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Autore: PerseoeAndromeda    15/06/2010    3 recensioni
[Fanfic prima classificata al "Movies contest" indetto da Himechan84] “Se non abbiamo altro da dirci… o meglio… se tu non hai altro da dirmi, ora puoi anche andartene e ti prego di non presentarti più al mio cospetto senza che io lo sappia con largo anticipo, altrimenti sarò costretto a considerarti, di nuovo, un invasore.” Non poteva permetterlo, non poteva accettare che tutti i suoi buoni propositi si concludessero in quel misero modo...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Pisces Aphrodite
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Shun… sai di poter compiere un miracolo… Shun

Dedico questa fanfic a chi mi ha sostenuto in questo periodo difficile, a tutti coloro che l’hanno apprezzata, ai protagonisti che amerò eternamente con tutto il mio cuore e ad una persona che forse non la leggerà mai… ma io non smetto di sperare in un suo ritorno, nella possibilità di nuove condivisioni ^*^

 

 

UNITI NELLO STESSO DOLORE

 

 

Quando non sei in grado di combattere,

devi abbracciare il tuo nemico.

Se ha le braccia intorno a te,

non può puntarti contro un fucile.

 
(Dal film “7 anni in Tibet”, regista J. J. Annaud, 1997)

 

 

“Sai di poter compiere un miracolo, Shun.”

Era impossibile, per il santo di Andromeda, dimenticare le parole che Aphrodite, un tempo suo nemico, gli aveva rivolto un istante prima di morire per la seconda volta, immolandosi insieme ai compagni della massima gerarchia di Athena per la salvezza della terra. Non poteva dimenticare le parole e neanche lo sguardo, così colmo della dolcezza di chi, consapevole e sereno, va incontro al proprio destino affidando a lui, santo di Andromeda, che sopravviveva, un compito sacro da cui dipendeva la salvezza del mondo.

Aphrodite, gold saint della costellazione di Pisces, si era fidato di lui, aveva letto qualcosa in lui, il giorno in cui si erano affrontati, il giorno in cui Shun l’aveva sconfitto.

E l’aveva ritenuto degno di succedergli, di considerarlo un fratello minore, un compagno con il quale lottare, spalla contro spalla, per preservare l’intero universo dalle tenebre che lo minacciavano.

Nessuno di loro aveva sperato in tanto: la terra era salva, l’eterno ciclo della vita anche, i bronze saints erano sopravvissuti ed ai gold era stata concessa una nuova rinascita, una nuova possibilità.

Ma per un’anima sottratta ad un corpo, è difficile sostenere il ritorno alla materia, il passaggio può rivelarsi distruttivo se non si è abbastanza saldi per sopportarlo.

E alcuni tra i gold avevano subito il contraccolpo, l’avevano incassato male, in modo strano; o, per lo meno, Shun riteneva che certi bizzarri comportamenti fossero dovuti a questo.

Si era illuso, a pace finalmente ricostituita, che Aphrodite e lui avrebbero potuto finalmente conoscersi davvero, essere realmente compagni al di là della guerra, in una nuova esistenza di totale concordia; invece il santo di Pisces lo ignorava del tutto, chiuso nella sua Dodicesima Casa rifiutava totalmente ogni tentativo di approccio da parte del santo di Andromeda, che sperava, quando si incrociavano per caso, o si scorgevano da lontano in varie occasioni di ritrovo ufficiale, di vedersi rivolgere uno sguardo gentile, un saluto. E invece, tutto ciò che otteneva, le poche volte che il viso di Aphrodite si posava sul suo, era totale indifferenza, persino ostilità credeva di percepire il gentile guerriero bambino.

Passando nei pressi del colle delle Dodici Case non poteva fare a meno di rivolgere lo sguardo verso l’alto, fino alla sommità, dove l’ultimo tempio dei custodi adagiava tra le rocce le proprie forme eleganti e la tentazione di salire fin lassù era elevata, ma la paura di essere accolto male lo frenava.

“Perché è così importante per te?” gli chiese Hyoga un mattino, mentre passeggiavano fianco a fianco e il santo di Andromeda si era ancora fermato, come ogni volta, per sollevare il viso, fissando tristemente la vetta del colle sacro.

