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Autore: Cristina Black    11/06/2010    6 recensioni
Quella che vi voglio offire è una versione parallela della saga che tutti conosciamo, partendo da quando Bella decide di saltare dalla scogliera in New Moon. Piccole ma decisive modifiche nei comportamenti e nei ragionamenti, cambieranno il suo destino. Una Bella che vede i suoi rapporti sentimentali in modo diverso, come molte di noi avrebbero voluto. La domanda che caratterizza questa nuova versione è: come sarebbe andata, se Bella avesse fatto un’altra scelta? Spero vi piaccia!!
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward, Bella/Jacob
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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(Libro di riferimento: New Moon di Stephenie Meyer)

 

 

    Sapevo come raggiungere lo sterrato che correva vicino alla scogliera, e con qualche difficoltà individuai pure il sentiero che portava allo strapiombo.

    Imboccato quello, badai a ogni bivio e diramazione, ricordando che Jacob voleva condurmi sullo spuntone più basso. Il viottolo, però, serpeggiava verso la cima senza interrompersi. Non avevo tempo di cercare un altro percorso, la tempesta era sempre più vicina. Finalmente sentivo addosso il vento e la pressione delle nubi.

    Quando raggiunsi il punto in cui lo sterrato veniva inghiottito da un precipizio roccioso, le prime gocce mi bagnarono il viso.

Non fu difficile convincermi che non c'era tempo di cercare un'alternativa: volevo saltare dalla cima. Quella era l'immagine che conservavo. Desideravo perdermi in quella lunga caduta, simile a un volo.

    Certo, sarebbe stato il gesto più stupido e irresponsabile mai commesso in vita mia. A quel pensiero, sorrisi. Il dolore era già meno intenso, come se il mio corpo sapesse che entro pochi secondi avrei sentito la voce di Edward...

    Il rumore dell'acqua era molto lontano, più di quando l'avevo sentito tra gli alberi, sul sentiero. Feci una smorfia al pensiero della temperatura gelida dell'acqua. Ma non avevo intenzione di lasciarmi scoraggiare. Il vento soffiava più forte, la pioggia mi colpiva a frustate. Mi avvicinai al ciglio del precipizio con gli occhi fissi sul vuoto davanti a me. Tastai il terreno con i piedi, alla cieca, fino a sfiorare il profilo della roccia.

    Feci un respiro profondo e lo trattenni... in attesa.

    «Bella».

Sospirai e sorrisi.

    Sì? Non risposi ad alta voce, per paura di rovinare la splendida illusione. Sembrava così vero, così vicino. Solo quando udivo quel tono di disapprovazione il ricordo della sua voce era reale, perché la grana vellutata e il tono musicale la rendevano tanto perfetta.

    «Non farlo», implorò.

    Volevi che restassi umana, risposi. Be', guardami.

    «Per favore. Fallo per me».

    Ma non c'è altro modo per averti vicino.

    M’ignorò. «Pensa a Charlie, a Renèe. Pensa a Jacob…». Restai impietrita non appena pronunciò il suo nome.

    Jacob? Pensare a Jacob?

    La pioggia continuò a frustarmi sulla faccia, come fosse una tempesta di minuscole e appuntite scaglie di vetro. La sentivo più intensamente rispetto ad un secondo prima. Nel pronunciare il nome di Jake, percepì una nota di frustrazione, come se avesse perso una battaglia importante. La ferita che mi pulsava nel petto venne sopraffatta da un dolore alla bocca dello stomaco e dai palpiti furiosi del mio cuore.

    Poi una nuova voce fece eco a quella di Edward. Roca, divertita e calda come un raggio di sole a primavera.

   «Eh si Bells, ci sono anch’io, nel caso te ne fossi dimenticata», la voce di Jacob sovrastò quella di Edward, compresi i miei pensieri semi suicidi.

    Quel tono allegro, tipico di Jake, sempre pronto a rilassarmi quando più mi sentivo tesa, era come un anestetico su ogni mia ferita. Il dolore si affievolì insieme alla voce di Edward che uscì dalla mia testa, senza che potessi controllarlo.

    «Fa la cosa giusta Bella», e sparì al soffio del vento, mentre la pioggia si mescolava alle mie lacrime.

    Guardai oltre il ciglio del dirupo e osservai attentamente, per la prima volta, ciò che vedevo sotto i miei piedi: l’immensa stupidità di ciò che stavo facendo, o meglio, di ciò che avevo fatto per settimane. Provai un brivido lungo la schiena che non era di freddo, ma che aveva una definizione ben precisa: coscienza.

    Accadde in un attimo, e mai avrei creduto che potesse succedere, soprattutto perché desideravo ardentemente sentire di nuovo la voce di Edward, rimbombarmi adirata e implorante nel mio cervello.

    Un’altra folata di vento gelido sollevò il fitto e pesante velo che mi copriva gli occhi, mostrandosi in tutta la sua follia e irrazionalità. Dopo mesi, da quando lui mi lasciò, capì tutto, in un istante.

    Come ero arrivata a tanto? Com’è stato possibile non aver capito tutto fin dalla prima volta che lo sentì in quel vicolo a Port Angeles?

    Non avevo alcuna risposta alle mille domande che finalmente mi ponevo. Sentire la voce del mio vampiro, in tutta la sua splendida ira, era per me qualcosa di reale, un obbiettivo da raggiungere a qualunque costo. Ma di reale non aveva niente, lo sapevo ma non lo accettavo.

    E in tutto questo, avevo fatto la cosa più orribile che avessi potuto fare nella mia inutile vita.

    Capì fino in fondo quanto dolore avessi inflitto a coloro che mi volevano bene, senza che mai mi abbandonassero a me stessa, e al dolore che provocai al mio migliore amico.

    Al mio sole personale. La persona più speciale che conoscessi, che più mi capiva e che più mi voleva bene nonostante i miei continui e, più o meno, involontari tentativi di ferirlo.

   «Era ora Bells», sussurrò l’eco di Jake, prima di dissolversi anche lui come Edward. Risposi con una smorfia.

    Ci sarebbe stata ancora speranza per una come me? Sarei potuta di nuovo essere felice ora che finalmente avevo capito quanto futilmente rischiosa era stata la mia esistenza in questi ultimi mesi? Oppure avrei pagato tutto il male che avevo arrecato a me e agli altri, come effettivamente meritavo? Perdere tutto ciò che avevo e che non mi ero resa conto di possedere a piene mani?  

