Sobbalza vedendo il mio
sguardo minaccioso e biascica delle scuse che m’importa poco di sentire. Ora
voglio solo uscire da qui…
Esco dalla
toilette, sono stato via troppo tempo. Sicuramente Kimiko si domanderà che fine
ho fatto. O forse no…
Inutile
dire che la ritrovo dove l’ho lasciata. L’unica cosa che è cambiata è forse il
numero di maschi che le ronzano attorno. Credo sia aumentato…
Mi volto
cercando un posto a sedere per potervi trascorrere il resto di questa orribile
serata, quando scorgo in mezzo alle altre persone una figura slanciata di donna
con due codini biondi lunghi fino al pavimento che si guarda attorno spaesata …
Realizzo
all’istante chi sia. E contemporaneamente mi accorgo di non essere in grado di
muovere le gambe.
Sono
incredulo… che ci fa lei qui? E
soprattutto chi sta cercando? Di certo non me, non credo che sappia che sono
anch’io qui, a pochi metri da lei… o forse sì? Tento di avvicinarmi… per
fortuna le mie gambe hanno ritrovato la facoltà di spostarsi.
La folla
di persone che c’è in questa sala mi impedisce la visuale… dove si è cacciata?
Cavolo, non posso averla già persa… non ora che ho scoperto che è qui. Mi
faccio largo tra le persone più vicine… dagli sguardi allarmati che mi lanciano
non devo avere un bell’aspetto. Le iridi cerulee di una ragazza a fianco
riflettono la mia espressione sconvolta e scossa dal respiro affannato. Di
certo, non può notare che ho anche il groppo in gola…
Raggiungo
il bancone del bar e, dopo lungo cercare, la vedo girata di spalle intenta a
parlare con un ragazzo biondo. Subito mi assale la gelosia… chi diavolo è
quello? Cosa vuole da Usagi? Avanzo a grandi passi, pronto a intervenire,
quando improvvisamente lei si volta nella mia direzione…
E le
parole mi muoiono in gola.
Sono un
cretino. Un perfetto idiota. Come accidenti ho fatto a scambiarla con lei? D’altronde, la pettinatura era
inconfondibile. Ma quello sguardo… quella ragazza aveva degli occhi di colore
castano. E una voce stridula e sgraziata che non somigliava minimamente a
quella allegra e dolce di Usagi.
Appena si
è accorta che la fissavo muto, mi ha lanciato un’occhiata raggelante. E vedendo
che non accennavo ad andarmene, si è rivolta a me insultandomi con degli
improperi che nemmeno pensavo esistessero nel linguaggio umano. Se poi
consideriamo che aveva una sigaretta in bocca e un bicchiere di vino tra le
mani… No, decisamente quella non era Usagi.
Non ho
avuto altra scelta che alzare i tacchi…
“E’ troppo grande la
città
per due che come noi
non sperano però si
stan cercando…”
Maledizione!!
Non mi bastava pensarla, ora ho anche le allucinazioni!! Mi scappa un sorriso
amaro… ormai è chiaro che sono giunto al limite. La memoria di lei mi fa impazzire, i ricordi mi
assalgono. E sono stato persino sul punto di stringerla tra le braccia quando
prima, in balia di un’illusione, ho creduto che fosse qui.
Che
stupido!! Più mi impongo di non pensarla, più i casi della vita me la
richiamano alla memoria. Ci saranno sei milioni di ragazze nella sola Tokyo e
io mi affanno a desiderare di incontrarne una… anche se non voglio, la sto
cercando. Ma vane sono le mie speranze…
La serata
per me è finita. Non ne posso più di stare solo in mezzo a persone sconosciute
di cui non mi frega niente e da cui percepisco indifferenza o calcoli
interessati. Non m’importa più neanche di Kimiko, ancora intenta a rimorchiare.
La lascerei volentieri qui, tanto non si accorgerebbe della mia assenza, ne ho
già avuto la conferma… ma il briciolo di istinto cavalleresco che è rimasto mi
costringe ad usarle tutto il riguardo che posso. Per l’ultima volta.
Mi faccio
largo tra la folla cercandola. La trovo subito, a dire il vero: sta ballando
avvinghiata a un moro e gli sussurra qualcosa all’orecchio. Mi viene il
voltastomaco solo a guardarli…
Non fa
tempo ad accorgersi di me che l’afferro per un braccio e la trascino via sotto
lo sguardo offeso di lui e le deboli proteste di lei…
“Scusa è tardi e
penso a te…
ti accompagno e penso
a te…
non son stato
divertente e penso a te…”
-“Ma come
osi?”- mi urla in mezzo alla strada, attirando su di noi gli sguardi dei pochi
passanti infreddoliti dalla brezza notturna.
