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Autore: Rota    14/06/2010    4 recensioni
C’era una minima possibilità che la sorella rispondesse, così come era enorme la possibilità che, nel caso avesse alzato la cornetta, l’avrebbe mandato direttamente a fanculo e tanti saluti.
La luce del telefono dopo un po’ si affievolì e a quel punto Massimiliano prese la sua decisione.
Nessun rimpianto, non in quel momento. Anche se, dentro, quel gesto gli parve più quello di un condannato a morte che esprime il suo ultimo, sofferto, desiderio.

**PRIMA classificata al secondo round del "Tears arena contest" indetto da Red Diablo sul forum di EFP**
**TERZA classificatasi al contest "Miss scrittrice" indetto da Yuri_giovane_contadina sul forum di EFP**
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ponte dei suicidi **Autore: Rota
**Titolo: Il ponte dei suicidi
**Genere: Drammatico, Introspettivo
**Fandom: Originale
**Rating: Arancione
**Lista parole scelte: Ponte – Telefonino – Death – Maschio 20
**Set scelto: Set 6
**Frase del set: Tutti dobbiamo morire, ma certe volte, oddio, il miglio verde è così lungo... (da: “Il miglio verde”)
**Trama: C’era una minima possibilità che la sorella rispondesse, così come era enorme la possibilità che, nel caso avesse alzato la cornetta, l’avrebbe mandato direttamente a fanculo e tanti saluti.
La luce del telefono dopo un po’ si affievolì e a quel punto Massimiliano prese la sua decisione.
Nessun rimpianto, non in quel momento. Anche se, dentro, quel gesto gli parve più quello di un condannato a morte che esprime il suo ultimo, sofferto, desiderio.
**Note: La località esiste, così come è vero che in questi monti – i miei – è morto suicida un ragazzo che conoscevo indirettamente.
Il fatto che Massimiliano ripeta spesso “ecco” è il tentativo di testimoniare il suo nervosismo. Personalmente, quando sono nervosa, uso un sacco di intercalari XD
Questa originale è una riflessione sul significato della vita, sulla relazione di questa con la morte. Il prompt che ho scelto, tratto da “Il miglio verde”, personalmente, ritengo che proponga la stessa identica riflessione. E’ un’interpretazione un poco libera, lo ammetto, però la ritengo più che azzeccata <3
*ulteriori note a fine ff <3*





Il ponte dei suicidi




Lo chiamavano il “Ponte dei suicidi” quello che attraversava il fiume Gobbio appena poco più sopra della frazione di Sant’Appolonio.
Il luogo era impervio, la strada decisamente troppo stretta. Sotto le sue arcate vi stava un burrone, uno dei tanti che costellavano il dorso di quelle montagne.
Lo sapeva Andrea quanto era profondo quel burrone, Andrea che a diciotto anni aveva deciso – per un motivo noto solo a lui e alla sua povera anima – di voler constatare l’effettiva esistenza della forza di gravità. Pensava forse, quando aveva spiccato il volo, di sollevarsi e fluttuare nell’aria, facendo qualche bracciata per raggiungere l’altro dorso e quindi atterrare nuovamente a terra.
Il suo corpo non fu mai ritrovato. Chissà, magari aveva cominciato a volare davvero…
Lo sapeva anche Tatiana quanti metri di vertigine doveva costare quel ponte. Lei aveva giocato a fare l’equilibrista, su quel bordo che si sbriciolava come finto cemento nella mano di un esperto. Aveva vinto la sua amica invidiosa, quella che le sorrideva col viso ed era nera di rabbia dentro. Voleva che facesse brutta figura davanti al ragazzo che le piaceva tanto. Probabilmente il Signore aveva accolto quell’unica richiesta.
Lo sapevano persino Davide, Francesco, Mattia e Serena, che si erano messi a ballare con la loro macchina sotto la pioggia dopo una festa piena di gioia e di baldoria. Ebbri com’erano, non si erano accorti del contachilometri che saliva e saliva ancora, sfiorando i 70 in quelle stradine poco più grandi di una macchina e mezzo. Avevano sbandato, la macchina era rotolata come una trottola prima di gettarsi nel crepaccio, rombando a tutto gas – forse, ancora sorrisi allegri curvavano le loro labbra quando avevano accompagnato la caduta con alte grida.
Lo chiamavano il Ponte dei suicidi, quello.
Perché di suicidi ne aveva incontrati davvero troppi.