    Aggrottai le sopraciglia, frustrata.

    Ora che il velo della pazzia si era scostato, senza capire esattamente come, vedevo chiaramente le lacrime che mi annebbiavano la vista, mentre sotto di me, a 100 metri d’altezza, le onde dell’oceano si sbattevano contro gli scogli, impetuose, scatenate.

    Mortali.

    Prima che la vertigine s’impadronisse irrimediabilmente di me, spinsi il mio corpo all’indietro di qualche passo, attenta a non inciampare sui miei piedi.

    In quel momento la mia goffaggine mi sarebbe veramente stata fatale, e non ne avevo intenzione, almeno non più. Voltai le spalle alle voci, al rischio, all’adrenalina e al pericolo che, senza che me ne accorgessi, mi stavano rovinando la vita. C’erano altri modi per non soffrire la perdita di Edward, ed erano senz’altro meno stupidi.

    Riuscì ad allontanarmi da quegli scogli appuntiti e da quelle acque inferocite. Mi sentì libera, e nel contempo a pezzi.

    Rendersi conto di ciò che avevo fatto fino ad allora, era il passaporto per i sensi di colpa che si aggrovigliavano dentro di me, in attesa che li rimettessi in ordine. Camminai inciampando ad ogni passo fino ad arrivare al mio Pick-up.

    Anche quello era una traccia di Jacob che mi portavo sempre appresso, senza che ci pensassi mai. Lo aveva messo apposto, ormai tanto tempo fa. Era proprio come lui: affidabile, sicuro e caldo. Il rifugio dai miei problemi, ed anche più di questo.

    La ferita che mi aveva inflitto l’abbandono di Edward, era una puntura di zanzara, rispetto al senso di colpa che provavo nei confronti di Jacob.

    Non tornai a salutare Billy, ne a vedere se era rientrato il figlio lupo dalla caccia a Victoria. L’ultima cosa che volevo era vederlo in faccia, alla luce di tutto. Non ero pronta ad un confronto, nonostante volessi sapere come stava. Se l’avessi perso in uno dei suoi inseguimenti…no, meglio non pensarci, specie se si sta guidando tra le lacrime e sotto un acquazzone.

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    Arrivai miracolosamente indenne fino a casa di Charlie, che naturalmente non c’era. Parcheggiai il mio automezzo e spensi il motore. Mi asciugai le lacrime facendo qualche respiro per ricompormi, ed entrai in casa con aria stravolta.

    Ero stanca e demoralizzata.

    Non feci nemmeno un giro di perlustrazione alla ricerca di qualche avviso di Charlie riguardo la sua assenza.

    Puntai dritta sulle scale ed entrai in camera mia, chiudendo la porta alle mie spalle. Mi buttai sul letto e ricominciai a singhiozzare indisturbata. Era un pianto liberatorio, più che di tristezza, legato alla mia recente presa di coscienza.

    Pensa a Charlie, a Renèe. Aveva detto la sua voce melodiosa prima dell’ultimo nome che in qualche modo mi risvegliò dal torpore.

    Non avevo pensato a nulla e a nessuno, prima di quel desiderio malsano di ascoltare il suono di ciò che non c’era più da tempo. Se mi fossi schiantata su qualche roccia invisibile sotto la superficie dell’acqua? O se fossi annegata, o assiderata per la temperatura insopportabile? Cosa avrei lasciato a Charlie, a Renèe?

    Pensa a Jacob.

Esatto, e cosa avrei lasciato a lui? Si meritavano tutti un gesto del genere? Ma che avevo in testa!? Di sicuro non il cervello! Era a questo che mi portava il mio dolore: a dimenticare le cose importanti, e peggio ancora, a farle soffrire più di quanto stessi soffrendo io. Perdere una figlia non era come perdere il primo amore, benché importante.

    Forse quello che ci avrebbe guadagnato di più sarebbe stato proprio Jacob. Non avrebbe più sofferto per i miei continui rifiuti e i gesti incomprensibili.

    Anzi, avrebbe sofferto ancora di più forse, ma alla fine gli sarebbe passata. Come del resto, passerà anche a me, la voglia di Edward. Non sarà facile, ma forse non impossibile. Pensai al viso di Jacob, come me lo immaginavo quando disse «Ci sono anch’io, nel caso te ne fossi dimenticata».

    Con le sue muscolose braccia conserte, l’aria scherzosa di chi mi sta prendendo in giro e il sorriso abbagliante, rilassante ed anestetizzante.

    Sorrisi, e me ne sorpresi.

    Ma cosa avevo fatto a questo ragazzo? Cosa avevo fatto a tutti? Nonostante Charlie non sia molto espansivo, è una brava persona e si è preso cura di me meglio che poteva. Mia madre, da svampita qual è, è sempre stata la donna più speciale della mia vita. E come li ho ripagati?

    Quei tipacci di Port Angleles potevano farmi del male, con le moto mi sarei potuta schiantare e mettere nei casini Jacob che stava con me. Si sarebbe sentito responsabile della mia morte per tutta la vita. E adesso il salto nel vuoto. Tutto questo aveva l’effetto di una droga: l’allucinazione mi faceva sentire bene, come fosse vicino a me, ma dopo mi sentivo anche peggio.

    La presenza di Jacob non era nociva, non aveva un effetto di breve durata come una sostanza chimica. Soprattutto non faceva del male a nessuno, e mi rendeva felice, in un certo senso. Almeno finchè lo avevo vicino.

    Eppure sono stata capace di speculare sui suoi sentimenti e le sue buone intenzioni, per i miei fini distruttivi. La ferita ricominciò a pulsare, ma stavolta me lo meritavo. La spossatezza di una giornata come quella, cominciò a farsi sentire, e mi addormentai.

    Per la prima volta da chissà quanto tempo, feci un sogno normale. Un semplice vagare tra vecchi ricordi, visioni di Phoenix sotto il sole abbagliante, il volto di mia madre, una casa improvvisata sull'albero, una coperta sbiadita, una parete a specchi ma ogni immagine cancellava del tutto la precedente.

    L'ultima fu anche l'unica che mi rimase impressa. Non aveva senso: era una scenografia, sopra un palco. Una balconata di notte, una luna dipinta in mezzo al cielo. Osservavo la ragazza, in veste da camera, mentre parlava da sola appoggiata al davanzale. Non aveva senso... ma quando lentamente mi sforzai di riprendere conoscenza, pensai a Giulietta.

