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Autore: Arwen88    13/06/2010    1 recensioni
L'immortale. La bella. La demone.
Accarezzò con indolenza la gonna di seta, ripensando con un sorriso ai tanti nomi che le avevano dato nel corso degli anni, nel corso dei secoli.
[...] Perché la vendetta non può aspettare per sempre.

Partecipante al concorso "Contest di Inizio anno" indetto dalla Writers Arena.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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la jorogumo -x fan world ecc- Rating: 14 anni.
Tipologia: One-Shot.
Lunghezza: 3717 parole, 7 pagine, un capitolo.
Avvertimenti: Character Death, Angst.
Genere: Romantico, Malinconico, Sovrannaturale.
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: Per le informazioni sulla Jorogumo e le leggende che la riguardano mi sono documentata da Wikipedia e da The Obakemono Project, la citazione nel testo "è un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre" è di Shakespeare.
Note dell'Autore: Mi sono documentata per un po' su questa creatura fantastica e ho rielaborato il suo aspetto e alcune leggende che ho letto in modo che rispecchiassero la mia idea di lei e l'idea che volevo dare nella storia. Ci sono un paio di parole -mi pare- maiuscole anche se non all'inizio di frase, è un cosa voluta.
Introduzione alla Storia: L'immortale. La bella. La demone.
Accarezzò con indolenza la gonna di seta, ripensando con un sorriso ai tanti nomi che le avevano dato nel corso degli anni, nel corso dei secoli.
[...] Perché la vendetta non può aspettare per sempre.





La Jorogumo.







L'immortale. La bella. La demone.
Accarezzò con indolenza la gonna di seta, ripensando con un sorriso ai tanti nomi che le avevano dato nel corso degli anni, nel corso dei secoli.

La donna osservò il giovane seduto quasi al centro della stanza, il corpo rilassato contro lo schienale della poltroncina foderata di rosso, le braccia posate sui braccioli. Era carino, indubbiamente. Forse anche un bell'uomo.
Edward volse il capo, sorridendole.
Con eleganza lei si separò dallo stipite della porta e gli camminò incontro, il passo lento, seducente.
Lo sguardo affascinato dell'uomo scorse tutta la sua figura, il ciuffo di capelli neri dalla piega morbida che era scivolato davanti ad un occhio, le labbra perfette e rosse dall'aspetto invitante, il collo candido, le spalle sottili, la piccola sporgenza delle clavicole, il seno scoperto appena dalla scollatura dell'elegante vestito di seta blu, vestito che fasciava il corpo morbido e sinuoso, i fianchi e le lunghe gambe.
Poi la vicinanza di lei gli fece risollevare il capo.
Sollevò le braccia, Edward, invitandola a farsi stringere in un abbraccio, a sederglisi in grembo.


Le palpebre della donna vibrarono e i suoi occhi verdi splendettero come smeraldi alla luce del sole.
Le sue labbra si curvarono in un sorriso: non era propriamente felice, gioioso o accattivante -per quanto a lui in quel momento sembrasse sensuale-, era soddisfatto.
Sceglieva con molta cura le sue prede, lei. Il suo fine palato non si era mai sporcato del sangue di un viandante o di un povero contadino.
Sin da che aveva avuto il potere aveva cercato attentamente coloro che ricoprivano ruoli importanti, divenendo famosa tra le sue simili per il suo buon gusto e le maniere raffinate con cui cacciava. Ma ormai delle sue simili non c'erano più molte esemplari.

In un tempo nel quale non vi erano più principi, imperatori, samurai o cavalieri, lei aveva dopo molto tempo aperto una caccia difficile, una caccia da lungo tempo attesa e per molto rimandata.
E la sua vittoria era vicina: nella sua rete aveva finalmente fatto capitolare il figlio del suo nemico.

Lui era La preda.
La preda perfetta.

Lei è la morte.
Lei è la Jorogumo.

In quel mondo in cui nessuno credeva più a spiriti e maledizioni era rimasta una sola famiglia a porle resistenza, un manipolo di esseri umani discendenti dal primo sacerdote che mai si fosse azzardato ad attaccarla.