Il ragazzino si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo, con un mesto sorriso:

“Perché sento che dovrebbe esserci qualcosa tra noi, perché quel giorno, durante la battaglia delle Dodici Case, ho percepito come un fluido… e quel medesimo fluido è intercorso ancora tra noi davanti al Muro del Pianto… e in quel momento, mentre lui scompariva insieme a tutti gli altri, l’ho pensato… che avrei tanto desiderato poter rinascere insieme per attraversare una nuova esistenza da compagni, da fratelli… perché ho sentito che siamo speciali, che avremmo potuto esserlo, quanto meno, insieme…”

Il santo del Cigno corrugò la fronte, ma Shun non si avvide dell’apparente fastidio mostrato dal ragazzo più grande, il suo volto era sempre fisso a terra e si scosse, con un risolino lieve e rassegnato:

“Sono tutte parole inutili, in fondo, evidentemente ero l’unico a desiderare e a interiorizzare tutto questo, la mia solita tendenza ad illudermi…”

“Shun…” mormorò Hyoga, poi allungò una mano e la strinse sul polso del piccolo compagno, deciso ad attirare la sua attenzione. “Ci siamo noi, i tuoi fratelli, ci sono io! Perché prendertela tanto?”

Il viso di Andromeda, finalmente, si sollevò e puntò sull’amico e fratello un’occhiata stupita, perplessa:

“Ma lo so che ci siete, Hyoga… questo non c’entra nulla, è… un’altra cosa…”

“Già” brontolò Cygnus assumendo una buffa espressione imbronciata che fece traboccare il cuore di Shun di tenerezza. “Il tuo immenso cuore che ha spazio per tutti!”

Anziché ribattere qualunque cosa, Shun sorrise, gli gettò le braccia al collo e posò le proprie labbra su quelle del guerriero dei ghiacci, sollevandosi in punta di piedi per portare il viso all’altezza di quello dell’altro: Hyoga era cresciuto molto negli ultimi mesi e il santo di Andromeda appariva davvero piccolo al suo confronto. Il sangue giapponese che gli scorreva nelle vene aveva influito sulla sua statura più di quanto fosse capitato ai fratelli, se si escludeva Seiya.

Il gesto del ragazzino sciolse completamente Hyoga, che lo avvolse in un abbraccio e lo attirò contro di sé, stringendolo come un tesoro prezioso che rischiava di sfuggirgli da un momento all’altro. Era diventato possessivo il santo del Cigno e anche molto geloso; la tensione che serpeggiava tra lui ed Ikki, santo della Fenice, era spesso palpabile. Shun era il fratellino adorato di entrambi e anche il loro amore comune e se la situazione non degenerava tra loro, era perché non volevano provocare ulteriori sofferenze all’animo sensibile di Andromeda, già così provato da un destino che l’aveva costretto a lottare contro la propria natura oltre che contro i nemici in battaglia.

Quando si separarono, con grande disappunto di Hyoga, gli occhi di Shun gli sfuggirono ancora, correndo verso la loro meta prediletta di quegli ultimi tempi.

“Ma perché fai così? Non merita che tu ti struggi a tal punto, non capisco perché poi!”

“Sento che devo farlo!”

“Fare cosa?”

In risposta, Shun si sollevò ancora e gli stampò un veloce bacio sulla guancia, prima di staccare dal compagno anche le mani e cominciare a dirigersi, in una corsetta leggera, verso il colle:

“Devo andare! Me lo suggerisce l’istinto!”

Sbigottito da quell’impulsività dettata unicamente dai moti dell’animo e, dal suo punto di vista, persino incosciente, Hyoga si affrettò a corrergli dietro e ad afferrargli un polso, trascinandolo ancora verso di sé:

“Che cosa ti sei messo in testa?”

“Devo capire, Hyokkun, non posso più restare con quest’incertezza.”

“Ma lo sai che sarebbe capace di farti del male se solo gli venisse voglia?”

Shun dissentì con un cenno deciso del capo:

“Questo non lo crederò mai! Lo sa che siamo compagni, si è consacrato ad Athena quel giorno, al Muro del Pianto, non farebbe mai più qualcosa di male!”

“Perché sei un tale illuso, Shun? Perché permetti che le persone continuino a ferirti?”

Il santo di Andromeda aprì appena le labbra, ma non riuscì a dire nulla, profondamente colpito dalle parole e dal tono supplichevole del compagno.

“Quella persona che occupa adesso il Dodicesimo Tempio” proseguì questi, “non è più la stessa della battaglia nell’Ade, non si comporterebbe così altrimenti! Forse la sua anima, davanti al muro, ha avuto un moto dettato dal senso di giustizia, ma…”

Shun scosse nervosamente il capo:

“Forse non riesce, forse qualcosa lo blocca!”