Massimiliano camminava lento, distinguendo a malapena la strada nel buio che lo circondava.
Era sera, precisamente le 22.34 – aveva controllato l’orologio pochi secondi prima – e niente si poteva distinguere in tutto quel nero. La Luna e le Stelle si nascondevano pavide dietro nuvole scure, impegnate a fare chissà cosa d’altro.
Passo dopo passo, avanzava verso la meta sorridendo appena, cercando di trovare un motivo valido per cui scoppiare a ridere. Perché, dopotutto, quello che si accingeva a fare era davvero ridicolo. Ridicolo oltre ogni immaginazione.
Non aveva mai sofferto realmente di vertigini, ogni volta che si affacciava al balcone della propria casa – quinto piano di un condominio popolare – guardava come affascinato in basso, preso da chissà quale meraviglia. Neanche con le giostre aveva mai avuto problemi, considerando anche la sua età poteva affermare con orgoglio di avere uno stomaco di ferro.
Eppure in quel momento gli veniva da ridere – quel riso isterico che testimoniava un’ansia che non può essere contenuta con facilità.
La strada scorreva sotto i suoi piedi, l’asfalto era distrutto o danneggiato in diversi punti tanto da rallentare alcune volte la marcia.
Il ragazzo tamburellò le dita sopra la tasca chiusa del proprio giubbino, decidendo il da farsi.
Possibile che non riuscisse a fare nulla da solo? Aveva bisogno di aiuto anche in quello? Sicuramente, chiunque avesse chiamato in quel momento gli avrebbe riso in faccia – o peggio, sarebbe corso lì a prenderlo a pugni e l’avrebbe trascinato via.
Conosceva fin troppo bene le persone che lo circondavano, non voleva correre il rischio di giungere ad un finale inconcludente.
Sospirò, allora, incrociando le braccia al petto.
Ad un certo punto si fermò, guardando dritto davanti a sé: il Ponte iniziava a due passi da lì – sarebbe bastato allungare la gamba appena e ci sarebbe finalmente salito.
Massimiliano sorrise, facendo quei due passi quasi di corsa – forse per paura di trovare nella propria testa un motivo per scappare da quel luogo.
Arrivò a metà dell’arco quasi senza respirare, fissando il suolo e scacciando ogni pensiero. Gli occhi semplicemente saettarono al bordo, notando che il pallore del materiale si distingueva comunque. Rallentò il passo fino a fermarsi di nuovo.
Salì sul muretto, in piedi, fissando il vuoto sotto di sé.
Sorrise e urlò, preso da una strana eccitazione.
-Ciao!-
La montagna gli rispose, salutandolo a sua volta, e il vento fischiò, smuovendo i capelli e i bordi aperti del giubbino. Una foglia morta gli volò vicino, ballando piacevolmente in aria e cadendo in basso.
Lui si rannicchiò su se stesso, abbracciando le proprie lunghe gambe e sedendosi sul bordo freddo.
Ora il più era fatto – bastava solo fare il resto.
Sorrise, trattenendo a stento un riso violento.
Allungò le gambe in avanti, facendole dondolare nel vuoto – ma le mani andarono subito ad ancorarsi al bordo, trattenendo ogni eventuale slancio non calcolato.
Guardò in alto, il cielo scuro. Ancora la Luna non si vedeva e così neanche le stelle. Sarebbe morto senza testimoni.
Sospirò, tornando a guardare in basso.
La mano aveva ripreso a tamburellare la tasca chiusa, con tanta insistenza da risultare sospettosa. E infatti, alla fine, le dita aprirono la cerniera e ne estrassero il contenuto.
Il cellulare brillò quando la tastiera fu sbloccata – nessun messaggio, nessuna chiamata persa. Nessuno che si fosse chiesto come mai fosse uscito subito dopo cena, “a fare una passeggiata” come aveva detto lui. Probabilmente avevano pensato che avesse cominciato a fumare…
Premette il tasto della Rubrica, facendo risuonare la tastiera nell’atto. L’elenco delle ultime chiamate effettuate gli scorse sotto gli occhi, numero dopo numero.
