Io
ti ho voluto tanto bene mamma.
Anche se tu non mi volevi.
Così
inizio questa lettera che
scrivo solo per te.
Certo può sembrarti strano che un bambino così
piccolo sia in grado di parlarti
e soprattutto di scriverti qualcosa, vero? Ah, avverto il tuo stupore,
mamma e
sai, effettivamente non avresti tutti i torti, e capirei anche se ti
spaventassi. Stai tranquilla, io sono ancora un bambino e quindi non
sono
ancora in grado di scrivere: per tale motivo questa mia lettera la sto
scrivendo qui, dentro il mio cuore, nella speranza che tu possa
riceverla...
Cara
mamma,
io ti ho voluto tanto bene sai? Lo so che ti sto dicendo una cosa ovvia
e forse
anche banale, ma io ci tenevo a fartelo sapere.
Perché tu sei la mia adorata mamma: mi hai tenuto al sicuro
nel tuo grembo per
sette lunghi mesi. Curandomi e nutrendomi con tutto l’amore
che mi trasmettevi
con le tue carezze e le tue parole.
Oh, mi ricordo quando con voce soave mi cantavi storie fantastiche e mi
promettevi
amore e felicità. Nel mio caldo nido io mi beavo di tutto
ciò che dicevi,
pregando di sentire sempre la tua voce.
E fantasticavo, su tutto quello che avrei fatto con te una volta nato:
saremmo
andati al parco in primavera, passeggiando mano nella mano guardando lo
stagno
con le anatre... e d'estate ci saremmo seduti su una panchina a
gustarci un
buon gelato, mentre il sole ci carezzava con i suoi raggi. E le notti d'estate, ci
saremmo messi sulle
sedie in terrazza e, abbracciati, saremmo rimasti a guardare le stelle.
Tu ed
io mamma. Noi due soli.
Al riparo da tutto e tutti.
Lontani dal chiasso della città, distanti dall'inquinamento,
dalle luci troppo
artificiali, al riparo nella nostra casetta immersa nel verde della
campagna...
a guardare il cielo stellato, cercando di riconoscere l'Orsa Maggiore,
sdraiati
mentre i ciuffi d'erba ci solleticano la pelle e le cicale ci fanno da
sottofondo … Come? Ti domandi come io possa conoscere
vocaboli come "Orsa Maggiore"
e "inquinamento"? Ma mamma, io te l'ho già spiegato: vivo
dentro di
te, mi nutro delle tue parole e mi bagno nelle tue carezze. Avverto
tutto
quello che mi dici, tutto quello che fai e che senti. Per questo
riuscivo a
sentire anche lei: la tua profonda tristezza. Quella che ti assaliva
ogni volta
che lui rientrava a casa.
Lui.
Mio padre.
Sembrava una brava persona, ti sorrideva sempre e le sue mani
così dolci e
gentili carezzavano delicatamente la tua nuca. Anche il suono della sua
voce
bassa riusciva a essere melodioso. Come una ninna nanna. Ogni volta che
rientrava da lavoro, ti portava una rosa rossa come "regalo alla stella
più brillante che ci sia"... così diceva, mentre
ti porgeva il fiore e ti
sfiorava le labbra in un bacio. Ma tutte le rose hanno le loro spine.
Tutte le favole hanno dei retroscena.
Anche questa vita, così simile a una solida colonna, ha le
sue increspature.
Te ne sei accorta una sera, quella dannata
sera, mamma: eri a casa e stavi preparando la cena come tuo
solito; canticchiavi
una canzoncina della quale non ricordo le parole e intanto avevi sulle
labbra
quel dolcissimo sorriso che ti caratterizzava.
<< Questa sera preparerò un manicaretto per il
mio caro marito >>
dicevi, mentre con una mano piano ti sfioravi il ventre, come se mi
volessi
accarezzare. Era tutto pronto: luci soffuse, tavola imbandita e anche
le note
di una romantica canzone come sottofondo... sì, era davvero
una bella
atmosfera, l'ideale per festeggiare l'arrivo di un figlio, frutto
dell'amore di
due persone. Ma quando papà tornò a casa, quella maledetta sera, non era lo stesso... di
questo te ne sei accorta
subito, mamma.
