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Autore: yesterday    11/06/2010    24 recensioni
Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.61 : Decode: to understand the meaning or the implications of something not obvious.

PART ONE.

 


Piani di evacuazione in casa Hayama, Kurata, Sasaki, Sugita: Akito, il mio tanto aitante quanto deficiente ex fidanzato, era indeciso se uscire dalla porta d’ingresso prima o dopo l’arrivo di Naozumi.
E la sua faccia la diceva piuttosto lunga: sempre il solito muro - sempre il solito mulo, sempre il solito muso - reso stavolta decifrabile dall’enorme dicitura “non so come potrei reagire”.
E, per una volta, lungi da me il contraddirlo.
La sua teoria - che ovviamente non intendeva comunicarmi (troppo avvilente, un uomo non si abbassa a condividere i suoi dubbi, oh no - sarcasmo stava diventando il mio secondo nome) - aveva come obiettivo il non-vedere-Kamura.
Prima opzione: uscire prima. Rischio: possibilità di incontro sul pianerottolo di uno dei quattro piani che ci elevavano da terra.
Rabbrividii alla prospettiva.
Seconda - ed ultima - opzione: rintanarsi in camera ed uscire successivamente all’arrivo del mio amico. Possibilmente - assolutamente! - una volta terminati i convenevoli e passati alla fase caffè. Con possibilità di non-incontro all’ingresso.
Tamburellai con le dita sul mio avambraccio sinistro, mordendomi un labbro per soffocare una risata.
Già non mi parlava, se l’avessi preso in giro avrei rischiato una morte precoce e vagamente dolorosa.
(Rabbrividii nuovamente, ma l’istinto di ridere non si placò.)
Vedere Akito Hayama impalato di fronte alla porta, a crogiolarsi nella ricerca del male minore (la possibilità “meno-peggio“) non aveva prezzo.
E l’impagabile stava nell’intuire che nel suo cervello il dubbio si prospettasse come un “gli spacco la testa ora, o gliela spacco dopo?”.
Megalomania.
Il tutto camuffato in un’apparente tranquillità.
Tremendamente orgoglioso - ah, fatti tutti con lo stampino, gli uomini. (*)
« Ne hai ancora per molto? » mormorai divertita.
Si girò di scatto, fulminandomi.
« E se volessi salutare Nao? ». Detto in tono disinteressato e monocorde.
Sbuffai. « E’ già la seconda volta che mi prendi in giro, direi che è ora di trovare un diversivo » tergiversai, alludendo a quel suo patetico accenno di confidenza dovuto al “Nao”.
« Non ti prendo in giro »
« Ah, certo che no » scossi la testa.
Lui continuò ad ignorarmi - peraltro era ciò che meglio gli riusciva. Ed era irritante.
Aprì la porta.
« Dubiti di me? Sono Nao, io. » (**)
E sparì.
Akito non è mai stato un tipo loquace, né ironico. Di certo gliela doveva aver suggerita Gomi, questa.
E - ci avrei scommesso tutto - se la rigirava in testa già da chissà quanti mesi.

 

***


« Entra pure » sorrisi a trentadue denti, constatando con gioia che nessun livido addobbava il volto di Naozumi - ergo non aveva incrociato Akito, salendo.
Per fortuna.
Ci scambiammo un bacio sulla guancia.
« Accidenti, vedo che ti sei sistemata alla grande! » iniziò ad aggirarsi per il piccolo salotto, sorpreso.
Stava bene, Kamura. Era dimagrito, probabilmente a causa del perenne stress a cui era sottoposto, ma per il resto lo ricordavo esattamente così.
« Grazie » pigolai, leggermente sorpresa.
Dal suo punto di vista, abituato com’era al lusso del suo successo, di sicuro non era una “buona sistemazione”, la mia, ma apprezzai comunque.
Mi prese le mani. « Vestiti e usciamo, che ho una sorpresa per te. »