    Chissà cos'avrebbe fatto se ad allontanare Romeo da lei non fosse stato il divieto dei genitori, ma un semplice calo di interesse. E se poi Rosalina gli si fosse concessa facendogli cambiare idea? Cosa sarebbe accaduto se fosse sparito, anziché sposare Giulietta? In cuor mio sapevo come si sarebbe sentita.

    Non sarebbe tornata alla sua vecchia vita, non del tutto. Di certo non si sarebbe lasciata il passato alle spalle. Anche se fosse sopravvissuta fino a diventare vecchia e grigia, le sarebbe bastato chiudere gli occhi per rivedere il volto di Romeo. Prima o poi se ne sarebbe fatta una ragione.

    Chissà, forse alla fine avrebbe sposato Paride, tanto per placare i suoi e non creare scompiglio. No, probabilmente no. Del resto, di Paride si sapeva molto poco. Era soltanto un personaggio di contorno, un surrogato, una minaccia, una scadenza fissata per forzarle la mano.

    E se Paride fosse stato qualcosa di più? Un amico? Il migliore amico di Giulietta? Se fosse stato l'unico a cui la giovane avesse svelato la devastante storia con Romeo? L'unica persona che la capisse davvero, che la facesse sentire quasi un essere umano? Se fosse stato paziente e gentile? Se si fosse preso cura di lei? Che ne sarebbe stato, se Giulietta avesse capito di non poter sopravvivere senza di lui? E se fosse stato davvero innamorato di lei, desideroso di farla felice?

    E... se Giulietta si fosse innamorata di Paride? Non come di Romeo. Niente a che vedere, certo. Ma abbastanza per desiderare che anche lui fosse felice?

    Spalancai gli occhi sentendo la porta d’ingresso che sbatteva richiudendosi rumorosamente.

    «Bella?». Gridò a malapena Charlie. Il suo tono di voce era strano, sembrava abbattuto. Balzai dal letto, avevo gli occhi che mi bruciavano, li sentivo gonfi. Aprì la porta.

    «Sono qui papà» gracchiai scendendo le scale per andargli incontro.  

    Quando scesi l’ultimo gradino si voltò verso di me. Sussultai. Il tono di voce non era che un debole riflesso del suo viso.

    Era distrutto, a pezzi, completamente atterrito. Ebbi un flash su come poteva essere la sua faccia se avessi deciso di saltare dal precipizio e non fossi più riemersa da quelle acque in tempesta.

    «Cos’è succeso?», domandai preoccupata. Non lo avevo mai visto in quello stato.

    «Harry Clearwater…ha avuto un infarto. Ero all’ospedale fino ad ora con Billy, Sam e Sue Clearwater. Non ce l’ha fatta». Sussurrò a sguardo basso, in tono pieno di cordoglio e dolore.

    Sgranai gli occhi, incredula.

    Harry era il suo migliore amico, si conoscevano da una vita, avevano condiviso tante cose. I suoi occhi tradivano un immenso dolore.

    Mi rallegrai nel non essermi buttata.

    Che ne sarebbe stato di Charlie se avesse perso anche sua figlia insieme al suo migliore amico? Per giunta nello stesso giorno. Dopo tanto tempo, avevo fatto la cosa giusta.

    Nonostante mi sentissi quasi felice di poter abbracciare Charlie ancora una volta, provai una profonda tristezza per ciò che gli era appena capitato.

    Charlie ricambiò il mio gesto spontaneo, stringendomi forte a se. Mi scappò un singhiozzo al pensiero di quanto altro dolore stavo per infliggerli. Avrei rinunciato alle sue rare quanto sincere dimostrazioni di affetto, e non solo sue.

    Avrei rinunciato anche a Jacob. Avrei rinunciato a Paride…anche se provavo talmente tanta confusione e senso di colpa, che non mi sentivo pronta a ritrovarmelo davanti. Diedi un rapido sguardo all’orologio sopra il tavolo.

    «Ti preparo la cena», proposi, sciogliendo l’abbraccio. Non mi ero resa conto che si fosse fatto così tardi.

    «Non ho molta fame», sospirò lui.

    «Nemmeno io. Vorrà dire che ci terremo leggeri», dissi forzando un sorriso ed avviandomi in cucina. Frugai nel frigo scovando un po’ di lattuga e qualche pomodorino. Che cena leggera sarebbe se non ci fosse l’insalata? 

    Tirai fuori un po’ di pane e qualche altra cosa, poggiando tutto sul bancone, dopodichè iniziai ad apparecchiare. Il trillo del telefono mi fece sobbalzare, ma non risposi. Avevo paura che fosse Jacob. Charlie era il più vicino al telefono, per cui gli bastò allungare una mano per prendere la cornetta.

   «Pronto?», rispose cercando di mascherare il suo stato d’animo, senza peraltro riuscirci. «Ah, ciao Jacob».

    Mi si bloccò il respiro. Per poco non mi caddero le posate per terra.

   «Ti ringrazio…è stato…davvero un brutto colpo, per tutti noi. Vuoi parlare con Bella? Un attimo…». Mi allungò il ricevitore e sussurrò «E’ Jacob». 

    Andai quasi in iperventilazione nel fissare quella cornetta, non riuscivo a muovermi. Non ero ancora pronta a sentirlo.

   «Digli che non ci sono», sussurrai agitando le braccia come fosse lontano un chilometro. Charlie alzò un sopraciglio. Si riportò la cornetta all’orecchio con aria confusa.

   «Ehm…ora non c’è. Ti faccio richiamare appena rientra, ok? Ciao Jake», e chiuse il ricevitore, senza levarmi gli occhi di dosso. Arrossì e continuai ad apparecchiare.

   «Avete litigato di nuovo?», domandò.

   «No, ma sono stanca e non ho voglia di chiacchierare». Mentii.

    Charlie fece spallucce, aveva altri pensieri per la testa, così smise d’indagare ed archiviò il caso. Accese la tv sintonizzandola su qualche misterioso programma sportivo e mangiammo in silenzio. Ebbi l’impressione che per tutto il tempo della cena non avesse ascoltato una sola parola dei commentatori sportivi.

    Lo compresi.

