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Autore: BigMistake    14/06/2010    3 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Adamante, envinyatarë.

PROLOGO

Un nano ed un elfo in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. L’Unico Anello era stato distrutto ed il signore Sauron che richiamava a sé il suo potere, lo aveva raggiunto nel ventre della Montagna di Fuoco assieme alla infima bestia corrosa dal suo possesso. Canterò, or dunque, di una storia che parla d’amore e regole, di ostacoli che apparvero insormontabili, di vita e morte. Un popolo antico e sconosciuto che risiedeva, forse ancora risiede, nelle più nascoste foreste a Nord del Mare di Rhûn. Vi chiedo umilmente perdono, miei ascoltatori, non vi ho detto il mio nome quale eccessiva mancanza di educazione. Io sono Sarìin il bardo qui per servivi madame e messeri. Il mio compito è quello di solleticare la vostra memoria con racconti che animano i nostri vecchi spiriti per non permettere a nessuno di voi di dimenticare. Eppure della bella Adamante non si possiede neppur un vago ricordo e la colpa ricade sulle sue origini celate dal segreto delle genti a cui apparteneva. Non vorrei annoiarvi oltre con le presentazioni, miei cari commensali di questa taverna, or dunque è meglio iniziare la mia novella onde evitare l’avvicendarsi ciondolanti delle vostre teste per il sonno. Tutto iniziò molti inverni prima di questi quando tra le foreste incantate ancora le creature magiche viveno la loro beatitudine ed i piccoli Mezzuomini avevano già dimostrato un valore più alto di quelli interi. Molti abitanti del Popolo delle Stelle peregrinarono verso Valinor, cedendo le chiavi del nostro mondo definitivamente agli uomini: Aragon, erede di Isildur figlio di Arathorn, sedeva sul trono di Gondor e possedeva il cuore della Stella del Vespro la quale scelse la vita mortale scendendo dal cielo dove gli altri astri rimanevano appesi. La Compagnia si era sciolta ed ognuno si trovò per la sua strada. Così i piccoli Perriannath erano tornati alla foglia pipa del Decumano Sud, gli uomini stavano ricostruendo un vecchio e decadente regno in uno scintillante candido marmo e i due nuovi e stravaganti compagni d’avventura intrapresero un viaggio attraverso le Foreste di Fangorn ormai aperte dal leggendario Pastore degl’Alberi. Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo, un popolo nascosto. Gwaith - Ombre venivano chiamate e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre prima di allora, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il piccolo recinto fatto di alberi e oscurità. Come poteva la stranissima coppia anche solo pensare di cavarsela in tal senso non sapendo cosa li attendesse?

“Secondo me ci siamo persi orecchie a punta!” ripeteva Gimli il nano, figlio di Glòin,  facente parte della valorosa compagnia che aiutò il portatore dell’Unico a liberarsi del malvagio fardello.

“Mio caro amico, hai così poca fiducia nelle mie capacità e nel mio senso di orientamento?” la calma serafica e la melodiosa voce del silvano non poteva che confondere chiunque l’ascoltasse. Egli era  Legolas principe nelle  Terre Selvagge del Bosco Atro.

“Sta di fatto che il monte di quella roccia l’abbiamo visto al giro precedente!” il povero elfo, nonostante il continuo borbottare del suo poco paziente compagno, scosse semplicemente la testa privandolo della compagnia per qualche secondo. Quell’improvviso silenzio permise alle sue orecchie di ascoltare meglio la notte che stava per sopraggiungere tra gli alberi. “Cosa è stato?” la domanda venne preceduta dagli spettri minacciosi che si muovevano attorno a loro. Il cavallo iniziò ad essere nervoso, scalpitando con tremori per tutta la lunghezza del suo corpo mentre indietreggiava con la testa nervosa, scalciando contro il terreno quasi fosse carbone e scottasse a contatto con gli zoccoli.

“Sedho, Nevecrino, sedho! | Calmati, Nevecrino, calmati! | ” nulla le parole pronunciate dall’elfo nella sua amata lingua valsero, nemmeno i delicati insulti del nano. Il figlio di Rohan sentiva nelle sue vene il pericolo avvicinarsi ancor prima dei suoi cavalieri. Un’impennata e neppure l’equilibrio perfetto prevaricò sull’elfo che cadde a terra sopra al suo compagno. Stavano per rialzarsi e sfoderare le armi ma la notte non gli diede il permesso. Erano già stati immobilizzati da quegli spettri. “Abbiate almeno il coraggio di mostrarvi e combattere come veri uomini o qualunque cosa siate!” una risata si librò nell’aeree, totalmente divertita. La debolissima falce argentea non poteva illuminare tale  spettacolo, ma presto gli occhi acuti di Legolas distinsero le sinuose forme che caratterizzavano i loro aguzzini.