Compagni di scuola, compagni di calcio, il maestro di tromba la cui lezione proprio quel giorno aveva deliberatamente saltato. Personaggi che in un modo o nell’altro facevano parte integrante della sua piatta, sterile vita abitudinaria. Nessuno con cui valesse davvero la pena parlare in quel momento, nessuno che nel caso fortuito non lo avrebbe liquidato additandolo con un appellativo poco felice come “idiota patentato” o anche “malato di manie di protagonismo”. O altro, ma in quel momento proprio a Massimiliano non veniva in mente altro con cui già in passato non l’avessero bollato.
Scese ancora l’elenco, sospirando appena alla lettura di quei nomi insignificanti. Scorse quello di Cristina, la sua ultima cotta seria, per poi ricordarsi che lei, con molta probabilità, era impegnata in altre – piacevoli – attività serali con l’amante di turno. Che immenso squallore.
Finì l’elenco per semplice scrupolo, onde evitare di avere rimorsi di qualche tipo proprio in quel momento. Assottigliò lo sguardo, pronto all’ennesima delusione.
Il nome di Clelia gli comparve in tutto il suo splendore, attraverso la luce verde artificiale del telefono cellulare. Sorpreso, guardò la data dell’ultima chiamata effettuata: risaliva a due settimane prima. Incredibile come l’indifferenza della sorella maggiore l’avesse fatto desistere da ogni ennesimo tentativo di elemosinare un poco del suo amore.
Clelia era un animale solitario, lo si era capito da quando, tre anni prima, appena compiuta la maggiore età aveva preso le proprie valige ed era andata via, lontana da casa, genitori e fratello. Una telefonata ogni tanto, giusto a Natale e a Pasqua, per rispettare quel velo di ipocrisia che ancora la teneva legata ai suoi genitori, senza rendersi conto di quanto quei semplici atti fossero sgraditi sia da lei sia dall’altra parte della cornetta.
Il ragazzo fissò il display del cellulare a lungo – o almeno, per alcuni secondi che gli parvero infiniti.
C’era una minima possibilità che la sorella rispondesse, così come era enorme la possibilità che, nel caso avesse alzato la cornetta, l’avrebbe mandato direttamente a fanculo e tanti saluti.
La luce del telefono dopo un po’ si affievolì e a quel punto Massimiliano prese la sua decisione.
Nessun rimpianto, non in quel momento. Anche se, dentro, quel gesto gli parve più quello di un condannato a morte che esprime il suo ultimo, sofferto, desiderio.
Sentì squillare dall’altra parte, il cellulare di Clelia era acceso.
Una volta. Due volte. Tre volte.
Dopo la quarta sorrise inconsapevolmente, sentendosi mortificato dentro come mai nella propria vita. Eppure successe l’incredibile proprio a quel punto: prima che squillasse la quinta volta, qualcuno rispose.
Una voce impastata da quello che era un evidente sonno interrotto gli rispose, particolarmente tendente a un’incazzatura con i fiocchi.
-Chi è il masochista che mi chiama a quest’ora?-
Massimiliano ebbe un groppo alla gola, era seriamente troppo sconcertato per dire qualcosa di vagamente intelligente. Poi sentì sospirare la donna, di quel sospiro che – ricordava benissimo certe abitudini – presagiva una tempesta di incredibile potenza.
-Chiunque tu sia, avresti almeno l’accortezza di rispondermi?-
Il giovane dovette scuotere la testa per riprendersi dalla meraviglia e allora percepì chiaramente un calore immenso invadergli il petto. La notte attorno a lui sparì, così come il vento smise di fischiare e il ponte divenne una specie di bolla dentro cui galleggiava con mente sospesa.
Erano due mesi che non sentiva quella voce incazzosa.
-Clelia! Sono Massimiliano! Non avevi il mio numero?-
Un attimo di silenzio prima di un altro sospiro – questa volta rassegnato e privo di ogni ostilità.
La voce parve scocciata alle orecchie del ragazzo, di una persona che sapeva perfettamente di star perdendo tempo.
-Ho solo risposto senza guardare chi fosse… Posso sapere cosa vuoi?-
