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Autore: Shatzy    13/06/2010    10 recensioni
Ma quando Tony aveva cominciato ad armeggiare con le stoviglie, ficcando il naso nella sua credenza e raccontandole noiose storie boriose risalenti a chissà quanti anni prima, Ziva avrebbe volentieri voluto piantargli una pallottola in testa. Tre, tanto per esser sicura. [Tony/Ziva]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anthony DiNozzo, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers e Crediti: i personaggi citati non sono miei, ma dei legittimi proprietari, da parte mia non c’è alcuno scopo di lucro. La canzone citata è “Nothing else matter” dei Metallica.

 

Note dell'Autore: ho scritto questa fanfic per una challenge, Il giro dell’oca, e la casella su cui ero prevedeva l’uso di un’immagine e una parola (violino). E’ il mio primo esperimento di Tiva, anche se vedendoli battibeccare mi viene più da chiamarli Zony XD Mi sono appassionata da pochissimo a questo telefilm che seguivo saltuariamente, e questo è il risultato. Non è niente di che, volevo solo provarci (:
Dedicata alla Vale, mia compagna di tivoserie XD

 

 

Be tuned

 

 

 

 

So close no matter how far
couldn't be much more from the heart
forever trusting who we are
and nothing else matters

 

Quando le aveva proposto di accompagnarla al suo appartamento, così da non farle guidare l’auto di servizio e assicurarsi di non avere sulla coscienza eventuali incidenti stradali, lei non aveva trovato nulla da obiettare. Quando con una banale scusa si era intrufolato in casa sua, la ragazza aveva fatto finta di nulla, tralasciando la questione, intimamente contenta del suo interessamento seppur un minimo infastidita. Ma quando Tony aveva cominciato ad armeggiare con le stoviglie, ficcando il naso nella sua credenza e raccontandole noiose storie boriose risalenti a chissà quanti anni prima, Ziva avrebbe volentieri voluto piantargli una pallottola in testa. Tre, tanto per esser sicura.

Ma trovandosi davanti ad una tavola imbandita, a un piatto di una pasta italiana che aveva conservato per un’occasione speciale e a una dolce musica in sottofondo, doveva ammettere che le cose andavano decisamente meglio.

“Sai?” iniziò lui, prendendo la forchetta. “Mia madre aveva una proprietà in campagna, nel Maryland; quando ero un bambino ci passavo ogni estate, e c’era questo lungo viale con dei pini altissimi da non riuscire quasi a vedere il cielo. A me piaceva correre avanti e indietro, quando mio padre non guardava, e tentavo di arrampicarmi sui rami fino a quando non mi urlava di scendere. Ah, quanti film ho recitato da solo nella mia mente in quella tenuta…”

Peccato per la compagnia, si ricredette Ziva, anche se vedere Tony con un tovagliolo infilato nel colletto della camicia per non sporcarsi di pomodoro il completo costosissimo che indossava era a dir poco esilarante. Soprattutto considerando il discorso emotivamente impegnato che stava affrontando.

“Lei poi si sedeva su una panchina, vicino alla fontana di marmo bianco, apriva la custodia del suo violino e cominciava a suonare. E io l’ascoltavo, ascoltavo mia madre finché il sole non tramontava alla fine di quella strada sterrata davanti a noi. Le sue mani erano così leggere ed eleganti, e i suoi capelli quasi arancioni in quella luce…”

“Ti stai lamentando della tua misera vita da ricco o stai giustificando il tuo debole per le donne con la perfezione di tua madre? Sai, Tony, sono convinta che saresti fin troppo banale per i libri di psicologia”.

L’uomo fermò il boccone a pochi centimetri dalla sua bocca, punto sul vivo, posando la forchetta e rinunciando miracolosamente a mangiare. “No, Ziva” le rispose, risoluto. “Sto solo cercando di condividere un ricordo, ma mi rendo conto che è chiederti troppo di stare in silenzio e… beh, pensare a qualcosa di altrettanto felice della tua infanzia”.

“Oh, sì, Israele è famosa per i suoi viali alberati” rispose lei con sarcasmo.

“Non intendevo proprio lo stesso… Non importa” la guardò per un secondo, per poi riprendere la sua cena da dove l’aveva lasciata, seguito subito dalla ragazza.