“Adamante!” seguirono parole incomprensibili in una lingua di cui se ne erano perse le tracce troppo tempo addietro. Dalle file una figura oscura ammantata più piccola delle altre era avanzata, portandosi di fronte all’elfo ormai completamente disarmato.

“Non toccarlo, megera o conoscerai la mia ascia!” l’impavido nano continuava ad inveire contro di loro, generando sempre più ilarità. Legolas invece se ne stava taciturno ed immobile contro coloro che lo tenevano prigioniero, mentre le bianche ed esili mani della figura avevano intrapreso a tastare le sue braccia, il suo petto e il suo ventre. La distanza, quasi pari al profilo di una foglia, gli permise di analizzare il nemico. Era una donna, non poteva distinguerne bene i tratti ben nascosti da una maschera di cuoio portata fin sopra il naso, un manto color della terra si abbatteva pesante su tutta la fisionomia ma gli occhi quelli erano ben visibili scuri e profondi come un lago, immersi nel colore caldo delle nocciole con piccole screziature dorate, carichi di sofferenza come se quel compito fosse la cosa più dura da sopportare. L’elfo rimase per un istante incantato da tale aspetto, preoccupandosi di sapere il perché cotanto dolore si celava dietro quel velo di durezza che assumeva. Adamante se ne accorse e voltando di scatto la testa parlò di nuovo con la lingua sconosciuta. I suoi occhi tornarono a quelli dell’elfo ma invece che scontrarsi con loro, presero la strada del terreno quasi scappando per rivolgersi al basso in una contemplazione muta del suolo.

“Cosa volete da noi?” chiese con toni più pacati l’elfo, indirizzando la domanda alla fanciulla che l’aveva studiato con il tatto e cercando con la gentilezza di ottenere più informazioni. Nulla venne da lei, solo una voce stridente ed acuta come unghie su di uno specchio che impartì un ordine riconosciuto solo attraverso l'efferratezza con cui era stato impartito. La piccola figura venne inghiottita dalle altre file quando, prima che potesse definitivamente tornare ai suoi ranghi, il nano riuscì a sfuggire dalla presa del suo carceriere. Cercò di raggiungere la sua ascia ma un dardo sibilò nell’aria rarefatta della notte, vibrando come le corde di un arpa al pizzico di mani esperte rendendo vana la sua ribbelione. L’elfo se ne accorse e con un gesto repentino si liberò anch’egli, ponendosi a scudo del mastro nano in modo che le sue carni diventassero la custodia della punta della freccia a quel punto conficcata sulla spalla destra. Le ginocchia caddero molli cedendo al suo peso che solitamente si rivelava leggero, divenuto con il sangue che colava assai più grave di un macigno. Il nano attonito osservò l’amico inginocchiarsi e prima che potesse raggiungerlo, venne di nuovo preso e legato in modo che non potesse più muoversi per quanto lottasse con tutte le sue forze.

“Legolas! Lasciatemi ombre della notte, lasciate che io possa combattere e mostrarvi le buone maniere da guerriero a guerriero!” gridava di continuo insieme ad una sfilza di improperi degni delle peggiori locande della Terra di Mezzo. Adamante si fece nuovamente avanti andando incontro all’elfo che gemeva nel dolore, rispose alle domande che il suo superiore le poneva sempre mascherandosi con un parlato che non posso riproporre per la sua natura desueta ormai consolidata dalle foglie del tempo. Si preoccupavano della sua salute senza dubbio.

“Ascoltatemi elfo ...” disse con un timbro di voce totalmente diverso da quello delle compagne. Ora che le parole erano pronunziate con lingue correnti appariva ai suoi occhi soave come i canti di Lórien, dolce come il profumo dei fiori in una mattina di primavera inoltrata  “… la freccia non è trapassata e se tentassi di estrarla vi arrecherei solo più danni, vi prego fidatevi di me!” le iridi cerulee si puntarono in quelle calde della ragazza che afferrò il fusto e con un gesto rapido la sospinse affondando ancor di più nel muscolo, facendo fuoriuscire la punta accompagnata da un grido dolente simile al verso di un animale ferito.