Ricordava ancora con precisione il giorno in cui lei e il sacerdote si erano incontrati.
Era una settimana ormai che si mostrava al figlio del nobile padrone del feudo, un giovane dedito alla via del samurai.
Era la prima preda che sceglieva da quando aveva assunto la nuova forma di Jorogumo, si sentiva così euforica... era così inesperta. Forse per quello stava quasi correndo per incontrarlo, il kimono che quasi scopriva le sue caviglie, i sandali che risuonavano sul selciato mentre si avvicinava al ponte che collegava le campagne con il villaggio.
Tutta quella vita in quel corpo così fresco e vigoroso... si sentiva così affamata quando gli stava vicina: ancora poco tempo e si sarebbe potuta cibare di lui.
Sulla strada aveva però incrociato il monaco.
Con finto pudore aveva chinato il capo, sperando di passare inosservata.
Ma lui si era fermato, osservandola, le dita che si stringevano attorno al bastone.

Che umiliazione.
Era rimasta quasi intrappolata dai sutra dell'uomo e solo sacrificando le energie del giovane che già aveva assimilato negli ultimi giorni era riuscita a fuggire, i capelli scompigliati, il kimono strappato, i sandali persi sul selciato.
Che rabbia.

Era ingenua, incosciente. Ora era maturata.
Non si sarebbe più fatta intrappolare o umiliare da un monaco.
Ora le sue trame, i suoi fili, erano tesi con cura: le illusioni in cui faceva precipitare gli umani erano perfette, erano pochi i nemici al mondo di cui si dovesse preoccupare.
Alcuni tra questi però erano proprio loro: i discendenti di quel sacerdote.
Nascosta nella sua tana, leccandosi le ferite, aveva spedito i suoi piccoli alla ricerca di informazioni.
E così, nell'oscurità, aveva raccolto notizie, voci, e aveva meditato vendetta.
Vendetta che aveva rimandato a lungo.
Finché non avesse potuto distruggere tutto, tutto ciò che per loro era importante.
All'inizio era sembrato difficile, aveva scoperto che aveva lasciato il tempio, creato una sua famiglia e istruito tutti i membri con ciò che sapeva, continuando lui stesso a fare ricerche.
Ricerche su di lei, sui suoi simili. Tutto ciò che si poteva scoprire sulle Jorogumo.
Generazione dopo generazione, ogni membro della famiglia era stato istruito, preparato a cacciarle, scovarle, ucciderle.
Avevano fatto dello sterminarle, dell'intralciarle, il loro scopo.
Alquanto stupidi. E irritanti.
Ma anche pericolosi.
Col passare degli anni, delle generazioni, erano diventati i maggiori esperti sul loro conto mentre studiavano anche gli altri spiriti giapponesi, cercando analogie o armi da poter utilizzare.
Per questo, nonostante i governi cambiassero, salendo al potere e decadendo, loro erano rimasti conosciuti e ammirati all'interno degli ambienti altolocati. Spesso venivano assunti per lavori "speciali" per conto di nobili e facoltosi che si sentivano  o trovavano al centro di malefici.
Così erano passati i secoli, la famiglia del sacerdote l'aveva inseguita per mezzo mondo senza mai riuscire a catturarla o ferirla ancora; avevano allargato le loro fila, erano diventati opulenti e quindi erano decaduti, il loro numero diminuito.
Ora lei sapeva che nell'era dei computer, della logica, del rifiuto per ciò che è "fantastico", non provabile, non c'erano più di sette membri nella famiglia, tre erano troppo vecchi, costretti a letto o sulla sedia a rotelle, tre erano troppo avanti con gli anni per poter avere ancora figli.
Solo uno era giovane, il prezioso discendente della famiglia sua nemica, un'affascinante uomo che era ormai l'unico a poter portare avanti il patrimonio genetico del monaco.
Era il cibo perfetto, la sua vendetta.



Era uscita a caccia una sera verso il tramonto, quando in cielo le poche nuvole erano ormai tinte d'arancione. Indossava un corto cappottino nero per ripararsi dal freddo di quell'inverno e portava un ombrello blu notte appeso al braccio sinistro. Lentamente infilò la mano destra nella tasca del soprabito: tre piccoli ragni si arrampicarono sul suo palmo e lei li estrasse, avvicinando la mano al viso, osservandoli disporsi quasi in riga, in attesa dei suoi desideri.
Le sue labbra si stesero in un sorriso.
-Trovatelo, miei cari.-
I piccoli esseri pelosi si mossero immediatamente, pendendo dai loro piccoli fili fino a terra e da lì iniziando la ricerca, la caccia.
Non ci volle poi molto, aveva già fatto delle ricerche tempo prima, sapeva che il luogo doveva essere quello.

