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Autore: Briseide    06/09/2005    3 recensioni
Ogni tanto mi desto da quel torpore. E penso a lui. [...] E in tutto questo ho preso atto di alcune cose. [...] Ho imparato che la vita è quella che è, bella e crudele, e non serve a niente fare altro se non viverla.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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°°°

Certe volte, mi sembra di sentirlo.
Suono il pianoforte, come facevo con lui e come mi aveva insegnato lui; e ogni tasto è un suo sorriso, ogni sfumatura della sua voce, ogni pozza blu nei suoi occhi.
E arrivo all’apice del dolore e della nostalgia sull’ultima nota, toccando con mano la malinconia, la rabbia di un ingiusto rimpianto, eppure non smetto di suonare, convinta ogni volta, ogni notte, che dopo l’ultima nota incontrerò la sua mano.
Ma non la trovo mai, inciampo solo nel suo ricordo… e in quella consistenza che ha il ricordo del peso del suo corpo contro il mio.

Ogni tanto mi desto da quel torpore. E penso. Penso a lui.

E mi dico che non finisce mica il cielo, anche se manca lui.
Lo ho pensato tante altre volte, infondo.
Ma il cielo lo vedevo ogni volta nei suoi occhi, e quel cielo non lo rivedrò mai più.
Penso a lui con tanto amore, però.
Quella rabbia sta sparendo lentamente, e i suoi ricordi sono diventati un aiuto per andare avanti, e non un motivo per tornare e rimanere indietro.
Penso anche, che mi ha lasciato tanto.
E penso a tutto quello che mi ha lasciato e che non si è ripreso.
Tra tutte quelle cose, c’è anche la gioia dell’essere amati.
E la consapevolezza, per la prima volta meno dolorosa, che non lo ho perso del tutto, se so come pensare a lui.

E, in tutto questo, ho preso atto di alcune cose. Che quel dolore che ti lacera dentro, esiste davvero. Che, se anche non lo si fa da molto tempo, piangere è sempre possibile, che non si ha mai idea di quanto possa far male la vita.
Ho imparato che a volte, avere la consapevolezza che alla fine di tutto i ricordi rimangono sempre, è un bene e un male allo stesso tempo, e che rimarrà la cicatrice ma che se lo ho fatto per tutti questi anni, lo farò anche per i restanti, con una consapevolezza in più, portandomi dietro una nuova cicatrice che da me non si separerà mai, ma che imparerò a sopportare e a conviverci.
Quella stessa cicatrice che ogni tanto brucerà da far male sulla pelle, e poi d’un tratto smetterà di farlo e io potrò riprendere a camminare.

Perché ho imparato che la vita è quella che è, bella e crudele, e non serve a niente fare altro se non viverla.

Che i giorni della vita sono tanti, e ce ne saranno sempre di belli e di brutti, di quelli che sembrano non passare mai e che faccio molta fatica a lasciarmi dietro, nonostante io lo voglia con tutta me stessa. Ma anche che c’è sempre il sorriso, il ricordo, una protezione che non chiedi ma che ci sarà sempre, anche se ti farà molto più male che uscire a mani nude e vedertela con cosa c’è là fuori; quella protezione che lui voleva darmi, con tutto il poco amore che aveva nel cuore e che ha donato tutto a me.

Ci sono delle domande che vorrei fargli, e per questo in certi momenti la sua assenza è così forte da farmi così male, da volergli urlare di tornare indietro per favore, che quelle di prima sono state solo belle parole ma che a conti fatti non sono niente.
Ebbene, non è vero. Sono gli insegnamenti che lui mi ha dato, aiutato da una vita che non sarà mai facile. Ma questo non mi basta e non so se mi basterà mai.
Alcune notti, vorrei averlo davanti a me, e vorrei sapere dov’è, se ha qualcosa da dirmi, se sa dove posso trovarlo, anche se avevo promesso che non lo avrei cercato mai più dove so di non poterlo trovare, se mi vede mai, se mi vuole ancora bene come prima anche se non sorrido più tanto spesso già da molto tempo.

Poi penso che forse non mi serve tutto questo.
Che te ne fai del parere di un morto?
Direbbe lui, e allora finisco con il non dargli tutti i torti.
Forse ha ragione lui, io non ho bisogno di quelle risposte.
E presto imparerò a convivere con la sua assenza e la sua mancanza.
Dopotutto…

È come avere un piccolo spillo puntato al cuore. Con il passare del tempo, ho imparato a non farci caso, ma quando penso troppo intensamente, quando un odore, o uno sguardo, o un colore me lo ricordano, lo spillo gira su se stesso. Ed è un dolore sporadico, ma lancinante e profondo. Come quello che mi ha donato lui. Alla fine mi ha lasciato, e lo ha fatto sul serio, e nel modo più definitivo possibile.
Ha trovato la morte, lasciandomi un ultimo dolore, forse per liberarmi di tutti gli altri.
Il più profondo, ma l’ultimo.
E per questo, io non gli porto rancore.

E, nel mio più intimo segreto, ogni tanto rido sotto i baffi, mi siedo al pianoforte e suono qualcosa, cercando di sopraffare il dolore.
E in quei momenti, io mi dico che per tutto quello che mi ha dato, insegnato e lasciato, è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati.*

°°°
Mi concedo una piccola dedica alla fine di tutto questo. A tutti coloro che hanno già incontrato un dolore tanto forte. A tutti quelli che si sono trovati faccia a faccia con la vita e con l'altro lato della medaglia. A tutti quelli che dopo tanto dolore e fatica, hanno imparato a convivere con quello spillo. Perchè quello spillo che gira su stesso è il mio e quello di tutti.

°°°

* Fabrizio De Andrè - "Giugno ' 73"

  
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