« Da quanto non lavoriamo insieme, eh? » mi abbracciò stretta dopo che l’undicesimo flash - li avevo personalmente contati - ci accecò.
Alzai gli occhi al cielo, facendogli una linguaccia.
Lui rise - dodicesimo flash.
« Secoli! » esclamai.
Dopo essermi cambiata in fretta e furia, Kamura mi aveva trascinata agli studi.
Aveva programmato tutto nei minimi dettagli con Rei, e una parte del mio cervello registrò che ormai non ci si poteva fidare più nemmeno del proprio agente.
Mi era stato offerto di fare da testimonial per la campagna di un’emergente marca d’abbigliamento - ma stavolta insieme a Naozumi.
E l’avevo scoperto all’ultimo, cioè dodici foto prima.
« Sai, ancora non mi spiego il perché » tredicesimo sorriso di entrambi, tredicesimo flash.
Mi voltai verso di lui; sembrava perfettamente tranquillo, anche se nascondeva negli occhi una punta di amarezza.
« Di cosa? » incalzai.
« del tuo ritiro dalle scene. Credevo saresti tornata, dopo.. Dopo.. »
« dopo la malattia? » lo anticipai.
Annuì, mi lasciai abbracciare, quattordicesimo scatto.
In effetti era una delle tante spiegazioni che gli dovevo.
« In realtà lo credevo anche io » mi abbandonai sulla panchina piazzata sul set giusto per la scenografia, ed il fotografo sembrò gradire l’idea « ma dopo il primo periodo di ripresa ho totalmente cambiato idea. Troppo stress, ci avevo perso la mano »
Mi strinsi nelle spalle.
Nao scosse la testa, sedendosi accanto a me.
Mi scostò un ciuffo di capelli dagli occhi, sistemandolo dietro l’orecchio. (Quindicesima foto.)
« Non credo nemmeno ad una parola » confessò col solito sorriso ad adornargli il volto « E’ per lui, vero? Perché era tornato dall’America. »
« Oh, no no! » mi affrettai a negare. « Avrei potuto gestire entrambi - lavoro e Hayama - lo stesso. Non ho abbandonato la mia carriera per lui, voglio che ti sia ben chiaro »
Sembrò pensarci su.
In realtà, con la malattia le mie priorità si erano nettamente modificate. Il mondo dello spettacolo - per quanto l’avessi amato e continuassi a farlo - aveva preso il retrogusto dell’allontanamento dalla vita reale e dai reali affetti.
Vivere come viveva Naozumi - in giro per il mondo, dietro la fama ed il successo, senza un luogo che sapesse di casa per più di tre mesi - mi avrebbe sicuramente traumatizzata, e altrettanto certamente sarei ricaduta nel baratro.
L’avevo già ampiamente ammessa a me stessa, in quegli anni, la debolezza.
Mi terrorizzava la solitudine, punto. Ero debole anche io, per quanto mi fossi sempre sforzata d’essere forte.
« La vita è fatta di scelte, Nao. Io non ce la farei più a vivere sotto le luci della ribalta, ho bisogno d’altro »
« Okay, okay » e chissà quanti altri flash ci avevano sorpresi, continuavo a fissare l’obiettivo ma avevo perso il conto « ma non credevo avresti mai rinunciato al mondo dello spettacolo. »
Sospirai. « Infatti non ci ho rinunciato. E’ troppo importante, per me. Il programma alla radio, le pubblicità, qualche intervista.. Sono sempre Sana Kurata. Mi sono solo data una regolata. »