Finita la cena sparecchiai e riempì d’acqua calda il lavandino per lavare i piatti. Charlie andò a sedersi sul divano a fissare la tv, o forse il vuoto. Restai a lucidare lo stesso piatto per almeno cinque minuti, persa in mille frasi da dire per scusarmi con lui.

    Glielo dovevo.

    Dopo venti minuti finì e mi avviai verso le scale, passando dietro il divano sul quale stava seduto.

    Mi schiarì la voce e rallentai il passo fino a fermarmi.

   «Char…papà», dissi per attirare la sua attenzione. Si voltò completamente verso di me con aria attenta e un po’ sorpresa.

   «Si tesoro?».

   «Ti chiedo scusa…per il mio comportamento di questi ultimi tempi. Sono stata male, ma sento che sta passando». Abbozzai un sorriso timido. Lui contraccambiò, benevolo.

   «Non devi scusarti Bells, so cosa provi», un velo di malinconia passò velocemente sugli occhi color cioccolato di Charlie. Capì il riferimento a Reneè. «Ma sai, sapere che c’è qualcuno che ti vuole bene, che ti resta vicino e non ti fa sentire solo…beh, aiuta molto. Sai a chi mi riferisco», concluse con un altro velo, ma stavolta di malizia.

    Mi grattai la testa non sapendo da che parte girarmi.

   «Si, ma…se dovesse chiamare non passarmelo. Almeno per un po’, ok? E non chiedermi perché», dissi d’un fiato, lievemente nervosa.

   «Va bene, niente domande», alzò le mani in segno di resa con l’ombra di un sorriso sulla faccia, ed inchiodò di nuovo gli occhi alla tv. Questa volta sembrava che il programma sportivo avesse catturato la sua attenzione.

    Scossi la testa curvando all’insù un angolo delle labbra, ed increspando le sopraciglia fino in camera mia. Chiudendo la porta, feci un sospiro. Ero felice di avergli chiesto scusa, che lui mi capisse e non avesse nemmeno bisogno di perdonarmi.

    Presi la tuta e m’infilai in bagno a lavarmi e cambiarmi. Quando mi guardai allo specchio fu come se non mi fossi osservata per mesi.

    Forse era proprio così.

    Vedevo un paio di occhi castani, cerchiati da una lieve chiazza rossastra, frutto del pianto e della stanchezza. Sembrava mi avessero preso a pugni, eppure erano luminosi e pieni di speranza. Un’emozione che non provavo da un’infinità di tempo…o che forse non avevo mai provato realmente, con raziocinio.

    Mi adoperai per districare il groviglio di nodi irrimediabilmente installati tra i miei capelli e feci una doccia per togliermi una volta per tutte la sensazione di vuoto sotto i piedi. L’acqua era calda e incredibilmente piacevole, non sarei mai uscita da là dentro.

    Era un’ondata di benessere e tranquillità, d’altronde io ho sempre preferito il caldo al freddo. Dimostrazione che stando con Edward, andavo contro me stessa, contro ciò che mi faceva stare bene e mi faceva sentire protetta.

    Pensandoci, le cose peggiori mi sono capitate proprio quando stavo con lui: James che mi considerava un giocattolo commestibile, Victoria che essendo legata a lui, vuole torturami come si fa con gli insetti, ma soprattutto lui, Edward, che era continuamente provato dal suo desiderio naturale di bere il mio sangue.

    Lui fu il primo a volermi uccidere non appena sentì il mio odore incredibilmente delizioso.

    Vissi anche le cose più belle, però. Mi condusse nel mondo delle favole, dove tutto era possibile. La mia vita cambiò drasticamente dal giorno in cui lo vidi per la prima volta in quella mensa un anno fa. Ma se ci penso bene, cosa realmente mi attirò verso di lui e che dominò tutta la nostra storia?

    La mia incontrollabile attrazione fisica, che spesso andava oltre ciò che lui stesso rappresentava. Lo consideravo bello come un dio greco, da star male, ma non riservavo gli stessi commenti per la sua personalità. Elogiavo la sua perfezione fisica, più di tutto il resto.

    D’improvviso mi ricordai ciò che mi disse riguardo le caratteristiche dei vampiri. Attirano le prede con il loro aspetto divino, con il tono vellutato della voce, con il profumo sublime. Che avessi confuso l’amore che provavo per lui, con il semplice cadere nella tela del ragno?

    Ero troppo confusa e stanca per rispondere ad una domanda così difficile. Mi asciugai e mi infilai la tuta sbrindellata che usavo come pigiama. 

    Entrai nel mio letto e mi avvolsi con le coperte fino a far spuntare solo gli occhi. Dopo pochi secondi mi addormentai profondamente.

    Nemmeno adesso sognai il tormento della ricerca senza esito, o il vuoto dell’ambiente che mi circondava. O meglio, c’era buio, ma vedevo i grandi alberi del bosco che si affacciano sulla spiaggia di La Push.

    Avevo fatto un sogno simile tempo fa, in parte. Mi accorsi del rumore delle onde del mare che si lanciavano sugli scogli in lontananza, ma non era dell’ambiente che mi preoccupavo, bensì delle persone che vi erano immerse.

    Alla mia sinistra c’era Edward. Bellissimo come lo ricordavo, con un rivolo indistinto e rossastro che gli colava da un angolo della bocca. Era spaventoso e meraviglioso allo stesso tempo. Allungò un braccio marmoreo verso di me, chiamandomi con un cenno del dito diafano.

   «Vieni da me, Bella». Sul suo volto un’espressione che non riconoscevo. 

    Era sensuale, la sua voce invitante e ipnotizzante, come la musica del pifferaio magico. Feci un passo verso di lui, incantata da quella visione terribilmente straordinaria, ma un’altra voce, profonda e famigliare, mi fermò e mi fece voltare verso la sua fonte.

    Alla mia destra, una montagna di muscoli seminudi e bagnati da una pioggia che non c’era, mi rivolgeva un sorriso che illuminava tutto ciò che lo circondava. Gli occhi neri come la pece, brillanti come due stelle, mi guardavano rassicuranti e amichevoli.

    Jacob protese un braccio offrendomi la mano grande e distesa.

   «Bella, è da me che vuoi venire», disse dolce e gentile.

    Dalla sua parte proveniva una forza che mi attirava come una calamita.

    Feci un passo verso di lui ricambiandogli il sorriso. Di nuovo Edward, statuario e perfetto, m’invitò nella sua direzione con un lento gesto del dito.