Entrò in casa barcollando, rosso in viso. Si
avvicinò a te, stringendo la tua vita
con le braccia, iniziando a sussurrarti all'orecchio parole volgari che
tu non
avevi mai sentito pronunciare da lui.
<< Sei ubriaco? >> Gli chiesi e si poteva
avvertire un filo di
ansia crescente nella tua voce. Ma non avevi bisogno di conferme: la
risposta alla
tua domanda già la conoscevi.
<< Io? Non sono ubriaco … voglio solo
divertirmi con te … >> Ti
rispose lui, mentre stringeva ancor di più la presa al tuo
polso.
Non so cosa accadde dopo. O almeno, non con esattezza. Mi ricordo che
urlasti mamma.
E sentii numerosi scossoni.
Rumore di stoviglie rotte...
Sentivo le tue grida, mamma.
Avvertivo la paura crescere in te...
Tutto questo continuò per non so quanto tempo, fino a quando
non sentii il
rumore della porta di casa sbattere.
Allora in casa piombò il silenzio.
E le sentii: le tue lacrime, i tuoi singhiozzi. "Non piangere mamma. Ci
sono io qui con te! Ti proteggerò io da lui."
Così pensavo. E ingenuamente speravo che i miei pensieri ti
raggiungessero.
Ma così non fu.
<< E' colpa tua. >> quelle parole mi
ferirono profondamente, mamma.
"Cos'ho fatto mamma? Dimmelo e non lo farò più,
prometto" perché
davvero non capivo dove fosse la mia colpa... io volevo solo stare con
te e
fare tante cose assieme. Come una famiglia. << Se solo tu
non ci fossi...
lui non mi avrebbe picchiato... e non si sarebbe arrabbiato.
Sì, sì è colpa
tua! >> L' avevi fatto ancora mamma: mi hai incolpato, mi
hai rivolto parole
crudeli ma non senza spiegarmi cosa sbagliavo. Io non capisco, mamma
adorata...
desiderare di stare con la persona alla quale vuoi tanto bene, bramare
la sua
felicità... è sbagliato? Io sto sbagliando a
desiderare con tutto me stesso di
stare con te sempre? Sto sbagliando mamma?
Ti prego... ti supplico mamma dimmelo... perché io da solo
non capisco... <<
Sì... ora porrò rimedio... non preoccuparti amore
mio... ora questo errore non
ci darà più fastidio... se lui sparisce... tu mi
amerai ancora come una
volta... sì … sì è
così! >>
Un errore? Mamma... io sono un errore? Allora è davvero
colpa mia se papà ti ha
picchiato?
Deve essere così perché continui a
ripeterlo:” è colpa tua, è colpa
tua”. Lo
ripeti a bassa voce, come se fosse una cantilena.
Lo ripeti anche adesso che passi quella fredda lama di metallo sul tuo
ventre,
qui, dove mi trovo io. Adesso
ho paura
mamma.
Tanta, tanta paura. Ma va bene così mamma.
Se provocare del male a me, servirà a renderti nuovamente
felice... se così
facendo tu tornerai a sorridere... allora va bene. Fammi ciò
che vuoi. Anche se
io, mamma, avrei preferito vederti lottare per ottenere la tua
felicità
perduta. Mi sarebbe piaciuto stare più tempo assieme a te.
Avrei voluto portarti
via da quell’individuo così cattivo.
E poi saremmo rimasti solo noi.
Tu ed io soli, mamma. Lontani da quell'uomo che tanto ti ha fatto male.
Ti
avrei protetto io da ogni cosa mamma. Non ti avrei fatto mai arrabbiare
o
preoccupare. Per te, avrei fatto tanti sacrifici. Perché
ti voglio bene, e la prima cosa che
desidero è vederti felice.
All'improvviso ho sentito un dolore lancinante.
Poi un tonfo.
E sono piombato nel tunnel dell'incoscienza.