Quando le lezioni finirono ed il professore di Archeologia e storia della letteratura giapponese uscì dalla porta dell'Istituto, i libri in braccio, l'aria indaffarata, rimase stupito, il suo sguardo calamitato dalla figura di una giovane donna ferma davanti al cancello. Una donna affascinante vestita di scuro, una donna dai capelli neri. E gli occhi verdi.
Si era fermato lì dov'era, guardandola, e lei aveva ricambiato il suo sguardo, sorridendo ammiccante.
Era lampante come lui fosse interdetto, sentiva quasi che lei era lì per lui, nonostante non si fossero mai incontrati prima.
La Jorogumo fece un passo avanti, verso di lui, e l'uomo deglutì prima di abbassare gli occhi, sistemando meglio i libri tra le braccia, per poi tornare a fissarla.
Forse il suo istinto l'aveva messo in guardia ma Edward lo sapeva: mai, mai il suo cuore aveva reagito così per una donna, mai prima di quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa pur di accarezzare la liscia guancia di una signora.
Fece anche lui un passo avanti, verso di lei.
E la malia prese vita, chiudendo la trappola attorno a lui.

Lui che era il maggior conoscitore di ciò che la riguardava, lui che era stato cresciuto per ucciderla, lui che non l'aveva mai vista prima.
Quell'uomo che aveva rifiutato più volte gli incoraggiamenti della famiglia a sposarsi e continuare la discendenza perché sentiva di dover aspettare quella giusta, quella per cui sarebbe anche potuto morire.

Che ironia che ha la sorte.

Si incontravano solo sotto il cielo della sera e della notte, lei non amava molto la luce diretta del sole.
In effetti non erano passati neppure tanti giorni dal loro primo incontro quando lui aveva capito di essere ormai irrimediabilmente perduto. Pazzo d'amore.
L'aveva capito una sera, tornando a casa: si era ritrovato affannato nel richiudere la porta di casa alle sue spalle e per un attimo si era lasciato andare, la schiena contro la porta, la testa reclinata all'indietro contro il legno, gli occhi chiusi, la mente pervasa del ricordo di lei, del suo profumo.
Aveva riaperto gli occhi solo quando dei passi davanti a lui avevano preannunciato l'arrivo di sua madre.
La donna si era affacciata nell'ingresso della grande casa e l'aveva osservato un po' preoccupata.
-Tutto bene, caro?-
Per un attimo esitò.
Poi tutto fu chiaro: era caduto nella rete, una dolce trappola da cui non voleva scappare.
Non avrebbe mai parlato del suo amore ai suoi parenti, non voleva condividere con nessuno quel segreto.
Sorrise placidamente alla donna, scostandosi dalla porta.
-Sì, madre. Tutto bene.-

Col passare delle notti la Jorogumo lo legava sempre più a sé, impedendogli di fuggire, rendendogli l'idea stessa inconcepibile.
Forse non lo avrebbe ammesso nemmeno con se stessa ma quell'uomo le piaceva. Certo, come può piacere il coniglietto che poi si cucina per cena, ma comunque le piaceva.
Era galante in una maniera ormai estinta e quando camminavano per strada, se capitava che lei attirasse gli sguardi dei passanti, lui assumeva l'espressione di un cavaliere che vede una damigella in pericolo e vuole andare a salvarla. In quei frangenti lei tratteneva appena una risatina, trovandolo sciocco. Ma in un certo qual modo anche affascinante.
D'altra parte, si disse, se lo doveva immaginare da lui, l'élite della famiglia che le dava la caccia. Perfetto come sarebbe potuto esserlo forse solo un principe dei tempi andati.


Edward era lì ora per aver accettato il suo invito a cena.
Lei l'aveva condotto fino alla sua villa, una costruzione nel bel mezzo di un parco, voltandosi spesso a guardarlo in viso, un piccolo sorriso divertito sulle labbra, la piccola mano appoggiata sul suo braccio.
Vi era stato un solo momento in cui l'uomo aveva esitato: nell'attraversare la soglia della villa aveva improvvisamente sentito un brivido attraversarlo ed un pessimo presentimento si era fatto strada in lui, presto scacciato però da un nuovo sorriso della sua bella.
Ed ora finalmente poteva abbracciarla, farla sedere sulle proprie gambe, respirare il profumo dei suoi capelli.