    A quel punto mi fermai e guardai entrambi.

    Prima a sinistra, poi a destra, poi di nuovo a sinistra e di nuovo a destra. Il dito bianco e levigato di Edward e la mano bronzea e distesa di Jacob.

    Ed io esattamente nel mezzo, immobile, snervata e incapace di scegliere.  

    Era una situazione a dir poco frustrante, mi accorsi che i muscoli del mio viso si contraevano nel sonno. Tendevo verso Edward, ma non ero sicura di volerci andare, e intanto guardavo la mano aperta ed accogliente di Jacob.

    Emanava un calore talmente intenso che riuscivo a percepirlo, come se mi stesse respirando sul viso. Mi osservava intensamente, studiando la mia espressione in ogni dettaglio, mentre ero completamente indecisa su dove dirigere i piedi. Non sopportai più quella tensione e riaprì gli occhi, stressata.

   «AH!», urlai e mi sollevai d’istinto nel scoprire che non ero sola in camera mia.

   «Sssh! Non urlare o svegli Charlie!».

    Jacob era seduto sulla sponda del mio letto e mi tappava la bocca con quel ferro da stiro acceso che aveva al posto della mano.

    Premere le mie labbra contro il suo palmo fu una sensazione curiosa. Oltre ad avere un profumo buonissimo, la sua pelle era incredibilmente liscia e morbida.

    Arrossì ed ebbi un caldo tremendo.

    Si accorse del mio cambiamento di colore e levò velocemente la mano. 

    Probabilmente pensava che mi stesse ustionando. Sotto shock, guardai l’orologio sul mio comodino, era l’una e cinquanta del mattino.

    Lo inchiodai con lo sguardo.

   «Che diamine ci fai in camera mia a quest’ora!?», domandai indignata da una simile violazione della privacy.

   «Hai mai sentito il detto: se Maometto non va dalla montagna, è la montagna che va da Maometto?», rispose scherzoso, indicando il proprio corpo immenso.

    Mi sentii irritata nel vederlo quando ancora non ero pronta. Ancora di più se penso che era li ad osservarmi da chissà quanto tempo! Senza contare che stavo sognando proprio lui. Presi un lembo delle coperte e me le portai al petto.

   «Non si piomba in camera di una ragazza nel cuore della notte mentre dorme!», lo rimproverai.

    Mi resi conto che ad Edward avevo permesso di fare una cosa assolutamente fuori luogo. Anche lui veniva non una, ma tutte le notti in camera mia, e non lo avevo mai sgridato. Eppure, nonostante il gesto poco corretto, vedere Jacob piombare nella mia stanza mi fece sentire…meglio.

    Scossi la testa e cercai di concentrarmi sulla risposta alla mia domanda, che ovviamente ignorò.

    «Perché non mi hai risposto al telefono? Ho pensato ti fosse successo qualcosa, considerando che quella succiasangue ci è sfuggita per l’ennesima volta!», disse in una nota di frustrazione. Era preoccupato per me, mentre io mi ero persino dimenticata dell’esistenza di Victoria.

    Era l’ultimo dei miei pensieri…manco a dirlo. Sfruttai l’argomento per evitare di rispondere alla domanda legittima.

    «Billy mi ha detto che avevate fiutato le sue tracce, cos’è successo? L’avete trovata?», domandai, sperando che non m’ignorasse di nuovo e puntasse i piedi sulla sua domanda. Jake scosse la testa.

    «Purtroppo no. Stamattina l’avevamo quasi presa. Con la zampa ho sfiorato una ciocca dei suoi capelli rossi, ma con uno scatto si è tuffata dal dirupo e l’abbiamo persa in mare. Hanno un grande vantaggio in acqua rispetto a noi. Sono veloci e letali come gli squali», raccontò accigliato, con lo sguardo nel vuoto e i pugni serrati.

    Victoria si era gettata nell’oceano nel quale stavo per buttarmi anch’io. 

    Rabbrividì.

    «Caspita…me la sarei trovata davanti», esternai involontariamente i miei pensieri immaginandomi un incontro subacqueo con lei. Jacob bloccò i fremiti che gli correvano lungo le braccia ed alzò gli occhi sui miei.

    «Che vuol dire? Ora che ci penso è da stamattina che non riesco a parlarti, che hai combinato?», domandò in tono accusatorio. Aveva capito che ne stavo facendo una delle mie. Fissai il disegno di un fiore rosa sulla piega delle coperte, evitando il più possibile il suo sguardo. Presi fiato e corrugai le sopraciglia.

    «Ecco…avevo voglia di farmi il tuffo che avevamo programmato di fare. Stavo per saltare giù dalla cima più alta. Non sono riuscita a trovare quella che stava più in basso», confessai, concentrandomi su quel disegno a fiori. 

    Sgranò gli occhi neri, incredulo.

    «Sei per caso impazzita Bella? Non hai pensato a Charlie? Non ti sei accorta che stava arrivando un uragano? Potevi farti male accidenti! Dovevi aspettare che ci fossi anch’io! Perché lo hai fatto, si può sapere?». Era sconvolto. Le folte sopraciglia nere alzate e gli occhi sbarrati.

    Non risposi.

    I sensi di colpa cominciarono a riaffiorare senza tregua. Il pensiero di provocare un lutto in famiglia, e di aver usato l’amicizia di Jacob per i miei insani scopi mi fecero un male terribile.

   «Bells…», sussurrò calmandosi e inclinando la testa, cercando di catturare i miei occhi sfuggenti.

    Avevo paura di dirgli quella verità che forse sbagliavo a volergli svelare, solo per metterlo nella condizione più corretta di fare la scelta migliore. Ma se avesse deciso di lasciarmi perdere, cosa avrei fatto? A quel punto sarei tornata in quel precipizio e avrei finito il lavoro. Anzi, avrei sofferto vivendo l’abbandono che più meritavo.

    «Jake, non vorresti saperlo, fidati», cercai di farlo desistere, una cosa che mi è sempre stata difficile. Cocciuto com’è.

    «Non faccio domande quando non m’interessano le risposte», era sulla difensiva.

    «E’ una storia lunga, e mi prenderesti per pazza», insistetti.

    «Il tempo non mi manca, ed è da quando ti conosco che penso che tu sia pazza», rispose con il più Jacobico dei sorrisi, di quelli al quale non resisti e ricambi automaticamente, anche se con una smorfia come nel mio caso. 