Massimiliano cambiò orecchio, sistemandosi meglio il telefono contro il padiglione auricolare.
-Niente, ecco, volevo solo chiacchierare con la mia sorellina… Ci vedi qualcosa di male in questo?-
Sì, era evidente che la donna ci vedesse qualcosa di male, specie dal secondo sospiro frustrato che elargì senza il minimo rimorso – e a quel punto il ragazzo ricordò benissimo quanto lei detestasse essere svegliata e quanto per lei le dieci di sera fossero un orario più che degno di andare a letto.
-Domani mattina. Chiamami domani mattina per qualsiasi cosa. Giuro che risponderò. Ora però lasciami dormire, devo svegliarmi alle cinque per andare a lavoro. Ora ti saluto, il cuscino mi aspetta. Ciao e a presto.-
Lo disse probabilmente senza pensare alle conseguenze – tipico di lui, così preso da un’euforia che da giorni non conosceva – lo disse di fretta perché quella cornetta non fosse chiusa proprio a quel punto, per non essere obbligato davvero a buttarsi.
Ecco, lo disse per tutti questi motivi.
-Sarebbe troppo tardi, Clelia!-
Si morse la lingua quando comprese che il silenzio che si creò era dettato non tanto da una vera e accorata curiosità quanto da una rassegnata consapevolezza che, per l’ennesima volta, un piccolo essere umano non ancora uscito dall’adolescenza stava tentando in tutti i modi di attirare l’attenzione.
Almeno, secondo la visione illuminata della sorella maggiore.
Il ragazzo cercò di rimediare in qualche modo, spiegando un poco la situazione. La bolla in cui si era rifugiato per alcuni minuti si era irrimediabilmente dissolta nel nulla e ora il vento aveva ripreso a dare sferzate su di lui, impietoso.
-Cioè, volevo dire… Ho bisogno assolutamente di parlarti ora e in questo momento. Vedi, sarebbe di vitale importanza che…-
-Dove ti trovi?-
La domanda secca e rapida della sorella lo spiazzò un attimo – subito, però, si riprese e riuscì a rispondere.
-Sono fuori casa…-
-Questo l’ho capito. Si sente il vento. Fuori casa è Brescia così come è Torino o è Premiano. Dimmi dove sei in questo momento, Massi.-
La mano del ragazzo si serrò contro i jeans, stringendo con forza il tessuto chiaro.
Dopotutto, aveva chiamato proprio lei per quello, no? Per farsi ridere in faccia fino a convincersi che tale disprezzo nei suoi confronti valeva il gesto di un salto.
La sorella lo incalzò di nuovo, lui prese un respiro profondo e rispose.
-Ecco, sono al Ponte…-
Silenzio, Clelia stava riflettendo.
-Sei a Ponte in che senso?(*)-
Massimiliano sospirò di nuovo, guardandosi attorno disperato.
Era difficile doversi ripetere, specie in un frangente simile.
-Sono sul Ponte. Il Ponte dei Suicidi…-
Susseguì una lunga, lunghissima pausa, dove il rumore esile di tessuti che frusciavano tra di loro fece intuire a Massimiliano che la sorella si stava alzando e, probabilmente, si stava anche vestendo.
E dal tono quasi isterico con cui proferì le parole seguenti capì di aver intuito fin troppo bene.
-Tu sei un coglione. Un perfetto, incredibile coglione. Spero almeno che tu sia lì per goderti la visuale e non per fare altro!-
Massimiliano sorrise a stento, dando un’occhiata veloce al burrone che si trovava qualche metro sotto di lui. Era completamente nero.
Un senso di vertigine lo colse, tanto che dovette flettere la schiena all’indietro prima di sentirsi veramente male. Guardò in alto, cercando di concentrare lo sguardo sul cielo.
Le nuvole scorrevano ancora veloci, qualche sprazzo più chiaro disseminato qua e là faceva vedere squarci di Luna e timide stelle brillanti. Sembrava che dovesse piovere da un momento all’altro.
La voce squillante e davvero alterata dall’altra parte della cornetta fece piombare la mente su quel freddo, duro e spigoloso marmo bianco.
-Ehi, cretino! Ci sei ancora, vero?-
-Sì, ci sono ancora, non scappo mica…-