***
Mi
risveglio dopo qualche ora.
Non sento nessun rumore provenire dall'esterno. Che cosa è
accaduto? Mi ricordo
le cattive parole che mi hai detto, mamma. E rammento il dolore
lancinante che
ho provato.
Poi solo il buio. Il silenzio.
Non mi ricordo altro.
Il panico mi assale.
“Mamma? Mamma, dove sei ? Stai bene? Cos'è
successo? Perché non sento nulla? Ti
prego rispondimi... ho paura...” Provo ad urlare, nella
speranza che tu riesca
a sentirmi, ma non esce alcun suono dalle mie labbra e
l’unica cosa che sento
sono voci che non conosco. E questo mi mette ancor più in
agitazione. <<
Si è salvato per miracolo... >> non riesco a
capire il significato delle
frasi che sento. Ho paura … ma rimango ad ascoltare, nella
speranza di capire
cosa è successo e dove mi trovo. E sopratutto
perché non mi rispondi mamma.
<< Ha tentato di uccidere il figlio che porta in
grembo... >>
Uccidere? Mamma cosa vuol dire? Continuo a non capire …
<< Adesso si deve riposare >> sento una
porta chiudersi e in
seguito quelle mani che riconoscerei tra mille si posano sulla tua
pancia, a
carezzarmi: oh, finalmente ti ho ritrovato mamma. Ma nonostante questo
non
riesco a tranquillizzarmi completamente. Ti prego... spiegami il
significato
della parola uccidere. Cos'è successo... dove ci troviamo?
<< Non è giusto... non è giusto
sai? >>
"Cosa? Cosa non è giusto? Mamma ti prego spiegami!
Cosicché io possa
rimediare a quello che ho fatto!"
<< E' unicamente tua la colpa... se tu non fossi mai
nato... >> no,
mamma... ti prego... ti supplico, non mi dire così...
sarò un bravo bambino...
te lo prometto... << Ti odio >> queste tue
parole, mamma, mi faccio
male più di una coltellata.
Ma io più che domandarti perdono non posso fare.
Davvero.
Scusa, mamma.
***
Passò
un altro mese da
quell'avvenimento e tutto sembrava essere tornato alla
normalità: papà era
stranamente tranquillo. O per lo meno, non alzava più le
mani su di te. Nemmeno
tu, mamma, hai più avuto cedimenti.
<< Oggi ti porto in un bel posto da dove potremo guardare
il cielo>>
così mi hai detto mentre piano mi carezzavi.
Se avessi potuto, mamma, avrei sorriso all'idea di stare un
po’ con te, che
finalmente eri tornata la dolce mamma di un tempo, quella che mi
raccontava le
fiabe e che si sedeva in veranda a guardare il cielo stellato.
Se avessi saputo, mamma, avrei fatto di tutto per fermarti. Ti avrei
urlato di
non farlo. Che quella non era la maniera giusta per fuggire dal dolore.
Ti
avrei detto che così non saresti tornata a essere felice. Ma
non conoscevo le
tue intenzioni. Pensavo andasse tutto bene, credevo che quello di un
mese fa
fosse stato solo un episodio a se stante.
Ma mi sbagliavo: non sentivo la profonda tristezza che provavi nel tuo
cuore;
non ho capito che la solitudine ti stava divorando l'anima. Perdonami
mamma, se
mi sono beato delle tue carezze e delle tue parole all'apparenza
così dolci.
Perdonami se mi sono nutrito delle tue promesse.
Scusami se non ho avvertito prima la malinconia presente nel tono della
tua
bellissima voce.
Perdonami.
Perdonami mamma, ti prego.
E ora sono qui, a fluttuare nell'aria.
Ora che non sono più dentro di te posso vedere
più chiaramente l'ambiente che
mi circonda: siamo in uno spazio aperto. Sotto di me vedo i tetti dei
grattacieli. E te, mamma. Mi ricordo che sei salita all'ultimo piano di
un
palazzo e ti sei alzata in piedi, sulla ringhiera di un balcone... hai
guardato
il cielo che imponente si estendeva sopra la tua testa, mentre le prime
stelle
facevano la loro comparsa. Mi ricordo che hai allungato il braccio
verso l'Orsa
Maggiore e hai sussurrato: << Nessuna esitazione
>>. Poi hai chiuso
gli occhi mamma.
