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Autore: Annette85    13/06/2010    11 recensioni
Uno sparo riecheggiò nell’aria.
I poliziotti evitarono la pallottola per poco, ma lui no. Il suo corpo ricadde sul pavimento freddo e ricoperto di polvere.[...]

Storia partecipante al "Movies Contest" indetto da Himechan84 sul forum di EFP
Genere: Generale, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il riposo (forzato) del guerriero

Uno sparo riecheggiò nell’aria.

I poliziotti evitarono la pallottola per poco, ma lui no. Il suo corpo ricadde sul pavimento freddo e ricoperto di polvere. Il giubbotto anti-proiettile con la scritta “Writer” sul petto quella volta era servito a poco.

«No, Castle!» l’urlo si diffuse nella stanza vuota, lei gli corse immediatamente vicino, non curandosi dei colleghi che avevano risposto al fuoco, ferendo a loro volta il sospetto e arrestandolo. «Resta sveglio», continuò a ripetere come un mantra per lunghi interminabili minuti, tamponando la ferita e cercando di non farlo addormentare, mentre aspettavano l’ambulanza.

Ma Castle chiuse gli occhi e si lasciò cullare nell’oblio.

***

La stanza del miglior ospedale di New York si stava rivelando troppo piccola per tutte le persone che avevano sentito il dovere di stargli accanto.

I dottori avevano detto espressamente di non affollarla inutilmente, visto che almeno per dodici ore non ci sarebbero state novità, ma nessuno se l’era sentita di lasciare Richard Castle, noto scrittore di gialli, solo in quel momento. Speravano che anche la sola vicinanza di ognuno di loro potesse risvegliarlo prima, in qualche modo.

Alexis e Martha avevano occupato due poltrone ai piedi del letto, pronte a scattare come molle al minimo segno che Rick avesse dato; Esposito, appoggiato al davanzale della finestra che dava su Central Park, guardava l’amico meditabondo. Ryan andava avanti e indietro nello stretto corridoio tra il letto e l’armadio della stanza, fermandosi di tanto in tanto quando gli sembrava di vedere un fremito, un movimento, un segno di vita da parte dello scrittore. Il capitano Montgomery si era precipitato in ospedale non appena aveva ricevuto la notizia: il suo proverbiale sangue freddo per una volta aveva vacillato e stava sommergendo di domande qualsiasi infermiere, dottore, tirocinante gli passasse accanto. Non si era mai abituato a perdere uomini durante l’orario di lavoro e men che meno uno scrittore che voleva solo nuovi spunti per i propri libri.

Solo una persona mancava all’appello.

La detective Beckett, appena saputo che Castle poteva ritenersi fortunato e non si sarebbe svegliato ancora per un po’, era andata a prendere un caffè. Non che fosse molto corretto nei confronti di Castle o degli altri, ma aveva un bisogno impellente di caffeina per riuscire a non cedere alle mille sensazioni che stavano esplodendo dentro di lei.

Si sedette su una sedia nella saletta d’attesa per sorseggiare il caffè, maledicendosi per l’ennesima volta per aver permesso allo scrittore di seguire così da vicino tutto. Gli aveva detto tante volte di non immischiarsi nelle irruzioni, di restare in auto ad aspettare e non muoversi finché lei non fosse tornata.

Come sempre aveva fatto di testa sua.

Come sempre era entrato con loro, sicuro che il giubbotto anti-proiettile riuscisse a proteggerlo, senza fare i conti con la pazzia di chi uccide per puro piacere, modificando i proiettili perché facciano ancora più male. E Castle lo sapeva, ma preso dalla foga non ne aveva tenuto conto.

Fissò il bicchiere di caffè che aveva in mano, dapprima senza vederlo veramente, poi ripensando a tutte le volte che Castle si era presentato alla sua scrivania con la tazza fumante. Sorrise ricordandosi di quando gliel’aveva versato addosso, sulla camicetta bianca, costringendola così ad andare in giro per tutto il giorno con la giacca.

Se un anno prima le avessero detto che sarebbe diventata la musa del suo scrittore preferito, avrebbe riso in faccia a chiunque avesse fatto quella previsione, definendolo il veggente più improbabile della storia. Subito dopo avrebbe addotto come scusa il fatto che uno scrittore, per quanto bravo, non avrebbe mai pensato di collaborare con un vero detective. E invece, per uno strano scherzo del destino, era successo: dopo averlo accusato di omicidio, lui aveva iniziato a lavorare con lei e la sua squadra.

“Io non credo al destino”, pensò finendo il caffè e appoggiando il bicchiere vuoto vicino a una pila di riviste, in cima alle quali faceva bella mostra di sé la copia di Cosmopolitan recante in copertina proprio Castle. Ricordava ancora nei suoi peggiori incubi l’intervista che le avevano fatto.