Alzo gli
occhi sul suo viso: è verde dalla rabbia. Giurerei di aver visto anche del fumo
uscire dalle orecchie…
Quello
arrabbiato, però, sono io: a forza di grida e strepiti nel corridoio del
locale, è intervenuto il personale di sicurezza che ci ha sbattuti fuori senza
tanti complimenti. Che figuraccia!! L’unica cosa positiva è che almeno non
frequenterò mai più una discoteca!!
-“Scusa, è
tardi e domani ho un’intervento… ti accompagno a casa”- il mio tono è brusco ma
non me ne curo… anche se il mio istinto cavalleresco sopravvive, non vuol dire
certo che mi debba perdere in certe smancerie e, soprattutto, non con una come
lei. So io a chi andrebbero le mie attenzioni se fosse qui…
-“Ma è
solo mezzanotte e mezza!”- mi sibila furente.
Non ho
voglia di replicare, ne ho piene le tasche di questa discussione… Mi volto e
comincio ad avviarmi senza degnarla di uno sguardo. Ma sento che è ancora lì
impalata a fissarmi… se vuole restare, faccia pure…
Dopo poco,
però, la vedo affiancarmi senza dire più una parola. Ma i suoi occhi comunicano
per lei: scintille di rabbia e stizza mi trafiggono. Sono sicuro che non
smetterà di tormentarmi finché non avrà ricevuto delle scuse.
-“Mi
dispiace… non sono stato divertente questa sera, non ero dell’umore giusto”- le
dico per togliermi d’impiccio. Anche se c’è un fondo di verità in questa frase…
-“Già… me
ne sono accorta!”- il suo tono ancora stizzito mi fa incavolare sempre di più.
Mi prudono le mani dalla voglia di darle un sonoro ceffone ma, si sa, una donna
non si tocca neanche con un fiore…
Ok,
Mamoru, ritrova l’autocontrollo!! La miglior cosa da fare è rinchiudersi nel
mutismo più assoluto e pregare la mia buona stella che il supplizio-Kimiko stia
per giungere al termine…
Restiamo
in silenzio reciproco fino a che non avvistiamo la sua casa: lei perché fa
l’offesa e non mi vuol parlare, io invece non ho più nulla da dirle.
La scorto
fino al cancello di casa sua e la vedo aprire la borsetta per estrarre le
chiavi. –“Beh, allora… ciao”- mi volto per tornare indietro quando mi sento
afferrare per una manica.
Mi fissa e
aspetta. Che cosa vorrà mai adesso?
-“Vuoi… ti
va di salire da me?”-
Oddio,
questa proprio non me l’aspettavo. Almeno non dopo una serata così.
Questo
invito però mi apre gli occhi su che tipo di persona sia Kimiko. E finalmente
ho la forza di prendere quella decisione che avrei dovuto già prendere molto
tempo prima. Per il bene di entrambi.
-“Mi
dispiace ma non posso”- le dico col tono più dolce che riesco a trovare. Sto
per darle una grossa delusione… -“C’è un’altra ragazza nel mio cuore. Anche se
ci siamo lasciati, non riesco a smettere di pensare a lei. Non voglio illuderti
con false speranze. Ma mi auguro di tutto cuore che tu possa trovare presto la
persona speciale che ti renderà felice”-
Queste
parole non impediscono, lo so bene, il dolore che lei sta provando in questo
momento ma spero che lei lo sappia accettare e superare. Non avrei mai voluto
causarle questa sofferenza. Se mi fossi reso conto prima di ciò che avrebbe
comportato questa storia, gliel’avrei risparmiata. Ma non è con i “se” e i “ma”
che si fa la storia… anzi, tutto serve a fare esperienza.
Un
singhiozzo appena accennato mi riporta alla realtà. Non ho la forza di guardare
Kimiko adesso. Eppure so che il suo corpo sta tremando nello sforzo di
trattenere le lacrime sempre più impetuose che le rigano il volto.
Vorrei
consolarla ma so che non sarebbe giusto. Come posso alleviare le sue pene se
sono stato io a procurargliele? Tuttavia il senso di impotenza mi devasta.
Cerco con
la mano di asciugarle le lacrime ma si scosta dal mio tocco come se ne fosse
rimasta scottata. Il suo sguardo è pieno di risentimento. Non faccio in tempo a
fermarla che lei si dirige rapidamente nella sicurezza della sua abitazione.
Dopo avermi lanciato un lungo sguardo carico di significati, Kimiko sparisce
dalla mia vista. Questa volta per sempre.