“Shun, ti prego, non fare sciocchezze” lo supplicò il guerriero dei ghiacci, ma con meno convinzione, evidentemente rassegnato al fatto che non avrebbe potuto fare niente per distogliere il ragazzino dal suo obiettivo; quando Shun si lasciava guidare dal cuore in quel modo, niente avrebbe potuto fermarlo, neanche la propria, insopprimibile timidezza.

“Non succederà nulla” sorrise Andromeda, quasi prendendo in giro la paura di Hyoga che trovava insensata. Il santo di Cygnus era sconfitto; sospirò, compiendo un ultimo tentativo:

“Vorrei che almeno non andassi da solo.”

“Ma devo andare da solo; è una questione tra me e lui. Ricordi quando, il giorno in cui ti sei scontrato con Camus, non ci hai voluti intorno? Perché sentivi che ogni altra presenza avrebbe costituito un ostacolo?”

“Non è che mi rassicuri se paragoni ciò che devi fare adesso a quella giornata” lo apostrofò Hyoga guardandolo torvo, con diffidenza.

Il santo di Andromeda si lasciò andare ad una vivace risata:

“Prendi tutto troppo alla lettera, a maggior ragione nella situazione attuale devi stare tranquillo!”

“Promettimi solo una cosa” sbuffò Hyoga, incrociando le braccia sul petto “Se vedi che non c’è nessuna possibilità di instaurare un dialogo quanto meno umano, lascia perdere e torna da me, non insistere troppo, non tirare la corda!”

“Davvero, sei esagerato” lo apostrofò Shun, incapace di capire le preoccupazioni del compagno, scrutandolo con lo sguardo serioso e piegando lievemente la testa di lato, una di quelle espressioni che disarmava completamente coloro che gli volevano bene.

Onde evitare di comportarsi ancora da chioccia apprensiva di fronte a quell’atteggiamento in seguito al quale avrebbe voluto afferrarlo e stringerlo a sé, Hyoga gli diede le spalle, abbassando il capo e grattandosi la punta del naso sotto agli occhi chiusi:

“Dai, vai… prima sarai andato e prima ci saremo tolti il pensiero, tutti e due.”

Dietro di lui Shun sorrise, senza poter essere visto ma, come se il santo dei ghiacci l’avesse percepito, sorrise di rimando mentre Shun si allontanava, intraprendendo la scalata del colle. Cygnus si volse in tempo per vederlo scomparire all’interno delle vie segrete, che permettevano di salire le varie tappe senza attraversare per forza le case dei custodi. Ai saint della speranza, riconosciuti come degni fratelli minori dei gold saints, era stato concesso di conoscerle.

Hyoga sospirò, era indeciso: avrebbe dovuto restare lì ad aspettarlo? Era già pentito per essersi mostrato così arrendevole. Scosse le spalle: se fosse rimasto, la tentazione di mettersi quasi subito sulle sue tracce sarebbe stata insopprimibile, così si voltò e, senza più rivolgere alcuno sguardo al colle, si impose di allontanarsi. Avrebbe atteso il compagno addestrandosi nell’arena, l’avrebbe aiutato a non pensare.

 

 

***

 

Le vie segrete erano buie, davano la sensazione di condurre spiritualmente in una dimensione diversa, attorniandola di una sacralità ancestrale, lontana dal quotidiano, dall’agitarsi delle voci e dei corpi. Il silenzio che circondava Shun mentre saliva le scale non era silenzio autentico: udiva il respiro dei secoli… e quello degli antichi eroi.

“Un frammento dell’anima di chi, nel corso dei lustri, ha camminato per queste strade, è ancora ben presente tra queste mura di pietra” pensava, sfiorando appena con le dita le rocce al suo fianco, quasi timoroso all’idea di offendere gli spiriti illustri dei santi di Athena, un tempo abitanti in quei luoghi, ancora così pesantemente presenti.

Pesantezza, sì, ma anche tanto affetto, comunione di cuori ed intenti; se effettivamente presenze spirituali aleggiavano in quei cunicoli, Shun non li percepiva ostili, guardinghi forse, ma benevoli nei confronti di qualcuno che riconoscevano come uno di loro.

Era forse superbo a considerarsi tale?

“Non io manco di umiltà, ma lo sento che mi considerano loro compagno, sono loro a suggerirmelo, non sto erigendo nessun castello di carta con la mia fantasia.”

Non era mai stato sicuro di sé il santo di Andromeda, quindi quella consapevolezza che gli scese nel cuore lo fece sorridere, di se stesso, ma anche dell’entusiasmo infusogli da tutti quei vecchi amici.