La Jorogumo sorrise nel sentire il respiro di lui rilassarsi, gli occhi chiusi, il volto posato sulla sua spalla.
L'aveva condotto lì quella sera dicendogli che lo invitava a cena e il giovane aveva subito accettato volentieri; era stato allora che per un attimo lei aveva esitato, chiedendosi improvvisamente se potesse essere una trappola, se lui avesse capito la sua vera natura e si preparasse ad arrivare nel suo territorio per attentare alla sua vita. Ma il presentimento scomparve presto in un soffio e la donna tornò a sorridere, poggiando la mano sul suo braccio e iniziando a condurlo, il tocco lieve e tuttavia deciso, la sorte dell'uomo ora segnata.
Così l'aveva avvolto nella sua malia, portato verso la sua ragnatela sospesa tra gli alberi del parco e lì l'aveva lentamente avvolto nei suoi fili mentre nella sua illusione lui credeva di essere a cena con lei.

Le fiamme delle candele oscillarono al centro della tavola creando graziosi bagliori sui cristalli dei calici e sull'argento delle posate, Edward osservava la sua amata seduta di fronte a sé sorridergli con il volto poggiato graziosamente sulle mani intrecciate.
L'uomo si alzò con calma, avvicinandosi a lei e spostandole la sedia per permetterle di alzarsi. Mentre gli porgeva la mano, alzandosi, la donna inclinò la testa sulla spalla, un bagliore di ironia e forse orgoglio nei suoi occhi.
-Veramente cavaliere... Quale perdita per il sesso femminile che tu sia ora qui con me.-
Affascinante, lui sorrise, baciandole il dorso della piccola mano, lo sguardo fisso sul suo viso.
-Quale che possa essere la perdita per il resto del genere umano, in questo momento la fortuna è mia visto che posso essere in tua compagnia per tutta una notte.-
Improvvisamente lo sguardo di lei assunse una nota di terrore mentre il pensiero “lui sa, sa tutto” attraversava la sua mente, ma fu solo un attimo: razionalizzando si disse che non poteva essere e voltandosi nascose anche l'espressione del suo viso all'uomo.
-Ci spostiamo in salotto?-


Edward si sedette nella poltrona di pelle rossa, affondandovi appena e invitando la donna a sedersi sulle sue gambe.
La Jorogumo sorrise, le braccia incrociate, lentamente fece un passo avanti, avvicinandoglisi e abbassando una mano in modo che lui potesse raggiungerla con le sue, cosa che lui fece presto, prendendo ad accarezzarla.
La donna inclinò ancora la testa, i capelli che scivolavano oltre la sua spalla verso la scollatura dell'abito.
-Ti va di parlarmi dei tuoi studi?-
Lo sguardo dell'uomo fu come acceso da una luce, la sua voce diventava quasi più calda.
-Le figure delle tradizioni orientali?-
Lei annuì, l'espressione sul suo viso immutata.
-Sì, studi qualche figura leggendaria in particolare?-
Ma la risposta la conosceva già.
-Sì, la Jorogumo.-
Con un sorriso che sapeva quasi di vittoria la donna si avvicinò ancora di più a lui, accettando finalmente l'invito ad un contatto maggiore. Lentamente fece scorrere lo sguardo sul mento ben rasato del professore e sulle sue belle labbra.
-Ti va di parlarmi di lei?-
-Con piacere, se non ti annoio.-