Ma dopo qualche minuto di silenzio forzato, interrotto solo dal tintinnio delle posate sulla ceramica dei piatti, Ziva gli chiese: “E tu non hai mai imparato a suonare il violino?”

Tony la fissò appena, abbassando subito gli occhi. “No. Mia madre pensava fossi più adatto al pianoforte - e il suo periodo “Luigi XV” l’ha solo, terribilmente, confermato - ma devo ammettere che me la cavavo piuttosto bene” dichiarò. “E poi alle donne piace… non che ci sia bisogno di aggiungere altro fascino a questo…” aggiunse, indicando il suo stesso viso.

“Ma per favore…” sbottò lei.

“Invidiosa, David?” s’interessò. “O gelosa?”

“Tony, non scherzare, preferirei essere il nuovo paziente di Ducky piuttosto” puntualizzò vagamente infastidita. “Mi viene quasi voglia di spararti”.

Quasi significa che c’è una sostanziale percentuale per cui tu non vuoi farlo accadere, piccola Ziva, e questo mi fa pensare che la mia compagnia ti faccia più che piacere” ghignò.

“Certo, esattamente come faceva piacere a quella cameriera con la bocca larga con cui sei quasi uscito, alla segretaria dal tailleur rosa confetto che ti ha quasi denunciato e alla biondina psicopatica che ti ha quasi ucciso”.

“E va bene, lo ammetto!” capitolò. “Alcune donne non sono attratte dal fascino italiano.”

“O da te” lo corresse lei.

Tony la squadrò con astio, per poi rompere il contatto visivo e bere del vino, tanto per nascondersi dietro al bicchiere. “Al Mossad vi insegnano anche ad essere così irritanti?” bofonchiò.

“Oh no, quella è una qualità naturale” spiegò, con un sorriso di vittoria davvero fastidioso. “Al Mossad ci insegnano a sfruttare i punti deboli dell’avversario” ghignò. “E ad uccidere un essere umano con qualsiasi oggetto disponibile”.

Tony, un po’ a corto di parole e un po’ terrorizzato, decise che fosse meglio tacere e finire la sua cena, e la sua idea venne tacitamente accettata anche dalla ragazza, tanto che per i minuti successivi nessuno dei due fiatò: lui concentrato sul pasto, Ziva intenta a fissarlo senza pudore.

Fu solo dopo una decina di minuti, i piatti vuoti e l’umore decisamente migliore, che il silenzio venne rotto.

“Dopotutto non ho grandi ricordi felici della mia infanzia, preferisco ascoltare i tuoi” esordì Ziva, prendendo in contropiede il suo collega, leggermente stupito dalla loquacità della ragazza. Ma si sa, le donne sono incomprensibili… Quella soprattutto.

Così, decise di cogliere l’opportunità per parlare ancora di sé – non che se la fosse mai fatta scappare. “Ti ho mai detto di quella volta in cui a dodici anni ho convinto mio padre a portarmi sul set di “Magnum, P.I.”? Ah, è stato fantastico… Tom Selleck non c’era, ma le ragazze…”

“Non eri un po’ troppo piccolo?”

“Un DiNozzo il buongusto ce l’ha nel sangue!”

“Se lo dici tu…” lo assecondò, proprio come si fa con un pazzo. “Che fine ha fatto il violino?” cambiò poi discorso, per tentare di non suicidarsi durante il monologo di Tony su film, donne, film, cibo e ancora film.

L’uomo s’incupì appena, ma poi parlò. “Dopo che mia madre è morta, la villa in campagna è stata venduta e il suo violino è rimasto in soffitta, a casa di mio padre: ormai sarà inutilizzabile” sorrise, leggermente amaro. “Sai, quando oggi ho visto quel negozio di dischi, affianco all’appartamento della vittima, mi è tornato in mente questo ricordo. E alla fine ho comprato questo CD di musica classica, in memoria dei vecchi tempi.”

Ziva fece caso solo in quel momento al sottofondo musicale che li aveva accompagnati dall’inizio della cena, Tony aveva inserito il CD nel computer personale della ragazza per poterlo ascoltare e lei non se ne era nemmeno accorta. L’America l’aveva davvero rammollita, non c’era altro da aggiungere! Se non che la paura che Tony, nella sua cucina, le mandasse a fuoco qualcosa l’aveva fatta desistere dal controllare ogni movimento del collega – anche perché c’era qualcosa di stranamente familiare in tutto questo su cui era meglio non indagare.