-Bene! Allora ti vengo a prendere! Per riempirti di botte, lurida lumaca!-
Il telefono di Clelia attaccò all’improvviso, probabilmente la donna aveva riscontrato difficoltà nel tenere in mano l’oggetto e al contempo vestirsi in fretta e furia.
Massimiliano guardò stranito il display, senza riuscire a sorridere per l’evidente comicità di tutta la situazione. Pochi secondi dopo il telefono squillò ancora, vibrando appena tra le sue dita.
Svelto, rispose alla sorella.
-Pronto?-
-Bene, ci sei anche tu. E’ già un buon segno!-
Il rumore di una portiera sbattuta con forza e urgenza fece intendere che Clelia stesse prendendo la propria macchina per raggiungerlo. Poco dopo un motore vecchio si accese e la donna prese ad urlare per farsi sentire meglio.
-Dimmi… Che cazzo ti ha spinto ad arrivare fin lì, posso almeno saperlo? Posso sempre usarlo come movente del tuo omicidio, sai…-
La macchina partì e, giustamente, anche un’imprecazione da parte della donna.
Riprese dopo qualche secondo, una manovra l’aveva tenuta impegnata.
-Un brutto voto a scuola? La tua ragazza ti ha lasciato? Hai litigato col vecchio? Dimmi tu, Massi. Io più che prenderti a cazzotti non posso fare tanto!-
Il giovane sorrise amaro, Clelia non era per nulla originale.
-Sorellina, ho vent’anni. L’università ha un sistema un poco differente dalla scuola superiore…-
Subito, una battuta acida raggiunse le sue orecchie. Lei non aveva studiato oltre le scuole dell’obbligo.
-Chiedo scusa a sua eminenza se ho errato. Dunque, dove sta il problema se non lì?-
Il ragazzo sospirò a fondo, sistemandosi meglio sul marmo. Poi vagò con lo sguardo, come in cerca di parole che risultassero convincenti, almeno per lui e almeno per quel momento.
Si ricordò di aver persino preparato un discorso a tal proposito, in un lontano pomeriggio d’estate speso a non fare assolutamente nulla di produttivo.
All’epoca ci scherzava sopra, come se certe cose non lo riguardassero da vicino, come se avere vent’anni significasse essere invincibili e immortali.
Alla fine trovò un modo per iniziare il suo discorso – al solito, dovette incominciare da anni luce prima, giusto come per spiegare una goccia si dovesse raccontare il mare – e con voce un poco tremante per il freddo cominciò il suo discorso.
-Hai presente Leopardi, Clelia? Hai presente quando vaneggia che il tedio è il vero e solo male dell’uomo?-
Un sospiro si sentì benissimo tra un’imprecazione e una frenata brusca – seguita da un’altra incredibilmente colorita – segno del fatto che sì, Clelia ricordava il tutto e che sì, Clelia pensava seriamente che suo fratello fosse un deficiente.
-Ecco, io penso che Leopardi avesse ragione. Il male di vivere alla fine non è nient’altro che non trovare la giusta ragione per farlo. Mi segui?-
-Sì, ti seguo…-
-Ecco, tutto qua. Io, pensando a cosa ho fatto e cosa sto facendo tutt’ora non ho trovato un valido motivo per continuare. Non ho trovato qualcosa che mi incoraggiasse a farlo o qualcosa di cui andare orgoglioso. Insomma, è questo! Mi capisci, sorellina?-
Seguì un solo attimo di silenzio, Clelia scelse accuratamente le parole da rivolgere al fratello.
-Io capisco perfettamente, Massi. Capisco che sei un coglione. Se tanto non ti piaceva la tua vita perché non cambiarla? Hai vent’anni, accidenti! Non ne hai sessanta! Capirei a quell’età, ma essere talmente scemi da credere che nulla ci sia da fare quando si è così giovani mi pare una gran cazzata, detto sinceramente e col cuore!-
Massimiliano incassò la frecciata non tanto velata, inghiottendo saliva a vuoto.
Ecco, ora era propenso davvero a rinchiudersi in se stesso e affermare con convinzione quanto questa mancanza di comprensione fosse l’ennesima prova di quanto il mondo facesse schifo.
Neppure sua sorella, la sua amata sorella, riusciva a capirlo. O non era forse che lui non riusciva a farsi capire?