-La Jorogumo è uno spirito giapponese, secondo le storie sarebbe un ragno -probabilmente della specie dei Nephilia clavata- che dopo i quattrocento anni di età ha acquistato abbastanza potere da poter trasformare a piacere il proprio aspetto in quello di una donna affascinante e con questo catturare le prede necessarie alla propria sopravvivenza.-
La donna raccolse una ciocca dei sottili capelli tra le dita, accarezzandola come sovrappensiero.
-Allora non è uno spirito buono...-
L'uomo sorrise con calma.
-No, direi di no.-
-Ci sono molte storie che parlano di lei?-
-Oh, sì: era uno degli spiriti più diffusi nelle storie di fantasmi in circolazione nel periodo Edo e come se non bastasse è anche la protagonista di molte leggende.-
Per un attimo lo sguardo della donna divenne tagliente, pericoloso, ma subito essa riacquistò il proprio auto controllo e gli cinse le spalle con le braccia, il sorriso di nuovo sulle labbra.
-Che tipo di leggende?-
L'uomo abbassò per un istante gli occhi, pensieroso, e sembrò esitare. Infine però riportò lo sguardo su di lei, un piccolo sorriso che aveva un'aria leggermente triste.
-Si dice che la Jorogumo fosse solita sedurre gli uomini per poi chiedergli di sposarla e cibarsi di loro. Ma non tutte le storie sono così pessimiste. O per lo meno non tutte la ritraggono come una belva assetata di sangue e carne. Una leggenda parla di un viandante che, stanco per il viaggio, si era addormentato sotto un albero vicino ad una pozza d'acqua. Sognò di una giovane donna bellissima che usciva dalla cascata e si avvicinava a lui; si svegliò di soprassalto e vide davanti a sé proprio la donna del suo sogno. Sorpreso, le chiese chi fosse e lei gli rivelò la sua natura di Jorogumo, chiedendogli però di non dirlo a nessuno. L'uomo promise, ormai perdutamente innamorato della giovane, e le chiese di rimanere con lui. Ma i compagni dell'uomo avevano assistito alla scena da dietro gli alberi e improvvisamente saltarono fuori, la cupidigia nei loro sguardi, pensando di catturarla e cercare di ricavarne un bel gruzzolo. La giovane però si rimise in piedi, la paura trasformata presto in furore. Il cielo fu attraversato dal rombo di un tuono e quando finalmente il giovane viandante rialzò il capo, la donna era tornata nelle acque limpide della pozza ed i suoi compagni giacevano a terra, addormentati di un sonno profondo dal quale non riuscì a svegliarli. Disperato, il viandante pensò di correre al villaggio più vicino e chiedere aiuto. D'improvviso però si ricordò della promessa fatta di non parlare, promessa che non voleva rompere perché sapeva che avrebbe significato non poterla più rivedere. Rimase seduto sulla riva per ore, finché il sole non calò oltre le montagne e le stelle brillarono in cielo. Quando poi la luna lentamente arrivò a riflettersi sulle acque scure, prese la sua decisione e si alzò, camminando verso la pozza senza fermarsi, finché le acque non si richiusero sopra la sua testa, raggiungendo la creatura di cui si era innamorato.-
La donna seduta sulle sue gambe rimase un po' in silenzio, colpita da quella leggenda di cui non aveva mai sentito parlare.
-Non avevo mai sentito questa storia.-
Il sorriso triste ricomparve ancora una volta sulle labbra di Edward.
-Non è molto conosciuta, l'ho scoperta in un vecchio diario di proprietà della mia famiglia.-
Un bagliore di rabbia lampeggiò negli occhi verdi della donna che cercò di dominarsi mentre la sua voce diventava di colpo fredda e pungente.
-La tua famiglia ha una passione per le Jorogumo? Per questo anche tu le studi?-
L'uomo sollevò lo sguardo negli occhi di lei, un'espressione malinconica sul viso.
-Io e la mia famiglia siamo due cose separate. Forse sì, all'inizio ho preso a studiarle per fare un piacere ai miei familiari, ma ora... Ora è diverso.-
Una lieve risata sorse dalla gola della creatura, gli occhi che splendevano sarcastici e cupamente divertiti.
-Sembra quasi che tu te ne sia innamorato!-
Ma la risata cessò con la risposta di lui.
-Forse.-
Improvvisamente lo fissò seriamente, valutandolo.
-Anche se è una creatura malvagia interessata solo ad ucciderti?-
Il sorriso tornò sulle labbra dell'uomo.
-Questo non vuol dire che non possa amare. E in ogni caso... Il mio amore può bastare per entrambi.-


Una macchina frenò bruscamente in strada, fermandosi davanti al cancello scuro del parco immerso nel buio.
Tre persone ne scesero, due uomini ed una donna dall'aspetto severo.
Sui loro visi la rabbia e la preoccupazione lottavano per il predominio.
I tre corsero attraverso i sentieri, tra gli alberi, seguendo una tecnica spirituale tramandata nella loro famiglia che li stava conducendo verso il giovane ora in pericolo.
La corsa finì quando furono di fronte ad una gigantesca ragnatela tesa tra gli alberi.
Al centro di essa vi era la Jorogumo.
Il corpo di ragno, la testa ed il busto di donna.