“Siamo tutti uguali” mormorò, “tutti insieme… e anche Aphrodite lo dovrà capire!”

Così rinvigorito, dopo qualche istante di esitazione, riprese a salire con maggior foga e si fermò solo di fronte a quella che ricordava come l’uscita che conduceva proprio davanti al Dodicesimo Tempio; lì l’incertezza lo colse nuovamente. Trasse un profondo sospiro, quindi, un piede davanti all’altro, senza fretta, percorse i passi che lo distanziavano dalla dimora di Pisces. E vide il tempio stagliarsi davanti ai propri occhi, i ricordi legati alla sua prima visita in quel luogo lo colpirono in maniera dolorosa. Era con Seiya allora e credevano che tutto fosse perduto, i compagni scomparsi, la fine di Athena sempre più prossima, come prossime erano le sale del Sommo Sacerdote, solo più quell’ostacolo, l’ultimo custode, l’ultimo gold saint ancora da sconfiggere, l’imposizione fatta da Andromeda a Pegasus, la supplica di lasciarlo combattere da solo… e il primo incontro con Aphrodite.

Non davanti al Muro del Pianto si era instaurata, per la prima volta, una reciproca affinità, ma già quel giorno, quando avevano combattuto, quando si erano fatti del male a vicenda, alla fine della battaglia si erano scambiati uno sguardo… e in quello sguardo si era stabilito un contatto. Shun aveva compreso che le loro anime non sarebbero mai più state scisse e, lo sapeva, lo stesso Aphrodite aveva voluto fissare quel contatto, ribadito nell’Ade, uno scambio, un filo conduttore che li avrebbe legati per sempre.

La domanda che ronzava nella mente di Shun, dal giorno del loro ritorno, era sempre la stessa: perché ha voluto spezzarlo… o sta tentando di farlo?

Il tempio a pianta rettangolare, con le sue colonne perfettamente distribuite lungo il perimetro, lo accolse con la sua severa maestosità e da esse il santo di Andromeda si sentì sovrastato, soffocato, come se si trovasse di fronte ad un titano che, con la sua mole, tentava di dissuaderlo dall’entrare. Non si lasciò suggestionare, strinse le labbra, assumendo un’espressione risoluta e oltrepassò le prime colonne, addentrandosi nella loro penombra.

I ricordi lo invasero, lo fecero quasi urlare per il dolore che provocarono in lui, tutta la sofferenza di quel giorno che, in un certo senso, apparteneva ad un’altra vita, si fece risentire nella sua totale intensità e non poté impedire a quelle sensazioni di sciogliersi in lacrime salate, che scesero lungo le sue guance, scivolando fino alle labbra, dove lui bevve il loro sapore amaro.

“Mi dispiace così tanto” singhiozzò, “che il nostro primo incontro sia stato all’insegna della violenza, della difesa reciproca… mi dispiace così tanto per quel che è accaduto… per averti fatto del male allora…”

“Nessuno ti ha dato il permesso di entrare, mi sembra.”

Il cosmo lo colpì ferocemente così come la voce, tagliente alla pari di una lama affilata affondata nel suo petto; solo in seguito all’aggressione verbale e mentale scorse la figura che avanzava, fiera, eretta, verso di lui, non in armatura come al loro primo incontro, ma quella tunica risplendente dalla quale era avvolto non faceva un effetto minore. La indossava come un signore nel proprio castello; in realtà si trattava di una semplice veste di stoffa bianca, ornata d’azzurro, con qualche decorazione dorata, intorno al collo, in vita e lungo gli orli, ma il santo dei Pesci la portava con un’eleganza che conferiva persino a quegli strati di tessuto una sorta di potere sacro.

La tunica arrivava fino alle caviglie e lasciava intravvedere i sandali, anch’essi color oro, ma così sottili e leggeri da fasciare appena i piedi dando, ad una prima occhiata, la sensazione che il giovane uomo fosse scalzo. Shun rimase immobile mentre si avvicinava, fino a giungere a pochi passi di distanza: era ancor più alto di come il ragazzino lo ricordava, quasi immenso, e lui si sentiva ancor più piccolo e insignificante di quanto avesse immaginato; resistette a stento alla tentazione di inginocchiarsi ai suoi piedi.