Riprovò, illuminato da una flebile speranza.
-Non hai capito, è evidente…-
-Allora spiegamelo tu, che non ci arrivo da sola!-
-Oggi la mamma mi ha comprato un nuovo i- pod, quelli che fanno vedere alla pubblicità ogni cinque secondi, quasi più frequentemente delle macchine. E sai cosa mi ha risposto quando le ho chiesto perché l’avesse fatto che tanto quello vecchio funziona ancora? Mi ha detto che l’aveva comprato per farmi felice, perché ormai quel modello è di moda e lo vogliono tutti i ragazzi. Mi ha risposto esattamente così, ed è stata la cosa più innocente e pura del mondo da parte sua, un gesto anche tenero se vogliamo essere precisi. Ma sta proprio qui la vastità di quanto sono riuscito a comprendere!-
Seguì qualche secondo di silenzio, in cui Clelia stava davvero riflettendo su quanto potesse essere scemo il proprio fratello minore e questi stava riprendendo fiato.
-Semplificando, si potrebbe dire che ormai la felicità si raggiunge con un oggetto, in una logica materialistica che mi fa paura e ribrezzo. Fino a qualche tempo fa mamma avrebbe detto di tenermi fino alla morte il vecchio modello che non avevamo soldi da buttare e ora arriva a fare una cosa del genere. Sono rimasto folgorato da tutto questo! Io…-
-Perché non dirle semplicemente che preferiresti uscire con lei la sera piuttosto che farle buttare via i soldi a quella maniera inutile? Non sarebbe più semplice e immediato? Perché cazzo ti devi buttare da un ponte per un semplice i- pod, me lo spieghi?-
-Era un esempio, Clelia! Un fottuto esempio!-
Clelia non rispose, Massimiliano aveva il fiatone. Ci teneva davvero a farsi capire, almeno da quella voce metallica e lontana.
La macchina rombò, la donna aveva accelerato, intanto.
Il ragazzo riprese il discorso, cercando di stare calmo.
-Quello che voglio dire è che non mi sento come tutti gli altri. Mi sento appiccicare addosso un’etichetta che non riconosco. Sto studiando Lettere all’università e come prima cosa mi dicono che sarò insegnante, che dovrò fare l’insegnante per forza di cose perché altrimenti lavoro non lo troverò mai. Come se davvero mi importasse qualcosa di istruire gente che magari si entusiasma più su bulloni che sopra un libro, ecco! Poi, avere vent’anni ti segna irrimediabilmente. Per forza sei stupido, per forza incosciente, per forza devi fare stronzate e avere una mania inconsunta per qualsiasi cosa. Mezzo bambino e mezzo uomo, niente di così completo. Oppure devi per forza correre dietro a ogni gonna che vedi, devi pensare ai videogiochi piuttosto che al tuo futuro, devi essere in lotta contro i genitori e la società, senza capire le ragioni di fondo del tutto. Ecco, intendo questo! E’ un problema di etichette! Mi capisci? Il potere del Sistema è sempre più stretto attorno alla gente, lo sento in ogni cosa. Chi fa cultura nel senso stretto della parola, così come fa arte, viene bollato come vanesio e poco pratico, oramai vale più un meccanico ben istruito che un docente di università. Io questo lo trovo sinceramente paradossale, con tutto il rispetto per il meccanico s’intende. Ecco, non so, probabilmente sono nato in un’era sbagliata, i cui valori non riconosco appieno, ma vedendo che l’integrazione sta diventando sempre più sinonimo di omologazione non posso provare che un enorme spavento. Mi capisci?-
-Sì, penso di iniziare a capire…-
-Ecco! Vedi, per quanto forse davvero desiderassi quell’i- pod come tutte le altre persone normali il fatto che abbia provato felicità nell’averlo tra le mani mi ha fatto pensare. Io non voglio essere ciò che gli altri determinano con la loro volontà. E’ una cosa che non posso accettare!-
Il ragazzo sentì chiaramente una macchina arrivare alle sue spalle e lì fermarsi, spegnendo i fari e il motore. Non si voltò, non aveva il coraggio di appurare chi fosse.