E ti sei lasciata andare nel vuoto.
E ora io sono qui, a guardare impotente il tuo corpo esanime ricoperto
di
sangue. Hai gli occhi velati di lacrime e spalancati verso il cielo blu
della
notte... vorrei venire lì da te a chiuderti gli occhi.
Vorrei tornare lì da te,
per coprirti e augurarti un buon riposo, ma una forza a me sconosciuta
me lo
impedisce. Vorrei sapere una cosa mamma... desidero chiederti ancora
una volta
cosa ti ha spinto a compiere un gesto tanto disperato.
Forse, ora me lo dirai?
"Perché mamma? Perché l'hai fatto?"
Continuo a chiedermelo anche ora che un'ambulanza porta via il tuo
corpo. Continuo
a farmi la stessa, identica domanda: "Perché te la sei presa
con me, cosa
ho fatto di male?" Mi odiavi tanto, così grande era il
disprezzo per la
vita che stava crescendo dentro di te? Tale
era la tua sofferenza da non riuscire più a sopportare il
peso della vita? Ma
se provavi tanto dolore, perché non te ne sei andata via? Te
lo dicevo sempre
mamma, io ti avrei reso felice. Avrei fatto il bravo e ti avrei difeso
da tutte
le cose cattive. Ma tu non me ne hai dato il tempo. Hai deciso anche
per me.
Io volevo vivere.
Ma tu hai deciso che così non doveva essere. Mi hai ucciso,
mamma, perché papà
ti aveva fatto del male... ma, allora non capisco, che colpa ne avevo
io,
mamma? Ti prego spiegamelo, perché io non capisco. E mai
capirò. Mi sento male
mamma, tanto. Mi
sento come fossi io il
colpevole di tutto il tuo dolore, della tua sofferenza anche se una
parte di
me, forse la più segreta e nascosta, sa che non è
così, e mi classifica come
vittima. Ai telegiornali hanno parlato di doppio suicidio ma non
è così. Io non
volevo morire, mamma. Volevo vivere con te.
Se eri triste, perché te la sei presa con me?
Se provavi dolore, perché non te ne sei andata, lontana da
papà?
Se era la pace, quella che volevi, perché non l'hai rincorsa
in modo diverso? Non
capisco mamma. Ma ormai è troppo tardi. Nessuno mi
spiegherà più nulla.
Nessuno.
"Perdonami" così mi hai detto prima di buttarti
giù dal balcone. Il
tuo tono era così malinconico, così tristemente
rassegnato che ho avuto un
tuffo al cuore: stai tranquilla mamma.
Anche se non mi hai spiegato nulla, anche se mi hai ferito, io non sono
arrabbiato. Sono solo... triste. Perché non ho potuto
aiutarti come avrei voluto.
Non provo rabbia verso di te, mamma. Solo tristezza.
Non potrei mai avercela con te. Sei la mia adorata mamma. Alzo la testa
verso
il cielo e allungo la mano verso il cielo stellato: adesso hai ottenuto
la
felicità, mamma? Adesso riderai e mi racconterai tutte le
favole che mi hai
promesso?
Non temere mamma. Se era di papà che avevi paura, adesso non
verrà più da te. Saremo
tu ed io, mamma. Per sempre. Soli su una piccola stella, mia e tua.
Per sempre insieme.
La mattina del 10 dicembre 1999 fu rivenuto
il corpo senza vita di una giovane donna di trentacinque anni davanti
al
portone di un palazzo abbandonato. Sul corpo furono rinvenuti molti
lividi
causati, come si scoprì più avanti, dal marito
della donna, ora in carcere per
violenza domestica. Si scoprì inoltre che la donna era
incinta di otto mesi e
che si suicidò per disperazione. Sfortunatamente, nemmeno il
feto è
sopravvissuto.