Lo sguardo di Aphrodite lo fissava, ma al tempo stesso dava la sensazione di oltrepassarlo da parte a parte, come se stesse osservando qualcosa di sconosciuto… e di disprezzabile…

Il santo di Andromeda deglutì, non si era aspettato di provare tutta quella paura, quel timore reverenziale e, quando provò a fare un passo, notò che le gambe gli tremavano; dovette tuttavia fermarsi quasi subito perché, a quel suo minimo movimento, la fronte di Aphrodite si accigliò, il suo sguardo si fece più teso, aggressivo e le parole che pronunciò non smentirono affatto l’impressione del piccolo bronze saint:

“Se fai un passo di più senza chiedere il permesso dovrò attaccarti; ti sei già spinto troppo oltre, senza invito e senza palesarmi in tempo la tua presenza!”

“Perdonami, Aphrodite-sama” mormorò il ragazzino, la voce che uscì a stento, appena udibile nel silenzio di quelle mura, reso meno assoluto dal palpitare del suo cuore che gli martellava nelle orecchie. “Non era mia intenzione mancarti di rispetto… non credevo di…”

“Che cosa vuoi?” lo interruppe il medesimo tono ostile, ancor più duro, una voce bellissima che sapeva diventare un’arma impietosa.

“Solo vederti” sussurrò uno Shun sempre più indeciso, colpito da tanta ostilità. Si era aspettato un approccio difficile, ma non poteva comprendere quell’insistenza di Aphrodite nel volerlo considerare, all’apparenza, un nemico.

“E perché?” domandò l’altro, riducendo gli occhi a due fessure, colmo di diffidenza.

Cosa rispondere? Shun si trovava del tutto impreparato, pur con tutti i buoni propositi elaborati prima di giungere lì, quell’accoglienza aveva freddato ogni sua sicurezza interiore.

“Forse… per capire…” sospirò, abbassando il capo, le braccia abbandonate lungo i fianchi, sentendosi terribilmente triste… e incapace.

“Che cosa c’è da capire?”

Gli occhi del santo di Andromeda si chiusero, un sorriso umile comparve sul suo volto, che rimase basso, dimesso:

“Per quel che mi riguarda tutto… non capisco nulla… non capisco chi sei…”

“E per quale bizzarro motivo dovrebbe essere tanto importante, per te, capirlo?”

Un fremito corse lungo tutto il corpo di Shun, una scossa d’orgoglio che lo spinse a sollevare il capo e a puntare su Pisces tutto il fuoco nascosto dei suoi grandi occhi verdi:

“Perché se io ho continuato a combattere quel giorno, se ho trovato il coraggio di andare avanti, se la disperazione non mi ha definitivamente abbattuto, è stato per il tuo sguardo, per le tue parole, è stato per quel contatto che ho sentito tra noi, è stato perché tu credevi in me ed a me ti sei aggrappato, come io a te! E non parlo solo del Muro del Pianto! Anche il giorno della nostra battaglia, tu mi hai guardato, mi sei entrato dentro, come puoi pretendere che anche io dimentichi tutto? Non ne sono capace!”

“In quel momento, la necessità bellica mi ha spinto a spronarti, in quel momento eravamo compagni, non vedo cosa possa pretendere, tu, adesso.”

Il ragazzino sussultò, pressoché incredulo; forse Hyoga aveva ragione dopotutto, si era semplicemente illuso, mosso dalla sua tendenza a fidarsi ciecamente delle persone, se solo gli davano un minimo appiglio per farlo. Quante volte la sua fiducia negli altri si era rivelata deleteria? Spesso persino pericolosa per se stesso e per i compagni. La parte razionale del suo animo gli suggeriva, a quel punto, di tornare sui propri passi ed allontanarsi, per non tentare mai più una simile follia; Aphrodite non voleva saperne di lui, la precedente concessione che gli aveva fatto era stata dettata unicamente da un momentaneo sprazzo di fratellanza guerriera, destinata a svanire con il ritorno alla normalità.

Ma il santo di Andromeda non era costituito tanto di ragione quanto di cuore, istinto, passione e la parte più spontanea di sé prevaleva, assicurandogli che c’era dell’altro, che non poteva essere tutto così come sembrava.

“Cosa fai? Stai per metterti a piangere?”

Un’altra osservazione crudele, formulata apposta per fare del male e i pugni di Shun si strinsero, le sue membra cominciarono a tremare, detestava non riuscire a dominare le proprie emozioni, ma non poteva impedirselo: erano parte integrante di se stesso, il bronze saint di Andromeda era emozione pura, da sempre, non era in grado di farci nulla e non riteneva neanche giusto dover modificare quell’aspetto essenziale della propria persona.