E allora a
me non resta altra scelta che riprendere la mia vita da dove l’avevo
interrotta…
“Sono al buio e penso
a te…
chiudo gli occhi e
penso a te…
io non dormo e penso
a te…”
Rientro
nel mio appartamento fradicio e ansante. Il cuore mi scoppia nel petto e i
polmoni sono bisognosi d’aria. Non avevo mai corso così tanto in vita mia.
Appena ho
lasciato Kimiko sulla soglia di casa sua, ho avvertito subito il desiderio
improvviso di correre per lasciarmi alle spalle tutte le cose negative di
quest’ultimo periodo. Ho corso a più non posso per cinque chilometri, tanta era
la distanza tra la mia abitazione e quella di Kimiko. E ora sono qui nel buio
del mio appartamento senza neanche sapere quanto tempo sia passato.
Mi dirigo
in salotto procedendo con passo sicuro. Non ho bisogno di accendere le luci, i
locali della mia casa sono rischiarati dai raggi lunari che entrano dalla
finestra che dà sul balcone. E l’atmosfera che si crea è magica. Le notti di
luna piena sono sempre speciali per me… mi ricordano una certa persona dalla
pelle diafana e dagli occhi azzurri più chiari e limpidi del cielo di maggio.
La mia
testa è ancora piena delle istantanee di lei. Come supponevo, la corsa non
basta a scacciare i pensieri.
Mi avvio
in cucina per bere. L’acqua del rubinetto è un balsamo per la mia gola riarsa.
E mi sembra anche più buona del solito. Ma probabilmente è solo la stanchezza a
farmi parlare così.
Mentre
ripongo il bicchiere, mi sfugge l’occhio sull’orologio vicino alla dispensa.
Sono le due e un quarto. A quest’ora, lei
sarà immersa nei sogni…
Sono
stanco morto. Ho voglia di buttarmi subito nel letto ma decido di fare prima
una doccia veloce per levare il sudore che mi ricopre la pelle. Spero di
rilassarmi abbastanza per addormentarmi di colpo senza pensieri…
Mi spoglio
ed entro nel vano doccia lasciando che l’acqua tiepida mi accarezzi dolcemente
i muscoli indolenziti dallo sforzo. Dio, come si sta bene…
Sono steso
nel letto. Il bagno mi ha decisamente risollevato lo spirito ma non ha prodotto
quello stato di rilassatezza totale che ci si aspetta per poter dormire. Il
risultato è che ancora non riesco ad addormentarmi. E la ragione è una sola:
Usagi. Chiudo gli occhi nella speranza che il sonno sopraggiunga ma è tutto
inutile: appena ci provo, il ricordo di lei mi tiene ben sveglio.
Do
un’occhiata alla sveglia e l’ora mi colpisce come una cannonata: le tre e
mezza. Rigirarsi nel letto non mi servirà a niente: meglio alzarsi e fare
qualcosa. Qualunque cosa andrà benissimo pur di non pensare.
Sono le
quattro e io ancora non dormo. Pensavo di fare le pulizie, ma a quest’ora del
mattino disturberei sicuramente i vicini e poi il mio appartamento è sempre
pulito. Non ho niente da leggere tranne i libri di scuola ma ormai quelli li so
a memoria. Di dilettarsi ai fornelli poi non se ne parla: non ho fame.
D’un
tratto mi viene in mente una cosa: quando sono triste o pensieroso, trovo
piacevole stare nel balcone a scrutare il panorama. Abitando al quarto piano,
la vista della città con i suoi grattacieli, i templi e gli spazi verdi è
semplicemente unica e meravigliosa. Proprio come… lei.
Mi
affaccio in terrazza e respiro la fredda aria mattutina che è come ossigeno per
il mio cervello confuso. Il cielo è ancora buio ma tra un po’ la luna andrà a
riposare e mi godrò la visione di una splendida alba… l’inizio perfetto di un
nuovo giorno. E l’inizio di una nuova vita.
Ma la
nuova vita ha bisogno di un nuovo uomo. Ed è quello che m’impegnerò a
diventare. Un uomo sincero con sé stesso. Un uomo che non cadrà sotto il peso
dei suoi pensieri ma li conserverà gelosamente come un tesoro. Un uomo che, con
la luna come sua unica testimone, giura di lottare per ciò che lo tiene in
vita: l’amore.
L’alba è
magnifica. E io mi sento sereno. Forse perché ho preso una decisione
importante. E la forza per accettare tale soluzione me l’ha data lei. E’ incredibile come lei riesca a
condizionarmi nonostante non ci sia…
Spalanco
la finestra e torno a letto. I caldi raggi solari avvolgono la stanza e il
vento mattutino mi dona forza e vigore. Con il pensiero di lei ancora nella
testa, il sonno mi coglie. Me lo sento, finalmente dormirò bene.