Un pensiero le passò nella mente, veloce e luminoso come un lampo, tanto da farle spuntare un piccolo sorriso. Uno tenero, uno sincero, uno un po’ triste. “Tony, perché sei qui?”

Lui la guardò nel suo solito modo strafottente. “Per farti conoscere una delle cose migliori al mondo: la cucina italiana della famiglia DiNozzo! Dovresti ringraziarmi se-” ma una semplice occhiata di Ziva lo fece desistere dall’intento di lodarsi nuovamente. “Per non lasciarti uccidere qualcuno con l’auto di servizio, ne sarebbe andato del buon nome della squadra”.

“Oh, ma per favore! Non guido poi così male, nessuno si è mai lamentato!” sbottò.

“Forse perché sono tutti morti” commentò schietto, ridacchiando.

La ragazza gli rivolse uno sguardo bieco, per poi insistere: “Perché sei rimasto?”

Tony si allentò il colletto della camicia, fissando in modo imprecisato l’interessante libreria alle spalle della collega. “Avevo fame” ammise solamente, scrollando le spalle. “E volevo ascoltare un po’ di musica”.

“Non c’entra niente il caso di oggi, vero?”

“No, figurati” mentì, perché proprio non poteva dirle che il caso della settimana, risolto quel pomeriggio, lo aveva fatto preoccupare per lei. La vittima era rimasta coinvolta in una sparatoria, ed essendo la sorella minore di un sottufficiale – molto sexy, a detta di Tony - della marina, la loro squadra se ne era occupata. Era sempre stato un duro dal cuore tenero, proprio come il suo amato James Bond. Tanto che era andato di persona – lui, un agente senior – a consolare il soldato per la perdita della sorella, al posto di Ziva.

“Certo…” e il sorriso che gli regalò valse più di qualsiasi missione riuscita. “A proposito, Tony, hai dimenticato il sale nell’acqua della pasta”.

Sbiancò, semplicemente, collegando finalmente lo strano sapore – non che si facesse problemi nel mangiare qualcosa – alla sua causa. “Dev’essere… un problema della pentola, sai?” provò, gesticolando velocemente e cercando una via di fuga che non fosse troppo patetica.

Ah-ha” commentò lei, seria, con lo sguardo eloquente. “Ti stai arrampicando sui vetri”.

“Sugli specchi. E no, non lo sto facendo”.

“Sai cosa dicono del sale?”

“E’ afrodisiaco?” chiese stupito lui, e interessato.

Ziva alzò gli occhi al cielo, sospirando. “Sono convinta che il tuo cervello sia molto semplice, Tony. Dicono semplicemente che faccia bene alla pressione. E per la cronaca, il sugo è leggermente bruciato” gli fece notare con un sorrisetto trionfante.

“No che non lo è” si difese, poco convinto, fissando il suo piatto. Ziva sorrise, poi si alzò quanto bastava per dargli un leggero scappellotto. “Ehi! Riprovaci e-”

“Mi uccidi?” lo precedette, sarcastica.

Tony la fissò, ponderando il pensiero che gli aveva appena attraversato la mente, poi lasciò apparire un ghigno poco promettente. “…e la prossima volta cucini tu”.

Lei rise apertamente, alzandosi dalla sedia e recuperando i piatti sporchi. “D’accordo, Tony, l’affare è accettabile” concordò.

Non avrebbe mai capito le abitudini americane, né gli assurdi modi di dire, ma si sarebbe facilmente accontentata anche di una cena senza sale e di un sugo bruciato se questo significava rimanere con la sua squadra, la sua nuova famiglia, lui. Non era poi un gran dispiacere, in fin dei conti, aveva imparato ad affidare la sua fiducia a chi davvero la meritava, a chi le voleva bene.

Ora sì, che andava tutto per il verso giusto.

“Signor musicista, li lavi tu tutti questi piatti, vero?”

Trust I seek and I find in you
every day for us something new
open mind for a different view
and nothing else matters

   
 
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