    Meritava tutta l’onestà di cui ero capace, e dovevo pagare tutto il male che gli avevo fatto. Presi coraggio e iniziai, la probabilmente, ultima conversazione con il mio sole personale.

    «Ho scoperto che cose come il pericolo, l’adrenalina e il brivido in generale…fanno scattare qualcosa nel mio cervello, o meglio, mi fanno sentire una cosa». Abbassai gli occhi, imbarazzata.

    «Che cosa Bells?».

    Presi un altro po’ d’aria e chiusi gli occhi dicendo mentalmente addio al mio migliore amico.

    «La voce di Edward che mi mette in allerta, come se lui fosse li accanto a me», dissi d’un fiato e sprofondando nell’abisso senza fondo della vergogna. Jake rimase impietrito. Sentivo le fiamme dei suoi occhi trapassare le mie palpebre serrate.

    «La voce di…hai rischiato la vita per…», balbettò in preda ai fremiti di rabbia che a stento riusciva contenere. Tremava tutto il letto. Gli acchiappai il polso e lo fissai negli occhi adirati.

    Avevo una carta da giocare, la carta del cambiamento. Tutto era diverso, il velo della pazzia non mi soggiogava più, e dovevo farglielo capire prima che davvero decidesse che era meglio lasciarmi perdere.

    «Ma ora è diverso, ora ho capito che era tutto sbagliato! Grazie a te», confessai lasciando che il fiume che avevo in testa straripasse. Speravo di calmarlo, e fortunatamente ci riuscì. I tendini del polso che percepivo sotto la mia mano, si bloccarono.

    Chiuse gli occhi e fece un gran respiro, concentrato.

    «Spiegati meglio Bella, dall’inizio». Li riaprì sui miei, e rimase in attesa.  

    Lo accontentai.

    «Per un po’ di mesi sono stata una specie di zombie, cercavo di non pensare a lui, o meglio, cercavo di non pensare e basta. Poi una sera mi sono decisa ad andare al cinema con una mia compagna di classe, e siamo andate a Port Angeles. Lì vidi un gruppo di ragazzi che mi ricordavano persone con cui avevo avuto a che fare l’anno scorso, erano poco raccomandabili per la verità, ma era buio e non capivo se fossero loro oppure no», spiegai attorcigliandomi le dita.

    «Non ti sarai avvicinata per vedere meglio, vero?», domandò lui affilando lo sguardo.

    «Invece si», mormorai.

    Il letto vibrò di nuovo per un secondo, ma feci finta di nulla e andai avanti col mio racconto. «Non so cosa mi spingesse all’inizio, ero solo curiosa di sapere se erano loro. E fu in quel momento che sentì la voce di Edward per la prima volta da quando mi aveva lasciata. Chiara, netta, vellutata e molto arrabbiata». Ricordai le sensazioni che provai e i mille pensieri che vi erano seguiti. «Era come se immaginassi ciò che avrebbe detto se fosse stato li con me, ma impossibilitato a difendermi».

    Jacob tirò fuori la sua espressione cattiva e beffarda, quella che meno sopportavo. «Ed è esattamente così! Lui non c’è, non può difenderti se ti succede qualcosa!» commentò con un ghigno odioso. 

    Dimenticai i sensi di colpa e corrugai la fronte, spazientita da quell’atteggiamento che non lo identificava. «Smettila Jake! Ti ho già detto che è tutto diverso, quindi se vuoi ascoltare il resto chiudi quella bocca, altrimenti te ne puoi andare da dove sei entrato!», minacciai acida, ma me ne pentì subito.

    Ora che era li, e gli stavo raccontando tutta la storia, non volevo che se ne andasse. Non ero sicura che avrei ritrovato la stessa determinazione in un incontro successivo. Jake rilassò il volto e si morse il labbro, dispiaciuto.

   «Scusa…continua», disse facendo cenno con la mano di andare avanti ed abbozzando un sorriso.

    Deglutì senza staccare gli occhi dai suoi, e ripresi il filo del discorso.

   «Dopo quell’episodio cercai di capire che cosa avesse provocato una simile reazione del mio inconscio, e così ho pensato all’adrenalina e al pericolo. Quando mi ha lasciata mi fece promettere di non fare cose stupide o pericolose. In cambio lui sarebbe sparito dalla mia vita, come se non fosse mai esistito», trasalì al ricordo.

    Provai una quantità non indifferente di rabbia per la prima volta. Ero arrabbiata con Edward per avermi lasciata in quel modo, in mezzo al bosco, completamente da sola a sprofondare nel vuoto più totale. Non so cosa sarebbe stato di me se non avessi ricominciato a frequentare Jacob.

    «Magari fosse», mugugnò. Alzai un sopraciglio con fare irritato. Se ne accorse e si chiuse la bocca con una lampo invisibile.

    Sbuffai e continuai le mie spiegazioni, mi stavo avvicinando pericolosamente ad una delle parti più difficili.

    «Così considerai la riproduzione della sua voce come la rottura della promessa. Non avevo idea di come riprovare quelle emozioni, finchè non mi imbattei…nelle due moto».

    Ecco, ci sono arrivata. La parte più brutta.

    Il momento in cui entra in ballo Jacob e la verità di quelle frequentazioni. 

    Calò un silenzio che mi mise i brividi.

    Non mi incitava ad andare avanti, non faceva alcun commento. Si limitava a fissare il pavimento, perso in chissà quali pensieri.

    D’improvviso, senza dire una parola, s’alzò dalla sponda del letto sul quale sedeva e s’avviò nervosamente verso la finestra. Capì che aveva intuito, e che se ne stava andando via, per non tornare più.

    Dovevo fermarlo, non volevo che uscisse dalla mia misera vita, sono troppo egoista per permetterglielo! Le cose erano cambiate, e doveva capirlo prima di prendere una decisione così drastica! Ero disposta ad esternargli i miei pensieri più profondi, pur di dare a me stessa una possibilità di riscattarmi.

    Uscì di corsa dal letto caldo e mi aggrappai al suo braccio roccioso per fermarlo.

    Si voltò di scatto incenerendomi con lo sguardo. Lasciai immediatamente la presa. Era una maschera di dolore, delusione e rabbia. Tremava dalla testa ai piedi.