“Maledetta! Cosa gli stai facendo?” non ascoltò i rimbrotti del mastro nano, che totalmente disarmato di forza e d'armi continuava ad inveire nella sua lingua ed in quella corrente, creando non poco scompiglio sulle facce impassibili dei loro novelli custodi. Adamante continuava nel suo operato rimanendo con l’attenzione fissa sulla ferita, di tanto in tanto si lasciava sfuggire uno sguardo verso l’elfo senza mai fissarsi nei suoi occhi indagatori ormai trasfigurati dalla sofferenza. Le sue movenze si fecero ancor più secche e repentine: spezzò l’aculeo imprimendo una moderata forza al legno che lo sosteneva senza scuoterlo, oppose la sinistra mantenendo saldo il corpo contro la spalla e con uno scatto verso il suo petto fece fuoriuscire l’asta gettandola dietro di sé. L’elfo era sempre più debole, il sangue aveva iniziato a macchiare il manto boschivo rigettandosi copioso oltre le vesti ormai strappate e logore. “Callial, Te mere nuel, merei i nya passa! | Callial, sono costretta a medicarlo, dobbiamo accamparci! | ” Adamante continuava a pressare la ferita da cui il flusso rosso non terminava di sgorgare. L’altra che osservava la scena aspettando solo un suo proferire, annuì e gridò ordini su ordini affastellando parole sempre più complesse. “Vi aiuterò io stessa a camminare! Ma sarà meglio muoverci prima che Callial decida di abbandonarvi qui elfo!” mantenendo salde le sue mani sulla ferita in modo da contenere il rigolo di sangue, Adamante raccolse il braccio pendente del principe elfico allacciando a sé per poi condurlo verso una notte sempre più oscura e priva di stelle a rischiarare quel cammino obbligato da una magia ben più grande.

Ebbene signori, questo è ciò che accadde all’inizio della nostra storia.  Se la pazienza vi assisterà proverò a ricondurvi io stesso per le strade che incrociarono i due avventurieri con quelli di Adamante la guaritrice.

 

Note dell'autrice: Salve, scusate non ho resistito a scrivere del Signore degl'anelli ma sono molto timorosa di giocare con i personaggi del Maestro. Solitamente io scrivo tutta la storia prima di pubblicare, ma dato che non so se sarò all'altezza ho deciso di postare immediatamente il prologo e vedere quali sono le reazioni nel toccare un volume di tale importanza. Chino il capo e apro i miei occhi ad ogni suggerimento, critica e consiglio che mi vogliate dare, comunque cercherò di mantenere molto saldo il mio stile. Ovviamente se non dovesse in alcun modo piacere, libererò il sito da questa storia, ma spero che non sia così. Cominciamo con il dire due paroline del mio operato: è una storia cantata da un bardo, come per giustificare la terza persona, che racconta di vicende d'armi e d'amore come nel medioevo. Parla di un fatto dimenticato e di un popolo totalmente inventato da me ma che ha dei riferimenti storici ben precisi. Già qualcosa si può intuire dal prologo ma la trama è molto chiara nella mia testa ed è nata quando molti anni fa quando ho letto Il Signore degli Anelli.  E' un'esperimento e spero che siate clementi nel giudicarlo, per questo sto entrando letteralmente con la punta dei piedi in questo fandom, anche perchè non avendo già scritto tutto mi sento un pochino persa (sapete una volta che uno scrive poi può spostare e sistemare gli eventi in modo che la storia fili meglio ed abbia una trama più avvincente quindi spero di riuscire nonostante mi sia allontanata da questa metodologia ^^)!

Piccole spiegazioni tecniche:

Nevecrino non è lo stesso cavallo di Théoden, porta solo il suo nome.

"Callial, Te mere nuel, merei i nya passa!"-> questa lingua è inventata anch'essa dalla sottoscritta quindi non ci sono riferimenti ad un qualcosa di già prodotto. In generale non ci saranno molte frasi e se ci saranno avranno la traduzione accanto in modo che non vi lasci all'oscuro più del dovuto.

Che altro dirvi se non Buona Lettura! Vostra Malice!

   
 
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