Scosse nervosamente il capo e si impose il minimo di autocontrollo necessario per non crollare di fronte ad Aphrodite e ribatté, con tutta la dignità che poteva trovare dentro di sé:

“E’ tutto qui quello che hai da dirmi? Mi permetti di avere qualche dubbio sulla sincerità delle tue asserzioni?”

“E perché dovresti avere dubbi?” chiese Aphrodite sollevando un sopracciglio, evidentemente incuriosito.

“Perché il tuo sguardo diceva il contrario, davanti al Muro del Pianto e anche il giorno della nostra battaglia, prima di…”

“Non ti facevo così subdolo, sai, Andromeda?”

Benché l’osservazione fosse stata formulata senza alcun mutamento nell’inflessione vocale, per Shun fu come una sferzata in pieno volto; un rimprovero del genere non glielo aveva mai rivolto nessuno e, al tempo stesso, con tutti i difetti che era convinto di avere, quello che gli era appena stato attribuito non l’avrebbe mai immaginato neanche nel peggiore dei propri incubi.

“Perché?” mormorò, la voce flebile e resa roca dall’impulso al pianto che tratteneva sempre più a fatica.

Il santo di Pisces incrociò le braccia sul petto, abbassò il volto con atteggiamento riflessivo e proseguì, implacabile:

“Ricordi al tuo nemico il momento in cui l’hai sconfitto. Ritengo che sia una mancanza di rispetto decisamente indegna di un uomo d’onore.”

Ormai Shun era un bambino in lacrime di fronte a quell’uomo maestoso, severo, gelido dietro le mura invalicabili erette intorno a sé; era giunto fin lì per ottenere pace e complicità e si trovava a vedersi gettato addosso il ruolo del cattivo, della persona sleale.

“Credevo” tentò disperatamente di giustificarsi, cercando di dominare la voce rotta dalle lacrime “di poter ormai parlare serenamente di quel giorno… che non avrebbe avuto più senso definirci… nemici…”

“Mi hai comunque messo di fronte alla mia sconfitta, Andromeda e questo non posso perdonartelo, in nessun modo! Senza contare che hai di nuovo varcato questa soglia senza il mio consenso, perciò da invasore!”

La voce di Aphrodite si era alterata, all’improvviso, in maniera inquietante e gli occhi di Shun si sgranarono di fronte allo sguardo che aveva assunto il santo dei Pesci; c’era qualcosa che non andava, c’era rabbia, ma c’era anche tanta paura, celata fino a quel momento sotto il gelo di quell’azzurro nordico.

“Mi dispiace per quello che ho detto, Aphrodite, non era mia intenzione rivangare niente, solo cercare di ricostruire!”

“E’ un po’ troppo tardi, non credi? Tu quel giorno hai distrutto tutto il mio mondo, Shun, tutto ciò in cui credevo l’hai fatto vacillare e crollare rovinosamente al suolo. Come puoi pretendere che io cancelli e me lo lasci alle spalle? Come puoi pretendere che basti una rinascita per superare ciò che accadde quel giorno, in cui percepii la morte dei miei amici, dei compagni, uno dopo l’altro, fino a vederti varcare questa soglia al solo scopo di umiliarmi?!”

Il ragazzino avrebbe voluto tapparsi le orecchie, tanto la voce di Aphrodite si era alterata, tanto adesso il custode del tempio stava urlando, quasi fuori di sé.

Il santo di Andromeda non poté impedirsi di fare un passo indietro quando vide Pisces avanzare ancora verso di lui, minaccioso.

“Ma è finito tutto bene, Aphrodite… siamo tutti qui e davanti al Muro del Pianto…”

“Davanti al Muro del Pianto ero vicino a loro, i miei compagni ed io eravamo tutti insieme e vedevo in voi la speranza, sì, vedevo le cose con occhio diverso, perché negarlo? Ma non volevo rinascere, non volevo dover riguardare indietro, dover rianalizzare di nuovo tutto, rimettere in discussione tutto! Ti avevo affidato quanto restava dei sacri guerrieri, perché desideravo che tutto si risolvesse per il meglio… ma che noi potessimo riposare!”