«Kate», il sussurro di Martha la raggiunse da lontano. «Non dovrei lasciare mio figlio, ma è meglio che io accompagni a casa Alexis».

Beckett si voltò verso la madre di Castle non capendo molto bene cosa intendesse. «Non preoccuparti, resto io», sentì rispondere alla propria voce, nonostante non avesse ancora pensato a cosa dire.

«Ci vediamo domattina», disse Martha cercando di sorriderle e sfiorandole il braccio come a confortarla. La detective si alzò e andò a prendere un altro caffè prima di dirigersi nella stanza di Castle.

«Beckett, noi andiamo», iniziò il capitano riferendosi anche a Esposito e Ryan. «Domani puoi prenderti un giorno libero», disse poi uscendo dalla stanza.

«Grazie, signore, ma non penso sia il caso», tentò di rispondere la detective.

«Niente scuse. Domani non ti voglio vedere in ufficio», sentenziò lui.

«Il capo ha ragione, Beckett», intervenne Esposito.

«Per un giorno possiamo fare a meno di te. Non preoccuparti», lo spalleggiò Ryan.

«Sì, potremmo rubarti le matite dalla scrivania», continuò il primo con un piccolo ghigno sulle labbra.

«Oppure guardare un porno sul tuo computer», disse l’altro seguendo il capitano che li trascinava via.

Beckett sospirò e alzò gli occhi al cielo; salutò con un cenno i colleghi e il capitano ed entrò da Castle. Avvicinò una delle due poltrone al fianco del letto e si sedette osservando lo scrittore che dormiva tranquillo. Dopo qualche minuto – o qualche ora, difficile dirlo visto che il tempo passava lentamente – si appoggiò al materasso e con il lento e regolare battito monitorato dal macchinario lì vicino, cedette alla stanchezza e si addormentò.

***

Alzò lentamente la testa e si massaggiò il collo indolenzito per la posizione scomoda in cui aveva dormito.

«La prossima volta... vai a casa», sussurrò Castle alla sua sinistra facendola sobbalzare.

Di sicuro non si sarebbe aspettata di risentire quella voce tanto presto. «E lasciarti qui da solo?» chiese ancora piuttosto incredula. «Qualcuno doveva controllarti. Ci avresti provato con tutte le infermiere del piano».

«Sei gelosa?» chiese di rimando lui con un ghigno.

«Nei tuoi sogni, Castle», rispose bruscamente girandosi verso la finestra.

Lo scrittore la fissò per qualche istante prima di riprendere a parlare: «Sei pallida», asserì serio dopo quella che parve un’eternità. «Hai finito il rossetto o hai sofferto per la mia assenza?»

Beckett si girò di nuovo verso di lui, lentamente: aveva sentito bene? Impossibile che Castle fosse serio in quel frangente, a lui piaceva troppo scherzare anche in situazioni critiche. Eppure qualcosa nella sua voce la fece dubitare.

«Decisamente la prima opzione», rispose la detective guardandolo arrabbiata, perché, nonostante l’operazione subita, scherzava come al solito.

«Ne sei sicura?» domandò beffardo iniziando a sfiorare una mano di Beckett con la propria, ben sapendo che un gesto del genere l’avrebbe mandata in confusione. «Allora perché sembravi così disperata ieri, quando sono stato colpito?»

La detective deglutì a vuoto, come un sospettato sotto pressione, non sapendo bene cosa rispondere.

«Papà, sei sveglio», disse Alexis entrando nella stanza e gettandosi subito su suo padre, il quale ebbe una piccola smorfia di dolore, prontamente nascosta da un sorriso felice.

Beckett ringraziò mentalmente la figlia di Castle per averla tolta da quell’impiccio, prima di alzarsi e uscire per lasciarli soli.

Era sicura che se fosse rimasta ancora qualche secondo in quella stanza sarebbe avvenuto l’irreparabile, ma a lei andava più che bene quel rapporto di simil-amicizia. Non se la sentiva di rovinare tutto.


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Da un po' non pubblicavo in questo fandom, ma aspettavo di sapere il risultato del contest a cui ho partecipato con questa storia.
Devo dire che sono molto soddisfatta del risultato (anche se sono arrivata tredicesima), anche se magari la ff non dirà granché XD poco importa, basta che i due polli siano stati sul punto di dichiararsi, come d'altronde capita in quasi ogni episodio della serie.
Comunque prima che mi dilunghi troppo, ringrazio Himechan per aver indetto il bellissimo concorso, mi sono divertita molto a scrivere la storia, soprattutto immaginandomi in quali occasioni Castle avrebbe potuto dire a Beckett la frase "«Sei pallida. Hai finito il rossetto o hai sofferto per la mia assenza?»".
Ma ora lascio la parola a voi lettori: cosa ne pensate?

Ciao ciao

   
 
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