Attese la voce al telefono, l’attese con sincera speranza.
Clelia alla fine sospirò – intanto, nessuno scese dalla macchina ferma.
-Massimiliano, pensi che facendo quel che vuoi fare ora dimostrerai qualcosa a qualcuno? Sinceramente, a chi pensi che importi della tua morte? Se vogliamo essere sinceri, io voglio solo darti qualche cazzotto e nient’altro, la tua morte implicherebbe per me solo una visita sgradita in una chiesa puzzolente e poco accogliente. Tutto qui.-
Tre soli secondi di silenzio separarono quello che poi disse, come se nella pausa lei avesse voluto dargli il tempo di sentirsi seriamente offeso.
-Quello che voglio dire è che così non farai nulla, distruggerai e basta. Cosa credi? Che io non abbia mai provato le stesse tue emozioni? Per cosa credi che mi trucchi come una puttana, che mi sia fatta due tatuaggi e che fumi peggio di una ciminiera? Certo, mi piace, ma ogni azione deve avere un suo significato. Quello che tu vuoi fare non ne ha minimamente.-
Massimiliano voltò di poco il volto, adocchiando con la coda dell’occhio la macchina poco distante da lui. Non si vedeva nulla al suo interno.
Intanto la voce della sorella riprese.
-Probabilmente è un semplice periodo no anche per te, fratello. Capita nella vita di avere pensieri negativi e di accumulare stress, siamo tutti umani…-
-Perché te ne sei andata di casa, Clelia?-
-Cosa?-
-Perché te ne sei andata? Dio, era così difficile provare a salutarmi ogni tanto? Mandarmi un messaggio, fare uno squillo… Ti sento ogni volta obbligata a rivolgermi la parola! Non pensi che tutto questo sia abbastanza umiliante per me?-
Ci fu ancora del silenzio, poi la chiamata fu chiusa: Clelia uscì dalla macchina aprendo la portiera con uno scatto secco.
Massimiliano si voltò e la vide avvicinarsi piano, mentre il vento le spettinava i capelli crespi.
Senza il solito trucco i suoi occhi sembravano davvero enormi e il suo piercing sul labbro risaltava nel niente.
Faceva quasi impressione.
Eppure ora era lì, era lì solo per lui. Tutta la rabbia provata fino a quel momento svanì di colpo, così come ogni vana e illusoria bugia perdette di significato. C’era solo Clelia e la sua camminata stramba – non più paura, non più vergogna, solo un senso di vuoto a liberargli lo stomaco oppresso.
Gli era mancata, davvero tantissimo.
La vide percorrere la strada fino a lui, piano e lentamente come egli stesso aveva fatto. Poi, senza guardarlo in faccia, la donna si sedette accanto al fratello e lì rimase, in silenzio.
-Mi spiace, non potevo immaginare che tu avessi sofferto così tanto…-
-Sono tuo fratello…-
-Appunto, chi lo poteva immaginare?-
Soffiò ancora il vento, qualche foglia danzò tra di loro, la Luna venne totalmente scoperta da ogni nuvola molesta.
Clelia sospirò, facendo ciondolare le gambe come faceva il fratello.
Così da vicino non sembrava tanto terribile quanto al telefono.
-Bene, e ora cosa vorresti fare? Buttarti e fare finire tutto?-
Massimiliano non la guardò – guardò invece le sue gambe in movimento, rapito dal loro dondolare avanti e indietro.
-Finire?-
-Beh, di sicuro se ti butti non comincia nulla. Magari, non buttandoti, potrebbe cominciare qualcosa….-
-Potrebbe…-
La sentì sorridere o immaginò solo le sue labbra piegarsi a tale atto.
Fu bello.
-Basta solo volerlo, sai? Non ci vuole tanto. Invece di piangere come un bambino e chiedere aiuto alla mamma potresti fare qualcosa di costruttivo. Chessò… Scopare per esempio!-
-Sarebbe un discorso da sorella maggiore, questo?-
-Se vuoi ora ti butto giù io a forza, dato che ormai ci sono!-
Sorrise anche lui, alla fine, alzando un poco lo sguardo.
-Tu credi che ne valga la pena?-
-Beh, almeno la prossima volta potresti buttarti senza rimpianti, no?-
A quel punto riuscì persino a sorridere, stanco.