“Abbiamo tutti una nuova possibilità, senza più lotte intestine, possiamo vivere da compagni, uniti sotto le insegne di Athena, dopo tutti gli errori che…”

Non si avvide del movimento e l’istante successivo, il pugno di Aphrodite era stretto sul collo della sua t-shirt, strattonandolo con violenza, quasi sollevandolo da terra, il viso dello svedese era ad un’infinitesimale distanza dal suo e a Shun sembrava immenso, spaventoso nella sua bellezza furiosa:

“Errori di chi, eh, santarellino?! Gli errori di coloro che avevano tradito Athena? Che si erano affidati anima e corpo ad Arles? Gli errori nostri, eh, Shun? Voi eravate i giustizieri che dovevano farci ravvedere oppure ucciderci, voi latori della verità, noi accecati dallo sbaglio, dall’illusione, dall’errore di valutazione!”

Completamente inerme in quell’artiglio feroce, soggiogato dalla situazione che l’avrebbe reso assolutamente incapace di difendersi in caso di pericolo autentico, Shun si limitò a sollevare un braccio, a circondare il polso di Aphrodite con la sua mano tanto più piccola, ma lo fece senza rabbia, voleva che il santo di Pisces percepisse affetto in quel gesto; la vista annebbiata da un velo di lacrime, ancora provò a smuovere il cuore di quella persona che sentiva di amare profondamente:

“Io… non vi ho mai voluti ritenere… nemici…”

Non poté terminare, nuovamente colpito dalla furia cieca del suo interlocutore:

“Sei un maledetto presuntuoso, Andromeda, tu come tutti gli altri insignificanti ragazzotti che ti circondano!”

Nel pronunciare quella nuova, dolorosa frecciata, lasciò la maglietta di Shun e lo spinse, nello stesso istante, lontano da sé; indebolito dall’insicurezza, dal senso di sconfitta, il santo di Andromeda non riuscì a mantenere l’equilibrio, incespicò e cadde, posando le mani al suolo, dietro di sé e trovandosi seduto, con il custode della Dodicesima Casa che ancora lo sovrastava, come se volesse annientarlo con la sola maestosità della propria figura.

Shun raccolse tutto il coraggio di cui era capace per sollevare lo sguardo e puntarlo ancora sul santo di Pisces. Il tono uscì supplichevole, nella disperazione di voler far comprendere al santo d’oro il proprio messaggio, il proprio reale intento e la propria sincerità:

“Non mi sono… mai ritenuto superiore a nessuno… Aphrodite… neanche i miei fratelli… men che meno a qualcuno di voi, siete i nostri modelli, i nostri maestri, i nostri fratelli maggiori.”

Intanto si rimise faticosamente in piedi; era come trovarsi nel mezzo di una battaglia, in cui cercava di convincere l’avversario dei buoni propositi impressi in ogni suo gesto. Gli faceva male pensare così, che ancora Aphrodite potesse vivere un loro approccio come uno scontro in piena regola, aveva sperato in un semplice dialogo tra compagni e fratelli d’arme, con tutt’al più qualcosa da chiarire. E invece si trovava di fronte un custode aggressivo e poco disposto ad allentare la rigidità con la quale l’aveva accolto.

D’altronde non vi era nulla di diverso da qualunque battaglia lui avesse affrontato, pensava il ragazzino; aveva sempre cercato il dialogo con il nemico anziché lo scontro violento, aveva sempre fatto di tutto per evitare colluttazioni che si sarebbero potute rivelare dannose per il rivale di turno. E di solito, come in quel momento, si era scontrato contro muri invalicabili ed infrangibili, che avevano reso inevitabile il conflitto.

“Sei soltanto un ipocrita.”

Il santo di Andromeda non riuscì a capire se, per lui, furono più angoscianti le parole pronunciate dalla labbra lucide di Aphrodite o il sorrisino sprezzante che si formò su esse. Subito dopo, il gold saint gli diede le spalle, altezzoso e sentenziò, mentre cominciava a camminare verso la parte più interna del tempio:

“Se non abbiamo altro da dirci… o meglio… se tu non hai altro da dirmi, ora puoi anche andartene e ti prego di non presentarti più al mio cospetto senza che io lo sappia con largo anticipo, altrimenti sarò costretto a considerarti, di nuovo, un invasore.”

Non poteva permetterlo, non poteva accettare che tutti i suoi buoni propositi si concludessero in quel misero modo; come spesso gli accadeva, la necessità estrema faceva ritrovare a Shun la forza di volontà sufficiente per reagire e per sottrarsi allo straniante torpore che si impadroniva di lui in determinate situazioni.