Sollevò lo sguardo su di loro quando la madre dell'ultimo discendente cacciò un urlo.
Sorrise malevola quando vide i loro sguardi fissi sul corpo addormentato del loro caro ragazzo, perso nella sua illusione.
Con rabbia, gli uomini cercarono di avvicinarsi alla ragnatela, di romperla, di bruciarla.
Cercavano di uccidere lei, la loro nemica giurata.
Ma tutto era inutile, l'area era protetta dal suo potere accresciuto col tempo.
La creatura che si trovavano di fronte non era più quella che il loro avo aveva umiliato secoli prima.
Disperati, essi cercarono di svegliare l'uomo o di trovare qualche processo magico che potesse indurla a fermarsi.
Ma nel breve tempo di vita che rimaneva al professore non c'era molto che loro potessero fare. Non prima che lei avesse portato a termine la sua vendetta.


La donna in abito di seta scura accarezzò lentamente il viso affascinante dell'uomo con le proprie dita sottili, lo sguardo pensieroso, come concentrata altrove.
Fu quando la mano di Edward sfiorò il suo viso, andando ad intrecciarsi coi suoi capelli, che lei sembrò tornare in sé, con un piccolo sussulto.
Sorrise appena, come chiedendo scusa, o come se si sentisse stanca.
Appoggiò la fronte contro quella dell'uomo, chiudendo gli occhi.
Aveva atteso troppi anni per potersi permettere di cedere proprio in quel momento, di rinunciare solo per quella stupida emozione umana che quell'essere stava cercando di farle provare.
Edward respirò a fondo, la testa quasi sepolta nei lunghi capelli di lei, il profumo della donna ad inebriarlo.
Sorrise, felice.
Ma infine lei si scostò, riprendendo il discorso che avevano interrotto.
-Da come la descrivi sembra che lei ti piaccia veramente, la trovi così bella?-
Il professore si scostò dalla sua spalla per baciarle le labbra morbide, come se in quel momento nient'altro che quel gesto avesse importanza.
-Sì, lo è.-
Lentamente si separò da lei per poterla guardare negli occhi -quegli occhi così speciali-, un sorriso amaro sulle labbra.
-Diciamo, per usare le parole del Bardo, che lei “è un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre”.-
Edward prese una mano di lei tra le sue, portandola alle labbra e baciandola.
Con calma riportò lo sguardo ancora una volta sul suo viso, sulla sua espressione ora concentrata e attenta.
-Se questo deve essere il nostro ultimo incontro allora ti prego: dammi un ultimo bacio.-

Ed infine lei si chinò su di lui, senza più alcuna ironia o sarcasmo nello sguardo, non una traccia di divertimento o di civetteria. Posò le labbra sulle sue, lasciando che la mano dell'uomo si intrecciasse ai suoi capelli, portandole il viso più vicino al suo per premere ancora di più le labbra su quelle della donna.
Si lasciò baciare, il primo vero bacio dopo secoli, il primo bacio desiderato e ricambiato da sempre.
Le sue dita sottili si strinsero sulla stoffa della giacca del professore mentre si sentiva quasi uccidere dal sentimento di Edward, dall'emozione che lui provava e che riusciva a captare anche lei, quella cosa che era la trappola più dolce in cui si potesse cadere, cento volte più perfetta di una qualsiasi tela che lei avesse mai potuto creare.
Quella sensazione che doveva finire.

Perché la vendetta non può aspettare per sempre.



L'uomo più vicino alla ragnatela si passò una mano sugli occhi, disperato, nascondendo le lacrime che scendevano sul suo vecchio volto.
L'altro uomo era poco dietro, gli occhi serrati per non dover assistere a quel macabro spettacolo, circondava con le braccia le spalle della madre del loro ultimo discendente, piegata a terra, sgomenta.
Sopra le loro teste, al centro della ragnatela, la Jorogumo teneva il corpo dell'uomo fra le zampe mentre i suoi denti affondavano nel collo della preda.
Preda che nemmeno si dibatteva, rassegnata alla morte.
Gli occhi verdi della creatura brillavano nell'oscurità, sfidando quei pazzi, quegli uomini insulsi che per secoli avevano osato sfidarla.
Quelle creature che le avevano rubato la sua ultima possibilità di essere felice.







Questa storia ha partecipato al Contest di inizio anno sulla Writers Arena classificandosi quinta.
  
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