-Forse…-



(*)Ponte Zanano, detto semplicemente Ponte, è una località della Val Trompia, adiacente alla Val Gobbia. Da qui l’equivoco <3




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Posizione Terza

TITOLO: Il ponte dei suicidi
AUTORE: Rota

TRAMA: 8,5
ORTOGRAFIA:9,2
USO PAROLE: 20
PERSONAGGI: 10

TOTALE: 47,8

Punti bonus: 23,9

Il titolo e l’inizio presagivano il giungere di una storia già vista e sentita, qualcosa di banale stile lui che si suicida perché lasciato dalla ragazza.
Poi ho cominciato a leggere e mi sono ritrovata nei personaggi. Sono una sorella maggiore e troppo facilmente sono stata in grado di sentire le battute vivide e reali.
Hai caratterizzato i personaggi in modo immediato. Sin dalla prima battuta ho potuto comprendere gran parte di loro, apprezzarli nel pieno nonostante fosse una one shot. Il difficile dei personaggi originali è farli giungere nell’immediato al lettore, poiché spesso avviene che la brevità delle scene e della storia in sé non permettano di cogliere i protagonisti come omogenei. Invece tu sei riuscita a far vivere il tuo protagonista e sua sorella, nelle loro battute, nei gesti, nei pensieri, in quel continuo scontro che in realtà lascia trapelare amore.
Il tutto è accompagnato da un egregio stile, fluido, lineare, pregno di emozioni e immagini vivide che il lettore non può ignorare e si sente costretto a far proprie, una dopo l’altra, finché il tutto non si spegne, sospeso, nell’ultima scena.
Lavoro strabiliante, inatteso e veramente apprezzato, adorato nella sua compattezza e nel suo essere capace di catturarti completamente.




Dunque...
Questa storia partecipa a DUE contest. Uno, il cui risultato potete vederlo qui sopra, è il contest "Miss Scrittrice", indetto da Yuri_giovane_contadina, dove sono arrivata terza con un OTTIMO risultato <3 Il secondo, dove sono arrivata PRIMA con questa Original, è il "Tears Arena Contest", indetto da Red Diablo, sempre sul forum di EFP. Questo solo spiegare il perché io avevo 300 e passa prompt da rispettare XD. Ma comunque...
Che dire? Era da SECOLI che non mi cimentavo in una originale. Il risultato mi piace, e anche parecchio.
Il legame fraterno tra Massimiliano e sua sorella riflette molto quello che è il MIO legame con i miei fratelli. Forse è anche per questo che sono riuscita a renderlo al meglio.
Spero sinceramente sia stata una buona lettura <3

   
 
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