Spiccò una corsa, in pochi balzi raggiunse Aphrodite e lo prese per un braccio, strattonandolo con l’intento di farlo voltare; il santo dei Pesci reagì prontamente, si sottrasse a quel tocco e lo spinse, gettandolo nuovamente a terra. Shun cadde malamente, lasciandosi sfuggire un gemito e, quando sollevò lo sguardo, vide Aphrodite abbassarsi; subito dopo le dita dello svedese affondarono nei suoi capelli e glieli tirarono con ferocia.

“Adesso hai superato i limiti, Andromeda” sibilò il santo d’oro, ma c’era qualcosa di strano, a quel punto, nel suo tono di voce, un lieve tremolio prima assente. Il ragazzino se ne accorse e il suo cervello reagì di conseguenza, il motivo del comportamento di Aphrodite gli sfuggiva come fumo bianco tra le dita e più gli sembrava di averlo finalmente afferrato, più questo riusciva a sfuggirgli.

Pisces mollò la presa, lasciandolo cadere, ansante, sul marmo del pavimento poi, lentamente, si mise in guardia, espandendo poco a poco il proprio Cosmo dorato.

Shun sgranò gli occhi, puntellandosi a fatica coi gomiti, il visetto sporco. Testardamente si convinse, una volta di più, che sarebbe stato in grado di farcela, avrebbe risolto da sé quella situazione così assurda.

Cercando di ricacciare indietro lo sgomento che gli rendeva le membra doloranti, Andromeda si mise in piedi, pronto a scattare; aveva solo una possibilità e doveva usarla al meglio.

Aphrodite allineò in quel momento i pugni, i grandi occhi color del mare erano aperti su di lui con un'espressione che aveva dell'incredulo nell'attimo stesso in cui il piccolo, gettatosi tra le sue braccia, lo strinse con forza, quasi conficcando le unghie nelle sue spalle, come un naufrago che si aggrappava disperatamente all’unico relitto abbandonato in mezzo al mare.

“La devi smettere, smettila!” gridò, affondando il volto nel petto dello svedese, soffocando le lacrime, consapevole che sarebbe potuta accadere qualunque cosa da quel momento, attendendo una reazione spropositata che avrebbe anche rischiato di ferirlo gravemente.

Niente di tutto questo accadde, il tempo sembrava essersi fermato e solo il rumore dei loro respiri lasciava comprendere che esso continuava a scorrere.

Poi, una stretta intorno al corpo di Shun, una mano che si posava ancora tra i suoi capelli, ma unicamente per accarezzare questa volta, una voce che lambì le sue orecchie, finalmente la medesima che aveva udito al Muro del Pianto, il medesimo amore in essa infuso, il medesimo messaggio di condivisione:

“Mi hai sconfitto… di nuovo… e non riesco neanche ad essere arrabbiato per questo…”

Il viso di Shun si sollevò, i loro occhi si incontrarono e Shun lesse, in quelle pozze azzurre di dolore, tutto ciò che il compagno della gerarchia superiore doveva avere passato, tutte le lotte contro se stesso, per capirsi, per accettare un ruolo che, in alcuni momenti, lo faceva sentire spezzato in due, l’umiliazione che doveva aver subito, messo di fronte al crollo di tutte le proprie certezze nel corso della battaglia alle Dodici Case, l’angoscia di veder cadere uno ad uno i compagni di una vita. E ancora l’ennesima umiliazione del doversi fingere nuovamente traditore, senza quasi poter combattere per mostrare il proprio onore, accettando di farsi canzonare da uno spectre di Hades per entrare meglio che poteva in una parte talmente difficile.

E infine, il trauma della rinascita, la consapevolezza di dover ricominciare tutto daccapo, di doversi ricostruire in un’esistenza ed un mondo con presupposti del tutto nuovi.

E nel dolore di Aphrodite, Shun specchiò il proprio; quello che avevano dovuto affrontare era pazzesco, era crudele, per tanti versi inaccettabile.

“Mi… dispiace così tanto” singhiozzò il santo di Andromeda, allungando la propria mano fino a posarla sulla guancia di Pisces.

E questi lo lasciò fare, senza reagire, senza più ritrarsi; solo le sue labbra si mossero in un sussurro un po’ tremante:

“Come allora… neanche adesso riesco ad odiarti…”

“Forse perché, in fondo, siamo più simili di quanto tu creda…”

“E siamo tutti santi di Athena” annuì Aphrodite, stringendo il piccolo guerriero ancor più contro di sé ed abbassando il capo fino a nasconderlo nei capelli color miele che si fusero con i suoi, in un perfetto amalgama di sfumature rosse e dorate.

 

 

 

 

  

 

 

 

 

   
 
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