Peccatrice.
Con dita tremanti, sfiorò quell'ultima parola, quasi carezzandola.
Le lancette dell'orologio a pendolo appeso alla nuda parete della camera si erano spostate in avanti di dieci minuti da quando l'aveva scritta, eppure l'inchiostro era - sembrava - ancora fresco.
Vivo.
Le lettere smeraldine che la componevano brillavano sotto la luce aranciata della vecchia lampada ad olio posta sullo scrittoio. Rilucevano più delle altre.
Forse perché quell'aggettivo - peccatrice - era ciò che meglio rispecchiava la sua vita.
Scomodo.
La sintetizzavano in un unico suono: aspro da pronunciare quanto da ascoltare, ma allo stesso tempo fin troppo difficile da gettare nel dimenticatoio.
Amaro.
Così suo.