***


« Fa come se fossi a casa tua » aprii la porta d’ingresso con un cenno teatrale della mano.
Appoggiai la borsa sul tavolo e mi liberai delle scarpe; non sentivo il rumori dei passi di Nao.
Mi voltai: restava guardingo sull’uscio, le braccia incrociate e l’espressione seria.
Sospirai. « Non c’è nessuno in casa »
Sembrò rilassarsi, si accomodò sul divano.
Lo raggiunsi. « Insomma, non credevo che Tsuyoshi ti terrorizzasse! »
Sollevò entrambe le sopracciglia. « Non è per Tsuyoshi. E non si tratta di terrore »
No, non aveva voglia di scherzare.
Raccolsi i capelli in una coda alta, alzandomi per recuperare un elastico in bagno.
« Ce l’hai ancora con Akito? » puntai al nocciolo della questione.
La sua voce arrivò ovattata dalla distanza: « Esattamente. Ma è una cosa reciproca, credo. »
Sorrisi tra me e me. « Oh, puoi dirlo. »
« Non lo perdonerò mai per quello che ti ha fatto »
Dopo una breve occhiata allo specchio decisi di ritornare in salotto, e mi sedetti accanto a lui.
Osservava deciso il muro di fronte a noi. Sembrava arrabbiato.
« Parli come se mi avesse rovinato l’esistenza. » sbuffai « ci siamo lasciati, Nao. Lasciati. E l’abbiamo deciso insieme »
« Me la ripeti da un anno, questa frase »
« Perché è vera. »
Alzò le mani in segno di resa, sciogliendo la tensione. « Okay, okay, tralasciamo. Piuttosto, come va la convivenza? »
Spostai lo sguardo verso la porta chiusa, che nascondeva la stanza che dividevo con Hayama. « E’.. difficile. Non riusciamo a parlare civilmente, poi con questa storia dei venerdì-Akito e dei sabato-Sana.. » lasciai la frase a mezz’aria.
Mi guardava confuso, e mi affrettai a precisare.
« Ma sì, te l’avevo spiegato per telefono. Il venerdì devo lasciargli la stanza, il sabato l’ho obbligato a fare lo stesso.. E poi il suo malumore sfocia nelle cene domenicali. E’ insopportabile »
« Ed io che ero convinto che la settimana scorsa, al telefono, mi avresti detto qualcosa simile a “io ed Hayama stiamo di nuovo insieme”. Pensavo che questa vicinanza forzata avrebbe portato inevitabilmente a.. »
« Kami » mi coprii la fronte con il palmo destro « allora era proprio quello che speravate tutti »
Avevo già sentito quel discorso fin troppe volte - Fuka, Aya e Tsuyoshi, probabilmente anche Mama la pensava così - e non era rassicurante.
« Alt. Io non lo spero affatto, ma è lecito pensarlo. » confessò.
« Non so più in che lingua dirlo, sia a te che agli altri.. Noi non torneremo mai più insieme. Non c‘è più spazio per un “Sana e Akito”, in un anno sono cambiate troppe cose » cercai di spiegarmi.
M’infastidiva che le persone a me più vicine fossero sicure che bastassero una stanza ed una ventina di giorni per farmi tornare insieme ad Hayama.
Perché era chiaro a tutti che non sarebbe mai potuto succedere.
No, decisamente.
« Il vecchio saggio dice che se una sola cosa non è cambiata un anno può valere un’ora »
E non c’erano dubbi su quale fosse la cosa rimasta invariata, a detta di Nao: l’amore.
« Invece è cambiata anche quella » liquidai, incrociando le gambe.
« Se lo dici tu » alzò i palmi, ennesima resa.
Mi guardai intorno, mentre calava il classico silenzio imbarazzante.
« E tu, Kamura, con le ragazze? » lo punzecchiai, dandogli di gomito e beandomi della mia innata capacità di cambiare discorso, regalo dei Kami lassù.
Si strinse nelle spalle, e con una sincerità disarmante me lo disse.
« In realtà da sempre me ne piace una, ma mi sono più o meno rassegnato, e ci sto lavorando per considerarla una specie di sorella. »
Mi maledii in tutte le lingue che conoscevo. Forse non era stata una così buona idea cambiare discorso.
« Comunque » continuò, ed io trasalii « lei sa che, se mi vorrà, io ci sarò. Ci sarò se mi desidera come fratello, come amico, come collega o come ipotetico fidanzato. »
Puntò gli occhi chiari nei miei. « Quella ragazza ti ringrazia, sono sicura. »
Altro breve silenzio interrotto solo dalle lancette dell’orologio a muro.
Mi schiarii la gola, cercando di allontanare il vago senso di colpa che mi assaliva ogni volta che Naozumi esternava i suoi sentimenti per me.
« Che maleducata! Non ti ho nemmeno chiesto se vuoi qualcosa da bere » mi allontanai dal divano, dirigendomi verso il frigorifero.
« La casa in questo preciso istante offre.. » lo aprii, nascondendo la testa dietro l’anta « Mmh. Acqua, limonata, coca cola. Oppure se preferisci ti preparo un sakè, o magari un caffè »
« Un bicchiere di limonata, grazie » annunciò.
Presi un bicchiere e lo riempii fino all’orlo.
Richiusi il frigorifero e, bibita in bilico sulla sinistra, mi diressi nuovamente in salotto.
« La prossima volta mi procurerò una bottiglia di champagne » lo presi in giro.
« Ecco, ora ragioniamo » finse di darsi un tono, rassettandosi la camicia.
Probabilmente non mi fu mai tanto chiaro come in quell’esatto istante: io ero goffa. Talmente goffa da inciampare sulle mie stesse scarpe, riposte - lanciate - accanto al tappeto appena rincasata, talmente goffa da ritrovarmi col bicchiere sì ancora in mano, ma vuoto.
Abbastanza goffa da aver appena sporcato la camicia di Naozumi con una fantastica macchia di limonata.
« Accidenti » cercai un fazzolettino, avvicinandomi con l’intento di sistemare il sistemabile - o forse di pulire il pulibile, o forse solo di sentirmi meno in colpa « sono una scema. Guarda che casino ho combinato »
« Tranquilla, non è successo nulla » ci avrei rimuginato su sol successivamente, al momento non ci badai, ma probabilmente fu quella frase a nascondere un altro suono.
La chiave che girava nella toppa.
« E poi lui la bacia » commentò Akito, la porta ancora aperta, i pugni convulsamente stretti lungo i fianchi « Bella idea, Kamura. Ci ho provato anch’io, e ci sono pure riuscito. Ma ero in sesta elementare. »




__________________________________


(*) cit. Ale. A lei i diritti di questa frase che mi ha così tanto ispirata. Grazie *w*
(**) alla Obana, sì. Presente che sul manga ci sono quei giochi di parole, tra una battuta e l’altra, che rendono solo in giapponese? Ho voluto provarne uno io - e ci ho passato sopra circa quattro giorni. Ovviamente in italiano vale molto poco. “Nao”, appunto il diminutivo di Naozumi, significa “Onesto”, “sincero“. E’ quello su cui gioca Hayama, dicendo qualcosa di simile a “sono come Nao” ma intendendo “sono sincero”.

 

   
 
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