    «Mi hai usato per immaginarti la voce di quel succiasangue!» trattenne l’urlo a stento. Pensai che Charlie si svegliasse, ma non avevo il tempo di concentrarmi sulla frequenza del suo russare. Dovevo fermare Jacob.

    «Era così, all’inizio, ma non mi aspettavo che la tua presenza mi riportasse in vita in un modo così naturale!» confessai balbettando. Il fuoco nei suoi occhi neri non accennava a spegnersi.

    «E’ stata tutta una bugia tra noi», la sua voce era rotta dalla ferita che gli avevo appena inflitto.

    La più profonda, quella della verità. Una verità che era cambiata, e tutto poteva dire, ma non che gli avessi mentito o che fossi stata disonesta fino a questo punto.

    «No Jake! Tutto quello che ti dicevo e che abbiamo fatto era vero, non ti ho mai mentito! È stato difficile arrivare a capire quello che ho compreso solo adesso!», implorai, e nonostante la verità delle mie parole, avevo l’impressione di arrampicarmi sugli specchi. Che fosse già troppo tardi.

    A quel pensiero singhiozzai. Jake incrociò le braccia, spalancando gli occhi, furioso e con aria di sfida.

    «Bene, allora sorprendimi! Sentiamo questa grande intuizione!».

    Ed aspettò, in piedi vicino alla finestra, pronto a saltar giù se non avessi aperto bocca. Nonostante fossi convinta che dirgli la verità fosse giusto, mi sentii a disagio nel dovergli sbattere in faccia i miei sentimenti, pur di fermarlo.

    Mi metteva in difficoltà, mi costringeva a fare chiarezza in tempi rapidi. Come Charlie, anch’io non parlo volentieri delle mie sensazioni, e non sapevo se avrei trovato le parole giuste per non farlo scappare. Ma non c’era altra via che confessare ciò che provavo e tutt’ora provo per lui, ogni volta che lo guardo in faccia.

    Mi passai la mano tra i capelli e mi strofinai gli occhi. E provai ad aprire il mio cuore.

    «Il fatto che passassi tutto quel tempo con me, che mi stessi vicino nonostante il mio comportamento sconsiderato e i miei continui rifiuti, la tua sola presenza, il tuo sorriso incredibile e persino la tua voce al telefono…erano come un elettroshock per me. Mi sentivo viva quando stavo con te, era come se guarissi tutte le mie ferite senza che nessuno dei due si dovesse sforzare. Di questo mi ero già resa conto, e ora c’è dell’altro», dissi d’un fiato, sentivo le guance roventi.

    Il viso accigliato e ferito di Jacob, si rilassò lievemente.

    «Ma perché devi essere così complicata? Io ti faccio stare bene e lui male, punto. Che altro ti serve per lasciarlo perdere e considerare qualcosa di più sano?», disse come fosse la cosa più ovvia e facile del mondo.

    Incrociai anch’io le braccia, seccata da come si permettesse di minimizzare ciò che Edward era stato per me.

    «So che mi ha lasciata e fatta soffrire, ma non potrò mai dimenticarlo o fare finta che non sia mai esistito. Devi accettarlo, anche se non ti piace».

    Abbassò gli occhi e slacciò le braccia mettendosele sui fianchi modellati, lievemente sconfitto da quella verità che non poteva rinnegare.

    «Ok, hai vinto», sbuffò. «Ora dimmi di questo cambiamento di cui parli tanto e di cui non hai ancora detto niente».

    Ed ecco la seconda parte delle più complicate e delicate.

    «Ora viene la parte più difficile e so che mi fraintenderai, però ormai ti sto dicendo tutto ed è giusto che tu lo sappia. Stamattina, come ti ho detto, volevo tuffarmi dallo strapiombo, per il motivo che sai», dissi annodandomi le dita ghiacciate.

    Un brivido lo scosse. Chiuse gli occhi per concentrarsi e calmarsi.

    Poi li riaprì.

    «Vai avanti», m’incitò.

    Respira Bella, non dimenticartene, pensai. «Come previsto sentì la sua voce parecchio irritata che mi diceva di non farlo, di pensare a Charlie, a Reneè…», ma non mi fece concludere la frase che s’infilò nel discorso.

    «La tua pazzia è più razionale del tuo buon senso», commentò scuotendo la testa e sghignazzando.

    Non mi feci distrarre da quell’espressione divertita di chi ci prova gusto nel prendermi in giro. La stessa che immaginai quando udì anche la sua voce.

    «E di pensare a te», conclusi seria e seccata dal suo ridermi in faccia nel bel mezzo di un discorso serio.

    Di colpo smise di ridacchiare.

    Lentamente, le labbra piene e curvate in un sorriso divertito, divennero una linea netta, e mi guardò in silenzio, bloccato dal sentirsi chiamare in causa. Cominciai ad avere problemi di respirazione ed ebbi paura di andare in iperventilazione, ma cercai in tutti i modi di non darglielo a vedere.

    «Appena pronunciò il tuo nome sentì anche la tua voce che diceva «Eh si Bella, ci sono anch’io, nel caso te ne fossi dimenticata» come se stessi sorridendo nel modo che sai fare solo tu, e li ho capito».

    Istintivamente, indietreggiai e mi strinsi tra le braccia guardando altrove. Stavo aprendo il mio cuore in modo smisurato e il fatto che le parole venissero giù come un fiume in piena mi faceva paura. Era come se avessi aperto un rubinetto che si era rotto. Impossibile richiuderlo.

    Jacob accorciò la distanza, con un passo in avanti più lungo di quello che avevo fatto io all’indietro.

    «Che cosa hai capito Bella? Dimmelo». La sua voce era impaziente, come i suoi occhi svegli, neri e incandescenti. Il calore del suo corpo m’investì come un’onda anomala. Tremai, nervosa e straripante.

    «Che…che ciò che cercavo non era reale e mi faceva solo del male. Che non potevo rischiare la mia vita per una persona che mi aveva lasciata e per il quale non contavo nulla. Far soffrire le persone che sono importanti per me, e…».

    Sospirò spazientito. «”E” cosa Bella? Non girare intorno all’argomento! Dillo!», ordinò tenendomi per le spalle e costringendomi a fissarlo negli occhi. 

    Il suo respiro controllato a fatica e lo sguardo acceso mi fecero sentire le farfalle nello stomaco. Avevo il terrore delle conseguenze di ciò che stavo per dirgli, ma non riuscivo più a trattenere i pensieri dentro la mia testa. 

