Con gli occhi di Bailey
Capitolo 5
Bailey sapeva cosa doveva fare.
Doveva
convincere Tibby che sarebbe stata un’ottima
assistente durante le riprese del suo film.
Per
questo si stava dirigendo al Seven-Eleven, per
convincere un ragazzo di nome Brian a farsi intervistare per il documentario di
Tibby. Sapeva che Brian era la persona più adatta.
Accelerò
il passo, felice come non lo era stata da molto tempo.
***
Mezz’ora
dopo, tornata a casa, chiamò Tibby.
“Ho
fissato la prima intervista per il nostro film” esclamò eccitata.
Tibby sbuffò nel ricevitore. “Il nostro film?”
“Scusa.
Il tuo film. Quello per cui ti do una mano.”
“Chi
ha detto che mi dai una mano?” chiese Tibby.
“Per
favore, per favore…” la supplicò Bailey.
“Dai,
Bailey. Ma non hai niente di
meglio da fare?”
Bailey non rispose subito. Decise di evitare la domanda. “Ho
fissato l’intervista per le quattro e mezza, dopo che esci dal lavoro” disse
invece. “Se vuoi posso fare un salto a casa tua a prendere la roba.”
“E chi dovremmo intervistare?” chiese ormai rassegnata Tibby.
“Quel
ragazzino che gioca sempre ai giochino elettronici al Seven-Eleven di fronte al Wallman’s.
Ha occupato tutti e dieci i primi posti della classifica del gioco più
difficile.”
“Effettivamente
suona disperato quanto basta” borbottò Tibby.
“Allora
ci vediamo più tardi?”
“Non
so ancora che ho progetti ho.”
Ovviamente
per Bailey era un sì.
***
Alle
quattro, quando Tibby finiva il turno, Bailey si fece trovare proprio davanti all’entrata del Wallman’s.
Aveva
in mano la telecamera e le altre attrezzature che aveva
preso a casa di Tibby poco prima. Loretta, la
domestica latinoamericana, l’aveva lasciata entrare senza problemi.
“Come
va?” chiese Bailey all’amica non appena la vide uscire.
“Sto
morendo di morte lenta” rispose quella, prima di sussultare rendendosi conto troppo tardi di quello che aveva detto.
Bailey invece non ci fece caso più di tanto. “Allora andiamo, non
c’è tempo da perdere!” esclamò, brandendo la telecamera.
***
Quando entrarono nel Seven-Eleven, Bailey si convinse ancor di più che aveva scelto la persona
giusta.
Probabilmente
se ne convinse anche Tibby, appena fatte le
presentazioni con Brian McBrian. Quel ragazzo era
davvero la caricatura del perdente: pelle chiarissima, ossuto,
sindrome del monosopracciglio, capelli unti
color cacca di cane, apparecchio per i denti muschiato e un modo di parlare a
sputacchio davvero disgustoso.
In
una parola, perfetto.
Bailey cominciò a montare le attrezzature, improvvisando una
giraffa per il microfono esterno, Brian iniziò a giocare a Dragon Master, come richiesto dalle intervistatrici, e Tibby prese a filmare.
Prima
di inquadrare Brian, voleva prendere il locale. Puntò la telecamera sul ragazzo
dietro al bancone che, neanche Tibby fosse stata una
reporter di 60 Minutes,
si coprì il viso con le mani. “Niente telecamere! Niente telecamere!” gridò.
Bailey scoppiò a ridere, proprio mentre Tibby
spostava l’inquadratura su di lei, per poi finire con un’inquadratura di spalle
di Brian. Poi interruppe, per iniziare le riprese vere e proprie.
“Pronto?”
chiese al ragazzo.
Lui
si voltò. Bailey sistemò meglio il microfono.
“Si
gira” annunciò Tibby.
Bailey notò che Brian non cambiò posizione o fece strane mosse come
fa di solito la gente inesperta davanti a una
telecamera. Rimase fermo, a fissare Tibby senza
battere ciglio.
“Dunque, Brian, sappiamo che sei un habituè
qui al Seven-Eleven” cominciò Tibby.
Bailey la ammirava per come riusciva a tenere ferma la telecamera, nonostante dietro di lei ci fosse una folla
di persone esagitate che discuteva per qualcosa, come d’altronde si fa sempre
nei bar.
Brian
annuì.
“Che
orari fai?”
“Bè, più o meno dall’una alle undici.”
“Ma perché, il negozio chiude alle undici?”
“No,
le undici sono il mio coprifuoco” spiegò lui.
“E durante l’anno scolastico?”
“Durante
l’anno vengo qui solo dalle tre alle cinque.”
“Capisco.
Niente doposcuola, niente sport, niente attività?”
Brian
indicò il parcheggio che si intravedeva oltre la
vetrina. “Un mucchio di gente passa la sua vita là
fuori” disse. Poi puntò il dito verso il videogioco: “Io vivo qui.”
Bailey vide che l’amica era interdetta dallo sguardo fermo di
Brian.
“Allora,
raccontaci di Dragon Master” continuò
Tibby.
“Ti
faccio vedere” disse lui infilando due monetine da un quarto di dollaro nella
fessura. “Il livello uno è la foresta. Siamo nel 436 d.C., l’anno della prima grande spedizione in cerca del Santo Graal.”
“Ci
sono in totale ventotto livelli, che vanno dal quinto
al venticinquesimo secolo d.C..
Soltanto una persona è riuscita finora ad arrivare al livello ventotto su questa macchina.”
“Tu?”
chiese Tibby.
“Sì,
io. Il 13 febbraio.”
A
Bailey venne da ridere. Si era segnato la data?
“Magari
oggi riesci a farcela di nuovo” disse Tibby.
“Possibile”
confermò Brian.
Bailey si sporse con Tibby oltre la
spalla del ragazzo per vedere l’alter ego virtuale di Brian, un enorme
guerriero muscoloso, radunare truppe di fedeli e una donna tutta curve perché
combattessero al suo fianco.
“Di
draghi non ne incontri neanche uno fino al livello sette”
spiegò.
Al livello quattro ci fu una battaglia navale. Al livello sei i
barbari diedero alla fiamme il villaggio di Brian e
lui riuscì a salvare donne e bambini. Bailey
osservava affascinata le mani di Brian muoversi con destrezza tra leve e
bottoni, mentre lui non abbassava mai gli occhi dallo schermo. Sentì uno scatto
alla sua destra, e si accorse che la telecamera di Tibby
si era spenta, ma l’amica non ci fece caso più di tanto.
Dopo
il lungo assedio di un castello medievale, Brian mise il gioco in pausa e si
voltò sul suo sgabello.
“Mi
sa che hai finito la batteria” disse a Tibby.
“Sì,
hai ragione” rispose lei. “Era la terza e non ne ho
più. Magari possiamo finire l’intervista più tardi.”
“Certo”
annuì Brian.
“Puoi
continuare a giocare, se vuoi” propose Tibby.
“D’accordo.”
Bailey comprò per sé e per Tibby una crostatina di frutta Hostess Snowball
e rimasero entrambe a guardare l’alter ego eroico di Brian superare
ventiquattro livelli prima di finire incenerito dalla vampata del drago.
***