    «E…non poter più stare con te. Perchè tu sei reale».

    Calò il silenzio per un attimo che mi pareva un’eternità.

    Ero intimorita nel vederlo così concentrato su di me, sembrava che volesse praticare un buco nel mio cervello ed entrarci dentro per frugarlo da cima a fondo, alla ricerca di qualcosa che non avevo detto.

    «Tu mi ami», sentenziò.

    Ecco. Lo sapevo che sarebbe giunto a quella conclusione.

    Chiusi gli occhi e scossi la testa.

    «Jake…» sussurrai. «Non fraintendere ciò che ti ho detto».

    «Non sto fraintendendo niente, so leggere tra le righe, persino meglio di te che le scrivi». Sorrise, come stesse pregustando la vittoria di una battaglia che portava avanti da anni.

    «Jake, io non ho ancora superato l’argomento “Edward” e non mi sento di rischiare qualche altra sofferenza». Quel pensiero mi fece di nuovo bruciare la ferita al petto.

    «Io non ti farò del male, non soffrirai mai a causa mia, non sono come lui», sussurrò gentile.

    A queste parole mi ricordai di un particolare di cui forse si era dimenticato.

    «Mi hai già fatta soffrire, quando sei sparito in seguito alla tua prima trasformazione», gli ricordai, imbarazzata da quella vicinanza e dal calore piacevole che emanava. Cercai un barlume d’incertezza sul suo volto.

    Sorrise, per niente colto in castagna.

    «Già, poi sono tornato scodinzolante perché non mi è possibile starti lontano».

    Avevo già sentito una frase simile, ma non da lui, e non di recente.

    Diceva che gli era difficile starmi lontano anche solo per un attimo. Ora sono passati mesi dall’ultima volta che lo vidi. Quando c’era qualche problema con Jacob e lui spariva, tornava sempre da me, arrabbiato, pentito, o in qualunque altra forma. Ma non mi ha mai abbandonata sul serio. «E poi non ero ancora padrone di me stesso, non potevo raccontarti il mio segreto e rischiare che ti facessi del male», continuò serio.

    Per questo si allontanava. Solo per non procurarmi un danno fisico. E anche in quel caso era tornato a cercarmi, piombando nella mia stanza nel cuore della notte, come adesso.

    Era davvero diverso da Edward. Non si dava mai per vinto, calpestava il proprio orgoglio per chiedermi scusa o perché non gli piaceva come si era troncata la conversazione. Jake era fatto così, era un combattente. In tutti i sensi.

    «E’ vero, sto bene con te, come non lo sono mai stata con alcun essere umano in vita mia, ma…per me sei soprattutto un amico, il mio migliore amico. Edward è stato il mio primo, incredibile amore, ed è ora che vada avanti, ma ho bisogno della tua amicizia, della tua vicinanza e non…di un altro ragazzo» dissi, ma mi tremava la voce.

    Scosse la testa con una smorfia, non lo avevo convinto.

    «Il problema è che non ti senti pronta, soprattutto non vuoi confessare a te stessa quanto ti piaccio», affermò liberandomi dalla sua presa d’acciaio. «Perché io ti piaccio più di tutti, lo hai detto quella sera al cinema, e la volta che ti sei quasi ammazzata con la moto, hai detto che sono, come dire…bello!», ricordò, usando le mie parole contro di me in un sorriso trionfante.

    Lo osservai e lo confrontai con il ricordo del ragazzino impacciato e con meravigliosi capelli lunghi di seta nera. Ora sembrava un uomo fatto e finito. Coraggioso, forte, alto, muscoloso, caldissimo, con il viso più da adulto che da bambino. Era diventato ancora più bello.

    «Che tu sia, come dire, bello non posso negarlo…», indugiai senza volerlo sugli addominali scolpiti e sui pettorali che battevano i miei. Se ne accorse e sorrise compiaciuto. Mi schiarì la voce e tornai sui suoi occhi scintillanti. «Però hai ragione, non sono pronta», conclusi in tutta fretta incrociando le braccia e stringendole al petto.

    Ridivenne serio e mi lanciò un’occhiata provocatoria.

    «Secondo me se ti baciassi capiresti molte cose», buttò lì.

    Sbattei furiosamente le ciglia e rimasi a bocca aperta ad una simile proposta.

    «Certo, capirei che sei un cretino e che non hai capito niente di quello che ti ho detto!». Aveva il terribile vizio d’irritarmi nei momenti meno opportuni. 

    Com’era possibile che mi stesse proponendo una cosa del genere dopo tutto quello che gli avevo confessato? Non poteva essere così tollerante, non era giusto! Non poteva sul serio accettare tutto questo per…amore.

    «Lo pensi davvero?», domandò, come se si riferiesse alle mie domande mentali. Si avvicinanò lentamente senza staccarmi gli occhi di dosso, in uno sguardo talmente intenso che mi costrinse ad indietreggiare ancora. «Bella, sai cosa provo per te. Se tu dici di avermi usato per quella tua stranezza, io ho fatto qualunque stupidaggine solo per stare con te. I momenti vissuti insieme, sono tra le cose più belle che mi siano capitate nella vita». Sussurrava gentile, accarezzandomi il viso incredulo in un modo così dolce che mi fece arrossire.

    Era disposto a perdonarmi per amore. Un amore che non meritavo, ma che mi donava con tutto se stesso. Guardare nel pozzo dei suoi occhi e vedere che persona incredibile avevo davanti, provocò in me delle sensazioni che credevo di aver sepolto per sempre.

    Non mi ero mai sentita così confusa come in quell’istante.

    Mi sentivo come nel sogno di poco fa: immobile ed incapace di scegliere tra sinistra e destra, tra il semplice cenno con un dito, alla grande mano distesa. Tra il ghiaccio e il fuoco.

    Continuava a guardarmi, senza dire niente, forse per paura di rovinare un momento in cui il tempo sembrava essersi fermato. Non era più ferito o arrabbiato, era solo…Jacob.

    Spuntò un timido sorriso sul suo volto sereno, e con il dorso della mano calda, asciugò una lacrima sfuggita al mio controllo.

    «Ora devo tornare da Sam. A presto», sussurrò con uno sguardo intenso. Poi si voltò ed uscì svelto dalla finestra. Restai imbambolata a fissare il vuoto.

    Sempre più confusa.

  
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